CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

GERHARD REISCHL

DEL 5 OTTOBRE 1983 ( 1 )

Signor Presidente

signori Giudici,

Nella controversia in ordine alla quale esprimo oggi il mio parere, si verte su un'ammenda irrogata alla ricorrente in base all'art. 9 della decisione n. 2794/80 in materia di quote di produzione d'acciaio (GU L 291, del 31. 10. 1980, Pag 1)

Posso così riassumere gli antefatti della controversia:

Con decisione 6 aprile 1981 veniva comunicata alla ricorrente l'entità delle sue quote di produzione per i prodotti dei gruppi I, III e IV nonché per l'acciaio grezzo per il secondo trimestre 1981 in forza del combinato disposto della decisione n. 2794/80 e della decisione n. 664/81 (GU L 69, del 14. 3. 1981, pag. 22). La suddetta decisione formava oggetto — in quanto la quota di produzione per il gruppo I era stata calcolata in 538325 tonnellate — di una causa dinanzi alla Corte (causa 119/81) ( 2 ) risoltasi con esito negativo per la ricorrente. Venivano respinti i suoi argomenti contro la decisione n. 2794/80 nonché la sua censura secondo cui sarebbe stata erroneamente valutata la capacità produttiva del suo treno II situato in Brema ai fini dell'adeguamento della produzione di riferimento ai sensi dell'art. 4, n. 3, della decisione n. 2794/80. Inoltre, nella relativa sentenza veniva sottolineato, con riferimento alla scopo dell'art. 58 del Trattato CECA, che la Commissione non è tenuta ad assicurare alle imprese interessate un'occupazione minima né a garantire ad ogni singola impresa un minimo di produzione da calcolare in relazione agli specifici criteri di redditività e di sviluppo della stessa.

È certo che la ricorrente non si è attenuta alla quota di produzione assegnatale per i prodotti del gruppo I e ritenuta legittima dalla Corte. Tale infrazione veniva constatata con lettera della Commissione 1o febbraio 1982, in cui il superamento della quota veniva quantificata in 123072 tonnellate. Nel corso della conseguente procedura amministrativa veniva concordemente riconosciuto che la produzione in eccesso era ammontata solo a 122781 tonnellate.

A seguito di tale superamento, la Commissione irrogava un'ammenda a norma dell'art. 9 della decisione n. 2794/80. Al riguardo veniva in applicazione — avendo l'impresa prodotto più del consentito già nel primo trimestre 1981 — il 2o comma del suddetto articolo in cui si stabilisce :

«Se la produzione di un'impresa supera la quota del 10 % e più o se l'impresa ha già superato in uno o più trimestri precedenti la sua o le sue quote, le ammende potranno ammontare fino al doppio di questi importi per tonnellata».

(ossia a 75 ECU per tonnellata di superamento di acciai ordinari e a 150 ECU per tonnellata di superamento di acciai speciali).

Ora, dato che il bilancio della ricorrente era passivo, l'ammenda normale (75 ECU per tonnellata di superamento) veniva aumentata solo del 10 %. Ne risultava un importo di 10129432 ECU (23909916 DM), il cui pagamento veniva imposto alla ricorrente con decisione 13 agosto 1982.

L'interessata ha impugnato la suddetta decisione dinanzi alla Corte di giustizia chiedendone l'annullamento.

Contemporaneamente la ricorrente presentava una domanda di sospensione dell'esecuzione. Al riguardo, in una prima ordinanza dell'I 1 novembre 1982, è stata disposta la sospensione dell'esecuzione dell'art. 3 della decisione 13 agosto 1982 a fronte della costituzione di una cauzione bancaria entro un termine di 15 giorni dalla notifica dell'ordinanza stessa. Una seconda domanda della ricorrente, diretta alla sospensione incondizionata dell'esecuzione fino alla pronunzia della sentenza definitiva e motivata dal fatto che la ricorrente non era in grado di costituire una cauzione bancaria, è stata respinta con ordinanza 7 dicembre 1982. Poiché è chiaro che la predetta cauzione bancaria non è stata prestata, la Commissione cerca attualmente di ottenere ancora l'esecuzione dell'ammenda contestata nella presente controversia.

