CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

SIR GORDON SLYNN

del 2 ottobre 1984 ( *1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

la legge della Repubblica francese n. 75/600 (JORF dell'11 luglio 1975) contempla il riconoscimento di determinate organizzazioni fra categorie che rappresentano la produzione agricola di una determinata merce. A norma dell'art. 5 di questa legge le organizzazioni fra categorie istituite per legge o per decreto, esistenti alla data di promulgazione della legge, potevano a loro richiesta fruire degli artt. 2, 3 e 4 della legge stessa. A norma dell'art. 2 gli accordi conclusi dalle organizzazioni fra categorie possono essere « estesi », in tutto o in parte, per un determinato periodo ad opera della competente autorità amministrativa, qualora mirino, fra l'altro, a garantire l'osservanza delle norme riguardanti i prezzi. Questi accordi devono essere il frutto di una decisione unanime dei membri ovvero essere posti in essere secondo il procedimento stabilito dalla legge. L'effetto dell'« estensione » è che l'accordo diviene obbligatorio nelle zona di produzione per tutti i membri delle categorie che partecipano all'organizzazione. A norma dell'art. 4, sono nulli i contratti, stipulati per la compravendita di prodotti da persone cui un accordo esteso si riferisce, che non siano conformi all'accordo stesso. Uno dei presupposti dell'estensione è che l'accordo sia compatibile con le norme della CEE (art. 2).

Il Bureau national interprofessionnel du cognac (BNIC) è una persona giuridica istituita con decreto ministeriale e finanziata da tributi parafiscali gravanti sui membri del settore. Il suo compito comprende lo studio e la preparazione di norme riguardanti l'acquisto, la distribuzione, la distillazione, lo smercio, l'immagazzinamento e la vendita di vini e acquaviti prodotte nella regione francese di Cognac.

Da una lettera in data 14 aprile 1977 inviata dal ministero francese dell'agricoltura al direttore del BNIC si desume che questo ente aveva difficoltà a far osservare i prezzi che aveva fissato. Il BNIC chiedeva quindi di poter fruire della legge n. 75/600 in modo che i suoi accordi potessero essere « estesi » a norma di detta legge. Gli accordi stipulati nel suo seno venivano in seguito « estesi ».

All'epoca dei fatti di cui è causa l'organizzazione interna del BNIC era disciplinata dalle norme adottate il 19 giugno 1978 e approvate con decreto del ministro dell'agricoltura 2 agosto 1978 (JORF 16-17 agosto 1978). Secondo queste norme i membri del BNIC sono divisi in due « famiglie » che rappresentano le due frazioni dell'industria del cognac, che chiamerò i « commercianti » ed i « viticultori », più un terzo gruppo composto da rappresentati di varie attività connesse. I membri sono nominati dal ministro dell'agricoltura da elenchi stesi dalle organizzazioni di categoria. Ciascuna famiglia nomina un rappresentante ufficiale e può riunirsi per suo conto. Il direttore del BNIC assiste alle riunioni e può intentare azioni legali per conto del BNIC in caso di inosservanza degli accordi fra categorie « estesi » con decreto ministeriale. È pure stabilito che il ministro nomini un « commissario del governo » il cui compito consiste nell'assistere a tutte le riunioni del BNIC e che può approvare le decisioni dello stesso ovvero sottoporle al ministro per l'approvazione. La sentenza di rinvio indica che il « commissario del governo » è il funzionario esecutivo del BNIC.

Il primo stadio del procedimento per giungere ad un accordo fra categorie in seno al BNIC consiste nell'invitare l'assemblea generale straordinaria del BNIC ad elaborare un accordo fra categorie. Ciò avviene in una assemblea generale ordinaria dopo che la questione è stata discussa in riunioni delle due famiglie e dei rappresentanti delle attività connesse. Il progetto di accordo viene preparato da un comitato permanente composto da otto membri del BNIC. Esso viene sottoposto per l'approvazione ad assemblee di ciascuna famiglia. L'assemblea generale straordinaria ascolta poi la relazione del rappresentante ufficiale di ciascuna famiglia. Dopo discussione ed eventuale consultazione delle assemblee delle due famiglie, il parere di ciascuna famiglia sul progetto di accordo viene reso noto all'assemblea generale. Se le famiglie sono d'accordo sul progetto, l'assemblea generale straordinaria chiede al ministro di « estendere » l'accordo. In caso di disaccordo si può procedere ad arbitrato.

