CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

SIR GORDON SLYNN

dell'11 luglio 1985 ( *1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

Il presente rinvio a norma dell'art. 177 del trattato CEE riguarda la direttiva del Consiglio 77/780, relativa al coordinamento delle disposizioni, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso all'attività degli enti creditizi e il suo esercizio (GU 1977, L 322, pag. 30).

A norma di detta direttiva, gli Stati membri devono prescrivere che gli istituti di credito vengano autorizzati dalle autorità di controllo prima d'iniziare la loro attività. Detta autorizzazione può venir concessa solo se sono soddisfatte le condizioni poste dalla direttiva. Inoltre, gli istituti di credito sono soggetti a costante controllo e, a norma dell'art. 8, l'autorità di controllo può, in determinati casi, revocare l'autorizzazione concessa ad un istituto di credito. Di conseguenza, l'art. 7 stabilisce che le autorità di controllo dei vari Stati membri devono collaborare strettamente onde controllare gli istituti di credito presenti in più di uno Stato membro. La stessa disposizione stabilisce che a questo scopo essi devono reciprocamente scambiarsi « tutte le informazioni concernenti la direzione, la gestione e la proprietà di tali enti creditizi che possano facilitarne la vigilanza ed agevolare l'esame delle condizioni per la relativa autorizzazione, nonché tutte le informazioni atte a facilitare il controllo della loro liquidità e solvibilità ». Per garantire che le autorità di controllo potessero svolgere questo incarico senza ostacoli, era chiaramente necessaria una disposizione sul segreto d'ufficio.

In forza dell'art. 12:

« 1)

Gli Stati membri prescrivono per tutte le persone che esercitano o hanno esercitato un'attività presso le autorità competenti l'obbligo del segreto d'ufficio. In virtù di questo obbligo, nessuna informazione riservata da esse ricevuta in ragione dell'ufficio può essere divulgata a qualsiasi persona o autorità se non in forza di disposizioni legislative.

2)

Il paragrafo 1 non impedisce tuttavia alle autorità competenti dei vari Stati membri di scambiarsi le informazioni previste dalla presente direttiva. Tali informazioni sono coperte dal segreto cui sono tenute le persone che esercitano o hanno esercitato un'attività presso l'autorità competente che le riceve.

3)

Salvo i casi di competenza penale, l'autorità che riceve le informazioni può servirsene soltanto per l'esame delle condizioni di accesso degli enti creditizi, per facilitare il controllo della liquidità e della solvibilità di tali enti e delle condizioni di esercizio dell'attività, o in connessione a ricorsi amministrativi contro le decisioni dell'attività competente, o nel caso di azioni in sede giurisdizionale ai sensi dell'art. 13.»

Il rinvio pregiudiziale ha avuto la seguente origine. Il 27 luglio 1981 l'ente locale attore depositava 600000 fiorini presso l'Amsterdam American Bank NV. Il 23 ottobre dello stesso anno la banca veniva dichiarata insolvente. Il 2 agosto 1982 l'ente locale chiedeva ed otteneva un'ordinanza per l'escussione di testimoni a futura memoria cosa che il diritto olandese consente prima che inizi il giudizio di merito. Il convenuto, sig. Hillenius, era uno dei testimoni chiamati a deporre su questioni relative al fallimento e compariva regolarmente. Egli è il capo dell'ufficio contabilità della De Nederlandsche Bank NV, la banca centrale dei Paesi Bassi, che è l'organo di controllo nei Paesi Bassi a norma della direttiva. Dinanzi al giudice, il convenuto rifiutava di rispondere a diverse domande, adducendo che erano coperte dal segreto bancario. Dette domande riguardavano il modo nel quale De Nederlandsche Bank aveva svolto il controllo sull'istituto fallito e riguardavano in particolare diverse operazioni nell'America latina. Scopo delle domande pare fosse quello di corroborare l'assunto dell'attore, secondo il quale la banca centrale non aveva proceduto ad adeguati controlli sull'attività dell'American Amsterdam Bank. Come l'Hillenius ha dichiarato nelle osservazioni scritte, egli è pienamente appoggiato dalla banca centrale.

