61991C0078

Conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven del 6 maggio 1992. - ROSE HUGHES CONTRO CHIEF ADJUDICATION OFFICER, BELFAST. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: SOCIAL SECURITY COMMISSIONER, BELFAST - REGNO UNITO. - PREVIDENZA SOCIALE - FAMILY CREDIT. - CAUSA C-78/91.

raccolta della giurisprudenza 1992 pagina I-04839


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. Questa causa ha ad oggetto la domanda pregiudiziale del Social Security Commissioner di Belfast vertente sull' interpretazione, da un lato, degli artt. 4, n. 1, e 73 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all' applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all' interno delle Comunità (1), e, dall' altro, dell' art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all' interno della Comunità (2). Le questioni sottoposte alla Corte sono state sollevate nell' ambito di una lite tra la signora Rose Hughes, appellante (in prosieguo: la "signora Hughes") e il Chief Adjudication Officer, appellato, circa il diritto dell' appellante di ottenere il "family credit".

Antefatti e ambito giuridico

2. Il "family credit" è una prestazione settimanale versata in contanti alle famiglie bisognose ai sensi del Social Security (Northern Ireland, in prosieguo: "NI") Order 1986 e delle Family Credit (General) Regulations (NI) 1987. L' art. 21 del Social Security (NI) Order così dispone:

"1) I regimi istituiti erogano le seguenti prestazioni (denominate nella presente legge prestazioni riferite al reddito):

a) sussidio integrativo del reddito (income support);

b) sussidio familiare (family credit), e

c) sussidio per l' alloggio (housing benefit).

(...)

5) Salvo il disposto dell' art. 52, n. 1, lett. a), in Irlanda del Nord una persona ha diritto al family credit qualora, se una domanda in tal senso è stata presentata o si considera essere stata presentata,

a) i suoi redditi

i) non eccedano l' importo previsto, o

ii) lo eccedano, ma soltanto in misura tale che, nel caso in cui venga effettuata la detrazione prevista dall' art. 22, n. 3, ne rimane un residuo;

b) essa o, se è coniugata o convive con un' altra persona, essa o tale altra persona eserciti regolarmente un' attività lavorativa retribuita, e

c) essa o, se è coniugata o convive con un' altra persona, essa o tale altra persona abbia a proprio carico un componente dello stesso nucleo familiare, figlio o persona rispondente alla descrizione prevista".

L' art. 22 dell' Order dispone poi che:

"(...)

2) Se una persona ha diritto al family credit ai sensi dell' art. 21, n. 5, lett. a), i), il suo importo è pari all' importo massimo del family credit appropriato nel suo caso.

3) Se una persona ha diritto al family credit ai sensi dell' art. 21, n. 5, lett. a), ii), il suo importo è pari a quello che residua dopo la detrazione dall' ammontare massimo appropriato del family credit di una determinata percentuale della parte del reddito che eccede l' importo applicabile.

(...)".

Infine l' art. 23, n. 6, recita:

"Non ha diritto a prestazioni riferite al reddito la persona il cui patrimonio, o una determinata parte di questo, ecceda l' importo previsto".

Le Family Credit (General) Regulations, in particolare nei puntio 28, 46, 47 e 48, disciplinano il calcolo dell' importo del "family credit". Va osservato che per aver diritto al "family credit" gli interessati non devono possedere un patrimonio superiore a 6 000 UKL e che "l' importo applicabile" soprammenzionato [v. art. 21, n. 5, lett. a)] è stato fissato in 51,45 UKL per settimana. Più in generale, si deve rilevare che il "family credit" è una prestazione non subordinata al versamento di contributi.