La presente causa riguarda un accordo fra categorie per la stagione 1980/1981 raggiunto dalle famiglie nell'assemblea generale del BNIC tenuta il 7 novembre 1980. Esso veniva firmato dai rappresentanti delle due famiglie e dal direttore del BNIC, sottoposto al ministro per l'estensione e reso obbligatorio con decreto ministeriale 27 novembre 1980 (JORF 3 dicembre 1980).

Nell'accordo si dichiara che esso vale per la Francia metropolitana e per i produttori o distillatori professionali di vini bianchi o acquaviti aventi diritto alla denominazione cognac (art. 1) e che esso è stato approvato all'unanimità dalle famiglie, le quali avevano chiesto che fosse esteso per intero. L'accordo fissa prezzi minimi per i vini destinati alla distillazione, il prezzo dell'acquavite distillata nel 1980 e negli anni precedenti, nonché un prezzo minimo per il cognac (vedi artt. 2, 3, 4, 5 e 8).

Benché rechi una data anteriore, l'accordo risulta essere l'accordo fra categorie che avrebbe dovuto essere posto in essere a norma della decisione 13 novembre 1980 del commissario del governo presso il BNIC. Questa decisione riguarda quote di produzione ed i quantitativi che devono essere acquistati dai commercianti, nonché la tenuta delle scorte. A norma dell'art. 17, i prezzi per i vini destinati alla produzione di cognac dovevano essere fissati da un accordo tra categorie.

Il sig. Clair è un commerciante di cognac ed è debitamente iscritto come tale. Fra il 10 dicembre 1980 e il 30 giugno 1981 egli acquistava circa 146 ettolitri di acquaviti da vari produttori a prezzi inferiori a quelli stabiliti dall'accordo fra categorie. Il BNIC gli faceva causa per ottenere l'annullamento dei contratti e il risarcimento dei danni. Dinanzi al Tribunal de grande instance di Saintes, il Clair eccepiva che l'accordo era in contrasto con l'art. 85 del trattato CEE. Il Tribunal de grande instance sottoponeva allora a questa Corte tre questioni pregiudiziali. È opportuno considerare congiuntamente le prime due:

«1)

Se per il fatto che riunisce nel proprio seno la famiglia dei viticultori e quella dei commercianti, il Bureau national interprofessionnel du cognac debba essere considerato un'associazione di imprese, dato che l'accordo è stato firmato del pari dal suo presidente.

2)

Se la fissazione da parte della famiglia dei viticultori, d'intesa con la famiglia dei commercianti, di un prezzo minimo d'acquisto per le acquaviti debba essere considerata una pratica concordata. »

Scopo di entrambe le questioni è accertare se, nelle circostanze del caso concreto, il fissare dei prezzi mediante un accordo fra categorie sia una pratica restrittiva vietata dall'art. 85, n. 1.

È chiaro che l'acquavite di vino dev'essere considerata un prodotto industriale e che quindi non si devono applicare le norme riguardanti i prodotti agricoli. A parte ciò, la sentenza di rinvio dichiara che non è stato avviato alcun procedimento a norma del regolamento 6 febbraio 1962, n. 17 (GU 1962, pag. 204) per l'esenzione dell'accordo dall'art. 85, n. 1, del trattato.

L'art. 85 vieta « tutti gli accordi fra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e le pratiche concordate ... che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ...». Si è molto discusso sul punto se le intese poste in essere dal BNIC o nel suo seno possano rientrare in una di queste categorie. Ciò ha reso necessario l'esame della struttura del BNIC.