La controversia quanto all'obbligo dell'Hillenius di fornire le informazioni in questione verteva in particolare sull'art. 12 della direttiva 77/780, ma entrano in linea di conto pure due disposizioni di diritto olandese. Una è l'art. 46, n. 1, della legge sul controllo del credito (Wet Toezicht Kredietwezen), che è stata emendata per dare attuazione alla direttiva. Per quanto ci interessa esso recita:

« È fatto divieto a chiunque svolga compiti in ragione dell'applicazione della presente legge o dei decreti emanati in forza della presente legge di usare o rendere noti dati e informazioni forniti in base alla presente legge, o dati e informazioni ottenuti in occasione dell'ispezione di libri contabili e documenti, più ampiamente di, o diversamente da, quello che è necessario per lo svolgimento del suo compito o è richiesto dalla presente legge. »

La seconda norma è l'art. 1946 del codice civile olandese che, per quanto ci interessa, recita :

« Chiunque possieda i requisiti del testimone deve deporre dinanzi al giudice.

Tuttavia, sono dispensati dal deporre:

( ...)

3)

Tutti coloro che siano tenuti ad osservare il segreto in ragione del loro stato, professione o status giuridico, ma solo ed esclusivamente in merito a ciò che sia stato loro confidato in quanto tali. »

Il tribunale disattendeva la pretesa dell'Hillenius di essere dispensato dal rispondere a determinate questioni; la corte d'appello accoglieva invece questa tesi.

La causa perveniva infine dinanzi allo Hoge Raad (Corte suprema dei Paesi Bassi), il quale, di fronte a questi due atteggiamenti antitetici, ha sottoposto alla Corte le tre seguenti questioni pregiudiziali:

« 1)

Se l'art. 12, n. 1, il quale stabilisce ciò che gli Stati membri devono prescrivere, si riferisca anche alle deposizioni effettuate dalle persone menzionate nella prima frase della suddetta disposizione in qualità di testimoni in una causa civile.

2)

In caso di soluzione affermativa, se l'art. 12, n. 1, debba essere inteso nel senso che, in relazione a siffatte disposizioni, un'eccezione basata su di una disposizione legislativa — ai sensi dell'ultima frase dell'art. 12, n. 1, che inizia con le parole “ se non ” (“ tenzij ”) — può essere ammessa soltanto qualora possa essere basata su una disposizione legislativa specificamente intesa a stabilire una deroga al divieto di divulgare le informazioni contemplate.

3)

Oppure se — sempre in caso di soluzione affermativa della prima questione — l'art. 12, n. 1, consenta di considerare una norma di carattere generale quale l'art. 1946, n. 1, del codice civile olandese come una disposizione legislativa in forza della quale possono essere divulgate le informazioni contemplate dall'art. 12, n. 1. »

Hanno presentato osservazioni le parti nella causa principale, la Commissione e i governi tedesco, italiano e del Regno Unito.

A mio parere, il n. 1 dell'art. 12 stabilisce il principio generale. Nessuna informazione riservata ricevuta da un dipendente (o ex-dipendente) di un'autorità competente può essere fornita ad alcuna persona o autorità, salvo che una disposizione di legge lo prescriva. Questa norma riguarda tutte le informazioni riservate provenienti da qualsiasi fonte; gli Stati membri devono garantire l'osservanza dell'obbligo del segreto d'ufficio per quanto riguarda tutte queste informazioni.

Il n. 2 tratta un caso particolare che rientra nel principio generale. Il divieto generale di divulgare le informazioni riservate non impedisce alle competenti autorità dei vari Stati membri di trasmetterle alle competenti autorità degli altri Stati membri. Ciò è manifestamente inevitabile se si vuole che il controllo e la collaborazione voluti dalla direttiva siano efficaci. Il divieto vige tuttavia per i dipendenti o gli ex-dipendenti delle competenti autorità degli Stati membri che ricevono le informazioni.