3. La signora Hughes, appellante nella causa principale, risiede con il marito e i tre figli in Irlanda. Essa non svolge attività lavorativa. Il marito, cittadino britannico, lavora nell' Irlanda del Nord alle dipendenze del ministero dell' Agricoltura britannico e non ha mai lavorato fuori dell' Irlanda del Nord. Il 30 marzo 1988 la signora Hughes presentava all' autorità britannica competente una domanda diretta ad ottenere il "family credit". La domanda veniva respinta dapprima dall' Adjudication Officer e poi, in sede d' appello, dal Social Security Appeal Tribunal di Enniskillen per il motivo che la richiedente non possedeva il requisito della residenza prescritto dal citato art. 21, n. 5, del Social Security Order e precisato nel punto 3, n. 1, lett. a) e b), delle Family Credit (General) Regulations. A tenore di quest' ultima disposizione:

"Una persona è considerata trovarsi nell' Irlanda del Nord se alla data della domanda:

a) essa è presente e risiede di regola nell' Irlanda del Nord;

b) la persona con cui eventualmente è coniugata o convive risiede di regola nel Regno Unito;

(...)".

La signora Hughes non nega che né essa né suo marito possiedono il requisito della residenza. Essa ritiene però di aver ugualmente diritto al "family credit" in forza del diritto comunitario. A suo avviso il "family credit" è una prestazione di previdenza sociale ai sensi dell' art. 4, n. 1, lett. h), del regolamento n. 1408/71 e quindi deve trovare applicazione questo regolamento, in particolare l' art. 73. A tenore di quest' ultimo articolo, il lavoratore subordinato (o autonomo) soggetto alle leggi di uno Stato membro ha diritto, "per i familiari residenti nel territorio di un altro Stato membro, alle prestazioni familiari previste dalla legislazione del primo Stato, come se risiedessero nel territorio di questo".

In subordine la signora Hughes sostiene che il "family credit" è un vantaggio sociale ai sensi dell' art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (3) e che il requisito della residenza stabilito dalla sopra citata normativa britannica costituisce una discriminazione dissimulata a danno dei lavoratori migranti, vietata dal detto articolo.

Il Chief Adjudication Officer, appellato nella causa principale, ritiene per contro che né l' art. 73 del regolamento n. 1408/71 né l' art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 siano applicabili nella fattispecie.

4. Con ordinanza 14 gennaio 1991, il Social Security Commissioner, giudice nazionale dinanzi al quale pende la causa principale, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

"1) Se il family credit sia una prestazione previdenziale ai sensi dell' art. 4, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1408/71.

2) In caso di soluzione affermativa, se il coniuge di un lavoratore subordinato soggetto alla normativa di uno Stato membro (Stato membro A) abbia diritto, ai sensi dell' art. 73 del regolamento (CEE) n. 1408/71, a ricevere per i familiari di detto lavoratore subordinato residenti in un altro Stato membro (Stato membro B) prestazioni familiari concesse dalla normativa dello Stato membro A qualora il coniuge non sia residente o lavoratore nello Stato membro A né lo sia mai stato.

3) Qualora il family credit non sia una prestazione previdenziale, se sia un vantaggio sociale ai sensi dell' art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68.

4) Se, in caso affermativo, questo regolamento vada applicato qualora il lavoratore sia cittadino dello Stato membro nel quale svolge ed ha sempre svolto la propria attività lavorativa subordinata.

5) Se, in caso affermativo, il coniuge di tale lavoratore sia esso stesso titolare dei diritti attribuiti da detto regolamento qualora non risieda nello Stato membro nel quale il lavoratore svolge la propria attività lavorativa subordinata".

Prima di fornire una soluzione a tali questioni, ricorderò, come ha fatto anche la Corte nella sentenza 20 giugno 1991, Newton (4), che nell' ambito di un procedimento ai sensi dell' art. 177 non spetta alla Corte pronunciarsi sull' applicazione del diritto comunitario nella fattispecie sottoposta al giudizio del giudice del rinvio. La Corte non può quindi pronunciarsi sulla questione se il "family credit" sia o no una prestazione ai sensi dell' art. 4, n. 1, del regolamento n. 1408/71 (prima questione) o un vantaggio sociale ai sensi dell' art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (terza questione). Per contro la Corte è senz' altro competente a fornire al giudice del rinvio gli elementi d' interpretazione del diritto comunitario in materia, in modo da consentirgli di risolvere egli stesso tale punto. Pertanto è in questo senso che suggerirò alla Corte di risolvere le suddette questioni.