A sostegno della sua domanda d'annullamento, la ricorrente fa valere l'esistenza, anche nell'ordinamento comunitario — quale principio generale di diritto — dell'istituto dello stato di necessità, in presenza del quale sarebbe giustificato un comportamento di per sé illecito o quantomeno verrebbe esclusa la responsabilità di chi si trova in istato di necessità. Essa si sarebbe trovata in una siffatta condizione superando la sua quota di produzione e pertanto non si giustificherebbe l'irrogazione di un'ammenda nei suoi confronti. L'impresa della ricorrente avrebbe subito, già dal 1974, perdite molto gravi ch'essa sarebbe riuscita a compensare solo con enormi sforzi. Orbene, se essa si fosse attenuta alla quota assegnatale — la quale, in relazione alla capacità produttiva di 459000 tonnellate mensili del treno II situato in Brema, avrebbe comportata, da parte della ricorrente, uno sfruttamento ampiamente inferiore alla media dell'impiego dei treni a nastri larghi a caldo della Comunità — da tale comportamento le sarebbero derivate tali maggiori perdite ch'essa non sarebbe stata più in condizioni di sopravvivere. In tale situazione essa sarebbe stata legittimata a tutelare il bene giuridico della sua propria esistenza, connessa con un gran numero di posti di lavoro, attraverso un adeguato superamento delle quote commisurato all'utilizzazione media nella Comunità, né si potrebbe mettere in dubbio che al suddetto bene giuridico spetti un rango più elevato rispetto al pregiudizio nei confronti del sistema delle quote che inoltre sarebbe stato a malapena percettibile, in quanto tutte le altre imprese avrebbero potuto smerciare la loro produzione ai prezzi previsti, e dunque non sarebbe stata ravvisabile una perturbazione del mercato.

La Commissione ha invece obiettato, in primo luogo, che appare dubbia la ricevibilità del mezzo dedotto dalla ricorrente alla luce della causa 119/81 ( 3 ) e della relativa sentenza. Essa ritiene inoltre che, anche se l'istituto dello stato di necessità fosse ammissibile nel diritto comunitario, esso sarebbe tuttavia difficilmente compatibile con lo scopo dell'art. 58 nell'ambito della disciplina delle quote, tanto più che così verrebbe in pericolo l'efficienza del sistema delle quote. Peraltro nella presente controversia non ricorrerebbero comunque i presuposti per invocare lo stato di necessità. Così non si potrebbe ormai affermare, ove ci si basi sulla capacità produttiva del treno Brema II che appare giustificata secondo la giurisprudenza — com'è noto la cifra di 459000 tonnellate mensili citata dalla ricorrente non è stata ritenuta provata dalla Corte nelle sentenze nelle cause 119/81 ( 3 ) e 303/81 ( 4 ) — che il grado d'utilizzazione del treno suddetto risulta molto nettamente inferiore alla media comunitaria. Non è comuque dimostrato inoltre che la ricorrente, ove si fosse attenuta alle quote nel secondo trimestre 1981, sarebbe stata minacciata da un pericolo immediato per la sua esistenza. Sarebbe altresì errato affermare che l'interesse giuridico leso sia di rango inferiore rispetto all'esistenza della ricorrente; poiché in realtà non si tratterebbe solo del normale funzionamento del sistema delle quote ma del fatto che in mancanza di un adeguamento regolato della produzione alla caduta dell'offerta sarebbe minacciata l'esistenza di parecchie imprese. Inoltre, secondo un principio generale di diritto, il pericolo da evitare attraverso un atto illecito non può essere provocato dallo stesso soggetto che invoca lo stato di necessità. Ora, nella presente controversia, sarebbe certo che le difficoltà della ricorrente risalirebbero a decisioni aziendali prese molto tempo prima dell'istituzione del sistema delle quote e che sarebbero state attinenti all'ampliamento del suo impianto situato in Brema, fonte di rilevanti perdite. Infine il ricorso all'autotutela invocando lo stato di necessità verrebbe in considerazione solo come ultima ratio qualora non esistano altre possibilità per evitare il pericolo fatto valere. La ricorrente avrebbe tuttavia avuto la possibilità — e non se ne sarebbe avvalsa — di ottenere un aumento delle quote tramite una domanda ai sensi dell'art. 14 della decisione n. 2794/80 e facendo riferimento a ulteriori consegne presso paesi terzi così come essa avrebbe potuto anche presentare una domanda di provvedimenti provvisori diretta ad una modifica delle quote nel corso della causa relativa alla fissazione delle quote.

