61986C0302

Conclusioni dell'avvocato generale Sir Gordon Slynn del 24 maggio 1988. - COMMISSIONE DELLE COMUNITA'EUROPEE CONTRO REGNO DI DANIMARCA. - LIBERO CIRCOLAZIONE DELLE MERCI - IMBALLAGGI DELLE BIRRE E DELLE BEVANDE RINFRESCANTI. - CAUSA 302/86.

raccolta della giurisprudenza 1988 pagina 04607
edizione speciale svedese pagina 00579
edizione speciale finlandese pagina 00761


Conclusioni dell avvocato generale


++++

Signor Presidente,

Signori Giudici,

La causa odierna solleva un problema difficile e delicato, quello della compatibilità di provvedimenti adottati per la tutela dell' ambiente con il principio fondamentale del trattato CEE secondo cui le restrizioni quantitative e le misure d' effetto equivalente che colpiscono le importazioni da uno Stato membro all' altro sono illegittime .

Da tempo la Danimarca ha instaurato un sistema di deposito sulla vendita di bottiglie contenenti birra o bibite . L' interesse per il recupero del deposito era sufficiente ad incitare numerosi consumatori a restituire spontaneamente le bottiglie, preservando così il paesaggio e gli spazi verdi dalle bottiglie vuote abbandonate . Risulta che detto sistema ha ben funzionato su base volontaria finché il numero dei vari tipi di bottiglie è stato limitato e che, quando le bevande erano poste in commercio da produttori stranieri, le bottiglie venivano spesso fabbricate su licenza in Danimarca o almeno imbottigliate in Danimarca .

Verso la metà degli anni '70, i produttori di birra danesi cominciavano tuttavia ad usare lattine e bottiglie di varia forma . E stato sostenuto che esistesse concorrenza non solo tra le bevande, ma anche fra i recipienti . Perciò venivano dettate disposizioni per garantire che il sistema del deposito continuasse ad essere efficace . La legge 8 giugno 1978, n . 297 ( Lovtidende A 1978, pag . 851 ) si applicava fra l' altro agli imballaggi usati per le bevande (§ 1, 1° comma, punto 2 ) ed era intesa a combattere l' inquinamento (§ 2, 1° comma ). Essa autorizzava il ministro ad "emanare norme che limitino o vietino l' uso di determinati materiali o tipi d' imballaggio, o che impongano l' uso di determinati materiali o tipi d' imballaggio" (§ 8 ), nonché a stabilire norme relative a depositi obbligatori per determinati tipi d' imballaggio e a fissare l' importo di tali depositi (§ 9 ). Il capitolo 5 (§§ 12 e 13 ) affidava la sorveglianza dell' applicazione della legge all' ente nazionale per la tutela dell' ambiente ( in prosieguo "ente "), mentre il § 14 stabiliva determinati obblighi d' informazione .

Il decreto 2 luglio 1981, n . 397 ( Lovtidende A 1981, pag . 1081 ), adottato in forza della delega di poteri contenuta nella legge n . 297, si applica agli imballaggi di acque minerali gassate, limonate, altre bibite e birra (§ 1, 1° comma ). Questi prodotti possono essere messi in commercio solo in imballaggi "a rendere" (§ 2, 1° comma ), che nel § 1, 2° comma, sono definiti come imballaggi per i quali esiste un sistema di raccolta e di riutilizzazione, in cui gli imballaggi usati vengono in gran parte riempiti di nuovo . Detti imballaggi devono essere stati autorizzati dall' ente, che può subordinare l' autorizzazione a determinate condizioni o revocarla (§ 2, 2° comma ). Nel decidere se un dato imballaggio debba essere autorizzato, l' ente deve verificare :

1 ) se l' imballaggio sia tecnicamente idoneo all' applicazione di un sistema di deposito e restituzione,

2 ) se il sistema di restituzione sia concepito in modo da garantire l' effettiva restituzione di una forte percentuale d' imballaggi,

3 ) se sia stata già rilasciata l' autorizzazione per un altro imballaggio, di pari capacità, che sia al tempo stesso accessibile e adatto allo scopo stabilito (§ 2, 3° comma ).