La sfera di applicazione ratione materiae e ratione personae del regolamento n. 1408/71 (questioni prima e seconda)

5. Secondo la costante giurisprudenza della Corte una prestazione ha natura previdenziale ai sensi dell' art. 4, n. 1, del regolamento n. 1408/71 - e non natura assistenziale ai sensi dell' art. 4, n. 4, dello stesso regolamento - quando è attribuita ai beneficiari in base ad una situazione definita dalla legge, a prescindere da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, e inoltre ha relazione con uno dei rischi elencati nell' art. 4, n. 1 (5). Secondo la signora Hughes e la Commissione il "family credit" possiede tali caratteristiche e costituisce quindi una prestazione di previdenza sociale. Il governo del Regno Unito e il governo tedesco non sono di tale avviso.

Non è contestato che il "family credit" venga attribuito ai beneficiari in base ad una situazione legalmente definita. Tuttavia il governo britannico e il governo tedesco ritengono che il "family credit" sia ciononostante una prestazione di assistenza sociale poiché determinanti per la sua attribuzione sono le esigenze del richiedente. Esso, infatti, è concesso o negato in base al patrimonio e al reddito del richiedente ed al numero e all' età dei figli a suo carico. Dal canto loro la signora Hughes e la Commissione rilevano giustamente che si tratta di criteri obiettivi e che l' attribuzione del "family credit" prescinde da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente. Considerata la giurisprudenza della Corte, ritengo anch' io che nel caso del "family credit" sussista il primo presupposto sopra menzionato (6).

6. Il governo del Regno Unito fa inoltre osservare che il "family credit" ha lo scopo principale di integrare il reddito dei lavoratori che hanno famiglia ed un' occupazione scarsamente retribuita e che avrebbero un reddito maggiore se fossero disoccupati. Tenuto conto di tale scopo, il "family credit" non costituisce quindi, secondo il governo britannico, un complemento di una qualsivoglia prestazione previdenziale ed esula pertanto completamente dal sistema della previdenza sociale definito nel citato art. 4, n. 1. Non sono d' accordo. Ammetto senz' altro che il "family credit" ha lo scopo di incoraggiare taluni lavoratori scarsamente retribuiti a continuare a lavorare, ma ritengo incontestabile che si tratti di una prestazione avente la funzione di aiutare il recipiente a far fronte agli oneri familiari. Peraltro, è in tal modo che può essere raggiunto lo scopo menzionato dal governo britannico. La prestazione di cui trattasi fa quindi parte della categoria delle prestazioni familiari contemplate dall' art. 4, n. 1, lett. h), come definite nell' art. 1, lett. u), punto i), del regolamento n. 1408/71.

Infine, non condivido nemmeno l' assunto del governo britannico e del governo tedesco secondo cui il "family credit" non può essere considerato prestazione previdenziale perché la sua attribuzione non riposa su presupposti contributivi. E' vero che il "family credit" è una prestazione che non presuppone l' obbligo di pagare premi o contributi. Tuttavia l' art. 4, n. 2, del regolamento n. 1408/71 dispone che le prestazioni non contributive non esulano (necessariamente) dalla sfera di applicazione del regolamento stesso. Come la Corte ha espressamente rilevato nella sentenza 24 febbraio 1987, Giletti, già citata (nota 5), dalla detta disposizione emerge che le modalità del finanziamento di una prestazione non hanno importanza per la qualificazione di questa come prestazione previdenziale (7). Per di più, come fa giustamente osservare la Commissione, il diritto al "family credit" può essere fatto valere, ai sensi dell' art. 73 del regolamento n. 1408/71, solo per i familiari di un lavoratore assicurato obbligatoriamente in base alla normativa previdenziale dello Stato membro in cui la prestazione è richiesta, il che presuppone il versamento di un premio o di un contributo.

7. Una volta assodato che il "family credit" è una prestazione di previdenza sociale e che quindi il regolamento n. 1408/71 trova applicazione, si pone la questione se la signora Hughes possa trarre da questo atto normativo il diritto alla detta prestazione. L' art. 73 del regolamento dispone soltanto che il lavoratore subordinato (o autonomo) ha diritto a prestazioni familiari per i familiari residenti in un altro Stato membro. Non vi si fa menzione del coniuge o di altri familiari del lavoratore. Il governo tedesco ne deduce che solo il signor Hughes, e non la moglie, appellante nella causa principale, può avvalersi dell' art. 73.

