CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

CARL OTTO LENZ

DEL 29 MAGGIO 1984 ( 1 )

Sommario

 

A — Svolgimento della causa

 

1. Gli antefatti

 

2. Il diritto comunitario vigente

 

3. Le questioni sollevate dal Bundesfinanzhof

 

Β — Esame della causa

 

1. Giurisprudenza in fatto di restituzione all'esportazione

 

a) Conclusioni nella causa 125/75

 

b) Sentenza

 

2. Punto di vista della ditta Dimex

 

3. Esame del n. 2

 

4. Le questioni sollevate dal Bundesfinanzhof

 

a) Questione n.

 

aa) Validità della norma

 

bb) Irrefutabile?

 

cc) Limiti della refutabilità

 

b) Questione n. 2

 

c) Questione n. 3

 

C — Proposta di soluzione

Signor Presidente,

signori Giudici,

A —

La causa odierna, che ci è stata rinviata a norma dell'art. 177 del trattato CEE dalla VII sezione del Bundesfinanzhof, è scaturita dalle seguenti circostanze:

1.

La ditta Dimex Nahrungsmittel Imund Export GmbH & Co. KG, con sede in Amburgo, nell'agosto 1976 vendeva ad una società del Kuwait — «C and F» porto di destinazione nel Kuwait — una partita di formaggio Feta in salamoia. La merce veniva dichiarata all'esportazione il 6 agosto 1976 presso l'ufficio doganale di Weilheim sul relativo esemplare di controllo (ai sensi dell'art. 7 del regolamento n. 192/75) e trasportata con autocarro a Livorno (ufficio doganale d'uscita della Comunità). Qui si constatava che alcuni bidoni erano danneggiati e che il liquido era fuoriuscito (a detta della Middle East Verschiffungsagentur GmbH si trattava di lievi danni all'imballaggio di indole meramente superficiale). Ricolmati e sigillati i contenitori danneggiati, la merce veniva caricata su una nave noleggiata dalla ditta Dimex e salpava da Livorno il 13 agosto 1976.

La nave — secondo un certificato di sbarco della General Superintendence Company Ltd. — approdava nel porto del Kuwait il 27 agosto e — sempre a quanto risulta da detto certificato — veniva scaricata dal 27 settembre al 6 ottobre 1976. A quanto risulta da un rapporto di ispezione dei Lloyd, la merce veniva presa in carico dall'ufficio doganale dal 22 settembre al 7 ottobre 1976 e il 5 ottobre 1976 veniva trasferita dalla dogana ai magazzini frigoriferi del destinatario «delivery of goods from customs to place where survey held», il che non è stato chiaramente interpretato dal Bundesfinanzhof nel provvedimento di rinvio, ove si dice che il 5 ottobre la merce era stata rilasciata dall'ufficio doganale. In ogni caso, non risulta che vi sia stato sdoganamento, e nemmeno è certo che nel Kuwait i generi alimentari vengano sdoganati. Sotto questo profilo, potrebbe essere interessante osservare che all'ispezione della merce, svoltasi il 7 ottobre 1976 nei frigoriferi del destinatario, gli agenti dei Lloyd constatavano che la merce era danneggiata (più precisamente risultava «dented, holed, bulged out», vale a dire, come dice lo Hauptzollamt, ammaccata, perforata e scoppiata). Per questo motivo, le autorità sanitarie del Kuwait, il 25 ottobre 1976, disponevano che la merce, in quanto inidonea al consumo umano, doveva venir o distrutta o riesportata (e l'acquirente comunicava questa notizia alla Dimex il giorno stesso). È pure interessante rilevare che l'ambasciata tedesca nel Kuwait, a richiesta del procuratore dello Stato tedesco in data 13 novembre 1978, comunicava che i documenti necessari per lo sdoganamento non potevano probabilmente venir forniti in quanto nel Kuwait non si applicano dazi all'importazione di generi alimentari. Con lettera 23 novembre 1978, la stessa ambasciata comunicava inoltre che la messa in libera pratica avveniva solo dopo il controllo delle autorità sanitarie e, in caso di contestazioni, non aveva luogo. Nella stessa lettera era detto che la merce, secondo dichiarazioni dell'acquirente, era stata distrutta. Infine, a questo proposito, si dovrebbe ancora dire che la compagnia presso la quale la Dimex aveva assicurato il trasporto sosteneva non trattarsi di danni verificatisi durante il trasporto, bensì di danni causati dalla stessa natura della merce, ragione per cui, solo per venire incontro alla cliente, accettava di rimborsare il 50 % del valore della fattura.