Il decreto prevedeva inizialmente che, a determinate condizioni, potessero essere usate bottiglie non autorizzate ai sensi del § 2 . La vendita di imballaggi non conformi a queste disposizioni era sanzionata penalmente . Un allegato al decreto contiene la descrizione di 18 tipi autorizzati di bottiglie ( sia generici, "Eurobouteille 50 cl .", sia specifici "Coca Cola 25 cl .") e di un fusto autorizzato da 10 litri . Dall' entrata in vigore del decreto, è stato autorizzato un altro tipo di bottiglia . A quanto pare, finora nessuna domanda di autorizzazione per un tipo d' imballaggio è stata respinta dall' ente .

Avendo ricevuto reclami da parte di produttori di bibite e d' imballaggi stabiliti in altri Stati membri, nonché di associazioni europee di dettaglianti, quanto all' impossibilità di usare in Danimarca gli imballaggi nei quali le bevande sono normalmente vendute ed ai costi determinati dal regime della restituzione, la Commissione riteneva che le suddette disposizioni erano in contrasto con l' art . 30 del trattato CEE e, dopo aver inviato, il 16 dicembre 1981, una lettera di messa in mora, il 21 dicembre 1982 essa emetteva un parere motivato . Il 18 marzo 1984 il governo danese emanava il decreto n . 95 ( Lovtidende A 1984, pag . 345 ), che sostituiva le disposizioni contenute nel § 3 del decreto n . 397 .

Il nuovo testo aveva l' effetto di modificare la limitata deroga al § 2, stabilita dal § 3 . In seguito alla modifica, le bevande dei tipi di cui trattasi possono essere vendute in imballaggi non autorizzati, purché il quantitativo venduto annualmente non superi i 3 000 hl per ciascun produttore o la bevanda sia venduta allo scopo di sondare il mercato danese in un imballaggio abitualmente usato per il prodotto in questione nel paese di produzione . Non sono ammessi imballaggi metallici; dev' essere stato creato un sistema di restituzione degli imballaggi, per nuovo riempimento o riciclaggio, e il deposito per ciascun imballaggio dev' essere d' importo pari a quello normalmente fissato per un analogo imballaggio autorizzato . Il responsabile delle vendite del prodotto deve fornire all' ente tutte le informazioni necessarie per accertare che queste condizioni siano soddisfatte . Dalle risposte date in udienza dal rappresentante della Danimarca risulta che la deroga relativa ai 3 000 hl riguarda indistintamente i produttori danesi e gli importatori di bevande prodotte fuori dalla Danimarca, mentre la deroga relativa al sondaggio del mercato vale soltanto per gli importatori di bevande prodotte fuori della Danimarca .

La Commissione non riteneva soddisfacente questa modifica . A suo avviso, per raggiungere lo scopo della tutela dell' ambiente bastava un sistema di riutilizzazione o di riciclaggio e non era giustificato imporre una limitazione dei quantitativi che potevano essere venduti in bottiglie non autorizzate ai sensi del § 2, o del periodo durante il quale potevano aver luogo sondaggi del mercato . Dopo aver inviato, il 20 giugno 1984, una nuova lettera di messa in mora ed avere emesso, il 18 dicembre 1984, un nuovo parere motivato, il 1° dicembre 1986 la Commissione proponeva il ricorso ora in esame, nel quale essa chiede alla Corte di dichiarare che, introducendo ed applicando il regime obbligatorio di restituzione degli imballaggi per la birra e le bibite, istituito con decreto 2 luglio 1981, n . 397, modificato con decreto 18 marzo 1984, n . 95, il regno di Danimarca è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell' art . 30 del trattato CEE . Il Regno Unito è intervenuto a sostegno delle conclusioni della Commissione .

Mi sembra evidente, e in verità la Danimarca non lo nega, che i provvedimenti adottati costituiscono una "normativa commerciale degli Stati membri" atta ad "ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari", e vanno quindi considerati come "una misura d' effetto equivalente ad una restrizione quantitativa" ( causa 8/74, Dassonville, Racc . 1974, pagg . 837, 851 ). La Corte ha già precisato che prescrizioni relative all' uso di un determinato tipo d' imballaggio per determinati prodotti costituiscono provvedimenti nazionali atti ad incidere sugli scambi fra gli Stati membri ( causa 261/81, Rau / De Smedt, Racc . 1982, pag . 3961, in particolare pag . 3972, punto 12 della motivazione; causa 194/75, De Peijper, Racc . 1976, pag . 613, in particolare pag . 635; causa 16/83, Prantl, Racc . 1984, pag . 1299, in particolare pag . 1327, punto 25 della motivazione ). La normativa di cui trattasi nella presente fattispecie impedisce o può impedire l' uso di imballaggi nei quali la birra e le bibite sono legittimamente vendute nello Stato membro d' origine . Gli obblighi relativi al deposito, alla raccolta e alla riutilizzazione possono anch' essi ostacolare la libera circolazione delle merci nell' ambito della Comunità . "Prima facie", i provvedimenti sono perciò incompatibili con l' art . 30 del trattato e, a mio avviso, non rientrano in alcuna delle deroghe contemplate dall' art . 36 .