A buon diritto la signora Hughes e la Commissione si richiamano all' art. 2, n. 1, del regolamento n. 1408/71, il quale definisce la sfera di applicazione ratione personae del regolamento medesimo nel modo seguente:

"Il presente regolamento si applica ai lavoratori subordinati o autonomi che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri e che sono cittadini di uno degli Stati membri, oppure apolidi o profughi residenti nel territorio di uno degli Stati membri, nonché ai loro familiari e ai loro superstiti".

Nel punto 7 della sentenza 23 novembre 1976, Kermaschek (8), la Corte ha così precisato tale disposizione:

"Già dalla giustapposizione indicata dall' uso del termine nonché si evince che detta disposizione contempla due categorie nettamente distinte: i lavoratori, da un lato, ed i loro familiari e superstiti, dall' altro.

(...)

Mentre gli appartenenti alla prima categoria possono far valere il diritto alle prestazioni contemplate dal regolamento in quanto diritto proprio, gli appartenenti alla seconda categoria hanno solo un diritto derivato, acquistato in qualità di familiare o di superstite d' un lavoratore, vale a dire di un appartenente alla prima categoria".

Nel punto 9 della stessa sentenza ha aggiunto:

"(...) i familiari dei (...) lavoratori hanno diritto soltanto alle prestazioni contemplate da dette legislazioni per i familiari (...)".

Da questa giurisprudenza (9) risulta che la signora Hughes può far valere un diritto derivato a prestazioni familiari in base all' art. 73 purché sia familiare di un lavoratore che soddisfa le condizioni da tale articolo stabilite e purché le prestazioni familiari di cui trattasi siano previste nella normativa nazionale anche per i membri della famiglia. Orbene, nella causa presente non è contestato che il marito della signora Hughes soddisfa le condizioni di cui all' art. 73 e che le prestazioni familiari contemplate dalla normativa nazionale da applicare sono, per natura, previste anche a vantaggio dei familiari. Risulta così dall' art. 73 che la signora Hughes può far valere un diritto derivato al "family credit" (10) (11).

La sfera di applicazione del regolamento n. 1612/68, e in particolare dell' art. 7, n. 2, dello stesso (questioni terza, quarta e quinta)

8. La signora Hughes sostiene in subordine che il "family credit" è un vantaggio sociale ai sensi dell' art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 e che il requisito della residenza stabilito dalla normativa nazionale da applicare costituisce una discriminazione dissimulata a danno dei lavoratori migranti vietata dal detto articolo.

Come la Corte ha ripetutamente osservato, dal complesso delle disposizioni del regolamento e dallo scopo da questo perseguito risulta che i vantaggi sociali e fiscali che il suo art. 7, n. 2, estende ai lavoratori cittadini di altri Stati membri "sono tutti quelli che, connessi o meno ad un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali, in relazione, principalmente, alla loro qualifica obiettiva di lavoratori o al semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri appare pertanto atta a facilitare la loro mobilità all' interno della Comunità" (12). Non c' è dubbio che, alla luce di tale definizione, il "family credit" dev' essere considerato vantaggio sociale ai sensi dell' art. 7, n. 2.

