61988C0206

CONCLUSIONI RIUNITE DELL'AVVOCATO GENERALE JACOBS DEL 13 DICEMBRE 1989. - PROCEDIMENTO PENALE A CARICO DI GIOVANNI VESSOSO ET GIORGIO ZANETTI. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: PRETURA DI ASTI - ITALIA. - CAUSE RIUNITE 206/88 E 207/88. - PROCEDIMENTO PENALE A CARICO DI ENRICO ZANETTI E ALTRI. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: PRETURA DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO - ITALIA. - CAUSA 359/88. - RAVVICINAMENTO DELLE LEGISLAZIONI - RIFIUTI - NOZIONE - AUTORIZZAZIONE E CONTROLLO DELLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI.

raccolta della giurisprudenza 1990 pagina I-01461


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1 . Le presenti cause sono pervenute dinanzi alla Corte tramite rinvio pregiudiziale presentato, nei procedimenti riuniti C-206/88 e C-207/88, dalla pretura di Asti e, nel procedimento C-359/88, dalla pretura di San Vito al Tagliamento . Esse hanno ad oggetto l' interpretazione delle direttive 75/442/CEE sui rifiuti ( GU 1975, L 194, pag . 39 ) e 78/319/CEE sui rifiuti tossici e nocivi ( GU 1978, L 84, pag . 43 ), nonché le ripercussioni di tali atti normativi nei procedimenti penali dinanzi al giudice nazionale . Con riguardo all' affinità esistente tra le succitate cause, le prenderò in considerazione unitamente nelle mie conclusioni .

Gli antefatti

2 . Nelle cause C-206/88 e C-207/88, i convenuti sono imputati, nei giudizi "a quo", di aver trasgredito l' art . 25 del decreto del presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n . 915 ( in prosieguo : il "decreto ") effettuando lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali, la loro raccolta, il trasporto e l' ammasso senza aver ottenuto previa autorizzazione . Essi sostengono, a loro difesa, di non aver raccolto e ammassato rifiuti bensì materiali di recupero atti ad una riutilizzazione economica .

3 . A quanto sembra, il giudice a quo nel passato si è trovato di fronte a numerosi casi di questo genere, e in ognuno, puntualmente, ha decretato la colpevolezza dell' imputato . Altri tribunali, tuttavia, hanno fatto propria l' opinione secondo la quale del materiale riciclabile, oggetto di riutilizzazione, non costituiva un rifiuto ai sensi del decreto . Il giudice a quo riferisce che nel 1987 la corte di cassazione ha reso una sentenza ( sentenza 14 aprile 1987, Perino ) a sostegno del suo punto di vista . Nonostante ciò, esso auspica che la Corte si pronunci in proposito, in quanto il decreto di cui sopra fu adottato per trasporre tre direttive CEE, tra cui quelle soprammenzionate . La questione pregiudiziale proposta è la stessa in entrambe le cause, e così recita :

"Se l' art . 1 della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti 75/442/CEE e l' art . 1 della direttiva del Consiglio del 20 marzo 1978, relativa ai rifiuti tossici e nocivi 78/319/CEE vadano intesi nel senso che nella nozione giuridica di rifiuto debbano essere comprese anche le cose, di cui il detentore si sia disfatto, suscettibili però di riutilizzazione economica e se vadano intesi nel senso che la nozione di rifiuto postuli un accertamento dell' esistenza dell' animus dereliquendi nel detentore della sostanza od oggetto ".

4 . La causa C-359/88 verte sulla degalvanizzazione di superfici metalliche . Questo procedimento è effettuato attraverso la rimozione chimica delle parti ossidate, in modo tale che la superficie può essere zincata, mediante bagni del metallo in soluzioni concentrate di acido cloridrico . Dopo un certo periodo di tempo, l' acido non è più utilizzabile e va eliminato . Ciò è però più costoso che non acquistare l' acido cloridrico . Comunque sia, l' acido scartato viene consegnato ad altre imprese che producono cloruro ferrico . Tale sostanza è estremamente pericolosa, ed è quindi trasportata in contenitori ermetici .