Si tratta quindi di stabilire se ai provvedimenti in esame debba applicarsi il principio enunciato dalla Corte nella causa 120/78, "Cassis de Dijon" ( Racc . 1979, pag . 649, in particolare pag . 662, punto 8 della motivazione ), secondo cui "in mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio (...) spetta agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, tutto ciò che riguarda la produzione e il commercio (...)". Si deve cioè accertare se, nella fattispecie, si tratti di "ostacoli alla circolazione intracomunitaria (...) ( relativi ) al commercio dei prodotti", che "vanno accertati qualora tali prescrizioni possano ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare, all' efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori ".

In proposito va osservato che la direttiva 85/339/CEE del Consiglio ( GU L 176, pag . 18 ), concernente gli imballaggi per liquidi alimentari, riconosce l' interesse del riciclaggio e della riutilizzazione dei materiali contenuti nei rifiuti, nonché l' eventuale impatto degli imballaggi usati sull' ambiente, ma considera, nel preambolo, che i provvedimenti adottati dagli Stati membri devono essere conformi alle disposizioni del trattato riguardanti la libera circolazione delle merci . Essa non stabilisce specifici livelli da raggiungere in materia di tutela dell' ambiente, né specifici metodi da applicare . Spetta agli Stati membri adottare, "nel rispetto delle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione delle merci, (...) mediante provvedimenti legislativi o amministrativi oppure accordi volontari, misure dirette in particolare" a promuovere l' informazione dei consumatori sui vantaggi degli imballaggi nuovamente riempibili o del riciclaggio degli imballaggi, ad agevolare la nuova riempitura e/o il riciclaggio degli imballaggi e, per quanto concerne gli imballaggi non nuovamente riempibili, a promuoverne la raccolta selettiva, a prelevarli dai rifiuti domestici, a conservare e, per quanto possibile, aumentare la quantità di imballaggi nuovamente riempiti e/o riciclati .

La direttiva 80/777/CEE del Consiglio del 15 luglio 1980 ( GU L 229, pag . 1 ) stabilisce che le acque minerali possono essere confezionate soltanto in conformità all' allegato II della direttiva stessa . L' allegato II, n . 2, lett . d ), vieta il trasporto dell' acqua minerale naturale in recipienti che non siano quelli autorizzati per la distribuzione al consumatore finale .

Si deve inoltre osservare che l' Atto unico europeo ha inserito nella parte terza del trattato CEE un nuovo titolo VII, comprendente l' art . 130 R, ai sensi del quale uno degli obiettivi dell' azione della Comunità è quello di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell' ambiente . Si riconoscono la necessità di un' utilizzazione razionale delle risorse e il principio dell' azione preventiva e, mentre al Consiglio è attribuito il potere di agire in forza dell' art . 130 S, "i provvedimenti di protezione adottati in comune in virtù dell' art . 130 S non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti, compatibili con il presente trattato, per una protezione ancora maggiore" ( art . 130 T ).

Nel 1980 la Commissione ha ammesso che l' importanza della tutela dell' ambiente poteva limitare il principio sancito dall' art . 30 del trattato ( GU 1980, C 256, pag . 2 ). Lo stesso orientamento è stato seguito dalla Corte nella causa 240/83 ( Procuratore della Repubblica / Association de défense des brûleurs d' huiles usagées ( ADBHU ), Racc . 1985, pag . 531, in particolare pag . 549, punti 12 e 13 della motivazione ), in cui si riconosce che "il principio della libertà del commercio non ha valore assoluto, ma è soggetto a taluni limiti giustificati dagli scopi d' interesse generale perseguiti dalla Comunità, purché non si comprometta la sostanza di questi diritti", e che la direttiva allora in questione si inseriva "nel quadro della tutela dell' ambiente, che costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità ".