In primo luogo è stato sostenuto che il BNIC non è un'impresa giacché è un ente amministrativo che non produce, distribuisce né tratta merci. Il fatto che l'accordo sia firmato dal direttore dimostra che esso emana effettivamente da un ente pubblico. L'accordo è comunque solo un documento consultivo proveniente dall'organizzazione costituita a tale scopo, documento sottoposto al controllo delle autorità governative centrali che sono le sole che decidono. Il BNIC non è un'associazione di imprese perché non esiste alcun vincolo contrattuale fra i membri, vincolo che costituisce un requisito essenziale di qualsiasi associazione. Il BNIC non costituisce « imprese » perché i suoi membri sono scelti in organizzazioni di categoria che non sono a loro volta membri del BNIC. Di conseguenza, la fissazione dei prezzi d'intesa fra le due famiglie non può essere considerata una pratica concordata.

Per conto del Clair è stato sostenuto che il riunirsi delle due famiglie è un'associazione di imprese o, in ogni caso, un'associazione di associazioni d'imprese, un'utile frase sintetica per indicare la natura essenziale del BNIC. Il fatto che questo sia un ente pubblico e non si occupi di commercio è irrilevante. Il fissare e far osservare i prezzi mediante l'accordo fra categorie è una pratica concordata.

La Commissione assume che i membri del BNIC sono rappresentanti delle associazioni di categoria che designano i nomi dei loro membri per la nomina. Ciò fa del BNIC un'associazione di imprese ed esso agisce come tale quando pone in essere un accordo per fissare i prezzi. Quando le imprese prendono provvedimenti di effetto anticoncorrenziale, i provvedimenti stessi sono decisioni di un'associazione di imprese, a prescindere dalla natura, a norma del diritto nazionale, dell'organizzazione della quale le imprese sono membri. Anche se la fissazione dei prezzi non deriva da una decisione di un'associazione di imprese, i membri delle due famiglie si concertano sui prezzi da fissare e ciò costituisce un accordo ai sensi dell'art. 85, n. 1.

Non è stato sostenuto che il BNIC debba essere trattato come un'impresa contemplata dall'art. 90 del trattato.

Il BNIC è un'impresa?

Ai fini dell'applicazione dell'art. 85 per « impresa » si deve intendere un'unità economica, qualunque sia la sua forma legale (cfr. sentenza 170/83, Hydrotherm Gerätebau GmbH/Compact, 12 luglio 1984, punto 11, Race. 1984, pag. 2999) e qualunque sia l'attività economica che essa svolge. (Ad esempio, un ente che amministri i diritti d'autore e i diritti connessi e un'« impresa » anche se non produce o commercia (vedi sentenza 127/73, BRT/SABAM e Fonior, Race. 1974, pag. 313)). D'altro canto, un ente istituito con decreto ministeriale ed il cui solo compito consiste nello studiare e preparare norme che disciplinano lo svolgimento di attività economiche da parte di terzi non svolge un'attività economica propria e non va considerato « un'impresa » agli effetti delle norme sulla concorrenza. Non mi sembra, in queste circostanze, che il BNIC sia « un'impresa ».

Il BNIC è forse un'associazione e, in caso affermativo, un'associazione di imprese?

A parte le due « personalità », una per ciascuna frazione del settore, i membri del BNIC sono nominati da liste compilate dalle associazioni di categoria. Il fatto che queste organizzazioni di categoria propongano dei nomi senza esservi legalmente obbligate e che le persone nominate accettino la nomina mi pare indicare che quando si riuniscono in seno al BNIC devono essere considerati come un'associazione agli effetti delle norme sulla concorrenza. La circostanza che essi si riuniscano in conformità ad un decreto come quello 18 febbraio 1975 (TORF 26 febbraio 1975) e secondo le norme vigenti a quell'epoca, non toglie che essi siano un'associazione. Vi era chiaramente un complesso di persone riunite per uno scopo comune.

Perché il BNIC sia o comprenda un'associazione di imprese, occorrono secondo me due cose: 1) le persone nominate dal ministro devono essere imprenditori o rappresentare un'impresa; 2) esse devono essere nominate ed agire in qualità di imprenditori o rappresentanti di imprese.

