CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
MARCO DARMON
del 23 aprile 1986 ( *1 )
Signor Presidente,
signori Giudici,
1. |
Il ricorrente nella causa principale, A. J. M. van Roosmalen, è un sacerdote olandese collegato al convento di Postel nel Belgio e, nel 1955, veniva inviato come missionario nello Zaire. Nel 1977 egli si iscriveva al regime di assicurazione volontaria contemplato dall'art. 77 della legge olandese relativa al regime generale di assicurazione per l'inabilità al lavoro (Arbeidsongeschiktheidswet, in prosieguo « AAW », Staatsblad 1975, n. 674) a favore delle persone che svolgano attività in un paese in via di sviluppo. Avendo contratto nello Zaire, nel 1981, una malattia invalidante, egli chiedeva, nell'ottobre dello stesso anno, le corrispondenti prestazioni previste dall'AAW. Queste prestazioni, che gli erano state in un primo tempo attribuite con decorrenza dal 12 gennaio 1982, venivano a cessare, il 1° dicembre successivo, per effetto di un provvedimento emesso l'8 dicembre dello stesso anno dall'ente previdenziale competente, convenuto nella causa principale. Questo provvedimento di revoca era fondato sull'art. 10 del regio decreto 19 novembre 1976, adottato per l'attuazione del suddetto art. 77 (Staatsblad 1976, n. 622), il quale stabilisce fra l'altro che « (...) chi è considerato assicurato ha diritto alla concessione di prestazioni per inabilità al lavoro soltanto qualora sia stato inabile al lavoro nel territorio nazionale ininterrottamente per 52 settimane e purché l'inabilità al lavoro continui a sussistere dopo la scadenza di questo periodo ». Ora, come risulta dall'ordinanza del Raad van Beroep di Utrecht, che ha effettuato il rinvio alla Corte, il sig. van Roosmalen, secondo l'ente convenuto, non soddisferebbe tale condizione, poiché il 2 luglio 1982 si era definitivamente stabilito a Postel, dove già aveva regolarmente soggiornato dal marzo 1981. |
2. |
Il giudice olandese si chiede se la suddetta condizione di residenza sia conforme al diritto comunitario. La prima questione è quindi intesa a stabilire se una siffatta condizione, in quanto obbliga, dopo la sopravvenienza del rischio, la persona che sia assicurata volontariamente e che ritorni da un paese in via di sviluppo a stabilirsi nei Paesi Bassi e a soggiornarvi, senza soluzione di continuità, durante 52 settimane, senza poter soggiornare o stabilirsi in un altro Stato membro, costituisca un ostacolo alla libera circolazione delle persone, qual è sancita sia dagli artt. 52 e 53 del trattato, sia da altre norme del diritto comunitario. Con le questioni da 2 a 4, il giudice olandese mira inoltre ad ottenere chiarimenti sulla nozione di « lavoratore non salariato », al fine di stabilire se il ricorrente nella causa principale possa far valere, tenuto conto della natura delle sue attività e della sfera d'applicazione personale dell'AAW, di quanto disposto dall'art. 1, lett. a), sub ii) o iv), del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, « relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità » (GU L 149, pag. 2), come modificato dal regolamento del Consiglio 12 maggio 1981, n. 1390, «che estende ai lavoratori non salariati e ai loro familiari il regolamento (CEE) n. 1408/71 » (GU L 143, pag. 1). Avendo constatato che l'art. 77 dell'AAW, norma che si applica al ricorrente, prende in considerazione, ai fini della concessione di prestazioni d'invalidità, le attività esercitate fuori dal territorio della CEE, il giudice olandese vi chiede, con la quinta questione, se l'AAW possa perciò essere qualificata come « legislazione » ai sensi dell'art. 2 del regolamento n. 1408/71 e, in caso affermativo, se un lavoratore — salariato o non salariato — « il quale sia stato soggetto a tale legislazione esclusivamente in ragione di attività svolte fuori dall'ambito territoriale della CEE possa invocare la tutela del regolamento n. 1408/71 ». Infine, con l'ultima questione, detto giudice vi chiede in sostanza se la condizione relativa al soggiorno o alla residenza nei Paesi Bassi durante l'anno precedente al provvedimento in merito alla concessione delle prestazioni rientri nell'ambito dell'art. 2, n. 4, del suddetto regolamento n. 1390/81, norma riguardante la revoca delle clausole di residenza durante il periodo transitorio successivo al 1° luglio 1982, data di entrata in vigore di detto regolamento (art. 4). |