Il n. 3 non tratta della divulgazione delle informazioni, bensì del loro « uso ». Questo può implicare la divulgazione, ma se è solo interno, allo scopo di giungere ad una decisione, non ha necessariamente questo effetto. Salvo i casi di competenza penale, le informazioni ricevute dalle competenti autorità possono essere usate solo per gli scopi indicati, cioè per esaminare le domande di autorizzazione e l'attività degli enti creditizi, per facilitare il controllo della loro solvibilità o in relazione a ricorsi amministrativi 0 ad azioni giurisdizionali a norma dell'art. 13 della direttiva. Non possono essere usate per altri scopi. Il termine « informazioni » che compare al n. 3 mi pare si riferisca al n. 1 dell'art. 12 e non solo a quelle indicate al n. 2. Se si fosse voluto dire il contrario, mi sembra che il n. 3 avrebbe dovuto essere un comma del n. 2 oppure avrebbe dovuto riferirsi a « le informazioni di cui si tratta nel n. 2 del presente articolo ». Nel testo francese « les informations » di cui al n. 3 si richiama a « les informations confidentielles » di cui al n. 1 e non a « ces information » di cui al n. 2.

Ne consegue che non concordo con la Commissione la quale fa una chiara distinzione tra il n. 1 (riguardante tutte le informazioni ottenute da fonti diverse dalle competenti autorità degli Stati membri) e i nn. 2 e 3 (informazioni ricevute dalle competenti autorità di altri Stati membri).

Quanto alla prima questione, non vedo alcun valido motivo per intendere il divieto di cui all'art. 12, n. 1, nel senso che non si applichi ai casi in cui dipendenti o ex dipendenti delle competenti autorità devono testimoniare in una causa civile. Può essere un uso insolito della lingua il chiamare un tribunale civile « qualsiasi persona o autorità », ma in questa direttiva l'espressione a mio parere, comprende gli organi giurisdizionali. Se il divieto di divulgazione non è generale, salve restando le « disposizioni legislative », le competenti autorità non otterranno le informazioni di cui hanno bisogno. Non condivido la tesi del comune di Hillegom secondo cui questa testimonianza è un problema di diritto processuale che esula dall'art. 12. Per conto mio, risolverei la prima questione in senso affermativo.

Con la seconda questione si chiede in sostanza se le « disposizioni legislative » debbano essere adottate appositamente ai fini della direttiva. A mio parere, queste disposizioni non sono necessariamente così limitate. Se norme nazionali preesistenti dispongono una deroga nel campo specificamente disciplinato dalla direttiva, in modo compatibile con la direttiva stessa, secondo me dette norme possono costituire una « disposizione legislativa » ai sensi della direttiva. Il Regno Unito sostiene che dette disposizioni possono comprendere tanto pronunzie dei giudici quanto norme di legge. Secondo il sistema della common law, appare necessario, o quantomeno auspicabile, che una deroga del genere venga inclusa. Tuttavia, poiché tutte le versioni linguistiche della direttiva devono avere lo stesso senso, è necessario esaminare le altre versioni per risolvere il problema. Pare, se non erro, che esse si riferiscano solo alle norme di legge, ad esclusione della giurisprudenza. Infatti la versione francese reca « dispositions législatives », quella tedesca « Rechtsvorschriften ». Giacché non si fa alcun espresso riferimento alla giurisprudenza (particolarmente del Regno Unito e dell'Irlanda) la lettera della versione inglese va intesa, secondo me, nel senso di norme di legge.

La terza questione è più difficile. Se la distinzione della Commissione fra a) il n. 1 e b) i nn. 2 e 3 dovesse essere accettata, ci potrebbe essere una differenza tra le disposizioni di legge che potrebbero venir adottate, ai fini dell'art. 12, n. 1, in relazione alle informazioni ottenute da fonti diverse dalle competenti autorità di altri Stati membri, e l'uso specifico delle informazioni ricevute dalle altre autorità indicate nel n. 3. Partendo dal punto di vista che questa distinzione non esiste, si può ancora sostenere in modo convincente che le « disposizioni legislative » ai sensi dell'art. 12, n. 1, devono essere limitate agli usi indicati nell'art. 12, n. 3. Da questo punto di vista si sostiene che la soluzione della terza questione dev'essere negativa, giacché norme del tipo in questione esulano dall'art. 12, n. 3.

