61989C0340

Conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven del 28 novembre 1990. - IRENE VLASSOPOULOU CONTRO MINISTERIUM FUER JUSTIZ, BUNDES- UND EUROPAANGELEGENHEITEN BADEN-WUERTTEMBERG. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: BUNDESGERICHTSHOF - GERMANIA. - LIBERTA DI STABILIMENTO - RICONOSCIMENTO DI DIPLOMI - AVVOCATI. - CAUSA C-340/89.

raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-02357
edizione speciale svedese pagina I-00189
edizione speciale finlandese pagina I-00201


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

Contesto

1. La sig.ra Irène Vlassopoulou, di nazionalità greca, otteneva, nel 1977, un diploma in diritto presso l' università di Atene. Nel 1982, dopo aver passato una prova di ammissione, veniva ammessa come avvocato al foro di Atene. Nel 1982 sosteneva altresì, presso l' università di Tubinga, con lode una tesi intitolata Der eheliche Hausrat im Familien- und Erbrecht (Il mobilio familiare nel diritto di famiglia e nel diritto delle successioni). Questa tesi era dedicata al diritto tedesco, e, tra il 1978 e il 1981, a titolo di preparazione alla tesi aveva seguito un certo numero di corsi di diritto tedesco presso la facoltà di legge di Tubinga.

Il 9 novembre 1984 otteneva l' autorizzazione a trattare affari legali di terzi, compresa l' autorizzazione a fornire consulenza legale ("Rechtsberatung"), conformemente all' art. 1, n. 1, secondo comma, punto 5, del Rechtsberatungsgesetz (legge in materia di consulenza legale) (1), per il diritto greco e comunitario. Dopo il luglio 1983 ha esercitato anche nel ramo del diritto tedesco, in collaborazione con due avvocati di Mannheim presso i quali dispone pure di uno studio. Per quanto avesse mantenuto la sua iscrizione al foro di Atene e continuasse ad esercitare ivi la sua professione, il centro della sua attività professionale si situa a Mannheim. Essa ha fatto presente al giudice a quo che, per quanto riguarda la sua pratica di diritto tedesco, esercita in modo autonomo e tiene i contatti con i clienti, anche se sotto la responsabilità e le direttive di uno dei due avvocati tedeschi con i quali collabora. Infine, menzionerò ancora che, oltre alla tesi, ha pubblicato, nella rivista tedesca IPRax, due articoli dedicati al diritto greco.

2. Il 13 maggio 1988, la sig.ra Vlassopoulou chiedeva la propria iscrizione all' albo e l' autorizzazione ad esercitare la professione di avvocato ("Rechtsanwalt" o, nel suo caso, "Rechtsanwaeltin") presso l' Amtsgericht Mannhein nonché i Landgerichten Mannheim e Heidelberg. Detta domanda veniva tuttavia respinta dal Ministerium fuer Justiz, Bundes- und Europaangelegenheiten Baden-Wuerttemberg (ministero di Giustizia, degli Affari federali ed europei del Land Baden-Wuerttemberg, in prosieguo: il "ministero"), per il motivo che l' interessata non soddisfaceva le condizioni prescritte dall' art. 4 della Bundesrechtsanwaltsordnung (2) (regolamento federale sulla professione di avvocato, in prosieguo: il "BRAO") per essere iscritta all' albo, cioè l' idoneità all' esercizio delle funzioni giudiziarie. Secondo il Richtergesetz (3) (legge sull' ordinamento giudiziario) questa idoneità si ritiene acquisita con il compimento di studi di legge presso un' università tedesca, il superamento del primo esame di Stato ("Erste Staatsexamen") e il compimento di un tirocinio ("Vorbereitungsdienst"), sancito dal secondo esame di Stato ("Zweite Staatsexamen").

La domanda della sig.ra Vlassopoulou diretta ad ottenere una pronuncia giudiziale avverso detto rifiuto veniva respinta dal Ehrengerichtshof (consiglio dell' ordine degli avvocati). La sig.ra Vlassopoulou impugnava successivamente questa decisione di rigetto dinanzi al Bundesgerichtshof, il quale ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

"Se sussista violazione della libertà di stabilimento ai sensi dell' art. 52 del Trattato CEE qualora un cittadino comunitario, che è già stato ammesso all' esercizio della professione d' avvocato nel suo Stato d' origine e che è ammesso ad esercitare da cinque anni l' attività di consulente legale nello Stato ospitante dove pure lavora presso uno studio legale avente ivi sede, venga ammesso all' esercizio della professione di avvocato nello Stato ospitante soltanto secondo le norme di legge di quest' ultimo Stato".

3. Gli sviluppi che precedono consentono di definire chiaramente la questione di diritto sollevata nel caso di specie: le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento autorizzano uno Stato membro (lo Stato membro "ospitante") a negare ai cittadini di un altro Stato membro il diritto di esercitare una professione (nella specie la professione di avvocato) per il solo motivo che non sono formalmente soddisfatte le condizioni imposte da questo Stato membro ai propri cittadini? Ovvero esiste, al contrario, un obbligo di tener conto delle qualifiche e delle esperienze acquisite in un altro Stato membro o nello Stato membro ospitante e di esaminare se queste corrispondono alle qualifiche e alle esperienze richieste dallo Stato membro ospitante?

Prima di passare in esame le osservazioni depositate dinanzi alla Corte, al fine di evitare ogni malinteso, rilevo che la questione di diritto sollevata riguarda la libertà di stabilimento e non la libera prestazione di servizi. In altri termini, non si tratta, per la sig.ra Vlassopoulou, di offrire i suoi servizi come avvocato greco a dei clienti nella Repubblica federale di Germania (essa del resto vi è autorizzata ai sensi della direttiva 77/249/CEE (4)), si tratta piuttosto del suo stabilirsi nella Repubblica federale di Germania come avvocato ai sensi della normativa di questo Stato, cioè ottenendo il diritto a fregiarsi del titolo e di esercitare la professione di "Rechtsanwalt" (avvocato).

La soluzione della questione pregiudiziale non può neppure essere (ancora) data operando un rinvio alle norme enunciate nella direttiva 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (5), poiché il termine di trasposizione di questa direttiva scade solo il 4 gennaio 1991 (6).

Osservazioni depositate dinanzi alla Corte

4. I governi tedesco e italiano come pure il ministero propongono di risolvere la questione pregiudiziale in senso negativo, facendo rinvio alla disposizione dell' art. 52, secondo comma, del Trattato ed alla giurisprudenza della Corte in materia di diritto di stabilimento.