3. |
Con le sei questioni pregiudiziali suddette viene posto il seguente problema: per opporsi ad una clausola di residenza che condiziona il diritto alle prestazioni d'invalidità contemplate dalla legislazione di uno Stato membro in materia di inabilità al lavoro, un cittadino comunitario può valersi delle disposizioni del regolamento n. 1408/71, quali sono state estese, dal 1o luglio 1982, col regolamento n. 1390/81, ai lavoratori non salariati? Le questioni formulate, così riassunte, richiedono una precisazione e impongono uno schema per la loro trattazione. Come la Commissione, sono del parere che la soluzione della prima questione risulterà necessariamente da quella data all'ultima. Il regolamento n. 1408/71, come modificato dal regolamento n. 1390/81, è stato adottato per dare attuazione a quanto disposto dagli artt. 51 e segg. del trattato CEE, cosicché l'opponibilità della clausola controversa dev'essere valutata alla luce dell'insieme delle relative disposizioni. Tuttavia, tale valutazione è subordinata al previo esame della questione del se, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, l'interessato abbia il diritto di richiamarsi al suddetto regolamento. Benché, infatti, la normativa olandese rientri nel campo d'applicazione materiale del regolamento n. 1408/71, in quanto branca della legislazione sociale relativa alle prestazioni d'invalidità [art. 4, n. 1, lett. b), e allegato VI, punto I, Paesi Bassi, n. 4], dalla motivazione dell'ordinanza di rinvio risulta che il giudice nazionale si chiede se l'interessato rientri nel campo d'applicazione personale di detto regolamento, quale definito nell'art. 2, n. 1, dello stesso, secondo cui « Il presente regolamento si applica ai lavoratori salariati o non salariati che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri e che sono cittadini di uno degli Stati membri (...) ». Più precisamente, tenuto conto della particolare attività svolta dal ricorrente nella causa principale, il giudice a quo nutre dubbi sul fatto che l'interessato possa qualificarsi « lavoratore non salariato », ai sensi dell'art. 1, lett. a), del regolamento n. 1408/71 (questioni da 2 a 4), e si chiede, d'altra parte, se egli possa essere considerato soggetto alla legislazione di uno Stato membro, ai sensi della suddetta disposizione e dell'art. 1, lett. j), del regolamento, dato che l'AAW tiene conto delle attività esercitate al di fuori dell'ambito geografico della Comunità. Perciò, soltanto una volta che siano stati risolti questi due problemi si potrà eventualmente affrontare la questione della conformità della clausola di residenza controversa al diritto comunitario derivato. Sulla nozione di « lavoratore non salariato » |
4. |
Come è stato osservato dalla Commissione, l'AAW subordina il diritto alle prestazioni al fatto che l'interessato, durante l'anno che precede il verificarsi del rischio, abbia esercitato « un'attività lavorativa o una professione » per la quale abbia percepito dei « redditi ». Ora, secondo il diritto tributario olandese, la nozione di redditi non è strettamente limitata agli introiti provenienti dall'esecuzione di un contratto di lavoro o dalla gestione di un'impresa o dall'esercizio di una professione indipendente, ma include più in generale, per riprendere i termini in cui il giudice a quo ha illustrato la terza questione pregiudiziale, i proventi « del lavoro effettuato nell'ambito della vita economica e col quale viene perseguito come fine, o dal quale si può ragionevolmente attendere, tenuto conto delle norme che disciplinano i rapporti sociali, un vantaggio economico ». Con questa definizione, gli effetti che l'AAW produce per i lavoratori subordinati e per i « veri e propri lavoratori » indipendenti si estendono ad una categoria residua di lavoratori « impropriamente » indipendenti, per i quali il giudice di rinvio si chiede se essi possano essere considerati « lavoratori non salariati » ai sensi del regolamento n. 1408/71. E questo il contesto nel quale devono essere considerate le questioni da 2 a 4, relative alla nozione di « lavoratore non salariato ». Prima di esaminare, come ha fatto la Commissione, la portata e il sistema delle disposizioni del regolamento n. 1408/71 rilevanti in proposito, mi sembra necessario ricordare che questo regolamento dev'essere interpretato secondo lo spirito che lo informa e gli obiettivi del trattato cui esso risponde (causa 17/76, Brack, Racc. 1976, pag. 1429, punto 19 della motivazione). Al riguardo, in una giurisprudenza costante, la Corte ha considerato che la normativa comunitaria in materia di previdenza sociale « segue l'orientamento generale della legislazione sociale degli Stati membri, che mira ad estendere i benefici del sistema previdenziale a nuove categorie di persone, in ragione di rischi e vicissitudini identiche » (causa 17/76, loc. cit., punto 20 della motivazione). Perciò, come rilevava l'avvocato generale Mayras nelle sue conclusioni relative alla causa 17/76, Brack (loc. cit., pag. 1463), i criteri socioprofessionali in base ai quali si distinguono le categorie dei lavoratori subordinati o dei lavoratori indipendenti non devono esser intesi, tenuto conto dello scopo stesso dell'art. 51 del trattato — « instaurazione della libertà di circolazione dei lavoratori la più ampia possibile » (causa 75/63, Unger, Racc. 1964, pagg. 348, 364) — « in senso stretto ». Nello stesso ordine di idee l'avvocato generale Gand dichiarava, a proposito del regolamento n. 3, che aveva preceduto l'adozione del regolamento n. 1408/71, che: « la sfera d'applicazione del regolamento viene ad essere delimitata in base ad un criterio desunto dalla previdenza sociale e non dal diritto del lavoro (...) » (causa 19/68, De Cicco, Racc. 1968, pagg. 639, 642). Perciò, secondo l'accezione comunitaria imposta dal trattato stesso, la nozione di lavoratore salariato o non salariato deve comprendere, per ripetere la definizione data nella vostra fondamentale sentenza Unger, « tutti coloro i quali, in quanto tali, e senza riguardo al modo in cui vengono denominati, sono tutelati dai vari sistemi nazionali di previdenza sociale » (causa 75/62, loc. cit., pag. 365). È quindi il collegamento ad un regime previdenziale di uno Stato membro, e non la qualificazione, secondo il diritto interno, dell'attività esercitata, che serve ad « ancorare » il cittadino comunitario al regolamento n. 1408/71. Ora, nella fattispecie è pacifico che l'interessato era assicurato a norma dell'AAW, che, come ho già rilevato, rientra nel campo d'applicazione materiale del regolamento n. 1408/71. |
5. |
Di conseguenza, l'interpretazione della nozione di « lavoratore non salariato » non ha carattere decisivo per l'applicazione della garanzia comunitaria. Tuttavia, qualora tale nozione, che il giudice di rinvio ha chiesto alla Corte d'interpretare, dovesse essere per lui di qualche utilità ai fini della soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente, si dovrebbero fare le seguenti osservazioni. A mio avviso, la suddetta espressione dovrebbe essere intesa in senso lato, come si desume sia dalla surricordata giurisprudenza della Corte, sia dalle stesse disposizioni del regolamento n. 1408/71. Nella fattispecie si tratta di una persona, « (...) coperta da assicurazione volontaria contro uno o più eventi corrispondenti ai settori cui si applica il presente regolamento, nel quadro di un regime di sicurezza sociale di uno Stato membro organizzato a favore dei lavoratori salariati o non salariati o di tutti i residenti o di determinate categorie di residenti ». L'art. 1, lett. a), iv), del regolamento precisa che « i termini ’ lavoratore salariato ’ e ’ lavoratore non salariato ’ designano rispettivamente, qualsiasi persona: (...)