A mio avviso, provvedimenti nazionali adottati per la tutela dell' ambiente possono rispondere ad "esigenze imperative" che, secondo la sentenza emessa nella causa "Cassis de Dijon", in mancanza di una disciplina comunitaria, possono limitare l' applicazione dell' art . 30 del trattato .

La sentenza "Cassis de Dijon" non dà tuttavia carta bianca agli Stati membri : il livello di tutela prescritto per una delle categorie riconosciute non dev' essere, secondo me, eccessivo o irragionevole e i provvedimenti adottati per soddisfare l' esigenza considerata devono essere necessari e proporzionati (( causa 66/82, Fromançais SA / Fonds d' orientation et de régularisation des marchés agricoles ( Forma ), Racc . 1983, pag . 395, in particolare pag . 404, punto 8 della motivazione; causa 116/82, Commissione / Germania, sentenza 18 settembre 1986, punto 21 della motivazione ))). I provvedimenti adottati devono inoltre essere "indistintamente applicabili", dal punto di vista formale e da quello sostanziale, ai prodotti nazionali e ai prodotti importati da altri Stati membri ( causa 113/80, Commissione / Irlanda, Racc . 1981, pag . 1625, in particolare pag . 1639, punto 10 della motivazione; causa 6/81, Industrie Diensten Groep / Beele, Racc . 1982, pag . 707, in particolare pag . 716, punto 7 della motivazione; causa 207/83, Commissione / Regno Unito, Racc . 1985, pag . 1201, in particolare pag . 1212, punti da 19 a 22 della motivazione .

I provvedimenti adottati dalla Danimarca relativamente alle bottiglie autorizzate sono particolarmente efficaci . Il produttore o l' importatore fornisce le bottiglie e le casse, dietro versamento di un deposito, al grossista o al dettagliante, che a sua volta fa pagare lo stesso deposito sulla bottiglia all' acquirente al dettaglio, il quale può restituire la bottiglia a qualsiasi dettagliante che vende birra o bibite . I consumatori recuperano il deposito . Il dettagliante raccoglie le varie bottiglie e le restituisce, risalendo la catena di distribuzione, al produttore o all' importatore, che infine rimborsa il deposito . I mezzi di trasporto dei fornitori partono con casse di bottiglie piene e tornano con casse di bottiglie vuote, e il dettagliante, il grossista o il produttore selezionano le varie categorie di bottiglie . In definitiva, è stato detto, viene restituito il 99% di tali bottiglie e queste possono essere riutilizzate fino a 30 volte . Le bottiglie non restituite dall' acquirente vengono raccolte da ragazzi intraprendenti che, col rimborso del deposito, riescono ad arrotondare le loro piccole entrate .

Gli imballaggi non autorizzati non presentano, si sostiene, gli stessi vantaggi . Benché soggetti al sistema del deposito, essi non possono essere restituiti a qualsiasi dettagliante, bensì unicamente a dettaglianti che detengono scorte della bevanda in questione; di conseguenza, la percentuale di bottiglie restituite è inferiore . Inoltre, per queste bottiglie non è obbligatoria la riutilizzazione ed è invece ammesso ch' esse vengano spezzate e riciclate . Dal fascicolo risulta che nel marzo 1987 circa 31 prodotti importati venivano commercializzati in imballaggi non autorizzati ( controricorso, pagg . 7 e 8 ).

In udienza, la Danimarca ha sottolineato che la Commissione, mentre nella corrispondenza iniziale criticava il divieto relativo alla vendita di birra in recipienti metallici, sembra limitare il ricorso giurisdizionale alle norme riguardanti le bottiglie di vetro e di plastica . La Commissione non ha contestato questo punto . Ma, benché ciò corrisponda al vero e, in via di principio non sembri esservi alcuna differenza tra il divieto relativo alle bottiglie e quello che colpisce le lattine, non ritengo che quanto sostenuto dalla Commissione in merito alle prime sia necessariamente pregiudicato dal fatto che non è stata chiesta alcuna decisione per le seconde .