Leggo in primo luogo il testo dell' art. 52, secondo comma.

Questo è così formulato:

"La libertà di stabilimento comporta l' accesso alle attività non salariate e al loro esercizio alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (...)".

I governi tedesco e italiano nonché il ministero rilevano che, contrariamente alle disposizioni sulla libera prestazione di servizi, le disposizioni sulla libertà di stabilimento si fondano sul principio in virtù del quale la persona che si installa in un altro Stato membro è, in linea di principio, soggetta nello Stato membro ospitante a tutti gli obblighi che questo Stato membro impone ai propri cittadini. Detti governi sostengono inoltre che (come ricorre nel caso di specie), in mancanza di norme comunitarie specifiche in materia, ciascuno Stato membro è libero di regolare il diritto di esercitare una professione sul proprio territorio nella misura in cui le norme da esso disposte non producano effetto discriminatorio nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri. Essi considerano che le sentenze Klopp (7) e Gullung (8) confermano questo punto di vista. Concludono che, per essere ammessa come avvocato (Rechtsanwaeltin) nella Repubblica federale di Germania, la sig.ra Vlassopoulou deve conformarsi alle norme vigenti per i cittadini tedeschi, cioè che essa deve essere in possesso dei requisiti di esame e di tirocinio prescritti dal Richtergesetz. Del resto, sempre secondo il ministero, non esiste una procedura che permetta di riconoscere qualifiche ed esperienze maturate diversamente o di esaminarne la corrispondenza con le condizioni prescritte dal Richtergesetz.

5. L' elemento centrale della tesi della sig.ra Vlassopoulou può essere espresso come segue. Già ammessa all' esercizio dell' attività di avvocato presso il foro di Atene, nel cui albo continua a essere iscritta, essa intende ora stabilirsi anche come avvocato nella Repubblica federale di Germania. Per quanto le condizioni di esame e di tirocinio prescritte dal Richtergesetz si applichino indistintamente ai soggetti di nazionalità tedesca ed ai cittadini degli altri Stati membri, la sig.ra Vlassopoulou sostiene che queste condizioni non possono essere applicate a un avvocato di un altro Stato membro senza prendere in considerazione le qualifiche professionali e accademiche già in suo possesso e, in particolare, le qualifiche relative al diritto dello Stato membro ospitante. In altre parole, la sig.ra Vlassopoulou non contesta che uno Stato membro abbia il diritto di esigere talune qualifiche accademiche e professionali per avere il diritto di esercitare la professione di avvocato, bensì il fatto che i cittadini di altri Stati membri non possono soddisfare a queste condizioni se non in una sola unica maniera. Secondo la sig.ra Vlassopoulou, tale esigenza comporta una restrizione ingiustificata della libertà di stabilimento alla quale si può porre rimedio soltanto procedendo all' esame dell' equivalenza delle qualifiche accademiche e professionali degli avvocati stranieri e consentendo loro, se del caso, di dimostrare, con un' unica prova attitudinale, che essi soddisfano le condizioni di idoneità prescritte. La ricorrente, peraltro, vi si è dichiarata pronta.

Giurisprudenza sulla libertà di stabilimento

6. Vorrei, in limine, ricordare che il principio di non discriminazione enunciato dall' art. 52 costituisce una concretizzazione del principio di parità dell' art. 7 del Trattato, il quale forma la pietra angolare di tutti i fondamenti della Comunità, cioè la libera circolazione delle persone, la libera circolazione dei servizi, la libera circolazione delle merci e la libera circolazione dei capitali. Nella giurisprudenza sulla libera circolazione dei lavoratori, sulla libertà di stabilimento, sulla libera prestazione di servizi e sulla libera circolazione delle merci la Corte ha da molto tempo riconosciuto che le regole della parità di trattamento vietano non solo discriminazioni manifeste, basate sulla nazionalità, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione, che in applicazione di altri criteri di distinzione, approdano di fatto allo stesso risultato (9). La Corte considera che questa interpretazione sia necessaria per garantire l' efficacia di uno dei principi fondamentali della Comunità (10). Proprio allo scopo di preservare l' effetto utile dei fondamenti della Comunità, la Corte ha altresì dichiarato che sono cionondimeno incompatibili col diritto comunitario le norme nazionali che, pur non contenendo discriminazioni immediatamente identificabili basate sulla cittadinanza, ostacolano gli stabilimenti in più Stati membri sul territorio della Comunità senza che a tal fine possa essere invocata un' obiettiva giustificazione. In materia di diritto di stabilimento, questo principio deriva principalmente dalla sentenza Klopp e dalla sentenza Wolf e Dorchain come pure, in minor misura, dalla sentenza Gullung.

7. La sentenza Klopp si riferiva ad un avvocato tedesco il quale aveva sollecitato la sua iscrizione all' albo di Parigi. La sua iscrizione era stata rifiutata per il solo motivo che egli già possedeva un domicilio professionale di avvocato in un altro Stato membro (cioè la Repubblica federale di Germania). La normativa francese e gli statuti del foro di Parigi prevedevano in materia che un avvocato poteva avere soltanto un unico domicilio professionale, il quale doveva essere stabilito nel territorio del tribunale presso il quale egli è abilitato. L' ordine francese degli avvocati e il governo francese avevano sostenuto dinanzi alla Corte che, per l' accesso e l' esercizio della libertà di stabilimento, l' art. 52 rinvia alle condizioni definite dallo Stato membro di stabilimento. Dal momento che la restrizione controversa era indistintamente applicabile ai cittadini francesi e ai cittadini degli altri Stati membri, essa non costituiva assolutamente una discriminazione. La Corte ha ammesso (al punto 17 della sentenza) che dalla disposizione e dal contesto dell' art. 52 del Trattato CEE emerge che, in assenza di norme comunitarie specifiche in materia, ciascuno Stato membro è libero di disciplinare l' esercizio della professione di avvocato sul proprio territorio. Ma la Corte ha aggiunto:

"Tuttavia questa norma non implica che la disciplina di uno Stato membro possa prescrivere che un avvocato abbia un solo stabilimento nell' intero territorio della Comunità. Siffatta interpretazione restrittiva avrebbe infatti la conseguenza che l' avvocato, stabilito in un determinato Stato membro, non potrebbe più avvalersi della libertà del Trattato per stabilirsi in un altro Stato membro, se non rinunciando al precedente stabilimento" (punto 18 della motivazione).