5 . Gli imputati, stabiliti nella regione Friuli-Venezia Giulia, trasportavano i bagni da questa verso altre regioni d' Italia . A loro carico pende un procedimento penale, sempre a norma del suddetto decreto, per aver proceduto ai trasporti senza essere stati in possesso di autorizzazione dell' amministrazione regionale Friuli-Venezia Giulia .

6 . In corso di causa dinanzi al giudice nazionale, è emerso che uno degli imputati era in possesso di un permesso rilasciato dall' amministrazione provinciale di Lucca; inoltre, la regione Friuli-Venezia Giulia sostenne la non necessità dell' autorizzazione nelle fattispecie in giudizio . Il giudice a quo nutriva inoltre dubbi sulla qualificazione di "rifiuti", ai sensi del decreto, delle soluzioni di acido di cui trattasi .

7 . Sono state quindi sottoposte alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali :

"1 ) Se il legislatore italiano nell' art . 2, primo comma, del DPR 915 del 1982, abbia adottato una definizione di rifiuto conforme alle direttive 75/442 e 78/319 .

2 ) Se il legislatore allorquando distingue gli obblighi di autorizzazione per le sole fasi di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, nel mentre ( art . 16 DPR 915/82 ) non prevede singole autorizzazioni per le similari operazioni in tema di rifiuti speciali abbia rispettato l' art . 10 della direttiva 75/442 .

3 ) Se il legislatore italiano nel prevedere singole autorizzazioni regionali in tema di trasporto di rifiuti abbia rispettato il dettato dell' art . 5 della predetta direttiva, nel senso che le autorità incaricate sembrano limitate ad una 'determinata zona' ".

8 . Si noterà che la prima delle questioni proposte è in sostanza la stessa di cui ai procedimenti C-206/88 e C-207/88; la seconda e la terza, però, sollevano problemi di diverso tipo . Alle questioni sopra citate, in un procedimento ex art . 177 del trattato CEE, non si può rispondere direttamente, in quanto esse implicano un giudizio di conformità delle vigenti norme di legge italiane con le due direttive in causa . Questa è materia di esclusiva competenza del giudice a quo . Tuttavia, la Corte è libera di ricavare dalle questioni proposte gli elementi interpretativi di diritto comunitario onde consentire al giudice a quo di risolvere i problemi sottopostigli .

La normativa nazionale

9 . L' art . 2, primo comma, del decreto definisce il rifiuto come "qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all' abbandono ". Osservo, tra parentesi, che l' art . 1 del decreto, avente ad oggetto i "principi generali", fa riferimento alla riutilizzazione e al riciclaggio di rifiuti nel significato di cui all' art . 2, implicando con ciò che una sostanza non cessa di essere un rifiuto, a norma del decreto, solo perché può essere trattata in questo modo .

10 . Ai sensi dell' art . 2, secondo comma, del decreto, i rifiuti si dividono in tre categorie :

i ) rifiuti urbani ( essenzialmente rifiuti ingombranti e i rifiuti giacenti su aree pubbliche );

ii ) rifiuti speciali ( in cui sono ricompresi i residui di lavorazioni industriali ed i rifiuti derivanti da attività agricole, artigianali, ecc .);

iii ) rifiuti tossici nocivi ( che contengono sostanze elencate in un allegato al decreto ).

E pacifico, nella causa C-359/88, che se l' acido cloridrico usato costituisce effettivamente un rifiuto, ai sensi del decreto esso è un rifiuto speciale .

11 . Il decreto, all' art . 16, esige un' autorizzazione per ognuna delle fasi dello smaltimento di rifiuti tossici nocivi, e fa espresso riferimento all' ammasso e al trasporto di tali rifiuti come a due delle fasi per cui tale autorizzazione è richiesta . I ricorrenti nella causa C-359/88 sostengono che, dal momento che non esiste una norma di dettaglio che tratti dei rifiuti speciali, per il trasporto di questi ultimi non è necessaria autorizzazione .