Per questa esportazione la Dimex, con provvedimento del 20 agosto 1976, percepiva come anticipo una restituzione all'esportazione pari a DM 31948,02. Quanto al saldo definitivo della restituzione, la Dimex — poiché il soprammenzionato esemplare di controllo non era giunto all'ufficio doganale entro i tre mesi dall'espletamento delle formalità doganali d'esportazione ed essa non era in grado di esibire documenti doganali relativi all'importazione — chiedeva di poter dimostrare che la merce era uscita dalla Comunità ed era stata importata nel paese di destinazione producendo documenti sostitutivi ai sensi dell'art. 11 del regolamento n. 192/75 (cfr. domanda del 7.4.1977). Come tali l'ufficio doganale competente accettava il certificato di sbarco, la fattura del 10 agosto 1976, l'estratto conto bancario di apertura di credito e la polizza di carico della società armatoriale e — presa visione di detti documenti — il 21 aprile 1977 svincolava la cauzione prestata per detto anticipo. In esito ad un controllo effettuato presso l'esportatore, l'ufficio doganale accertava che la merce — in quanto inadatta al consumo umano — non era stata posta in commercio nel Kuwait. Quindi, con provvedimento 27 febbraio 1978, chiedeva il rimborso della differenza tra la restituzione versata e il tasso minimo vigente per la restituzione al momento in cui erano state compiute le formalità doganali d'esportazione (vale a dire DM 31013,95).

La Dimex dapprima faceva — senza successo — opposizione contro detto provvedimento e poi adiva il Finanzgericht, che accoglieva la sua domanda. Il Finanzgericht accertava che la prova dell'importazione non era stata prodotta per motivi indipendenti dalla volontà dell'importatore e l'ufficio doganale si era quindi accontentato di documenti sostitutivi, vale a dire aveva considerato come prova dello scarico il certificato di sbarco (rilasciato da una società internazionale di controllo e di sorveglianza regolarmente operante in Germania ed in Italia). Detta prova dello sbarco, a norma del diritto comunitario, sostituiva la prova dell'adempimento delle formalità doganali per la messa in libera pratica. Per quel che riguarda la distruzione della merce dopo lo scarico essa era irrilevante, specie dal momento che non vi era alcun indizio che la merce fosse deteriorata già al momento dello scarico e (secondo la polizza di carico) essa era stata presa in consegna a Livorno in buono stato. In ogni caso, una volta fornita la prova dello scarico, non era più possibile stabilire se la merce fosse effettivamente stata messa in libera pratica oppure distrutta e non era nemmeno possibile esigere la prova che la merce fosse stata messa in commercio nel paese di destinazione.

Insoddisfatto di questa pronuncia, l'ufficio doganale adiva il Bundesfinanzhof. Esso sostiene anzitutto che è dubbio che la merce fosse di «qualità sana, leale e mercantile» (art. 8. n. 2, del regolamento n. 192/75) e ritiene che il Finanzgericht avrebbe dovuto accertare se il deterioramento della merce non si fosse verificato già prima. Inoltre l'ufficio doganale assume che la mancanza di prove quanto all'espletamento delle formalità doganali non è dovuta a fatti indipendenti dalla volontà dell'importatore. Soprattutto esso deduce che, per ottenere la restituzione, nei casi come quello in esame è essenziale che la merce sia giunta sul mercato del paese di destinazione. In questo senso, la prova della messa in libera pratica costituisce soltanto un indizio refutabile; ad ogni modo, la prova dello scarico non può costituire una prova formale sufficiente ai fini della restituzione. Si deve inoltre ricordare che, dal momento che la merce non era commerciabile, non vi è stato smercio nel Kuwait e, così stando le cose, è superfluo accertare se sia stata messa in libera pratica.

2.

Per il caso in esame entrano in linea di conto le seguenti norme.

L'art. 17 del regolamento n. 804/68, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (GU L, 148, pagg. 13 e segg.) stabilisce, al fine di consentire l'esportazione, fra l'altro, di formaggi ai prezzi praticati sul mercato internazionale per detti prodotti, che la differenza tra detti prezzi e i prezzi praticati nella Comunità vengano compensati mediante una restituzione all'esportazione. Ai sensi del n. 2, detta restituzione può variare a seconda della destinazione. Ciò è avvenuto — a norma del regolamento n. 1881/76 (GU L 206, pag. 49 e segg.) entrato in vigore il 31 luglio 1976 — fra l'altro per il formaggio Feta.

I criteri per la concessione di restituzioni ai sensi dell'art. 17, n. 3, del regolamento n. 804/68 sono stati fissati dal Consiglio col regolamento n. 876/68 (GU L 155, pag. 1 e segg.). L'art. 4 dispone che la restituzione può variare a seconda della destinazione «quando la situazione del commercio internazionale o le esigenze specifiche di taluni mercati lo rendano necessario». Quanto alla corresponsione della restituzione, l'art. 6, n. 1, stabilisce che essa avviene qualora sia provato che i prodotti sono stati esportati dalla Comunità, ed inoltre — in caso di applicazione dell'art. 4 — che essa avviene se è provato che la merce ha raggiunto la destinazione per la quale la restituzione è stata fissata.