Questa affermazione era confortata da un rinvio all' art. 52 che, secondo la Corte, enuncia un principio generale in virtù del quale il diritto di stabilimento comporta anche la facoltà di creare e di mantenere, nel rispetto delle regole professionali più di un centro di attività sul territorio della Comunità (punto 19 della motivazione). In un modo più specifico, trattandosi dell' esercizio della professione di avvocato, la Corte ha confermato che lo Stato membro ospitante ha, certamente, il diritto di pretendere dagli avvocati iscritti ad un albo nel proprio territorio che essi esercitino la loro attività in modo da mantenere un contatto sufficiente con i loro clienti e con le autorità giudiziarie e rispettino le norme deontologiche. Cionondimeno,

"Siffatte esigenze non possono avere l' effetto di impedire ai cittadini degli altri Stati membri di esercitare effettivamente il diritto di stabilimento che viene loro garantito dal Trattato. A questo proposito è opportuno osservare che i mezzi attuali di trasporto e di telecomunicazione offrono la possibilità di garantire in modo idoneo il contatto con il giudice e con i clienti. Analogamente, l' esistenza di un secondo domicilio professionale in un altro Stato membro non impedisce l' applicazione delle norme di deontologia nello Stato membro ospitante" (punti 20 e 21 della motivazione).

La sentenza Klopp conferma dunque che una norma che si applica indistintamente può, cionondimeno, essere in contrasto con l' art. 52 del Trattato, in particolare quando questa norma pone, per quanto riguarda gli stabilimenti in più Stati membri di cittadini di altri Stati membri, degli ostacoli che impediscono l' esercizio effettivo della libertà di stabilimento loro garantita dal Trattato senza trovare una giustificazione basata su ragioni obiettive.

8. La sentenza Klopp è stata confermata dalla sentenza Gullung la quale verteva sulla questione se un avvocato stabilito in Germania poteva stabilirsi in Francia senza porsi contro la regola vigente in Francia secondo la quale la professione di avvocato presuppone l' iscrizione a un albo (11). La Corte ha ricordato che, in assenza di norme comunitarie specifiche in materia, l' art. 52 del Trattato conferisce agli Stati membri il diritto di assoggettare il diritto di esercitare una professione (tra cui quella di avvocato) e l' esercizio di questa professione a condizioni che si applicano anche ai suoi propri concittadini (12). La Corte ha constatato che la norma controversa trovava indistinta applicazione, ma ha altresì esaminato se detta norma poteva trovare un' obiettiva giustificazione:

"(...) che l' obbligo dell' iscrizione degli avvocati in un albo, imposto da taluni Stati membri, deve essere considerato lecito con riguardo al diritto comunitario, a condizione, tuttavia, che l' iscrizione sia consentita indiscriminatamente ai cittadini di tutti gli altri Stati membri. Infatti detto obbligo è inteso, in particolare, a garantire la moralità e il rispetto dei principi deontologici nonché il controllo disciplinare dell' attività degli avvocati; esso persegue, pertanto, uno scopo degno di tutela" (punto 29 della motivazione).

9. Nella sentenza Wolf e Dorchain, pronunciata nel 1988 (13), la Corte doveva conoscere di una normativa belga che concedeva l' esonero dall' obbligo di contribuire al regime di previdenza sociale dei lavoratori autonomi alle persone che esercitavano a titolo principale un' attività lavorativa subordinata in Belgio, ma rifiutava questo esonero alle persone che esercitavano un' attività lavorativa in via principale all' estero. La Corte ha dichiarato espressamente che la normativa controversa non operava alcuna discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità e che non si aveva dunque violazione dell' art. 7 del Trattato (14). Tuttavia la Corte ha considerato che detta normativa era in contrasto con l' art. 52 (e con l' art. 48) del Trattato. La Corte ha ricordato la sentenza Klopp dove veniva confermato che la libertà di stabilimento comporta la facoltà di creare e di mantenere più di un centro di attività sul territorio della Comunità (15) ed ha aggiunto:

"Le norme del Trattato sulla libera circolazione delle persone sono volte pertanto a facilitare ai cittadini comunitari l' esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura in tutto il territorio della Comunità, ed ostano ad una normativa nazionale che li ostacoli qualora desiderino estendere le loro attività al di fuori di un unico Stato membro.

((La normativa belga controversa)) ha l' effetto di porre in condizione di svantaggio l' esercizio di attività lavorative al di fuori del territorio dello Stato suddetto. Gli artt. 48 e 52 del Trattato ostano quindi ad una normativa del genere" (punti 13 e 14 della sentenza).

Infine la sentenza rilevava che dato che la normativa belga controversa non forniva alcun tipo di tutela sociale integrativa agli interessati (cioè un diritto a prestazioni supplementari nel contesto del regime dei lavoratori indipendenti) l' ostacolo frapposto all' esercizio delle attività lavorative al di fuori del territorio di un solo Stato membro non può in alcun modo essere giustificato (16).

10. Da questa sentenza risulta che la Corte vede nell' art. 52 del Trattato non solo un divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità, ma altresì una disposizione che osta a che, in assenza di una giustificazione obiettiva, una normativa nazionale implichi per qualsivoglia professione maggiori difficoltà ai fini dell' esercizio da parte dei cittadini comunitari della loro professione al di fuori del territorio nazionale. Più precisamente, l' art. 52 osta ad una normativa nazionale che potrebbe sfavorire detti cittadini comunitari "qualora (come la sig.ra Vlassopoulou) essi vogliano estendere le loro attività al di fuori del territorio di un solo Stato membro".

Obbligo di tener conto delle qualifiche già acquisite

11. Secondo la sig.ra Vlassopoulou, dall' art. 52 del Trattato si deve dedurre un obbligo di prendere in considerazione, nell' esaminare se un cittadino di un altro Stato membro sia in possesso delle condizioni prescritte per accedere ad una determinata professione, le qualifiche che detta persona già possiede. A questo titolo, dette qualifiche debbono essere esaminate in funzione della loro corrispondenza con le condizioni prescritte dalla normativa nazionale e ne deve essere preso in debita considerazione il grado di corrispondenza, considerando che sono soddisfatte in tutto o in parte le qualifiche richieste dal diritto nazionale.

In linea di massima, condivido questo ragionamento. L' obbligo di prendere in considerazione le qualifiche maturate da una persona mi sembra derivare dal divieto dichiarato dalla Corte agli Stati membri di rendere più difficile del necessario l' esercizio da parte dei cittadini della Comunità della loro professione su tutto il territorio della Comunità, specie quando essi vogliono estendere le loro attività al di fuori del territorio di un unico Stato membro. Questa obbligazione tende ad evitare che i cittadini comunitari che vogliono stabilirsi in un altro Stato membro possano essere svantaggiati con l' imposizione di condizioni di accesso inutilmente ripetitive o aggravate.