12 . La tesi opposta è che lo smaltimento ( e, di conseguenza, anche il trasporto ) di rifiuti speciali è, in conseguenza dell' art . 6, lett . d ), e dell' art . 25 del decreto, sempre soggetto ad autorizzazione quando si tratti di rifiuto prodotto da terzi . L' art . 25 del decreto commina sanzioni penali a carico di coloro che smaltiscono rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi senza aver ottenuto l' autorizzazione di cui all' art . 6, lett . d ). Tale norma conferisce alle regioni la facoltà di autorizzare le imprese a provvedere allo smaltimento di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi .

Le direttive

13 . Come risulta dal preambolo, gli scopi principali delle direttive 75/442 e 78/319 sono di due tipi . Innanzitutto, s' intende armonizzare le legislazioni nazionali sui rifiuti onde evitare disparità normative che possano provocare distorsioni della concorrenza e creare ostacolo al commercio tra Stati membri . In secondo luogo, si vuole contribuire alla tutela della salute pubblica e dell' ambiente contro effetti nocivi derivanti dalla raccolta, dal trasporto, dal trattamento, dal deposito e dallo scarico di rifiuti . Le finalità di cui sopra si sarebbero dovute realizzare mediante la creazione di un sistema di autorizzazioni per le imprese che si occupano dello smaltimento di rifiuti, e il controllo delle pubbliche autorità sulle operazioni che possono comportare la produzione e lo smaltimento dei rifiuti suddetti .

14 . L' art . 1, lett . a ), di entrambe le direttive dispone che si deve intendere per "' rifiuto' (...) qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l' obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti ". L' art . 1, lett . b ), della direttiva 78/319 afferma che per "rifiuti tossici e nocivi" s' intendono tutti i rifiuti che contengono o che sono stati contaminati dalle sostanze o materie elencate nell' allegato alla direttiva, di natura, in quantità o in concentrazioni tali da presentare un pericolo per la salute o per l' ambiente .

15 . L' art . 5 della direttiva 75/442 così recita : "Gli Stati membri stabiliscono o designano l' autorità o le autorità competenti incaricate, in una determinata zona, di programmare, organizzare, autorizzare e controllare le operazioni di smaltimento dei rifiuti ".

16 . L' art . 8 della direttiva 75/442 dispone : "(...) gli stabilimenti o imprese che provvedono al trattamento, all' ammasso o al deposito dei rifiuti per conto di terzi devono ottenere dall' autorità competente di cui all' art . 5 un' autorizzazione che indichi in particolare :

- i tipi e i quantitativi di rifiuti da trattare,

- i requisiti tecnici generali;

- le precauzioni da prendere;

- le indicazioni, da fornire su richiesta dell' autorità competente, sull' origine, la destinazione, il trattamento, i tipi e le quantità di rifiuti ".

17 . L' art . 10 della summenzionata direttiva stabilisce : "Le imprese che provvedono al trasporto, alla raccolta, all' ammasso, al deposito o al trattamento dei propri rifiuti nonché quelle che raccolgono o trasportano i rifiuti per conto di terzi sono soggette alla vigilanza dell' autorità competente di cui all' art . 5 ".

La giurisprudenza della Corte

18 . Questa non è la prima volta che la Corte è chiamata a prendere in esame la normativa comunitaria sui rifiuti . Nelle cause riunite 372/85, 373/85 e 374/85, Pubblico ministero / Traen e altri, ( Racc . 1987, pag . 2141 ) la Corte osservò che la direttiva 75/442, come emergeva dalla definizione di rifiuto di cui all' art . 1, aveva una sfera d' applicazione molto ampia . Tuttavia, veniva poi riconosciuto che la direttiva operava una distinzione tra autorizzazione e vigilanza, sottolineando che l' obbligo di autorizzazione sancito all' art . 8 valeva solo per le imprese operanti per conto di terzi . Quelle invece che provvedevano al deposito dei propri rifiuti sarebbero state, conformemente all' art . 10, "soggette solo alla vigilanza dell' autorità competente di cui all' art . 5 ".