Nel presente caso non risulta che i membri delle due famiglie siano nominate dal ministro in quanto imprese, benché, di fatto, possano esserlo. D'altro canto, le due « personalità » sono nominate come rappresentanti delle due frazioni del settore; i membri restanti sono nominati in quanto rappresentanti delle organizzazioni di categoria che hanno indicato i loro nomi. I decreti li chiamano « delegati » e stabiliscono che nessun commerciante, grossista, distillatore o membro di una categoria connessa può « rappresentare » i produttori e viceversa. Le norme interne del BNIC stabiliscono che il membro decade automaticamente se cessa di far parte di una categoria o di un'organizzazione, cioè se viene meno il presupposto per la sua nomina.

Il patrono del BNIC ha contestato questa tesi circa la qualità dei membri del BNIC stesso. A suo parere, i membri non sono delegati dalle organizzazioni di categoria, ma sono nominati dal ministro. Secondo me questo non è decisivo. Un membro può rappresentare un'organizzazione di categoria anche se il suo diritto di partecipare all'attività dell'ente deriva da un atto del ministro.

In secondo luogo è stato sostenuto che i membri sono nominati nominativamente in proprio, non già come rappresentanti. D'altro canto, l'avvocato del BNIC ammette che i membri di fatto « rappresentano » le varie frazioni del settore del cognac. Perciò, se ho ben compreso, si sostiene che i membri del BNIC, benché nominati per rappresentare gli interessi commerciali delle varie parti del settore del cognac, non sono ufficialmente nominati come rappresentanti di determinate imprese o organizzazioni di categoria.

In ultima analisi, spetta naturalmente ai giudici francesi stabilire in quale qualità i membri del BNIC agiscano. In ogni caso, mi sembra tuttavia che si tratti di un'associazione di imprese agli effetti dell'art. 85.

Se le organizzazioni di categoria che stendono gli elenchi di candidati sono imprese, secondo me le due famiglie si possono considerare associazioni d'imprese. In questo caso, nel BNIC le decisioni sono adottate da associazioni di imprese. Se le organizzazioni di categoria non sono « imprese », esse sono cionondimeno associazioni di imprese. Ciascuna delle due famiglie e lo stesso BNIC possono essere considerate, come sostiene il Clair, associazioni di associazioni di imprese. Ciò non li sottrae alle norme sulla concorrenza. L'art. 85, n. 1, non dev'essere interpretato restrittivamente come riguardante solo le « associazioni di imprese ». Esso include le « associazioni di associazioni di imprese ». Se la cosa stesse altrimenti, sarebbe facile per le imprese eludere le norme sulla concorrenza. La tesi più plausibile è che, benché l'associazione di associazioni di imprese possa essere diversa per la forma da un'associazione di imprese, non vi è nessuna differenza sostanziale né alcuna ragione per escludere l'applicazione dell'art. 85.

L'essenziale è che i membri delle due famiglie stabiliscono le condizioni dell'accordo fra categorie tenendo conto degli interessi delle varie frazioni del settore del cognac, il che fa di essi, in sostanza se non per la forma, i rappresentanti, attraverso le organizzazioni di categoria, delle imprese del settore. Questo è stato praticamente ammesso all'udienza dall'avvocato del BNIC. Il fatto che l'accordo possa essere « esteso » ed ottenere un'efficacia giuridica separata o diversa non gli impedisce di essere un accordo o decisione agli effetti dell'art. 85. L'aspetto di ordine pubblico della fissazione dei prezzi interviene solo dopo che l'accordo è stato posto in essere. Il fatto che il ministro delle finanze possa negare l'estensione di un accordo fra categorie, come è avvenuto per la stagione 1982/1983 — a quanto pare perché i prezzi erano troppo elevati ed in contrasto con la politica anti-inflazionistica del governo francese — basta da solo a confermare che si era già giunti ad una decisione attraverso l'accordo, posto in essere dai rappresentanti delle imprese e nel loro interesse commerciale. Quest'accordo fra categorie ricade sotto l'art. 85, n. 1, del trattato.

Se fossi giunto alla conclusione che non vi era una « decisione » ai sensi dell'art. 85, n. 1, ad esempio perché il BNIC non era a rigore « un'associazione di imprese », avrei sostenuto, date le circostanze, che avendo fissato dei prezzi che erano osservati dai viticultori e dai commercianti, il BNIC partecipava ad una pratica concordata vietata dall'art. 85, n. 1.