«Disposizioni complementari» ai sensi dell'art. 6, n. 3, del regolamento n. 876/68 sono state emanate dalla Commissione col regolamento n. 192/75, «che stabilisce le modalità di applicazione delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli» (GU L 25, pag. 1 e segg.). Per il pagamento della restituzione l'art. 6 di detto regolamento stabilisce che esso è subordinato alla condizione che la merce «sia stata importata in un paese terzo ed eventualmente in un paese terzo determinato (... salvo il caso di distruzione durante il trasporto per cause di forza maggiore) a) allorché sussistono seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto». Per il caso che, prima di lasciare il territorio geografico della Comunità, la merce per la quale sono state adempiute le formalità doganali d'esportazione attraversi altri territori della Comunità diversi dal paese nel quale sono state espletate le formalità doganali, l'art. 7 stabilisce che la prova che la merce ha lasciato il territorio geografico della Comunità oppure ha raggiunto la destinazione indicata dev'essere fornita mediante presentazione dell'esemplare di controllo (ai sensi del regolamento n. 2315/69). L'art. 8, n. 2, prescrive che non venga versata alcuna restituzione all'esportazione «per i prodotti o per le merci... che non siano di qualità sana, leale e mercantile nella forma in cui sono esportati». Importante è soprattutto l'art. 11 (nella versione del regolamento n. 2818/75, GU 1975, L 280, pag. 31 e segg.) il quale recita:

«In caso di differenziazione del tasso della restituzione a seconda della destinazione, il pagamento della restituzione per le esportazioni verso i paesi terzi è subordinato, fatte salve le disposizioni del paragrafo 2, alla condizione che il prodotto sia stato importato dal paese terzo o in uno dei paesi terzi per i quali è prevista la restituzione.

Il prodotto si considera importato quando sono state espletate le formalità doganali d'immissione in libera circolazione nel paese terzo. La prova dell' espletamento delle formalità doganali è costituita dalla presentazione del documento doganale o da una copia o fotocopia certificata conforme dai servizi competenti.

Tuttavia, se la prova dell'espletamento delle formalità doganali non può essere presentata a seguito di circostanze indipendenti dalla volontà dell'importatore o è ritenuta insufficiente tenuto conto della situazione particolare esistente nel paese di destinazione, i servizi competenti degli stati membri esigono la prova dello scarico del prodotto nel paese di destinazione interessato. Tale prova è considerata costituita da uno o più dei seguenti documenti:

copia del documento portuale emesso o vistato nel paese di destinazione;

attestato rilasciato dai servizi ufficiali di uno stato membro stabiliti nel paese di destinazione;

attestato rilasciato da società specializzate sul piano internazionale in materia di controllo e di sorveglianza e riconosciuto dallo stato membro in cui le formalità doganali d'esportazione sono state effettuate;

documento bancario rilasciato da banche e agenti abilitate e stabilite nella Comunità comprovante che il pagamento relativo all'esportazione in causa è accreditato al conto dell' esportatore e aperto presso queste ultime, per i paesi che subordinano il trasferimento finanziario all'importazione del prodotto».

Infine, per il caso in cui l'esemplare di controllo di cui all'art. 7 non sia pervenuto all'ufficio di partenza o all'ufficio centrale entro tre mesi dal rilascio, per motivi indipendenti dalla sua volontà, l'art. 13 stabilisce che l'interessato può chiedere all'ufficio competente, comprovandolo adeguatamente, il riconoscimento di documenti equivalenti, e prescrive inoltre che le pezze giustificative devono comprendere, oltre al documento di trasporto, uno o più dei documenti indicati nell'art. 11, n. 1, secondo, terzo e quarto comma.

3.

Poiché per la controversia di merito è necessaria la corretta interpretazione delle norme comunitarie, il Bundesfinanzhof ha sospeso il procedimento e, a norma dell'art. 177 del trattato CEE, con ordinanza del 21 aprile 1983 ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1.

Se la prova, richiesta a norma del combinato disposto dell'art. 6, n. 2, del regolamento n. 876/68 e dell'art. 6, n. 1, del regolamento n. 192/75, che la merce è stata importata nel paese di destinazione sia considerata irrefutabile, qualora l'interessato abbia presentato un documento sostitutivo richiesto dall'autorità competente ai sensi dell'art. 11, n. 1, 3° comma, del regolamento n. 192/75.

2.

In caso di soluzione affermativa della prima questione:

Se ciò valga anche nel caso in cui l'autorità competente abbia richiesto la presentazione del documento sostitutivo e sia risultato che la prova dell' espletamento delle formalità doganali ai sensi dell'art. 11, n. 1, 2° comma, del regolamento n. 192/75 non era impossibile «a seguito di circostanze indipendenti dalla volontà dell'importatore» (art. 11, n. 1, 3° comma, del regolamento n. 192/75). Come vada interpretato quest'ultimo inciso dell'art. 11, n. 1, 3° comma, del regolamento n. 192/75.

3.

In caso di soluzione negativa della prima questione:

Se una merce si consideri «importata» nel paese di destinazione ai sensi del combinato disposto dell'art. 6, n. 2, del regolamento n. 876/68 e dell'art. 6, n. 1, del regolamento n. 192/75 qualora essa, dopo pochi giorni dall'arrivo in tale paese, sia stata distrutta o nuovamente esportata. Se abbia rilevanza al riguardo il fatto che la merce sia stata distrutta o nuovamente esportata prima o dopo la messa in libera pratica in tale paese e che il deterioramento della merce, che ha provocato la distruzione o la nuova esportazione, sia avvenuto prima o dopo tale messa in libera pratica.