9. I governi britannico e tedesco, così come la Commissione, ritengono ciononostante che l' art. 7, n. 2, non sia applicabile nella fattispecie. Questa disposizione mira infatti all' abolizione delle norme dello Stato membro dell' occupazione le quali, in materia di vantaggi sociali e fiscali, riservino al lavoratore cittadino di un altro Stato membro un trattamento più severo di quello spettante al lavoratore nazionale e lo pongano, in fatto o in diritto, in una situazione sfavorevole rispetto a quella, in circostanze analoghe, del cittadino dello Stato membro dell' occupazione (13). Come ho già rilevato prima, il coniuge della signora Hughes è un cittadino britannico che lavora ed ha sempre lavorato nel Regno Unito. Poiché egli non è cittadino di uno Stato membro diverso dallo Stato in cui è occupato, l' art. 7, n. 2, non trova applicazione. Concordo con questo punto di vista, tanto più che la Corte ha più volte affermato che le norme del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori (14) e il diritto derivato diretto a dare ad esse attuazione (15) non possono essere applicati a situazioni prive di qualsiasi fattore di collegamento ad una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario. E' questo senz' altro il caso dei lavoratori che, come il signor Hughes, non si sono mai avvalsi del diritto di circolare liberamente all' interno della Comunità e che quindi non si trovano di fronte ad ostacoli alla libertà di movimento nella Comunità conseguenti alla mancata attribuzione di vantaggi sociali o fiscali.

E' indubbio che il requisito della residenza al cui possesso è subordinata l' attribuzione del "family credit" rende più difficile per i cittadini britannici lo stabilirsi in Irlanda. Tuttavia, allo stato attuale della giurisprudenza comunitaria il diritto comunitario non garantisce il diritto dei lavoratori che siano cittadini dello Stato membro in cui lavorano di andare a risiedere fuori di questo.

10. Per il caso in cui la Corte dovesse comunque ritenere che il regolamento n. 1612/68 vada applicato, il giudice a quo chiede se, e a quali condizioni, la signora Hughes, in quanto moglie di un lavoratore, possa anch' essa esigere, ai sensi dell' art. 7, n. 2, gli stessi vantaggi sociali spettanti ai lavoratori nazionali. Secondo il governo britannico la signora Hughes può avvalersi dell' art. 7, n. 2, come familiare a carico di un lavoratore, solo a condizione di risiedere assieme a questo nello Stato membro interessato. Ciò mi sembra errato.

Nella sentenza Lebon la Corte ha espressamente dichiarato che i familiari del lavoratore ai sensi dell' art. 10 del regolamento n. 1612/68 - e quindi anche il coniuge - hanno indirettamente diritto alla parità di trattamento spettante al lavoratore stesso in base all' art. 7 (16). Orbene, l' art. 7 non subordina il diritto del lavoratore alla parità di trattamento alla condizione che egli risieda nello Stato membro in cui è occupato. E' quindi logico che anche il diritto alla parità di trattamento indirettamente spettante ai familiari del lavoratore - riconosciuto dalla Corte - non sia subordinato alla condizione che essi risiedano nello Stato membro in cui il lavoratore è occupato. Anzi, emerge chiaramente dalla recente sentenza Bernini che non sussistono siffatte condizioni di residenza per l' applicazione dell' art. 7 (17). La questione del giudice a quo può pertanto essere risolta nel senso che quando il lavoratore ha diritto ad un vantaggio sociale in base all' art. 7, n. 2, il suo coniuge ha indirettamente diritto allo stesso vantaggio sociale anche se non risiede nello Stato membro in cui il lavoratore esercita la sua attività.

Vero è che l' art. 7 garantisce soltanto la parità di trattamento. A rigor di termini ciò significa che, se le norme dello Stato membro dell' occupazione esigono per l' attribuzione di un vantaggio sociale - come nella fattispecie - che i lavoratori cittadini di detto Stato e/o i loro familiari risiedano nel territorio nazionale, la stessa condizione potrebbe essere imposta anche ai lavoratori migranti e/o alla loro famiglia (18). A ciò va però subito aggiunto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, le norme sulla parità di trattamento vietano non solo le discriminazioni manifeste basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, mediante l' applicazione di altri criteri distintivi, conduca di fatto allo stesso risultato (19). Così, nella sentenza 8 maggio 1990 la Corte ha considerato che

"il criterio che ricollega alla residenza nel territorio nazionale l' eventuale rimborso dell' imposta versata in eccesso, sebbene si applichi indipendentemente dalla cittadinanza del contribuente interessato, rischia di danneggiare in particolare i contribuenti cittadini di altri Stati membri, giacché saranno spesso questi ultimi a lasciare il paese o a stabilirvisi durante l' anno" (20).