Benché nella prima questione pregiudiziale sia detto che l'accordo era stato firmato dal presidente del BNIC, ciò pare non risponda a verità. L'accordo è stato firmato dai rappresentanti delle due famiglie e dal direttore del BNIC il quale, come si desume dall'art. 9 del regolamento interno del BNIC stesso, è una persona diversa dal presidente. Sembra pacifico che, firmando, il direttore certifica il contenuto dell'accordo. Non è affatto necessario che egli firmi. Egli lo invia poi al commissario del governo affinché ne sia chiesta l'estensione. Stando così le cose, la firma del direttore non impedisce l'applicazione dell'art. 85. Lo stesso varrebbe se l'accordo fosse firmato dal presidente.

La terza questione pregiudiziale è del seguente tenore: « Se la fissazione di un prezzo minimo d'acquisto per le acquaviti vada considerata atta a pregiudicare il commercio fra Stati membri e ad avere per oggetto o per effetto di impedire, restringere o alterare il gioco della concorrenza nell'ambito del mercato comune qualora le acquaviti contemplate dall'accordo 7 novembre 1980 rispondano alla denominazione d'origine controllata Cognac, tenuto conto della natura del cognac, acquavite d'uva che si beve quasi esclusivamente pura. »

La presente causa verte sulla fissazione di prezzi per le acquaviti usate per produrre cognac, benché l'accordo fissi del pari i prezzi dei vini da distillare, il costo della distillazione e il prezzo del prodotto finito. Il BNIC ha sostenuto che ciò non incide sul commercio fra Stati membri in quanto la fissazione dei prezzi: 1) riguarda negozi vertenti su prodotti semifiniti (ad esempio le acquaviti da cui si ottiene il cognac) che normalmente non vengono messe in consumo né spedite fuori dalla regione di Cognac; 2) produce scarse conseguenze per i consumatori; 3) garantisce ai viticultori un equo tenore di vita, stabilizza i mercati e garantisce la sicurezza degli approwigionamenti. Il BNIC si è richiamato in particolare alla comunicazione degli addebiti fattagli dalla Commissione nel procedimento conclusosi con la decisione della Commissione 15 dicembre 1982, n. 82/896 (GU 1982, L 379, pag. 1). Ivi la Commissione dichiarava che la fissazione di prezzi minimi per i vini destinati alla distillazione e per le acquaviti non pregiudicava in misura rilevante il commercio fra Stati membri. L'avvocato del Clair sostiene che la fissazione di prezzi pregiudica il commercio fra Stati membri giacché il cognac è in concorrenza con altri alcolici come il whisky e il prezzo d'acquisto delle acquaviti da cui si ottiene il cognac costituisce il 40-50% del prezzo di vendita di una bottiglia di cognac e il 60-70% del prezzo di vendita del cognac in fusti. A parte ciò, nulla vieta l'acquisto di acquaviti per produrre cognac fuori dalla regione o anche fuori dalla Francia. La Commissione ha sostenuto che la fissazione di prezzi minimi per le acquaviti restringe la concorrenza fra produttori di acquaviti e fra commercianti al livello del prezzo d'acquisto. Questa restrizione della concorrenza si ripercuote sul prezzo del prodotto finito giacché il prezzo dell'acquavite è il fattore più importante del prezzo del cognac. Il commercio intracomunitário può essere pregiudicato, anche se l'acquavite non viene scambiata fra Stati membri, poiché il 50% del cognac ottenuto dall'acquavite è venduto in altri Stati membri.

L'art. 85, n. 1, vieta le intese che possono pregiudicare il commercio fra Stati membri e che abbiano ad oggetto o per effetto l'impedire, restringere o alterare il gioco della concorrenza, ed in particolare quelli consistenti nel « fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione ». L'accordo fra categorie, secondo me, pone in essere una restrizione della concorrenza del tipo contemplato dall'art. 85, n. 1. Il fatto che i prezzi siano fissati per una determinata merce proveniente da una zona rigorosamente delimitata (la regione di Cognac) non significa di per sé che esso non incida sul commercio fra Stati membri. Il fatto che il cognac sia generalmente consumato puro non gli impedisce di essere in concorrenza con altri prodotti, né impedisce ai vari cognac di essere in concorrenza fra loro.