1. 

In ordine alla sua eccezione d'irricevi-bilità, la Commissione ha precisato che, secondo l'assunto della ricorrente, il suo stato di necessità sarebbe stato provocato dal calcolo delle quote di produzione; la sua critica si rivolgerebbe dunque in effetti contro il calcolo delle quote ed essa intenderebbe conseguire, attraverso l'autorizzazione al superamento delle quote, null'altro che un aumento delle quote originariamente attribuitele. Orbene, ciò avrebbe dovuto essere fatto valere nell'ambito della causa relativa alla determinazione delle quote come si sarebbe ormai fra l'altro verificato anche nella causa 219/82 ( 5 ). Dopo la pronunzia della sentenza in causa 119/81 ( 6 ), relativa all'assegnazione delle quote per il secondo trimestre 1981, ciò non sarebbe però più possibile. L'efficacia di cosa giudicata della sentenza — correttamente intesa — non consentirebbe più di addurre circostanze esistenti già all'epoca di una causa precedente e connesse con la materia del contendere di questa, ove con ciò sia perseguito lo stesso scopo della causa precedentemente conclusasi.

Tale opinione non appare tuttavia pienamente convincente.

a)

Innanzitutto va messo in rilievo che la tesi della Commissione ora esposta si pone in una certa contraddizione con il punto di vista espresso nella causa 219/82 ( 5 ) secondo cui nella valutazione della legittimità di una decisione in materia di quote non viene in considerazione il richiamo allo stato di necessità in quanto esso potrebbe fornire una giustificazione soltanto a fronte di un comportamento illecito e quindi non potrebbe essere invocato con lo scopo di modificare una normativa giuridica. Se ciò fosse esatto — il che certo non va ora chiarito — la ricorrente avrebbe potuto difficilmente far valere lo stato di necessità contro la decisione in ordine alle quote nella causa 119/81 ( 6 ) e non potrebbe quindi naturalmente escludersi ora l'argomento fondato sullo stato di necessità in base al fatto che la ricorrente ha omesso di trattarlo nella suddetta causa.

b)

Nella presente controversia e alla luce del mezzo di ricorso dedotto dalla ricorrente non è certo applicabile inoltre l'art. 42 del vostro regolamento di procedura che stabilisce per il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia una specie di principio di concentrazione. Tale norma si riferisce cioè chiaramente soltanto al comportamento in uno stesso procedimento: da essa non può quindi desumersi alcunché ai fini della ricevibilità del mezzo in un successivo procedimento autonomo.

e)

In quanto però la Commissione intenda far entrare in gioco il concetto di cosa giudicata, quindi l'art. 65 del regolamento di procedura, è decisiva al riguardo la materia del contendere di una causa, quindi la domanda ivi fatta valere; in quanto essa sia stata decisa, il giudicato esclude ch'essa formi oggetto di una nuova causa.