La Commissione sostiene che i provvedimenti adottati sono eccessivi . Inoltre, essi creerebbero una discriminazione a danno di produttori e importatori di altri Stati membri . A ciò la Danimarca oppone che tutti i provvedimenti adottati sono essenziali per ottenere un grado molto elevato di tutela dell' ambiente e che si tratta di un sistema complesso - autorizzazione, ritiro contro rimborso del deposito e riutilizzazione -, cosicché l' eliminazione di uno dei presupposti compromette l' efficacia dell' intero sistema . Essa obietta inoltre che la Commissione, nel procedimento preliminare, non aveva sostenuto che il sistema avesse effetti discriminatori nei confronti dei produttori di altri Stati membri . Ora, benché sia importante che la lettera di messa in mora e il parere motivato ai sensi dell' art . 169 espongano in modo sufficientemente chiaro la tesi della Commissione, mi sembra che nella fattispecie la seconda lettera di messa in mora e il secondo parere motivato abbiano chiaramente sollevato il problema, indicando che i provvedimenti di cui trattasi imporrebbero al produttore non danese maggiori oneri che non a quello danese . Forse non vengono usate espressamente le parole "discriminazione" e "non indistintamente applicabili", ma il senso generale della motivazione è che gli importatori non danesi incontrano maggiori difficoltà in ragione della normativa adottata in Danimarca . Respingo perciò l' argomento della parte convenuta, secondo cui la Commissione non può far valere che i provvedimenti adottati non fossero indistintamente applicabili .

Pur riconoscendo pienamente l' importanza della tutela dell' ambiente e tenendo conto del fatto che la Comunità e gli Stati membri ne sono sempre più consapevoli, ritengo che la normativa danese imponga gravi restrizioni ai produttori di birra e di bibite stabiliti in altri Stati membri . In primo luogo, si possono usare soltanto bottiglie autorizzate, fatta salva la deroga relativa ai 3 000 hl annui per ciascun produttore . Benché il governo danese affermi che finora l' autorizzazione non è stata rifiutata per alcuna bottiglia, uno dei suoi argomenti essenziali consiste nel sostenere che l' attuale sistema non potrebbe assorbire più di 30 tipi di bottiglie . Qualora, sempre più, produttori di birra di altri Stati membri desiderassero vendere in Danimarca, esiste il rischio che l' autorizzazione non venga rilasciata in quanto non sia possibile giungere alla revoca di una autorizzazione precedente . Di conseguenza, i produttori stabiliti al di fuori della Danimarca dovrebbero fabbricare o acquistare bottiglie di un tipo già approvato, accollandosi costi supplementari come quelli che, ad esempio nella causa Prantl, sono stati considerati costitutivi di una restrizione alla libera circolazione delle merci .

Anche la condizione stabilita nel § 2 del decreto n . 397, nel senso che all' ente dev' essere dimostrato che il sistema di restituzione è tale da garantire la riutilizzazione di un gran numero di bottiglie, pone, a mio avviso, un notevole onere a carico dei produttori stabiliti in altri Stati membri . Essi sono messi di fronte all' alternativa di riportare le bottiglie vuote alle proprie fabbriche negli Stati membri d' origine ( il che implica, secondo me, un costo supplementare dissuasivo ) o di creare impianti per la fabbricazione di birra in loco o per l' imbottigliamento di birra importata in Danimarca in fusti ( anche in tal caso con notevoli costi supplementari che, probabilmente, essi non vorranno sostenere ). Tanto nella direttiva 85/339/CEE del Consiglio quanto nella versione modificata del § 3 del decreto danese si riconosce il riciclaggio come un' alternativa alla riutilizzazione ( naturalmente, per quanto riguarda il secondo testo, entro certi limiti quantitativi ). Se le bottiglie vengono restituite o raccolte, e quindi non sono abbandonate all' aperto, la tutela dell' ambiente è assicurata . A questo scopo non è necessaria la riutilizzazione . Benché la conservazione delle risorse sia un obiettivo importante, non mi sembra che allo stato attuale del diritto comunitario debba essere ammessa la riutilizzazione obbligatoria, se questa ha l' effetto di ostacolare seriamente la libera circolazione delle merci . Perciò, a mio avviso, la limitazione a 3 000 hl annui per produttore relativa alle bottiglie che non possono essere riutilizzate non è giustificata né conforme al principio di proporzionalità .

A prima vista, l' imposizione di un regime obbligatorio di deposito appare ragionevole ed efficace . In definitiva, tuttavia, mi sembra che, in quanto possono essere usate bottiglie non autorizzate, detto sistema abbia un certo effetto restrittivo per coloro che importano da altri Stati membri . Secondo la normativa in vigore, soltanto le bottiglie autorizzate possono essere restituite a qualsiasi negoziante; le bottiglie non autorizzate devono essere rese al dettagliante che vende quel determinato prodotto . Non è escluso che ciò possa avere la conseguenza di dissuadere i consumatori dall' acquistare birre importate, se il recupero del deposito è più difficile ( anche se, evidentemente, è possibile che colui che acquista una birra importata ritorni dal dettagliante per acquistarne dell' altra, riportandogli le bottiglie vuote ). Inoltre, un regime obbligatorio di deposito può essere inattuabile per i "vuoti a perdere ".