Sottolineo che non voglio in tal modo assolutamente contestare la tesi difesa dai governi tedesco e italiano, laddove essa implica che la persona che si stabilisce sul territorio di un altro Stato sia in linea di principio soggetta alle norme per l' esercizio di una professione prescritte dallo Stato membro ospitante, nella misura in cui queste norme non producano un effetto discriminatorio, nonché - occorre aggiungere alla luce della giurisprudenza della Corte - nella misura in cui dette norme non ostacolino inutilmente l' esercizio di una professione al di fuori del territorio di un solo Stato membro. L' aggiunta di questa condizione è importante, poiché lo Stato membro ospitante è tenuto proprio a questo titolo a prendere in considerazione le qualifiche già maturate: obbligo che i menzionati governi rifiutano di riconoscere.

12. Incindentalmente, vorrei osservare che un simile obbligo è stato riconosciuto dalla Corte anche nel settore della libera circolazione dei servizi e della libera circolazione delle merci, in situazioni che presentano analogie con la situazione esaminata nel caso di specie. Per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi: la sentenza Webb (17) verteva sulla questione se gli Stati membri possono assoggettare la messa a disposizione di manodopera sul loro territorio ad un regime di autorizzazioni preventive. La Corte ha risolto questa questione in senso affermativo, facendo riferimento alle peculiari caratteristiche dei rapporti di lavoro sottostanti all' attività di fornitura di manodopera ed alla tutela dei legittimi interessi dei lavoratori interessati (18). La Corte ha tuttavia fatto osservare, allo stesso tempo, che la misura che impone un regime di autorizzazione andrebbe tuttavia al di là dell' obiettivo perseguito qualora i presupposti cui è subordinato il rilascio della licenza coincidessero con la documentazione e con le garanzie richieste nello Stato membro di stabilimento; per questa ragione va tenuto conto, nell' esaminare le domande di autorizzazione e nella concessione di queste, della documentazione e delle garanzie già presentate dal prestatore nello Stato membro di stabilimento (19).

Per quanto riguarda la libera circolazione delle merci: la sentenza Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten (20) (pronunciata lo stesso giorno della sentenza Webb) si riferiva all' importazione in uno Stato membro di una merce legalmente messa in commercio in un altro Stato membro. Lo Stato membro di importazione assoggettava l' utilizzo della merce considerata ad una preventiva autorizzazione rilasciata sulla base di un' analisi di laboratorio. La Corte ha ammesso che una siffatta normativa rientrava nell' eccezione prevista dall' art. 36, pur segnalando che gli Stati membri sono tenuti a contribuire allo snellimento dei controlli nel commercio intracomunitario e pertanto non hanno il diritto di esigere senza necessità la ripetizione di analisi tecniche o chimiche o di prove di laboratorio nel caso in cui le stesse analisi e le stesse prove siano già state effettuate in un altro Stato membro (21).

Tuttavia l' analogia con la giurisprudenza della Corte sulla libera circolazione dei servizi e delle merci non va oltre. Invero, la portata di questa giurisprudenza supera ampiamente l' obbligo di prendere in considerazione le qualifiche già maturate. Se, in materia di diritto di stabilimento (in assenza di norme comunitarie specifiche), ci si fonda sull' ammissibilità di principio di una normativa nazionale, questa non è tollerata nel settore della libera circolazione delle merci ed è riconosciuta soltanto in misura minore nel settore della libera circolazione dei servizi. In effetti, nel settore della libera circolazione delle merci, dopo la sentenza "Cassis de Dijon", si ammette che merci legalmente fabbricate o commercializzate in uno Stato membro possono essere importate in un altro Stato membro. In altri termini, il mutuo riconoscimento delle normative costituisce in materia la regola generale: gli ostacoli alla libera circolazione delle merci risultanti da disparità di normative nazionali sono accettati unicamente nella misura in cui queste prescrizioni possono essere riconosciute necessarie per soddisfare esigenze imperative ed in cui queste esigenze non siano state già soddisfatte con controlli svolti nel paese di origine (22).

Così, anche nel settore della libera circolazione dei servizi si ammette che questa circolazione può essere soggetta soltanto a normative cui è soggetta ogni persona o impresa che esercita un' attività sul territorio dello Stato interessato e giustificate dall' interesse generale, nella misura in cui questo interesse non sia tutelato dalle norme alle quali il prestatore è soggetto nello Stato membro ove egli è stabilito (23). Conformemente a questa giurisprudenza la direttiva 77/249 intesa a facilitare l' eserizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (24) consente alle persone che esercitano l' attività d' avvocato nei vari Stati membri di essere riconosciuti in quanto avvocati dallo Stato membro nel quale il servizio viene prestato.

La circostanza che la giurisprudenza della Corte nel settore della libera circolazione delle merci e della libera circolazione dei servizi sia nettamente più avanzata che nel settore della libertà di stabilimento non può tuttavia far perdere di vista il fatto che la libertà di stabilimento impone essa stessa agli Stati membri, come esigenza minima, di applicare norme nazionali per l' esercizio di una determinata professione, tenendo conto delle qualifiche già acquisite.

13. Pertanto, nel formulare le osservazioni che precedono, rinuncio a seguire il punto di vista sostenuto dal governo tedesco e dal ministero, i quali, nel corso dell' udienza, hanno sostenuto che, contrariamente ai settori della libera circolazione dei servizi e della libera circolazione delle merci, nel settore della libertà di stabilimento non esiste alcun obbligo di riconoscimento. In effetti, ritengono, un avvocato che vuole stabilirsi in un altro Stato membro deve acquistare familiarità con un sistema giuridico completamente diverso; le qualifiche e le esperienze che egli ha acquisito nel suo Stato membro di origine e nello Stato membro ospitante non sono conferenti a tal fine. Questo argomento non mi convince, poiché pone in linea di principio che i sistemi giuridici nazionali della Comunità e le modalità di esercizio della pratica giudiziaria nei vari Stati membri non potrebbero offrire alcuna significativa corrispondenza, un' ipotesi, mi sembra, difficile a sostenersi alla luce dei legami storici di parentela di un certo numero di diritti nazionali di Stati membri (25) nonché delle modalità di organizzazione dell' amministrazione giudiziaria. Inoltre, e soprattutto, questa argomentazione trascura gli sforzi fatti da un avvocato di un altro Stato membro per familiarizzarsi con il diritto e la pratica giudiziaria dello Stato membro nel quale egli vuole estendere l' esercizio della sua attività professionale.