Le questioni sollevate dal Bundesfinanzhof si risolvono in sostanza nel problema se dette norme debbano essere interpretate nel senso che la restituzione più elevata per determinati paesi possa venir corrisposta anche nel caso in cui non sia stato provato che la merce ha effettivamente raggiunto il mercato di detti paesi.

Β —

Su questo problema posso osservare quanto segue:

1.

Mi pare in primo luogo appropriato un richiamo a quanto è stato detto nelle conclusioni per la causa 125/75 ( 2 ) (che verteva del pari sull'esportazione di latticini in determinati paesi a norma del regolamento n. 876/68) a proposito della disciplina delle restituzioni e vorrei ricordare qual è l'orientamento finora seguito dalla giurisprudenza in materia.

a)

L'avvocato generale in detta causa ha sottolineato che lo scopo della disciplina delle restituzioni — come si desume dalla motivazione del regolamento n. 876/68 — è quello di rendere concorrenziali i prodotti comunitari sui mercati dei paesi terzi, onde facilitarne la vendita. Quanto al fatto che la restituzione può variare a seconda della destinazione, è determinante l'interesse a promuovere la vendita tenendo conto di particolari situazioni di mercato (specie nei casi in cui la Comunità, per motivi di politica commerciale, desidera essere presente su determinati mercati). Dal fatto che in proposito va effettuato un confronto di prezzi, e dalla considerazione che per determinare i prezzi stessi l'art. 3 del regolamento n. 876/68 prescrive di tener conto dei prezzi praticati sui mercati dei paesi terzi, dei prezzi più favorevoli all'importazione da paesi terzi nei paesi terzi di destinazione nonché dei prezzi al produttore rilevati nei paesi terzi esportatori si deve inferire che in questo ambito hanno importanza fondamentale la situazione di mercato e le esigenze di determinati mercati e che la restituzione non va commisurata solo all'entità delle spese di trasporto. Sotto questo profilo, la nozione di «raggiungere» (ai sensi dell'art. 6 del regolamento n. 876/68) va messa in relazione con il mercato, cioè è necessario che il prodotto sia effettivamente presente sul mercato e quivi venga commerciato. Presupposto essenziale in questo senso è l'importazione nel territorio di cui trattasi. L'adempimento delle formalità doganali d'importazione costituisce quindi un importante indizio della messa sul mercato; tuttavia si tratta sempre e solo di un indizio e quindi puramente di un elemento confutabile.

b)

Questo è l'orientamento seguito finora anche dalla giurisprudenza. È interessante già la sentenza 6/71 ( 3 ) vertente sulla nozione di «esportazione» in relazione al diritto alla restituzione di cui al regolamento n. 19). In proposito è stato sottolineato che questa nozione presuppone che la merce venga commerciata sul mercato di un terzo stato, cioè quanto meno deve esservi stata posta in libera pratica (Race. 1971, pag. 837, n. 7).

Dalla sentenza 125/75 ( 4 ) (che verteva su una restituzione variabile a seconda della destinazione) richiamandosi alla motivazione del regolamento n. 876/68 (nel quale si parla non solo della distanza tra i mercati della Comunità e quelli dei paesi di destinazione, ma anche delle particolari condizioni di importazione di determinati paesi di destinazione) si desume che per la restituzione è determinante l'effettiva importazione; non basta dunque che la merce venga semplicemente scaricata in un determinato luogo, è invece necessario che essa venga messa in libera pratica nel luogo di destinazione (Race. 1976, pag. 784, nn. 5 e 6).

Questo principio è stato ribadito nella sentenza 44/76 ( 5 ) (vertente anch'essa sul regolamento n. 876/68 e sulle restituzioni variabili a seconda della destinazione). In proposito non solo viene affermato che la situazione giuridica è stata chiaramente disciplinata nel regolameno di base nel senso testé ricordato (Race. 1977, pag. 409, n. 14). È stato pure detto, quanto alla possibilità, contemplata nel regolamento n. 1041/69, di chiedere ulteriori prove, che il competente ufficio doganale tedesco aveva spesso chiesto la prova della vendita nel territorio di destinazione e questa richiesta era giustificata dalla necessità di impedire frodi nell'ambito del procedimento di restituzione (n. 16).

Ancora, nella sentenza 820/79 ( 6 ) (che verteva parimenti sul regolamento n. 876/68) è detto che il comitato di gestione per il latte e i latticini già nel 1973 aveva espresso all'unanimità l'opinione che gli stati membri dovevano esigere la prova che la merce era stata messa in libera pratica nel paese di destinazione (Racc. 1980, pag. 3548, n. 12). Di conseguenza veniva ancora una volta sottolineata la necessità che la merce sia messa in libera pratica nel luogo di destinazione, e che quindi la prova del semplice arrivo della merce (mediante produzione di una polizza di carico con la clausola «freight prepaid») non è sufficiente (nn. 4, 6 e 7).