La condizione che l'intesa possa pregiudicare il commercio fra Stati membri è soddisfatta se appare « ragionevolmente probabile, in base ad un complesso di elementi oggettivi di diritto o di fatto, che l'accordo eserciti un'influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti degli scambi fra Stati membri » (sentenza 56/65, Société technique minière/Maschinenbau Ulm GmbH, Race. 1966, da pag. 262 a pag. 281). Perciò, basta che l'intesa sia atta a pregiudicare il commercio fra Stati membri (vedi ad esempio sentenza 19/77, Miller International Schallplatten GmbH/Commissione, Race. 1978, pag. 131, punto 15, sentenza 126/80, Salonia/Poidomani e Giglio, Race. 1981, pag. 1563, punto 17, e sentenza Ziichner, punto 18). Se l'oggetto dell'intesa risulta essere l'impedire, restringere o alterare la concorrenza, non è necessario accertare se essa produca in realtà questo effetto (ad es. sentenza 56 e 58/64, Consten & Grundig/Commissione, Race. 1966, da pag. 457 a pag. 520). Viceversa, se non è questo l'oggetto dell'intesa, si deve accertare se l'effetto per la concorrenza sia rilevante. Per stabilire l'oggetto di un'intesa non è necessario prendere in considerazione le intenzioni delle parti o quello che esse pensassero. È sufficiente che l'intesa, per sua natura, impedisca, restringa o alteri la concorrenza (cfr. la sentenza Maschinenbau Ulm a pag. 262, la sentenza Miller al punto 7 e la sentenza 61/80, Coöperatieve Stremsel-en Kleurselfabriek/Commissione, Race. 1981, pag. 851, punti 12 e 13).

Come la Corte ha rilevato nella sentenza 168/78, Commissione/Francia, Race. 1980, pag. 347, vi è una concorrenza almeno parziale fra il cognac ed altre bevande alcoliche, talune, come l'armagnac, prodotte in Francia, ed altre, come il Whisky, la grappa e i distillati di ginepro, prodotte in altri Stati membri. Oltre a ciò, vi è concorrenza fra le varie marche di cognac. Questi prodotti, e le varie marche di cognac, sono in concorrenza tanto sul mercato francese quanto sui mercati di altri Stati membri. Sembra pacifico che il mercato comune nel suo complesso assorbe circa il 52% delle vendite complessive di cognac, mentre l'esportazione negli altri Stati membri costituisce circa il 40% delle esportazioni complessive e gli scambi fra Stati membri di cognac e di alcolici concorrenti sono importanti sotto l'aspetto economico. Non pare vi siano scambi fra gli Stati membri di acquaviti per la produzione di cognac, benché non si possano escludere del tutto per l'avvenire.

Il problema è quindi se la fissazione di prezzi nell'accordo fra categorie possa pregiudicare il commercio fra Stati membri e la struttura della concorrenza nel mercato comune data la sua incidenza: a) sulla concorrenza di prezzo fra il cognac ed altre bevande alcoliche concorrenti e fra le varie

marche di cognac o b) sulla concorrenza nell'ambito dello stesso settore di produzione del cognac.

La fissazione di prezzi per le acquaviti da cui si ottiene il cognac dev'essere considerata nel contesto complessivo delle intese per fissare i prezzi contenute negli accordi fra categorie. Esse riguardano tutti gli stadi della produzione del cognac, dalla vendita del vino da distillare fino alla prima vendita del prodotto finito. La Commissione ha sostenuto che il prezzo pagato dal Clair per l'acquavite di cui trattasi lo avrebbe messo in grado di ridurre i prezzi del cognac in fusti ed in bottiglia del 27% e, rispettivamente, del 15%. Benché si possa ammettere che la qualità e la rinomanza siano particolarmente importanti per la scelta del cognac o della marca di cognac da parte del consumatore, non si può escludere la possibilità di una concorrenza di prezzo, in caso di eliminazione delle restrizioni, soprattutto fra cognac o marche di cognac di qualità o di rinomanza inferiori.