La Commissione ha sottolineato che, secondo questa definizione, da essa qualificata « tautologica », la categoria dei lavoratori non salariati coinciderebbe grosso modo con quella dei lavoratori indipendenti. Si è quindi indotti a ricercare, così come hanno fatto il giudice di rinvio, i Paesi Bassi e la Commissione, criteri più precisi nelle altre disposizioni dell'art. 1, lett. a), del regolamento n. 1408/71. Questo modo di procedere è giustificato dalla necessità di un'interpretazione uniforme. A dire il vero, soltanto l'art. 1, lett. a), ii), relativo all'assicurazione obbligatoria, fornisce criteri più concreti. Esso si riferisce, infatti, sia alle modalità di gestione o di finanziamento del regime previdenziale applicabile, in quanto permettano di identificare l'interessato quale lavoratore salariato o non salariato, sia, « in mancanza di tali criteri », alla definizione di cui all'allegato I, nel quale il legislatore comunitario ha ritenuto, in conformità all'ultimo punto del preambolo del regolamento n. 1390/81, « necessario precisare (...) che cosa si debba intendere col termine ” lavoratore salariato ” e ” lavoratore non salariato ” ai sensi del regolamento (CEE) n. 1408/71, qualora l'interessato sia soggetto a un regime di sicurezza sociale applicabile a tutti i residenti, a talune categorie di residenti o all'insieme della popolazione attiva di uno Stato membro (...) ». Per quanto riguarda i Paesi Bassi, al punto I del suddetto allegato si precisa che: « il termine ’ lavoratore non salariato ’, ai sensi dell'art. 1, lett. a), punto ii), del regolamento, designa la persona che esercita un'attività lavorativa o una professione senza essere legata da un contratto di lavoro ». In proposito, l'analisi comparativa delle varie versioni linguistiche di questo testo, effettuata dalla Commissione, porta ad un'interpretazione in senso lato. La suddetta definizione riguarda quindi non soltanto le attività professionali (significato letterale della versione olandese), ma anche, più in generale, qualsiasi attività svolta al di fuori di un rapporto di lavoro subordinato, qualora sia retribuita. Salariati e non salariati hanno infatti in comune la caratteristica di percepire un reddito come corrispettivo per il lavoro svolto. Nulla osta, perciò, a che si qualifichino « lavoratori non salariati » persone che, senza essere legate da un contratto di lavoro, abbiano esercitato un'attività per la quale abbiano percepito come corrispettivo redditi ai sensi del diritto tributario olandese, diversi da quelli provenienti dall'esercizio di una professione indipendente o dalla gestione autonoma di un'impresa. |
Sulla nozione di « legislazione »
6. |
L'art. 77 dell'AAW estende il diritto di assicurarsi a coloro che abbiano esercitato o esercitino « attività in un paese che (...) può essere considerato in via di sviluppo ». Ci si chiede ora se le persone così assicurate, in forza di una legislazione che prende in considerazione le attività esercitate in Stati non facenti parte del territorio della Comunità, quale è definito dall'art. 227 del trattato CEE, rientrino nel campo d'applicazione personale del regolamento n. 1408/71, a sua volta definito dall'art. 2, n. 1, nonché dall'art. 1, lett. j), dello stesso regolamento, secondo cui « il termine ’ legislazione ’ indica, per ogni Stato membro, le leggi, i regolamenti, le disposizioni statutarie e ogni altra misura di applicazione, esistenti o future, concernenti i settori e i regimi di sicurezza sociale di cui all'articolo 4, paragrafi 1 e 2 ». La risposta a questo interrogativo dev'essere affermativa. Come l'avvocato generale Capotorti, ritengo anch'io, infatti, che, « per definire la sfera d'applicazione del regolamento n. 1408/71, occorre attribuire importanza determinante non al criterio del luogo dove l'attività lavorativa si è svolta, ma a quello costituito dal rapporto del lavoratore, ovunque egli si sia trovato o si trovi ad esercitare la sua attività, con l'organizzazione previdenziale di uno Stato membro ». Come precisa ulteriormente lo stesso avvocato generale, « non si tratta di estendere il beneficio [della normativa comunitaria] a periodi assicurativi compiuti nell'ambito del regime previdenziale di [un paese terzo], ma solo di attribuire carattere determinante al fatto che i periodi assicurativi siano stati compiuti nel quadro di un regime previdenziale istituito da uno Stato membro » (causa 87/76, Bozzone, Racc. 1977, pagg. 687, 706). Nello