Essa ha pertanto dichiarato incompatibile col diritto comunitario il requisito della residenza di cui trattavasi in quella causa. Secondo la signora Hughes, anche nel caso presente sussiste una discriminazione dissimulata giacché il requisito della residenza incide principalmente sugli aventi diritto che non sono cittadini britannici. Di tale argomento, di cui spetta al giudice a quo valutare la fondatezza, non vi è però menzione nelle questioni sottoposte alla Corte. Ciò non è strano, poiché nella fattispecie il lavoratore che acquista il diritto al "family credit" (nell' ipotesi, qui prospettata, in cui si applichi il regolamento n. 1612/68), e dal cui diritto deriva quello della signora Hughee, è cittadino britannico.

Conclusioni

11. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, suggerisco alla Corte di risolvere nel modo seguente le questioni sottopostele:

"1) Una prestazione spettante agli aventi diritto in base ad una situazione definita dalla legge, attribuita secondo criteri obiettivi, a prescindere da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente e che ha relazione con uno dei rischi tassativamente elencati nell' art. 4, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1408/71 è una prestazione di previdenza sociale ai sensi del detto articolo.

2) Una persona che non soddisfi le condizioni di cui all' art. 73 del regolamento (CEE) n. 1408/71 può ciononostante invocare l' art. 73 e far valere un diritto derivato ad assegni familiari se è membro della famiglia di un soggetto che soddisfa le dette condizioni e se la prestazione di cui trattasi è prevista dalla normativa nazionale anche per i familiari.

3) I vantaggi sociali ai sensi dell' art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 sono i vantaggi che, connessi o no ad un contratto di lavoro, spettano in generale ai lavoratori nazionali in base, principalmente, alla loro qualifica obiettiva di lavoratori o al semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale e di cui sembra opportuno far fruire anche i lavoratori cittadini di altri Stati membri per favorirne la mobilità all' interno della Comunità.

4) L' art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 non si applica ai lavoratori cittadini dello Stato membro dell' occupazione.

5) Quando un lavoratore ha diritto ad un vantaggio sociale in base all' art. 7, n. 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68, il suo coniuge ha indirettamente diritto allo stesso vantaggio sociale anche se non risiede nello Stato membro in cui il lavoratore esercita la sua attivita".

(*) Lingua originale: l' olandese.

(1) - Nella versione figurante nell' allegato del regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001 (GU L 230, pag. 6), e, per quanto riguarda l' art. 73, come da ultimo modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 30 ottobre 1989, n. 3427 (GU L 331, pag. 1).

(2) - GU L 257, pag. 2.

(3) - Il testo dell' art. 7 del regolamento n. 1612/68 è il seguente:

1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

(...) .

(4) - Causa C-356/89, Newton/Chief Adjudication Officer, Racc. pag. I-3017, punto 10 della motivazione.

(5) - V., ad esempio, le sentenze 24 febbraio 1987 (cause riunite 379/85 - 381/85 e 93/86, CRAM Rhône-Alpes/Giletti, Racc. pag. 955, punto 11 della motivazione); 27 marzo 1985 (causa 249/83, Hoeckx/Centre publique d' aide sociale di Kalmthout, Racc. pag. 973, punti 12-14 della motivazione), e 20 giugno 1991 , Newton (già menzionata nella nota 4), punti 11 e 19 della motivazione.

(6) - Nella sentenza 28 maggio 1974 (causa 187/73, Callemeyn, Racc. pag. 553, punti 7-11 della motivazione) la Corte, dopo aver rilevato che il criterio essenziale per l' attribuzione della prestazione di cui trattavasi era lo stato di bisogno del richiedente, affermò che quella prestazione poteva avere ciononostante natura previdenziale poiché non presupponeva una valutazione individuale, caratteristica dell' assistenza sociale, e poiché spettava agli interessati in forza di un diritto tutelato legalmente. Nella già citata sentenza Newton (nota 4) la Corte dichiarò che perché una prestazione possa essere qualificata previdenziale occorre che essa sia attribuita in base a criteri oggettivi (punto 19).

(7) - Punto 7.