Appare evidente che la decisione di fissare i prezzi dell'acquavite può incidere sul prezzo del prodotto finito e quindi sul commercio fra Stati membri. Benché in taluni settori le conseguenze della restrizione della concorrenza possano essere sopportate da imprese che operano in un solo Stato membro, gli scambi di cognac fra Stati membri pare possano essere pregiudicati in misura rilevante a causa della quantità di cognac esportato dalla Francia in altri Stati membri, benché naturalmente questo sia in definitiva un problema che spetta al giudice nazionale risolvere. L'effetto può essere trascurato solo se è irrilevante. Date le circostanze concrete, ciò appare improbabile.

La Commissione ha già dichiarato nella decisione n. 82/896 che il fissare prezzi di vendita minimi per il cognac stesso è in contrasto con l'art. 85, n. 1, e perciò nullo a norma dell'art. 85, n. 2. Anche se il fissare i prezzi per il prodotto finito fosse di per sé compatibile con l'art. 85, il fissare i prezzi per il prodotto semifinito potrebbe cionondimeno avere effetto restrittivo per la concorrenza, aumentando il costo di produzione complessivo del prodotto finito.

A prescindere dall'effetto sul prezzo del cognac, il fissare i prezzi dell'acquavite da cui si ottiene il cognac, unitamente al fissare i prezzi riguardanti le fasi precedenti della produzione può pregiudicare la concorrenza fra commercianti, limitando o neutralizzando qualsiasi vantaggio concorrenziale derivante, ad esempio, dall'entità dei negozi. Esso può del pari favorire le imprese maggiori, che probabilmente possono meglio sopportare i maggiori costi ed impedire l'affermarsi di nuovi commercianti o di nuove marche sul mercato. Entro certi limiti, i commercianti danneggiati dalla fissazione dei prezzi nelle fasi della produzione possono essere protetti dalle conseguenze dell'alterazione della concorrenza se il prezzo del prodotto finito è del pari fissato. Tuttavia, ciò semplicemente aggrava l'effetto della restrizione della concorrenza per la struttura concorrenziale della Comunità, anche se può attenuare le conseguenze per le singole imprese. L'avvocato del BNIC ha insistito all'udienza sulle conseguenze favorevoli dell'accordo fra categorie per il settore del cognac, in particolare sulla sua importanza per equilibrare l'offerta e la domanda e per garantire ai viticultori un reddito adeguato. Eventualmente, questi sono aspetti che avrebbero potuto giustificare l'esenzione a norma dell'art. 85, n. 3, se l'accordo fra categorie fosse stato notificato alla Commissione. Alla Corte è stato detto però che il commissario del governo aveva dato istruzioni nel senso che il BNIC non facesse alcuna notifica giacché ciò avrebbe significato ammettere che l'art. 85 andava applicato. Perciò, nella presente causa non è possibile dolersi di qualsiasi conseguenza negativa della mancata notifica.

Per questi motivi, sono del parere che le questioni pregiudiziali vadano risolte nel modo seguente:

1) e 2)

Il fissare i prezzi con un accordo fra categorie posto in essere dalla famiglia dei viticultori e da quella dei commercianti costituite secondo le norme del Bureau national interprofessionnel du cognac è una decisione di un'associazione di imprese ai sensi dell'art. 85, n. 1, del trattato CEE, ad onta del fatto che l'accordo sia stato firmato pure dal presidente o dal direttore del Bureau.

3)

Il fissare un prezzo minimo per le acquaviti usate nella produzione del cognac può essere considerato atto a pregiudicare il commercio fra Stati membri e può avere ad oggetto o per effetto di impedire, restringere o alterare il gioco della concorrenza nel mercato comune qualora, di per sé o congiuntamente a qualsiasi altra condizione imposta alla produzione e al commercio del cognac relativa fra l'altro al prezzo, il fissare un prezzo minimo abbia un effetto non trascurabile sul prezzo di vendita del cognac o sulla capacità dei commercianti di farsi la concorrenza.

Sulle spese delle parti nella causa principale deve provvedere il giudice proponente. Non è necessario statuire sulle spese della Commissione.


( *1 ) Traduzione dall'inglese.