stesso senso, confermando la giurisprudenza Bozzone, che seguiva le suddette conclusioni, la Corte ha dichiarato, nella sentenza emessa nella causa 150/79, Commissione/Belgio (Racc. 1980, pag. 2621), a proposito di una normativa belga « che pone sotto il controllo e sotto la garanzia dello Stato belga gli enti che gestiscono la previdenza sociale degli impiegati del Congo belga e del Ruanda-Urundi (...) » (causa 150/79, punto 2 della motivazione), che un siffatto regime « istituito da una legge belga, amministrato, sotto il controllo dello Stato belga, da un ente pubblico di diritto belga e che, come regola generale, non produce effetti attuali nelle ex colonie belghe ma, soprattutto, nel territorio metropolitano belga (...) può pregiudicare la circolazione dei lavoratori nell'ambito della Comunità, la cui libertà è garantita dagli artt. da 48 a 51 del trattato e dalla normativa comunitaria ». La Corte ne ha desunto che « stando così le cose, il semplice fatto che qualsiasi prestazione tragga origine dai periodi di assicurazione maturati anteriormente al 1° luglio I960, al di fuori del territorio comunitario, non può implicare la non applicazione della normativa comunitaria sulla previdenza sociale» (causa 150/79, punto 7 della motivazione). Si deve perciò ritenere che la legge olandese relativa all'inabilità al lavoro, la cui applicazione si estende, a norma dell'art. 77, alle persone che abbiano svolto attività in un paese in via di sviluppo, costituisce una « legislazione » ai sensi degli artt. 1, lett. j), e 2, n. 1, anche perché il regime previdenziale così istituito è, d'altra parte, amministrato, sotto il controllo dello Stato, da un ente olandese. Questo elemento di collegamento istituzionale costituisce il criterio decisivo per l'applicazione del regolamento n. 1408/71, cosicché è irrilevante il fatto che l'assicurato abbia svolto esclusivamente o meno le proprie attività in un paese terzo. Nella stessa prospettiva, su tale conclusione non incidono i particolari legami che uniscano tale paese e lo Stato membro considerato (circostanza che caratterizzava le relazioni esistenti fra il Belgio e le sue ex colonie nelle due cause suddette). È vero che la Corte ha rilevato l'esistenza di tali legami nella sentenza Bozzone. Tuttavia, né in questa sentenza, né soprattutto nella sentenza dichiarativa di inadempimento emessa nella causa 150/79, la qualificazione della legge belga come « legislazione » ai sensi del regolamento n. 1408/71 è stata determinata dalla particolare natura dei legami esistenti fra i due Stati considerati. Ritengo perciò che la disposizione olandese di cui trattasi debba essere qualificata « legislazione » ai sensi dell'art. 2, n. 1, del regolamento n. 1408/71. |
Sulla clausola di residenza
7. |
Resta quindi da accertare se la controversa condizione di residenza — esser stato « inabile al lavoro nel territorio nazionale ininterrottamente per 52 settimane » — sia o meno compatibile con quanto disposto dall'art. 2, n. 4, del regolamento n. 1390/81, secondo cui « ogni prestazione che non sia stata liquidata o che sia stata sospesa a causa della cittadinanza o della residenza dell'interessato è liquidata o ristabilita, a richiesta dell'interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento (...) », ossia il 1° luglio 1982 (art. 4). La suddetta norma ha lo scopo di consentire, a partire da tale data, alle persone che rientrano nel campo d'applicazione personale dei regolamenti comunitari di cui trattasi, di beneficiare delle prestazioni previdenziali di cui sia stata loro rifiutata la liquidazione o di cui, dopo la liquidazione, sia stato sospeso il versamento « a causa della cittadinanza o della residenza dell'interessato ». In proposito il giudice olandese si chiede se la suddetta condizione di residenza, cui è subordinata l'esistenza stessa del diritto alle prestazioni d'invalidità, non sia priva d'effetto in ragione di quanto disposto dall'art. 2, n. 4, anche se questa norma sembra riguardare soltanto l'ipotesi in cui all'assicurato si rifiuti la liquidazione dei suoi diritti o il versamento delle relative prestazioni, in següito al fatto che egli abbia trasferito la propria residenza in uno Stato membro diverso in cui si trova l'ente previdenziale debitore della prestazione. Tale questione, come risulta dalle osservazioni presentate dai Paesi Bassi e dalla Commissione, solleva il problema relativo alla portata del principio della « revoca delle clausole