Questo non vuol dire pertanto che le differenze esistenti tra gli Stati membri non siano tali da giustificare l' esistenza di procedure di autorizzazione che si applicano agli avvocati provenienti da altri Stati membri; tuttavia se, nel contesto dell' esame della domanda di autorizzazione di un avvocato proveniente da un altro Stato membro, non si dovessero prendere assolutamente in considerazione le qualifiche già maturate e la loro corrispondenza con le qualifiche richieste dal diritto dello Stato membro ospitante, la libertà di stabilimento e l' esercizio di una professione su tutto il territorio della Comunità risulterebbero ostacolate, a mio avviso, in modo ingiustificato.

Questa idea ha costituito anche il punto di riferimento delle considerazioni della Corte nella causa Thieffry (26). Certamente, in questa causa, i fatti erano più semplici che nel caso di specie, poiché l' equivalenza di un diploma belga e di un diploma francese di fine studi di diritto era già riconosciuta in Francia (da un' università francese) e la sig.ra Thieffry aveva altresì ottenuto il "certificato di idoneità all' esercizio della professione di avvocato", dopo aver superato un esame, come previsto dalla normativa francese (27). Il rifiuto di accedere alla professione opposto dalle autorità competenti in ragione del solo fatto che l' interessato non era in possesso del diploma nazionale era, in dette circostanze, chiaramente in contrasto con l' art. 52 del Trattato (28). Tuttavia, anche in questa sentenza, la Corte ha affermato in modo generale che spetta agli Stati membri assicurare un' applicazione conforme delle normative delle prassi nazionali all' obiettivo definito dalle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento: un obbligo al quale, peraltro, le autorità francesi avevano adempiuto in modo generale, prevedendo la possibilità di esaminare l' equivalenza di qualifiche accademiche e professionali in funzione della loro corrispondenza con le qualifiche richieste dalla loro propria normativa (29). Inoltre, la Corte ha sottolineato che è importante che, in ogni Stato membro, il riconoscimento dei titoli di abilitazione professionale ai fini dello stabilimento possa essere ammesso nella misura più ampiamente compatibile con il rispetto delle esigenze professionali nazionali (30).

Collegamento con la direttiva 89/48/CEE

14. Come è stato più sopra esposto, l' obbligo di prendere in considerazione le qualifiche già acquisite discende dall' art. 52 del Trattato il quale ha acquistato efficacia diretta dopo lo scadere del periodo transitorio (31), ed esiste anche in assenza di norme comunitarie. In effetti, la Corte ha più volte dichiarato che l' assenza di direttive, ai sensi dell' art. 57, non autorizza uno Stato membro a rifiutare all' interessato il beneficio effettivo della libertà di stabilimento (32).

Siffatte direttive sono destinate a facilitare la realizzazione della libertà di stabilimento, ma non la condizionano. La loro adozione non è pertanto divenuta superflua in conseguenza dell' efficacia diretta di cui sono dotati a partire dalla scadenza del periodo transitorio l' art. 52 come pure gli obblighi in esso contenuti (33).

Ho così subito stabilito il collegamento con la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore (34). Così come fa capire il titolo della direttiva, questa costituisce un sistema generale di riconoscimento. In altre parole, mentre l' art. 52 ha l' unico effetto di obbligare lo Stato membro ospitante a prendere in considerazione il grado di corrispondenza delle qualifiche già acquisite (nello Stato membro di origine e nello Stato membro ospitante) con le qualifiche richieste dallo Stato membro ospitante (35) - con la conseguenza che il ricorrente potrà avvalersene soltanto qualora questo esame riveli che le qualifiche già maturate sono, in concreto, interamente o parzialmente equivalenti alle qualifiche richieste dal diritto nazionale -, la direttiva è più radicale. In effetti questa implica che gli Stati membri riconoscono in modo generale l' equivalenza delle normative professionali nei vari Stati membri, di modo che colui che esercita un' attività professionale regolamentata in uno Stato membro determinato ottiene il diritto di stabilirsi in tutti gli altri Stati membri, eventualmente alla condizione che dimostri il possesso di un' esperienza professionale e che compia un tirocinio di adattamento o si sottoponga ad una prova di idoneità (36).

Attuazione dell' obbligo di tener conto delle qualifiche acquisite

15. Come già detto, l' obbligo innanzi descritto deriva dall' art. 52 del Trattato che è una disposizione del Trattato dotata di efficacia diretta. Anche se si tratta nel caso di specie di un obbligo avente efficacia diretta ai sensi del diritto comunitario, questo non osta a che la sua attuazione esiga sovente un esame attento del grado di corrispondenza delle qualifiche acquisite nello Stato stesso o all' estero (37). Un siffatto esame deve essere effettuato dalle autorità nazionali nel contesto di una domanda concreta di accesso ad una professione regolamentata, conformemente all' obbligo loro incombente in virtù dell' art. 5 del Trattato di garantire la tutela giuridica derivante ai cittadini della Comunità dalle disposizioni di diritto comunitario aventi efficacia diretta. Inoltre, in assenza di norme comunitarie, un siffatto esame deve essere effettuato nel rispetto delle norme del diritto nazionale applicabili; tuttavia, dette norme di diritto nazionale non possono impedire l' efficacia delle norme di diritto comunitario direttamente applicabili (38) e, fintantoché possibile, occorre assicurare un' applicazione di queste norme conforme all' obiettivo definito dalle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento (39). Mi pare che per effettuare questo esame le autorità nazionali possono prendere come punto di riferimento le norme di diritto nazionale che consentono di valutare la corrispondenza delle equivalenti qualifiche accademiche e professionali acquisite all' estero, fermo restando che esse debbono, in più, prendere in considerazione le qualifiche acquisite dall' interessato nel paese ospitante.

Spetta al giudice nazionale individuare siffatte norme. Voglio tuttavia evocare brevemente in prosieguo un certo numero di disposizioni che sono state pure materia di trattazione all' udienza e che saranno ancora rievocate in prosieguo in un altro contesto (40).