Bisogna infine ricordare la sentenza 250/80 ( 7 ). In effetti in questa pronuncia — vertente sul versamento di importi compensativi di adesione destinati a compensare anche differenze di prezzo — non si è soltanto ritenuto importante il fatto (sul quale la ditta Dimex insiste particolarmente) che fra lo Stato esportatore e quello importatore si è avuto uno scambio effettivo dei prodotti in questione (n. 14). È stato pure particolarmente sottolineato — in quel caso erano state espletate le formalità doganali d'importazione in Gran Bretagna e la merce era poi stata riesportata nella Repubblica federale di Germania — che l'espletamento delle formalità doganali non basta, e che la normativa si applica solo qualora la merce sia stata messa in commercio nello Stato d'importazione, sia stata realmente venduta su questo mercato, cosicché la differenza di prezzo fra questo stato membro e lo stato membro di esportazione abbia assunto valore di fattore economico (nn. 15 e 17).

2.

La ditta Dimex con i suoi argomenti principali — vorrei esaminarli prima di occuparmi delle questioni sollevate — mira chiaramente ad ottenere una modifica di detta giurisprudenza e precisamente nel senso che, anche in caso di restituzione variabile a seconda della destinazione, non abbia più importanza lo sdoganamento, bensì sia sufficiente che il territorio dello Stato di importazione sia stato effettivamente raggiunto, e di conseguenza diventi irrilevante l'ulteriore destinazione della merce (vendita nello Stato d'importazione oppure riesportazione in altri paesi).

In linea di principio — essa sostiene — bisogna partire dall'idea che la disciplina delle restituzioni, giacché contribuisce al collocamento delle eccedenze agricole nella Comunità, va considerata una misura di intervento a favore dei produttori di latte. In caso di dubbio è quindi opportuno interpretarla a favore di coloro che fruiscono della restituzione, e in ogni caso — tenuto conto del principio di proporzionalità — in modo tale che gli esportatori non vengano eccessivamente gravati e possano sostenere la concorrenza degli esportatori dei paesi terzi (il che risulterebbe impossibile se — come ha fatto la ditta Dimex — data l'eccessiva onerosità e l'incertezza del sistema dovessero stipulare ulteriori assicurazioni per garantire le restituzioni). Vale a dire bisogna tener conto delle caratteristiche del commercio di transito internazionale, che non potrebbe più sussistere se fosse prescritto lo sdoganamento nel luogo di destinazione e si dovrebbe tener conto anche degli usi dei contratti di scarico. In questi contratti l'acquirente — dopo l'imbarco — non deve più rendere alcun conto dell'ulteriore destinazione della merce; non gli si può quindi imporre l'obbligo di mettere il prodotto in libera pratica in un determinato paese e di trasmettere i relativi documenti al venditore. Deve quindi considerarsi sufficiente — poiché la restituzione varia in relazione alle spese di trasporto — il fatto che venga stipulato un valido contratto di scarico con apertura di credito e che le spese di trasporto risultino da un contratto di nolo. La Dimex ritiene di ravvisare una conferma dell'esattezza di questa tesi, fra l'altro, nel dodicesimo considerando del regolamento n. 192/75, nel quale si parla di trattare con larghezza di vedute l'obbligo di prova.

3.

Non vedo però come la Dimex potrebbe far ampliare questa sua tesi di principio (per il che, data la giurisprudenza testé ricordata, occorrerebbe una pronunzia della Corte a sezioni unite).

Decisamente erroneo è il punto di partenza secondo cui la disciplina della restituzione sarebbe solo uno strumento per smaltire le eccedenze agricole. Come è stato giustamente osservato, questo è solo un aspetto della disciplina e appare logico che la Comunità, quando sostiene finanziariamente l'esportazione di merci in paesi terzi, si attenga pure a considerazioni di politica commerciale (riguardo per rapporti particolari con determinati mercati e per condizioni d'importazione speciali) e in base ad esse imposti la disciplina delle restituzioni. Ciò conferma — come era già stato chiarito nelle conclusioni per la causa 125/75 ( 8 ) — che la restituzione non mira solo a compensare le spese di trasporto, bensì tiene conto anche delle particolari condizioni del mercato e degli accordi di politica commerciale che non possono venir elusi.

Per quel che riguarda poi la funzione del principio di proporzionalità nella disciplina delle restituzioni, da un canto — quanto la Dimex a questo proposito si richiama alla sentenza 6/78 ( 9 ) — non si deve dimenticare che in quel caso il principio della preferenza comunitaria aveva il suo peso e per questo si è affermato che la posizione concorrenziale degli esportatori comunitari non deve essere peggiore di quella dei venditori dei paesi terzi (il che si verificherebbe qualora fosse necessario stipulare un'assicurazione circa gli importi compensativi di adesione). D'altro canto, stando alle dichiarazioni incontestate della Commissione, nulla dà a pensare che gli esportatori siano eccessivamente gravati dalle esigenze del sistema delle restituzioni. È assodato che la Comunità è il maggior esportatore sul mercato mondiale di latticini e che proprio nel settore del formaggio da anni si registra un aumento delle esportazioni nei paesi terzi.