(8) - Causa 40/76, Kermaschek/Bundesamstalt fuer Arbeit, Racc. 1976, pag. 1669.

(9) - V. anche le sentenze 20 giugno 1985 (causa 94/84, RVA/Deak, Racc. pag. 1873, punti 14 e 15 della motivazione), e 17 dicembre 1987 (causa 147/87, Zaoui/CRAMIF, Racc. pag. 5511, punti 11-13 della motivazione).

(10) - Il fatto che la signora Hughes non risieda né lavori nel Regno Unito e che non vi abbia mai risieduto e lavorato non osta al conseguimento di tale diritto derivato. Infatti, l' art. 73 non prescrive che il coniuge del lavoratore lavori anch' egli nello Stato membro la cui normativa si applica e riguarda proprio la situazione in cui la famiglia del lavoratore risiede in un altro Stato membro.

(11) - La questione se l' art. 73 consenta che una normativa nazionale come quella britannica prescriva che per ottenere il family credit il coniuge del lavoratore, qualora lavori anch' egli, svolga la sua attività nello Stato membro considerato non si pone nel caso presente, poiché la signora Hughes non svolge alcuna attività lavorativa.

(12) - V., ad esempio, la sentenza 27 marzo 1985, Hoeckx, già citata (nota 5), punto 20 della motivazione.

(13) - V., ad esempio, la sentenza 31 maggio 1979 (causa 207/78, Pubblico ministero/Even, Racc. pag. 2019, punto 20 della motivazione).

(14) - V., ad esempio, le sentenze 28 giugno 1984 (causa 180/83, Moser/Land Baden-Wuerttemberg, Racc. pag. 2539, punto 15 della motivazione), 27 ottobre 1982 (cause riunite 35/82 e 36/82, Morson e Jhanjan/Stato dei Paesi Bassi, Racc. pag. 3723, punto 15 della motivazione), e 28 marzo 1979 (causa 175/78, Saunders, Racc. pag. 1129, punto 11 della motivazione).

(15) - V. la sentenza 17 dicembre 1987, Zaoui, già citata (nota 9), punto 16 della motivazione.

(16) - Sentenza 18 giugno 1987 (causa 316/85, Racc. pag. 2811, punto 12 della motivazione).

(17) - Sentenza 26 febbraio 1992 (causa C-3/90, Racc. pag. I-1071, punti 27 e 28 della motivazione). In proposito v. anche il punto 22 delle mie conclusioni dell' 11 luglio 1991 per la stessa causa.

(18) - E' in tal senso che, secondo me, si devono leggere le sentenze 27 marzo 1985, Hoeckx, già citata, e Scrivner (causa 122/84, Racc. pag. 1027). In queste sentenze la Corte ha rilevato che una prestazione che garantisce un "minimo di mezzi di sussistenza" costituisce un vantaggio sociale, ai sensi del regolamento del Consiglio n. 1612/68, dal quale un lavoratore migrante cittadino di un altro Stato membro e residente nello Stato tenuto alla prestazione, come pure i membri della sua famiglia, non possono essere esclusi . (Hoeckx, punto 22 della motivazione; il corsivo è mio). Nella fattispecie oggetto della sentenza la normativa belga stabiliva che anche i cittadini belgi dovessero risiedere in Belgio per avere diritto ad un minimo di mezzi di sussistenza . Per contro non si richiedeva - diversamente da quanto valeva per i lavoratori migranti - che i cittadini belgi risiedessero in Belgio da un determinato periodo di tempo.

(19) - V. la sentenza 12 febbraio 1974 (causa 152/73, Sotgiu, Racc. pag. 153, punto 11 della motivazione), e, più di recente, le sentenze 30 maggio 1989 (causa 33/88, Allué e Coonan (Racc. pag. 1591), 8 maggio 1990 (causa C-175/88, Biehl, Racc. pag. I-1779, punto 13 della motivazione) e 21 novembre 1991 (causa C-27/91, Le Manoir, Racc. pag. I-5531, punto 10 della motivazione).

(20) - V. la sentenza 8 maggio 1990, Biehl, già citata (nota 19), punto 14 della motivazione.