16. In primo luogo voglio richiamare l' attenzione sull' Einigungsvertrag (trattato di riunificazione) concluso tra la Repubblica federale di Germania e l' ex Repubblica democratica di Germania, entrato in vigore il 3 ottobre 1990. Questo trattato dispone che tutti gli esami superati o i diplomi e certificati di idoneità ottenuti nella Repubblica democratica di Germania saranno considerati eguali agli esami superati o ai diplomi o certificati attitudinali ottenuti nel resto della Repubblica federale di Germania e conferiranno gli stessi diritti purché equivalenti (41). L' equivalenza è riconosciuta, su richiesta, dalle autorità rispettivamente competenti (42). In un allegato al trattato è previsto che un avvocato (Rechtsanwalt) autorizzato ad esercitare la propria attività nell' ex Repubblica democratica di Germania è assimilato ("steht gleich") ad un avvocato (Rechtsanwalt) autorizzato ad esercitare la propria attività nella Repubblica federale di Germania ai sensi del BRAO; in altre parole, non deve soddisfare le condizioni poste dal Richtergesetz per essere autorizzato ad esercitare l' attività di avvocato (Rechtsanwalt) nella Repubblica federale di Germania (43).

In secondo luogo, vi è l' art. 92 del Bundesvertriebenengesetz (legge federale sulle persone deportate e sui rifugiati) (44) il cui paragrafo 2, conformemente all' art. 112 del Richtergesetz continua a trovare applicazione. Secondo detto paragrafo 2, gli esami e i certificati di attitudine ottenuti prima dell' 8 maggio 1945 da "Vertriebenen und Sowjetzonenfluechtlingen" (persone deportate e rifugiati dalle zone sovietiche) sono riconosciuti nella misura in cui sono equivalenti ad esami o certificati corrispondenti esistenti nella Repubblica federale di Germania. L' art. 92, paragrafo 3, del Bundesvertriebenengesetz dispone che lo stesso principio si applica a proposito dei diplomi ottenuti dopo l' 8 maggio 1945 (45). Nel corso dell' udienza il rappresentante del ministero ha precisato che questa possibilità di riconoscimento è ispirata dalla corrispondenza (nel merito) della formazione di cui si chiede il riconoscimento con la formazione esistente nella Repubblica federale di Germania.

Nel Gesetz ueber die Rechtsstellung heimatloser Auslaender im Bundesgebiet (legge sullo status nel territorio della Repubblica federale degli stranieri apolidi) del 25 aprile 1951 (46) si trova un' analoga disposizione. L' art. 15 di questa legge dispone che gli esami che gli "heimatlose Auslaender" (stranieri apolidi) hanno superato all' estero debbono essere riconosciuti nella Repubblica federale di Germania qualora possano essere considerati equivalenti ad esami esistenti nella Repubblica federale di Germania.

17. Si rileva che ognuna delle procedure in prosieguo evocate ha per oggetto il riconoscimento (o meno) dell' equivalenza di diplomi e certificati ottenuti altrove. L' obbligo ai sensi dell' art. 52 del Trattato CEE innanzi descritto (punti 11-13) non ha una portata così estesa poiché non riguarda il riconoscimento dell' equivalenza di diplomi o certificati, bensì l' esame del grado di corrispondenza delle qualifiche già acquisite (nel proprio Stato membro o in un altro Stato membro) con le qualifiche richieste dal diritto nazionale. Normalmente questo esame non giunge al riconoscimento di diplomi o di certificati, ma produce eventualmente l' effetto di far ammettere la presenza di una parte delle qualifiche richieste dal diritto nazionale. Tuttavia l' esperienza acquisita nel contesto delle procedure innanzi descritte dal punto di vista della corrispondenza di diplomi e certificati ottenuti altrove può tornare utile al fine di mettere in opera l' obbligo innanzi descritto.

Violazione del principio di parità?

18. Nel corso dell' udienza la sig.ra Vlassopoulou ha sostenuto che per quanto riguarda il rispetto dell' obbligo sopraccitato a norma dell' art. 52 un certo numero di disposizioni innanzi menzionate non rivestono soltanto interesse come punto di riferimento. Secondo la sig.ra Vlassopoulou, disposizioni come quelle previste nell' Einigungsvertrag e nel Bundesvertriebenengesetz costituiscono una discriminazione vietata dagli artt. 7 e 52 del Trattato a danno dei cittadini degli altri Stati membri della Comunità per il fatto che questi sono soggetti ad un trattamento che li svantaggia.

Nel corso dell' udienza il rappresentante del governo tedesco ha riconosciuto che l' Einigungsvertrag implica un trattamento preferenziale di un certo numero di cittadini tedeschi; ha però anche segnalato che l' Einigungsvertrag costituisce un avvenimento unico basato su circostanze eccezionali. Per poter rispondere a questo punto di vista basta semplicemente fare presente che il diritto comunitario osta a qualsiasi atto normativo nazionale incompatibile, qualunque ne sia il motivo (47), e che uno Stato membro non può, stipulando un trattato con un altro Stato, compromettere l' efficacia di una disposizione di diritto comunitario avente efficacia diretta (48).

Una disparità di trattamento non potrebbe essere giustificata neppure in base alla circostanza che non sono tutte le persone di nazionalità tedesca quelle che possono rivendicare il trattamento preferenziale considerato. Su questo punto si può fare un parallelo con l' interpretazione dell' art. 30 del Trattato CEE: in una recente sentenza, la Corte ha sottolineato che una misura che avvantaggia soltanto una parte dei prodotti nazionali rispetto ai prodotti stranieri non era, in ragione di questa circostanza, tale da sfuggire al divieto dell' art. 30, dal momento che tutti i prodotti che beneficiano del sistema preferenziale erano prodotti nazionali (49).

19. Tuttavia, tutta la questione è nel sapere se possa ritenersi esservi una discriminazione vietata dall' art. 7 del Trattato. In effetti, la giurisprudenza della Corte ammette che il fatto di trattare in modo differente situazioni non simili non costituisce di per sé una discriminazione (50). Così nel caso del Bundesvertriebenengesetz, si potrebbe sostenere che si tratta di un trattamento preferenziale riservato a un gruppo di soggetti svantaggiati in conseguenza di circostanze storiche.

Nel caso dell' Einigungsvertrag, il trattamento preferenziale si applica a tutti coloro che hanno effettuato taluni studi o che hanno acquisito una certa esperienza professionale nell' ex Repubblica democratica tedesca. La sig.ra Vlassopoulou ritiene che questo criterio sia discriminatorio per natura e nega che esso sia inteso alla realizzazione di un obiettivo giustificato ai sensi del diritto comunitario. Da parte mia sono incline a considerare che il regime dell' Einigungsvertrag sia giustificato in quanto costituisce un trattamento preferenziale riservato a un gruppo esso stesso svantaggiato in conseguenza di circostanze storiche. In altre parole, esso è inteso a recuperare, nella linea del Trattato CEE, il ritardo di un gruppo di cittadini comunitari rispetto a tutti gli altri cittadini della Comunità.