19 . Quanto all' art . 5, la Corte ha rilevato la mancanza di criteri restrittivi riguardanti le autorità competenti che vanno istituite o designate dagli Stati membri . Questi, quindi, erano liberi nella scelta di dette autorità . Allo stesso modo, il potere discrezionale di cui dispongono gli Stati membri nell' organizzare la vigilanza di cui all' art . 10 era limitato soltanto dall' esigenza del rispetto degli scopi della direttiva, in particolare la tutela della salute umana e dell' ambiente .

20 . La direttiva 75/442, insieme con altre tre direttive, è stata altresì al centro delle cause riunite da 227/85 a 235/85, Commissione / Belgio ( Racc . 1988, pag . 1 ). In dette cause, la Commissione aveva avviato contro il Belgio una procedura ai sensi dell' art . 171 del trattato, per mancata esecuzione di alcune precedenti sentenze della Corte, in cui essa aveva dichiarato che, non adottando entro i termini stabiliti le disposizioni necessarie per conformarsi alle direttive suddette, il regno del Belgio era venuto meno agli obblighi impostigli dal trattato . Uno degli argomenti sollevati dal Belgio a sua difesa era che il ritardo nel dare esecuzione a tali precedenti pronunce derivava dalle difficoltà incontrate nel trasferire alle nuove istituzioni regionali una congrua serie di attribuzioni . La Corte ha osservato a tal proposito :

"Devesi ricordare che, come dichiarato dalla Corte nelle sentenze 25 maggio 1982 ( Commissione / Paesi Bassi, cause 96/81 e 97/81, Racc . 1982, pagg . 1791 e 1819 ), ciascuno Stato membro è libero di attribuire come meglio crede le competenze sul piano interno e di attuare una direttiva mediante provvedimenti adottati dalle autorità regionali o locali . Detta attribuzione di competenze non può, tuttavia, dispensare dall' obbligo di garantire una corretta trasposizione delle disposizioni della direttiva nel diritto interno" ( punto 9 della motivazione ).

Le questioni sollevate

21 . Sono state presentate osservazioni, in ognuna delle cause di cui trattasi, dal governo italiano e dalla Commissione, ed esse, in larga misura, concordano . Per quanto riguarda l' interpretazione di "rifiuto" ai sensi delle direttive, la soluzione alle questioni sollevate nelle cause C-206/88 e 207/88, nonchè alla prima questione di cui alla causa C-359/88, deve essere, a mio parere, nel senso che i rifiuti ricomprendono oggetti passibili di riutilizzazione, indipendentemente dall' intenzione di chi li detiene .

22 . Come la Corte ha sottolineato nella sentenza Traen, la definizione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442 è di ampia portata, e lo stesso accade necessariamente per l' analoga definizione di cui alla direttiva 78/319 . Nessuna delle due definizioni contiene alcun riferimento alla rilevanza delle intenzioni del detentore . In caso contrario, a mio parere, ne scaturirebbe un contrasto con la finalità delle direttive stesse, poiché la questione del se una sostanza od oggetto costituisca una minaccia alla salute pubblica o all' ambiente ha carattere oggettivo, non soggettivo . Ciò non ha nulla a che vedere con l' intenzione della persona che si disfa di tale sostanza . Né l' eventualità della minaccia di cui sopra è in relazione col fatto che il prodotto possa o meno essere riciclato o riutilizzato . Nessuno nega che i bagni di acido usati, di cui alla causa C-359/88, siano altamente nocivi, nonostante vi siano alcune imprese che possono farne uso . Per questo fatto, tenendo presente le finalità delle direttive, il Consiglio era pienamente legittimato ad esigere che tali sostanze siano soggette alle procedure di sorveglianza in esse stabilite . Emerge, in ogni modo, dagli artt . 1, lett . b ), e 3, nn . 1 e 2, della direttiva 75/442, nonché dagli artt . 1, lett . c ), e 4 della direttiva 78/319 - ognuno dei quali si riferisce, in vario modo, al riutilizzo o al riciclaggio di "rifiuti" - che il fatto che una sostanza od oggetto possa essere trattato nel modo sopra esposto non rileva ai fini del se esso costituisca un "rifiuto", ai sensi, in primo luogo, delle direttive .