di residenza », che viene enunciato nell'art. 10, n. 1, del regolamento n. 1408/71 e che l'art. 2, n. 4, del regolamento n. 1390/81 non fa altro che applicare per un periodo transitorio. In concreto si tratta di stabilire se detta norma riguardi una condizione per l'acquisto del diritto, o semplicemente per la realizzazione o la conservazione dello stesso. In proposito, l'art. 10, n. 1, del regolamento n. 1408/71, che ribadisce in sostanza le disposizioni del precedente regolamento n. 3, stabilisce quanto segue: « Salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni in danaro per invalidità (...) acquisite in base alla legislazione di uno o più Stati membri (...) non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l'istituzione debitrice » (il corsivo è mio). La Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi sul significato da dare al termine « acquisiti » che figura in questo articolo. Tale norma — è stato precisato nella sentenza Śmieja — mira « a favorire la libera circolazione dei lavoratori, tutelandoli contro gli inconvenienti che potrebbero conseguire dal trasferimento della residenza da uno Stato membro all'altro » (causa 51/73, Race. 1973, pag. 1213, punto 20 della motivazione). Nella sentenza Caracciolo, la Corte ha quindi dichiarato che « (...) in forza di tale disposizione, non soltanto l'interessato conserva il diritto di fruire delle pensioni, delle rendite e degli assegni acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri, anche dopo aver stabilito la propria residenza in un altro Stato membro, ma inoltre non può essergli precluso l'acquisto di un siffatto diritto per l'unico motivo che egli non risiede nel territorio dello Stato in cui si trova l'istituzione debitrice » (causa 92/81, Race. 1982, pag. 2213, punto 14 della motivazione; il corsivo è mio). Questa soluzione è determinata da quanto disposto dall'art. 51 del trattato CEE, il cui scopo — come la Corte ha ricordato nella recente sentenza Spruyt — consiste « nel contribuire all'istituzione della libertà di circolazione più completa possibile dei lavoratori migranti, principio che costituisce uno dei fondamenti della Comunità ». La Corte ha sottolineato inoltre che: « Lo scopo degli artt. da 48 a 51 non sarebbe raggiunto se i lavoratori, come conseguenza dell'esercizio del diritto di libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali garantiti loro dalla legge di uno Stato membro » (sentenza 28 febbraio 1986, causa 284/84, Spruyt, punti 18 e 19 della motivazione). Questa giurisprudenza impone quindi, in via di principio, l'abolizione di tutte le clausole di residenza che condizionano non soltanto la conservazione dei diritti già acquisiti, ma anche il sorgere del diritto a prestazioni. È in questo contesto che si colloca l'art. 2, n. 4, del regolamento n. 1390/81. Questa norma permette infatti ai lavoratori non salariati il cui diritto sarebbe sorto anteriormente al 1o luglio 1982, se avessero soddisfatto la condizione di residenza, di evitare che sia loro opposto l'art. 2, n. 1, secondo cui il suddetto regolamento « non fa sorgere alcun diritto per il periodo antecedente alla data della sua entrata in vigore », e di valersi, a decorrere da tale data, dell'art. 10 del regolamento n. 1408/71, qual è stato interpretato dalla Corte. Vorrei fare, tuttavia, due osservazioni.
«l'art. 10 del regolamento non pregiudica le disposizioni in virtù delle quali gli infortuni (e le malattie professionali) sopravvenuti fuori del territorio della Repubblica federale di Germania, nonché i periodi compiuti fuori di tale territorio, non danno luogo o danno luogo soltanto a determinate condizioni al pagamento di prestazioni quando i titolari risiedono fuori del territorio della Repubblica federale di Germania ». Per contro, riguardo alla « applicazione della legislazione olandese sull'assicurazione contro l'inabilità al lavoro », considerata nell'allegato VI, sub I, Paesi Bassi, punto 4, non è prevista alcuna eccezione di questo tipo. In mancanza di una siffatta eccezione, dev'essere applicato il principio generale di cui all'art. 10, n. 1.
« (...) le persone cui è applicabile il presente regolamento sono soggette alla legislazione di un solo Stato membro (...) » (il corsivo è mio). |
8. |
In base a tutto quanto precede, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali sottopostele dal Raad van Beroep di Utrecht:
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( *1 ) Traduzione dal francese.