Conclusione

20. Considerato quanto precede, suggerisco di risolvere la questione sollevata nel modo seguente:

"L' obbligo di non svantaggiare i cittadini comunitari che vogliono estendere la loro attività al di fuori del territorio di un solo Stato membro contenuto nell' art. 52 del Trattato CEE, deve essere interpretato nel senso che fa obbligo alle autorità competenti di uno Stato membro, incaricate dell' esame di una domanda di autorizzazione per l' esercizio della professione di avvocato (' Rechtsanwalt' ), presentata da un cittadino di un altro Stato membro - che è stato autorizzato ad esercitare la professione di avvocato ed esercita tale attività nel suo Stato membro e che è già autorizzato ad esercitare le funzioni di consulente legale (' Rechtsbeistand' ) ed esercita tale attività nello Stato membro nel quale l' autorizzazione è richiesta - di esaminare in quale misura le qualifiche accademiche e professionali acquisite nello Stato membro di origine e nello Stato membro ospitante da colui che ha presentato la domanda corrispondono a quelle richieste dal diritto nazionale per l' esercizio di detta professione e di prendere in considerazione tale corrispondenza".

(*) Lingua originale: l' olandese.

(1) Legge del 13 dicembre 1985 (BGBl. III, pag. 303).

(2) BGBl. 1959, I, pag. 565, modificata con legge 13 dicembre 1989 (BGBl. I, pag. 2135).

(3) La versione attuale è quella pubblicata il 19 aprile 1972 (BGBl. I, pag. 713).

(4) Direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, intesa a facilitare l' esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17).

(5) Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988 (GU 1989 L 19, pag. 16).

(6) Il 6 luglio 1990 la Repubblica federale di Germania ha adottato una legge per l' esecuzione della direttiva (v. BGBl. I, pag. 1349), la quale tuttavia entra in vigore soltanto il 1º gennaio 1991 (v. art. 6 di detta legge).

(7) Sentenza 12 luglio 1984, Ordine degli avvocati del foro di Parigi / Klopp (causa 107/83, Racc. pag. 2971).

(8) Sentenza 19 gennaio 1988, Gullung / Consiglio dell' ordine degli avvocati del foro di Colmar e di Saverne (causa 292/86, Racc. pag. 111).

(9) Per la prima volta, nella sentenza 12 febbraio 1974, Sotgiu / Deutsche Bundespost, punto 11 della motivazione (causa 152/73, Racc. pag. 153), una normativa nazionale non può sottoporre dei lavoratori ad un trattamento diverso perché essi non risiedono sul territorio nazionale, recentemente confermata dalla sentenza 30 maggio 1989, Allué / Università degli studi di Venezia, punto 11 della motivazione (causa 33/88, Racc. pag. 1591), la limitazione, nella legge italiana, della durata dell' occupazione degli assistenti di lingua straniera all' università, limitazione che non si applica al resto del personale delle università, è una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità dato che solo il 25% degli assistenti interessati hanno la cittadinanza italiana.

(10) V. sentenza Sotgiu, punto 11 della motivazione, già citata.

(11) L' avvocato considerato era stato precedentemente radiato dall' albo dell' ordine francese per motivi disciplinari.

(12) Sentenza già citata, punto 28 della motivazione.

(13) Sentenza 7 luglio 1988, Inasti / Wolf e Dorchain (cause riunite 154/87 e 155/87, Racc. pag. 3897). V. altresì l' analoga sentenza in pari data, Stanton / Inasti (causa 143/87, Racc. pag. 3877).

(14) Sentenza già citata, punti 8 e 9 della motivazione.

(15) Sentenza già citata, punti 11 e 12 della motivazione.

(16) Sentenza già citata, punto 15 della motivazione.

(17) Sentenza della Corte 17 dicembre 1981 (causa 279/80, Racc. pag. 3305).

(18) Sentenza sopra citata, punto 18 della motivazione.

(19) Sentenza già citata, punto 20 della motivazione. Nella precedente sentenza del 18 gennaio 1979, Van Wesemael (cause riunite 110/78 e 111/78, Racc. pag. 35), la Corte aveva già dichiarato che il requisito di una licenza per la prestazione di servizi di collocamento non è giustificato nel caso in cui il collocatore detiene già nello Stato membro di stabilimento una licenza rilasciata a condizioni analoghe a quelle richieste dallo Stato membro dove la prestazione è fornita se le sue attività sono soggette, nello Stato membro di stabilimento, ad un' adeguata sorveglianza su ogni attività di collocamento (v. punti 24-30 della motivazione).

(20) Sentenza 17 dicembre 1981 (causa 272/80, Racc. pag. 3277), confermata con sentenza 11 maggio 1989, Wurmser (causa 25/88, Racc. pag. 1105).

(21) Sentenza già citata, punti 13-15 della motivazione.

(22) V. sentenza 20 febbraio 1979, Rewe, detta "Cassis de Djion", punto 8 della motivazione (causa 120/78, Racc. pag. 649), da allora sistematicamente confermata, tra l' altro, dalla sentenza 14 luglio 1988, Drei Glocken e a. / USL Centro-Sud e a., punti 9-11 della motivazione (causa 407/85, Racc. pag. 4233).

(23) V. sentenza 4 dicembre 1986, Commissione / Repubblica federale di Germania, punto 25 della motivazione (causa 205/84, Racc. pag. 3755). V. altresì la sentenza Van Wesemael (già citata alla nota 19), la sentenza Webb (già citata alla nota 17) e la sentenza recente del 27 marzo 1990, Rush Portuguesa (causa C-113/89, Racc. pag. I-1417).

(24) Già citata alla nota 4.

(25) In questo ordine di idee occorre rilevare che, senza essere contraddetta su questo punto dal governo tedesco e dal ministero, la sig.ra Vlassopoulou ha sostenuto che importanti parti del diritto civile greco e del diritto greco di procedura civile corrispondono in larga misura al diritto tedesco.

(26) Sentenza 28 aprile 1977 (causa 71/76, Racc. pag. 765).

(27) Sentenza già citata, punto 2 della motivazione.

(28) Sentenza già citata, punto 19 della motivazione.