L'argomento più persuasivo a favore di quest'ultimo assunto è che, se così non fosse, gli Stati membri disporrebbero di un ampio potere discrezionale in fatto di deroghe; i giudici nazionali non dispongono di criteri stabiliti dalla direttiva che consentano loro di decidere se le deroghe sono compatibili con la direttiva. In definitiva ne deriverebbe una notevole incertezza.

Nonostante la suggestione di questo assunto, sono giunto alla conclusione che esso va disatteso. Benché il diritto nazionale debba garantire che le informazioni possano essere usate per gli scopi indicati nell'art. 12, n. 3, non mi pare che le disposizioni di legge, che io intendo nel senso di diritto nazionale, siano limitate a questo fine. Questa direttiva è un primo passo verso l'armonizzazione delle norme nazionali in fatto di istituti di credito. Le norme nazionali sulle informazioni riservate e sul diritto o dovere di astenersi dal rispondere variano e non sono ancora state armonizzate. Nella presente situazione, per quanto deplorevolmente imprecisi possano essere i risultati, mi pare che gli Stati membri abbiano un potere discrezionale a norma dell'art. 12, n. 1, della direttiva per conservare in vigore o istituire deroghe ai divieti di divulgazione, che non sono limitate alle ipotesi contemplate dall'art. 12, n. 3. Dette deroghe devono tuttavia essere compatibili con l'intento generale della direttiva. Deroghe che ostacolano gravemente la divulgazione delle informazioni alle competenti autorità, o che potessero avere gravi conseguenze per la stabilità degli istituti di credito e che non potessero essere giustificate da altre considerazioni d'ordine superiore dettate dal pubblico interesse, non sarebbero compatibili con l'intento generale della direttiva.

Le difficoltà inerenti a questa soluzione derivano dal presente stadio di sviluppo della normativa comunitaria. Esse a mio parere, in mancanza di norme espresse, non possono essere evitate interpretando gli usi indicati nell'art. 12, n. 3, come limitazione del potere degli Stati membri di mantenere in vigore o istituire un'idonea normativa ai sensi dell'art. 12, n. 1.

Una disciplina come quella contenuta nell'art. 1946 del codice civile olandese non mi pare a prima vista incompatibile con l'art. 12, n. 1, della direttiva.

L'art. 5, n. 3, della direttiva del Consiglio 18 luglio 1983, 83/350 (GU 1983, L 193, pag. 18) non mi pare possa far mutare le conclusioni cui sono giunto.

Di conseguenza, a mio parere, le questioni pregiudiziali dovrebbero essere risolte secondo questi criteri:

1)

L'obbligo del segreto d'ufficio prescritto dall'art. 12, n. 1, della direttiva 77/780 del Consiglio comprende il deporre nelle cause civili da parte di coloro cui detta disposizione si riferisce.

2)

Le norme di legge possono costituire « disposizioni legislative » ai sensi dell'art. 12, n. 1, anche se non sono state emanate specificamente per dare esecuzione a detto articolo, purché sia sufficientemente chiaro dal loro tenore che si riferiscono al settore in esame.

3)

Le « disposizioni legislative » ai sensi dell'art. 12, n. 1, della direttiva non sono limitate a quelle riguardanti gli usi indicati nell'art. 12, n. 3, della direttiva, ma possono includere altre norme nazionali riguardanti l'obbligo di testimoniare in cause civili che non siano incompatibili con gli scopi complessivi della direttiva.

La Commissione e i governi che hanno presentato osservazioni dovrebbero sopportare le proprie spese. Sulle spese delle parti nella causa principale deve provvedere il giudice nazionale.


( *1 ) Traduzione dall'inglese.