23 . Di conseguenza, a mio parere, una sostanza od oggetto può costituire un rifiuto ai sensi della direttiva anche se può essere riutilizzato e indipendentemente dall' intenzione di chi la detiene o dal proposito di disfarsene . Però, a questo proposito, ritengo che sia necessario aggiungere un' ulteriore qualificazione alla soluzione da me proposta alla questione interpretativa .

24 . E palese che, come è stato rilevato nella questione del giudice a quo e nelle osservazioni presentate alla Corte, il decreto italiano va interpretato in modo coerente con le direttive, specialmente allorquando esso vi fa espresso riferimento . In altre circostanze, questa affermazione sarebbe certamente esatta . La Corte ha disposto che, nell' applicare il diritto nazionale, ed in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l' attuazione di una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva medesima : vedasi causa 14/83, von Colson e Kamann / Land Renania del Nord-Vestfalia ( Racc . 1984, pag . 1891 ). Questo criterio interpretativo può avere come conseguenza che sorgano e siano fatte rispettare obbligazioni di natura civilistica tra privati, le quali non sorgerebbero se si considerasse isolatamente la legge nazionale .

25 . Tale criterio però, a mio parere, va limitato nel campo del diritto penale, laddove l' effetto d' interpretare in questo senso la legge nazionale equivarrebbe a sancire responsabilità penali nei casi in cui essa non sorgerebbe qualora si considerasse la legge nazionale isolatamente . L' esigenza di tale limitazione è che un' interpretazione estensiva della legge penale sarebbe contraria ai principi fondamentali di legalità ( nullum crimen, nulla poena sine lege ).

26 . E assodato che, in mancanza di legge di attuazione, una direttiva non può, di per sé, avere l' effetto di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni; vedasi causa 14/86, Pretore di Salò / Ignoti ( Racc . 1987, pag . 2545 ); causa 80/86, Kolpinghuis Nimega ( Racc . 1987, pag . 3969 ). A mio parere, tali principi si applicano laddove uno Stato membro ha emanato leggi per dare attuazione ad una direttiva, ma esse, nel momento in cui creano una responsabilità penale, non specificano chiaramente ed inequivocabilmente i fatti dai quali tale responsabilità sorge . Non penso che il giudice nazionale debba, nell' ambito del diritto comunitario, interpretare la legge nazionale alla luce del significato e della finalità delle direttive, qualora ciò comporti l' insorgere di una responsabilità penale che altrimenti non sussisterebbe . Il giudice a quo deve valutare piuttosto se la legge nazionale di cui trattasi possa essere interpretata in modo conforme alle direttive, senza ricavarne un' interpretazione estensiva che finirebbe per essere contraria al principio di legalità .

27 . Per quanto riguarda la seconda questione sollevata nella causa C-359/88, la Corte ha dichiarato, nella causa Traen, che la direttiva 75/442 distingueva tra operazioni soggette a previa autorizzazione, e operazioni sottoposte a semplice vigilanza . La Corte ha comunque riconosciuto che nel dare applicazione alla direttiva gli Stati membri erano liberi di continuare a chiedere autorizzazioni in casi in cui la direttiva contemplava unicamente una vigilanza .