Nella causa 119/81 ( 6 ) è stata respinta la domanda, fondata su svariati mezzi, diretta all'annullamento della decisione relativa alle quote per il secondo trimestre 1981, ed è quindi certo — in base al dispositivo e alla motivazione della sentenza 119/81 ( 7 ) — che la suddetta decisione in ordine alle quote era legittima. Ora invece non si tratta più in effetti del calcolo della quota di produzione per il secondo trimestre 1981, ma ormai solo della questione se l'inosservanza di una quota legittimamente fissata vada sanzionata con un'ammenda ovvero se questa appaia esclusa in quanto possano essere fatte valere determinate cause di giustificazione o di esclusione della colpa. Poiché al riguardo, vale a dire in ordine alla pretesa all'ammenda da parte della Commissione ed ai motivi che possono opporsi ad essa, nulla è detto nella sentenza in causa 119/81 ( 7 ), non può essere esclusa una nuova causa in materia con argomenti correlativamente nuovi. In particolare ciò non si può neppure motivare col fatto che l'art. 9 della decisione n. 2794/80 non contempla alcuna discrezionalità e quindi un'ammenda forma per così dire l'automatica conseguenza di un superamento di quote; poiché con ciò — nella sentenza in causa 312/81 ( 8 ) si parla di un obbligo di irrogare ammende in caso di superamenti di quote — naturalmente non è detto, come è stato nel frattempo chiarito in altre cause, che nei procedimenti relativi ad ammende possano essere escluse considerazioni in ordine alla giustificazione o alla colpa.

2. 

Se ci si occupa poi in particolare dell'argomento della ricorrente relativo allo stato di necessità, a mio parere si può rispondere senza dubbio affermativamente alla questione preliminare se tale istituto valga anche nel diritto comunitario; a giustificazione di tale affermazione non è ora necessaria un'estesa esposizione di diritto comparato.

Posso piuttosto rinviare al parere, prodotto dalla ricorrente, del direttore dell'Istituto Max Planck per il diritto penale estero e internazionale del 6 novembre 1982 da cui risulta che tale istituto è riscontrabile negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri e per quanto nel Regno Unito e in Irlanda — a parte leggi speciali, nelle quali, a causa di particolari formulazioni, vengono svolte analoghe considerazioni — vi sia qualche diversità, vi si ricavano però chiaramente risultati similari per via di considerazioni nel campo del diritto processuale e della commisurazione delle pene.

Presentano interesse a tal fine, fra l'altro, anche alcune sentenze di questa Corte. Al riguardo non penso tanto a quella in causa 312/81 ( 8 ), in cui si trova soltanto l'inciso «anche supponendo che la nozione di stato di necessità sia ammessa in linea di principio nel diritto comunitario» (punto 47), quanto soprattutto alla sentenza in causa 16/61 ( 9 ), nella quale — si tratta della sanzione nei confronti del mancato rispetto di listini prezzi — si prendeva in esame l'analogo istituto della legittima difesa. Quest'ultimo presuppone che un'azione risulti necessaria per sottrarsi ad un pericolo incombente su chi agisce, che la minaccia sia diretta, il pericolo sia imminente e che non vi sia alcun altro mezzo lecito per porvi riparo. Inoltre presenta un certo interesse la recente sentenza nelle cause 100-103/80 ( 10 ), in cui, al punto 90, viene trattato l'istituto dello stato di necessità e viene precisato al riguardo ch'esso presuppone un pericolo per l'esistenza di chi lo invoca e l'accertamento che il comportamento lesivo addebitato fosse il solo mezzo per la salvezza dell'impresa minacciata.

3. 

Comporterebbe invece maggiori difficoltà determinare precisamente quale caratteristica presenti l'istituto dello stato di necessità nel diritto comunitario in base ai principi di diritto comuni agli Stati membri e, in particolare, esaminare in questione di stabilire fino a che punto esso possa reclamare una collocazione nel diritto dell'economia ciò che è riscontrabile chiaramente solo per alcuni ordinamenti quali quello tedesco, belga e olandese. Inoltre si dovrebbe esaminare se le particolarità della disciplina delle quote ai sensi dell'art. 58 del Trattato CECA escludano, in caso di mancato rispetto delle quote, un richiamo allo stato di necessità in quanto, come sostiene la Commissione, esso sarebbe incompatibile con lo scopo della norma suddetta e dovrebbe mettere a repentaglio l'efficienza del sistema delle quote.