Per quel che riguarda poi gli argomenti della Dimex — il richiamo al 12° considerando del regolamento n. 195/75, che riguarda un caso particolare, non corrobora affatto la sua tesi generale — relativi ai principi del commercio di transito internazione e le particolarità del contratto di scarico e intesi a dimostrare che l'unica cosa che conta è l'arrivo nel paese di destinazione, vorrei osservare che ciò si risolverebbe nella rinuncia al vigente sistema di restituzioni variabili e spalancherebbe la porta alle evasioni. Nessuna delle due cose può essere presa in seria considerazione. Ad ogni modo non basta sostenere che le restituzioni sono provvedimenti d'intervento che devono gravare il meno possibile sugli esportatori.

4.

Passo ora all'esame delle varie questioni sollevate dal Bundesfinanzhof le quali, dopo quanto è stato detto sin qui, vanno indubbiamente considerate alla luce della giurisprudenza.

a)

La prima questione mira a chiarire il problema se la prova dell'importazione nel territorio di destinazione sia fornita in modo irrefutabile qualora venga prodotto il documento sostitutivo richiesto dall'autorità competente (vale a dire l'interpretazione del già citato art. 11, n. 1, 3° comma, del regolamento n. 192/75 (nella versione del regolamento n. 2818/75) che parla di prova dello scarico della merce).

aa)

A questo proposito la Dimex — probabilmente nell'assunto che sarebbe opportuno vedere detto comma alla luce dei due commi che precedono (nei quali si parla d'importazione e di messa, in libera pratica) — ha sollevato il problema se entrambi i commi testé ricordati siano validi, A suo giudizio non è chiaro — in base al loro tenore letterale — se dette disposizioni non vadano oltre i limiti della norma di autorizzazione del Consiglio, giacché l'art. 6, del regolamento n. 876/68 menziona solo la prova del raggiungimento della destinazione (il che si dovrebbe chiaramente intendere in senso effettuale) e, qualora vi si possa derogare, in forza dell'art. 6, 2., 2° comma, di detto regolamento si deve cercare di porre condizióni che offrono garanzie equivalenti (il che indubbiamente esclude la possibilità che la Commissione imponga condizoni più rigorose).

Se vogliamo affrontare il problema — benché il Bundesfinanzhof non abbia sollevato una siffatta questione di validità, particolarmente tenendo conto della giurisprudenza citata, bastano poche considerazioni. Anzitutto non si deve dimenticare che l'art. 6, n. 3, del regolamento n. 876/68 parla anche di disposizioni complementari e che ciò allude chiaramente all'imposizione di ulteriori requisiti. D'altro canto è importante il fatto che nella sentenza 125/75 ( 10 ) la necessità della messa in libera pratica viene desunta dallo stesso regolamento n. 876/68 e che nella sentenza 44/76 ( 11 ) è addirittura sottolineato che questa situazione scaturisce chiaramente dal detto regolamento. È quindi chiaro che il termine «raggiunge» di cui al detto regolamento va inteso come importazione regolare e quindi non vi possono essere dubbi sulla validità del regolamento n. 192/75, per il fatto che la messa in libera pratica vi viene nominata espressamente.

bb)

Come si debba risolvere la prima questione non dovrebbe quindi essere un problema difficile, alla luce della menzionata giurisprudenza.

Presupposto essenziale per il diritto alla restituzione, in caso di aliquote variabili a seconda della destinazione, è la messa sul mercato, vale a dire la partecipazione al commercio nel paese di cui trattasi. L'espletamento delle formalità doganali dà accesso al mercato, ma non può certo identificarsi con la messa sul mercato. La prova dell'espletamento di dette formalità non può quindi costituire altro che una presunzione semplice. Ciò trova conferma nella giurisprudenza summenzionata in fatto di importi compensativi di adesione; non si può opporre l'uso del termine «si considera» nella disposizione relativa (n. 1, 2° comma, dell'art. 11, del regolamento n. 192/75 giacché nel 3° comma è prevista anche la possibilità che la prova dell'espletamento delle formalità doganali possa venire considerata «insufficiente tenuto conto della situazione particolare esistente nel paese di destinazione».

Ora, se la prova richiesta in via principale costituisce solo una presunzione semplice, anche la prova sostitutiva dello scarico della merce, che comprova solo in modo relativo l'entrata nel mercato e la partecipazione al commercio nel territorio di cui trattasi, non può costituire più di una presunzione semplice.

cc)

Il Bundesfinanzhof non ha chiesto quali siano i presupposti e gli eventuali limiti della prova contraria.

La Dimex sostiene in proposito che — anche se non è escluso che il sussistere dei presupposti per la concessione della restituzione sia controllato a posteriori o che si possano refutare prove già accettate — cionondimeno — in ossequio ai principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, nonché degli scopi della disciplina della restituzione — si devono osservare determinati limiti. Sotto questo profilo si potrebbe concepire la ripetizione della restituzione solo qualora i documenti di scarico fossero falsi o contessero false attestazioni oppure fosse stato commesso un abuso (il che andrebbe provato dall'autorità che richiede il rimborso). La ripetizione sarebbe invece esclusa se, in un secondo tempo, risultasse che la merce non è stata messa in libera pratica ed in particolare, in questa ipotesi, se ciò è dovuto al deperimento della merce oppure alla sua riesportazione, senza responsabilità dell' esportatore.