28 . Il trasporto di rifiuti, nel significato di cui all' art . 1 della direttiva, non è menzionato all' art . 8 come una delle operazioni per le quali le imprese debbano ottenere previa autorizzazione . L' art . 10 della direttiva dispone che il trasporto di rifiuti per conto terzi è soggetto a vigilanza, ma non impone una previa autorizzazione . A mio parere, non v' è motivo per cui tali norme non debbano essere considerate per quello che dispongono "prima facie ". In ogni caso, non ritengo che la direttiva impedisca agli Stati membri di imporre autorizzazioni per il trasporto di certe categorie di rifiuti qualora ciò sia considerato opportuno .

29 . La terza questione sollevata dal pretore nella causa C - 359/88 è volta ad ottenere una linea interpretativa in merito al problema degli obblighi imposti agli Stati membri dall' art . 5 della direttiva 75/442 . Il pretore sostiene che la redazione di tale norma induce a pensare che si debba limitare la validità delle autorizzazioni rilasciate dalle competenti autorità al territorio di competenza delle stesse . Ne risulterebbe che, quando rifiuti vengano trasportati da una regione ad un' altra, si dovrebbero richiedere tanti permessi quante sono le regioni attraversate . A causa però delle difficoltà pratiche che tale interpretazione ingenererebbe, il pretore ritiene che la direttiva, correttamente interpretata, porrebbe in realtà la responsabilità del rilascio di tali autorizzazioni in capo alle autorità nazionali .

30 . Alla luce di quanto detto finora, possiamo astenerci dal risolvere la terza questione sollevata dal pretore nella causa C-359/88 . Qualora occorra una risposta, comunque, io penso che la Corte dovrebbe seguire i precedenti di cui alle cause Commissione / Belgio e Traen . Aggiungerei, in ogni caso, su suggerimento della Commmissione, che un' eccessiva suddivisione di responsabilità nel dare applicazione agli obblighi di cui all' art . 5 della direttiva può vanificare le finalità della stessa, e non è, quindi, lecita .

31 . Vi propongo quindi di risolvere nel modo seguente le questioni sollevate nei procedimenti riuniti C-206/88 e C-207/88, nonché la prima questione di cui alla causa C-359/88 :

"L' art . 1, lett . a ), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442, e l' art . 1, lett . a ), della direttiva del Consiglio 20 marzo 1978, 78/319, vanno interpretati nel senso che una sostanza od oggetto è atto ad essere considerato rifiuto, ai sensi delle norme di cui sopra, anche se può essere riutilizzato e indipendentemente dall' intenzione o dal proposito del detentore di disfarsene .

Un tribunale di uno Stato membro non può interpretare la legge nazionale alla luce del significato letterale e delle finalità di una direttiva, qualora ciò ingeneri una responsabilità penale che in circostanze normali non sussisterebbe ".

32 . Vi propongo invece di risolvere nel modo seguente la seconda questione sollevata nel procedimento C-359/88 :

"L' art . 10 della direttiva 75/442 va interpretato nel senso che gli Stati membri non sono tenuti a sottoporre il trasporto di rifiuti per conto terzi, di cui all' art . 1, lett . a ), a previa autorizzazione da parte delle autorità competenti di cui all' art . 5 . La direttiva, comunque, non preclude agli Stati membri la possibilità di esigere una autorizzazione preventiva in tali casi ".

33 . Questa è invece la soluzione che vi propongo di adottare per la terza questione di cui al procedimento C-359/88 :

"Nello stabilire o designare l' autorità o le autorità competenti di cui all' art . 5 della direttiva 75/442, gli Stati membri sono vincolati unicamente alla necessità di rispettare le finalità della direttiva stessa, vale a dire la tutela della salute pubblica e dell' ambiente . Essi, perciò, non debbono suddividere le responsabilità per l' adempimento degli obblighi di cui all' art . 5 in un modo tale da vanificare il raggiungimento delle finalità suddette ".

(*) Lingua originale : l' inglese .