E probabile che taluni produttori preferiscano servirsi di bottiglie autorizzate per beneficiare del sistema, il quale consente ai consumatori di restituire le bottiglie a qualsiasi negoziante recuperando il deposito . Anche se, a quanto pare, il regime si applica indistintamente ai fabbricanti di birra danesi e non danesi, e pur essendo stato sostenuto che, prima dell' istituzione del regime obbligatorio di deposito e di restituzione, le birre straniere venivano fabbricate su licenza o imbottigliate in Danimarca, ritengo che, così come funziona attualmente, detto regime implichi maggiori inconvenienti per i produttori stranieri, sia perché la condizione che gli imballaggi debbano essere riutilizzati e non semplicemente riciclati è necessariamente più gravosa per loro che non per i produttori danesi, sia perché l' uso di bottiglie autorizzate per la vendita sul mercato danese può effettivamente richiedere ulteriori spese generali relative ad impianti e macchinari per l' imbottigliamento . Non sono convinto del fatto che le spese a carico dei produttori danesi per la raccolta e la selezione delle bottiglie siano dello stesso ordine di quelle cui devono far fronte i produttori di altri Stati membri .

Sono quindi del parere che la normativa, pur applicandosi in apparenza indistintamente ai produttori danesi e non danesi, ha in pratica effetti più gravosi per questi ultimi . Ciò posto, la Danimarca non può richiamarsi, secondo me, al principio enunciato nella sentenza "Cassis de Dijon", poiché le disposizioni danesi, se non formalmente, almeno in pratica, non sono indistintamente applicabili, anche se - devo riconoscerlo - la tutela dell' ambiente rientra nella categoria delle possibili deroghe ai principi fondamentali .

Spetta alle autorità danesi provare che i provvedimenti sono necessari e non sono sproporzionati per raggiungere uno scopo legittimo ( causa 304/84, Pubblico Ministero / Muller, sentenza 6 maggio 1986, Racc . pag . 1511 ).

La Danimarca ha sostenuto che i consumatori di birra danesi non apprezzano molto le birre estere e che, nel 1985, le birre importate hanno rappresentato solo lo 0,01% del consumo totale ( forse attualmente la percentuale è un po' più alta ). Questo non è, di per sé, un argomento che possa giustificare la restrizione ed anzi, se fosse rilevante, servirebbe piuttosto a dimostrare il contrario, in quanto la minaccia che deriva per l' ambiente dai prodotti importati sarebbe tanto meno grave .

Posso ammettere che, come sostiene il governo danese, in Danimarca si raggiunga il più elevato livello di tutela dell' ambiente per quanto riguarda la raccolta degli imballaggi, anche se, manifestamente, si accetta il rischio che vengano abbandonati all' aperto taluni tipi di bottiglie o imballaggi ( ad esempio bottiglie per il vino, che - si sostiene - sono lasciate in giro solo in piccola percentuale ).

Ammetto pure che possa essere difficile raggiungere con altri metodi lo stesso livello elevato . Tuttavia non ritengo che, qualora la Commissione non sia in grado di provare che lo stesso livello può essere raggiunto con altri specifici mezzi, la Danimarca debba vincere questa causa . Si deve avere un contemperamento di interessi fra la libera circolazione delle merci e la tutela dell' ambiente, anche se, per raggiungere l' equilibrio, il livello di tutela dovesse essere ridotto . Il livello di tutela perseguito dev' essere ragionevole : non sono persuaso del fatto che i vari metodi indicati nella direttiva del Consiglio ed ai quali si è fatto riferimento in udienza ( ad esempio, raccolta selettiva da parte di enti pubblici e privati, sistema volontario di deposito, ammende per abbandono di residui d' imballaggi, educazione dei consumatori sull' eliminazione dei rifiuti ) non consentano di raggiungere un ragionevole livello di tutela, che incida meno drasticamente sulla disciplina dell' art . 30 .

Concludo perciò nel senso che la Corte dovrebbe dichiarare quanto richiesto dalla Commissione e porre le spese a carico della controparte .

(*) Traduzione dall' inglese .