Volendo aggiungere alcune osservazioni su questo punto nell'ambito della prima questione, è chiaro, dopo quanto ho esposto sin qui, che la tesi sostenuta dalla Dimex è troppo restrittiva. Presupposto essenziale per la spettanza della restituzione è — come abbiamo visto — la partecipazione al commercio nel paese di destinazione. All'uopo l'esportatore deve e può garantirsi (anche per contratto). Qualora risulti che la merce non è stata posta in commercio, la prova sostitutiva può considerarsi in ogni caso insufficiente. Che in questo caso — a seconda delle circostanze concrete — entri in linea di conto anche il principio della tutela del legittimo affidamento è evidente, ma non è il caso di approfondire ora l'argomento. Non è evidente invece che questo principio debba venir applicato anche nella fattispecie, giacché è chiaro che la ditta Dimex, già il 25 ottobre 1976 (vale a dire molto prima della presentazione dei documenti sostitutivi) sapeva che la merce non poteva venir messa sul mercato nel Kuwait e che l'ufficio doganale, quando nell'aprile del 1977 ha ammesso la prova sostitutiva, ignorava questa importante circostanza.

b)

La seconda questione, che è stata sollevata solo per il caso in cui la prima venisse risolta in senso positivo, non richiede più dunque alcun esame.

Se è assodato che la prova fornita mediante documenti sostitutivi, dà luogo ad una presunzione semplice, è del pari manifesto che l'autorità competente può, in un secondo tempo, mutare parere circa il fatto che la prova dell'espletamento delle formalità doganali non si è potuta fornire per motivi indipendenti dalla volontà dell'importatore. Quindi è pure superfluo chiarire ulteriormente come si debba intendere l'espressione testé ricordata e dissertare se non sarebbe stato meglio dire — come sostiene la Dimex richiamandosi all'art. 20 del successivo regolamento n. 2730/79, e poiché non è possibile che l'esportatore risponda delle decisioni dell'importatore — «indipendenti dalla volontà dell'esportatore». Ricorderò semplicemente — senza approfondire ora — che (come ha sostenuto la Commissione) non pare assurdo a questo proposito parlare di importatore, se si pensa alla situazione nella quale l'importatore, col quale l'esportatore ha certo un rapporto commerciale, omette motu proprio di sdoganare la merce. Obiettivamente si può anche ritenere che il 3° comma dell'art. 11, n. 1, del regolamento n. 192/75 entri in linea di conto (come si può desumere dalla motivazione del regolamento n. 2818/75 che si riferisce alla modifica dell'art. 11), qualora l'esportatore, date le particolarità del procedimento d'importazione in un determinato paese, non sia in grado di produrre documenti doganali, se detti documenti siano andati fortuitamente smarriti oppure il procurarseli sia eccessivamente gravoso.

e)

La terza questione infine si riferisce alla circostanza che il formaggio esportato — in quanto inidoneo all'alimentazione umana — non è giunto sul mercato del Kuwait, ma è stato distrutto (non si è potuto accertare ed è controverso quando e dove il deperimento abbia avuto luogo, se prima dell'arrivo nel Kuwait o dopo e, in questo caso, prima o dopo lo sdoganamento, operazione che non si sa nemmeno se abbia avuto luogo oppure sia stata rifiutata date le condizioni della merce). In proposito va chiarito se la merce si considera «importata» nel territorio di destinazione, qualora pochi giorni dopo il suo arrivo venga distrutta oppure riesportata, e si deve stabilire se abbia rilevanza il fatto che la distruzione o la riesportazione sia avvenuta prima o dopo la messa in libera pratica in questo territorio e se il deperimento della merce, che ne ha determinato la distruzione o la riesportazione, si sia verificato prima o dopo lo sdoganamento.

In merito la Dimex sostiene che dall'art. 8 del regolamento n. 192/75 si desume che è rilevante solo il fatto che la merce, al momento dell'esportazione, sia di buona qualità e conforme agli usi commerciali (cosa che nella fattispecie il Finanzgericht ha accertato in modo vincolante). Inoltre bisogna tener presente che la nave aveva raggiunto il territorio del Kuwait già sei settimane prima dello scarico e quindi è probabile che il deperimento della merce sia sopraggiunto dopo questo momento, che la Dimex ritiene decisivo.

È però innegabile che in questo modo non si ricavano elementi utili per la soluzione della questione. Dalla giurisprudenza in materia è emerso che il regolamento base del Consiglio n. 876/68 consente di concludere che l'essenziale per la concessione della restituzione variabile a seconda della destinazione è la messa in libera pratica e il fatto che la merce sia giunta a destinazione per esservi venduta. Rilevante non è quindi che la merce sia effettivamente giunta nel territorio dello stato, bensì l'autorizzazione alla vendita, autorizzazione per la quale nel Kuwait (come si desume dalla lettera dell'ambasciata tedesca 23 novembre 1978), se non occorre la messa in libera pratica, è tuttavia necessario il nullaosta sanitario. A parte ciò, se per ottenere la restituzione è necessaria la messa sul mercato della merce, non può essere sufficiente il fatto che questa abbia lasciato il territorio comunitario in buone condizioni, bensì occorre che le stesse condizioni sussistano al momento dell'accesso al mercato, giacché altrimenti — qualora essa non sia conforme agli usi commerciali — lo smercio diviene impossibile.