(29) Sentenza già citata, punti 15-18 della motivazione.

(30) Sentenza già citata, punto 23 della motivazione.

(31) Confermato, per la prima volta, nella sentenza 21 giugno 1974, Reyners / Stato belga, punti 3-32 della motivazione (causa 2/74, Racc. pag. 631).

(32) V., oltre alla sentenza Reyners (già citata alla nota 30), sentenza Thieffry (già citata alla nota 26) punto 18 della motivazione, e sentenza 28 giugno 1977, Patrick, punti 10-19 della motivazione (causa 11/77, Racc. pag. 1199) che è stata confermata dalla sentenza 15 ottobre 1987, Heylens, punti 11 e 12 della motivazione (causa 222/86, Racc. pag. 4097).

(33) Sentenza già citata alla nota 30, punti 30 e 31 della motivazione.

(34) Direttiva già citata alla nota 5.

(35) L' esistenza di questo obbligo è peraltro riconosciuto altresì nel quinto considerando della direttiva.

(36) V. l' art. 4 della direttiva. Normalmente, il richiedente beneficia del diritto di scegliere tra un corso di adattamento ed una prova attitudinale. Tuttavia, "lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la consulenza o l' assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale costante dell' attività" ((v. art. 4, n. 1, lett. b), in fine)).

(37) Peraltro, secondo le sentenze Webb e Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, questa difficoltà si presenta, nello stesso modo, nel settore della libera circolazione dei servizi nonché nel settore della libera circolazione delle merci.

(38) V. sentenza 5 marzo 1980, Ferwerda, punto 10 della motivazione (causa 265/78, Racc. pag. 617), sentenza 16 dicembre 1976, Rewe, punto 5 della motivazione (causa 33/76, Racc. pag. 1989), sentenza 16 dicembre 1976, Comet, punti 15 e 16 della motivazione (causa 45/76, Racc. pag. 2043) nonché sentenza 9 luglio 1985, Bozzetti, punto 17 della motivazione (causa 179/84, Racc. pag. 2301). V. altresì la sentenza 19 giugno 1990, Regina / Secretary of State for Transport, ex parte Factortame (causa C-213/89, Racc. pag. I-2433).

(39) Secondo le sentenze 28 aprile 1977, Thieffry (causa 71/76, già citata alla nota 26), e 15 ottobre 1987, Heylens (causa 226/86, Racc. pag. 4097).

(40) Mi posso immaginare che esistono ancora altri elementi che dovranno essere presi in considerazione. Così, pare, per esempio, verosimile che, in occasione dell' ammissione della sig.ra Vlassopoulou al programma di dottorato dell' università di Tubinga, sia già stata esaminata la sua precedente formazione accademica e il grado di corrispondenza di questa formazione con la formazione giuridica nella Repubblica federale di Germania. Dalla sentenza Thieffry in cui si è innanzi parlato emerge che l' esame al quale si è così proceduto deve essere preso debitamente in considerazione dalle autorità nazionali (v. punti 20-26 della sentenza).

(41) V. art. 37 dell' Einigungsvertrag.

(42) Ibidem.

(43) V. l' allegato I, capitolo III, parte A, sezione II, punto 2, dell' Einigungsvertrag. L' autorizzazione all' esercizio della professione di avvocato (Rechsanwalt) nella Repubblica democratica di Germania costituisce l' oggetto del Rechtsanwaltsgesetz (legge relativa alla professione di avvocato) adottato il 13 settembre 1990. V. il Gesetzblatt der Deutschen Demokratischen Republik (Gazzetta ufficiale della Repubblica democratica di Germania) 1990, I, n. 61, pag. 1504). Questa legge esige, in linea generale, degli studi giuridici in un' università della Germania dell' Est, se del caso, completati da una certa pratica professionale (v. art. 4 della legge). Inoltre, l' Einigungsvertrag offre agli abitanti dell' ex Repubblica democratica di Germania la possibilità di sottoporsi ad una prova attitudinale ((v. l' allegato II, capitolo III, parte A, sezione III, punto 1, lett. e) )) e prevede ancora un certo numero di "disposizioni transitorie" a favore degli avvocati praticanti e degli studenti dell' ex Repubblica democratica di Germania, talune delle quali hanno effetto fino al 1992 ((v. allegato I, capitolo III, parte A, sezione III, punto 8 (y) )).

(44) La versione attuale sembra essere quella pubblicata il 3 settembre 1971 (BGBl. I, pag. 1565).

(45) Nella dottrina tedesca è stata sostenuta la tesi secondo la quale, dato che l' art. 112 del Richtergesetz rinvia unicamente all' art. 92, n. 2, del Bundesvertriebenengesetz, un riconoscimento di diplomi in legge analoghi, ottenuti dopo l' 8 maggio 1945, non sembra possibile ai sensi del Richtergesetz. V. Schmidt-Raentsch, G. e J. Kommentar zum deutschen Richtergesetz, quarta edizione, 1988, n. 1, relativo all' art. 112. Questo non esclude che i criteri di valutazione dell' equivalenza degli esami e dei certificati in generale, sviluppati sulla base di detto paragrafo, possono essere utilizzati in quanto filo conduttore nel contesto dell' esame di cui trattasi ai punti 11-15.

(46) BGBl. I, pag. 269.

(47) V., ad esempio, sentenza 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft / Einfuhr- und Vorratsstelle fuer Getreide, punto 3 della motivazione (causa 11/70, Racc. pag. 1125), e sentenza 9 marzo 1978, Amministrazione delle finanze dello Stato / Simmenthal, punti 17-18 della motivazione (causa 106/77, Racc. pag. 629).

(48) V., per esempio, sentenza 14 luglio 1976, Kramer, punti 42-44 della motivazione (cause riunite 3/76, 4/76 e 6/76, Racc. pag. 1279), e sentenza 27 settembre 1988, Matteucci / Comunità francese del Belgio, punti 18 e 19 della motivazione e il relativo dispositivo (causa 235/87, Racc. pag. 5589).

(49) V. sentenza 20 marzo 1990, Dupont de Nemours italiana / Unità sanitaria locale n. 2 di Carrara, punti 12 e 13 della motivazione (causa C-21/88, Racc. pag. I-889).

(50) V., ad esempio, sentenza 17 luglio 1963, Repubblica italiana / Commissione (causa 13/63, Racc. pag. 335, in particolare pag. 361), e sentenza 23 febbraio 1983, Wagner / BALM, punto 18 della motivazione (causa 8/82, Racc. pag. 371).