Dato l'orientamento della giurisprudenza, è poi evidente che non si può parlare di «importazione» qualora la merce sia divenuta incommerciabile e sia stata distrutta prima dello sdoganamento. Ora, se queste circostanze si sono verificate dopo lo sdoganamento (che — come sostiene la Dimex — in quei paesi non implica sempre un esame accurato) l'essenziale — come ha giustamente osservato la Commissione — sarà accertare se la causa principale si sia già manifestata in precedenza. In un caso come quello in esame ciò non è difficile da ammettere, poiché già il 7 ottobre 1976, cioè immediatamente dopo lo scarico, nei frigoriferi dell'acquirente gli agenti dei Lloyd avevano accertato che la merce non era in perfette condizioni.

Con ciò direi che ho esaurito tutti gli argomenti anche per quel che riguarda la terza questione del Bundesfinanzhof. Non mi pare quindi il caso (dato che la questione non è stata espressamente sollevata) di esaminare anche il problema prospettato dalla Dimex cioè se, qualora venga negata la sussistenza dei presupposti per una determinata restituzione, questa possa venir calcolata applicando l'aliquota più bassa, qualora essa non sia effettivamente rilevante per i contratti d'esportazione (come ritiene la Dimex riferendosi all'aliquota applicata nel caso di esportazione negli USA) (il che però viene contestato dalla Commissione particolarmente richiamandosi all'andamento delle esportazioni di Feta negli USA).

C —

Le questioni sollevate dal Bundesfinanzhof possono quindi risolversi come segue:

a)

La prova da fornirsi, a norma dell'art. 6, n. 2, del regolamento n. 876/68 in relazione all'art. 6, n. 1, del regolamento n. 192/75, che la merce è stata importata nel territorio di destinazione non si considera fornita irrefutabilmente qualora l'interessato abbia prodotto un documento sostitutivo richiesto dalle autorità competenti a norma dell'art. 11. n. 1, 3° comma, del regolamento n. 192/75. Ciò vale pure nel caso in cui l'autorità competente abbia richiesto la produzione di un documento sostitutivo e ne sia risultato che la prova dell'espletamento delle formalità doganali ai sensi dell'art. 11, n. 1, 2° comma, del regolamento n. 192/75 non era impossibile fornire per circostanze indipendenti dalla volontà dell'importatore.

b)

Una merce è importata nel territorio di destinazione ai sensi dell'art. 6, n. 2, del regolamento n. 876/68 in relazione all'art. 6, n..1, del regolamento n. 192/75 se vi è stata l'effettiva possibilità di porla in vendita. Questa possibilità non sussiste qualora la merce, prima o immediatamente dopo lo sbarco o dopo la messa in libera pratica, sia deperita e quindi sia stata distrutta e se pare plausibile che la causa determinante del deperimento sussistesse già prima dell'arrivo.


( 1 ) Traduzione dal tedesco.

( 2 ) Sentenza 2.6.1976, causa 125/75, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Hauptzollamt Hamburg-Jonas, Racc. 1976, pag. 771.

( 3 ) Sentenza 28.10.1971, causa 6/71, Rhcinmühlen Düs-seldorf/Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel, Racc. 1971, pag. 823.

( 4 ) Sentenza 2.6.1976, causa 125/75, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Hauptzollamt Hamburg-Jonas, Racc. 1976, pag. 771.

( 5 ) Sentenza 2.3.1977, causa 44/76, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Consiglio e Commissione delle Comunità europee, Race. 1977, pag. 393.

( 6 ) Sentenza 25.11.1980, causa 820/79, Regno del Bel-gio/Commissione delle Comunità europee, Racc. 1980, pag. 3537.

( 7 ) Sentenza 27.10.1981, causa 250/80, Anklagemyndig-heden/Hans Ulrich Schumacher, Peter Hans Gerth, Johannes Heinrich Gothmann e Alfred C. Töpfer, Racc. 1981, pag. 2465.

( 8 ) Sentenza 2.6.1976, causa 125/75, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Haupizollamt Hamburg-Jonas, Racc. 1976, pag. 771.

( 9 ) Sentenza 11.7.1978, causa 6/78, Union française de céréales/Hauptzollamt Hamburg-Jonas, Race. 1978, pag. 1675.

( 10 ) Sentenza 2.6.1976, causa 125/75, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Hauptzollamt Hamburg-Jonas, Racc. 1976, pag. 771.

( 11 ) Sentenza 2.3.1977, causa 44/76, Milch-, Fett- und Eier-Kontor GmbH/Consiglio e Commissione delle Comunità europee, Racc. 1977, pag. 393.