Non esiste però alcuna ragione per esaminare ora tutta questa problematica poiché sulla scorta di alcune altre considerazioni si può dimostrare, a mio parere, che in ogni caso nella presente controversia non emerge alcun motivo per annullare l'impugnata decisione d'ammenda a causa di uno stato di necessità della ricorrente.

a)

Potrebbe essere di per sé ovvio rinviare a questo scopo a quanto esposto nella sentenza in causa 312/81 ( 11 ) pronunziata in ordine ad un'ammenda per superamento della quota della ricorrente nel primo trimestre 1981. Infatti in tale occasione è stato dichiarato, a fronte di un corrispondente argomento, che non può essere presa in considerazione l'attribuzione di una quota inadeguata rispetto alle effettive capacità di produzione dell'impresa (punto 44). Le spese molto elevate della riorganizzazione attuata dal 1973 dipendevano inoltre da una decisione di politica aziendale dell'impresa stessa. Orbene, uno stato di necessità non può essere riconosciuto qualora la situazione di pericolo che deve giustificare l'atto illecito sia stata provocata dall'autore dell'atto stesso (punto 45). La disciplina delle quote sarebbe anzi seriamente pregiudicata, se non addirittura annullata ove qualsiasi impresa, invocando lo stato di necessità, potesse esimersi dalle restrizioni e superare a suo piacimento la quota di produzione attribuitale; la reazione a catena così avviata porterebbe al crollo del sistema (punto 46).

Un tale rinvio non può però esaurire l'argomento in quanto la ricorrente, nel corso della fase orale, ha sottolineato al riguardo che quanto constatato nella sentenza andrebbe attribuito in parte ad un fraintendimento del suo argomento relativo alla capacità di produzione e sarebbe quindi in parte inesatto, in quanto non sarebbe esclusa la possibilità d'invocare lo stato di necessità ove il pericolo da evitare sia stato provocato dallo stesso interessato. Inoltre la ricorrente ha già abbondantemente argomentato, nel corso della fase scritta, contro l'ipotesi per cui il sistema delle quote crollerebbe qualora fosse consentito a singole imprese di superare le loro quote invocando lo stato di necessità.

b)

È presupposto essenziale per far valere lo stato di necessità l'esistenza di un pericolo attuale, immanente nei confronti della ricorrente, una minaccia diretta alla sua esistenza a cui non si possa far fronte con mezzi diversi da un atto illecito. Sulla base delle ricerche di diritto comparato a nostra disposizione ciò si può considerare senz'altro certo e quindi come un elemento del diritto comunitario. Tuttavia, sotto entrambi i profili, nel corso del procedimento la ricorrente non ha potuto dare l'impressione che questi presupposti esistano nel suo caso.

aa)

La ricorrente ha sostenuto che, se essa si fosse attenuta alla quota di produzione nel secondo trimestre 1981 invece di produrre in eccesso in corrispondenza all'utilizzazione media dei treni nella Comunità, essa avrebbe subito una maggiore perdita dell'ammontare di 21000000 di DM. Al riguardo essa si è basata su di un parere, redatto per il terzo trimestre 1981, in cui erano eseguiti calcoli corrispondenti per l'intero periodo d'applicazione della decisione n. 1831/81 (GU L 180, del 1. 7. 1981, pag. 1), dal luglio 1981 al giugno 1982. Ora, si dovrebbero inoltre considerare anche le perdite derivanti dal sistema delle quote nel suo complesso, quindi le maggiori perdite che la ricorrente avrebbe subito attenendosi alle quote di produzione fino al giugno 1983 e che sono state quantificate nel suddetto parere in circa Vi miliardo di DM. Per la ricorrente, a suo dire, sarebbe stato impossibile compensare tali maggiori perdite in quanto essa avrebbe comunque subito, già dal 1974, enormi perdite che avrebbero potuto essere compensate solo con sforzi considerevoli e superando le quote. Essa sarebbe stata dunque condannata a scomparire se le suddette perdite si fossero verificate e essa sarebbe stata quindi legittimata, onde evitare tale eventualità, a tenere in non cale le decisioni relative alle quote.

Con la Commissione, non vorrei seguire la ricorrente su questo piano. Al riguardo può rimanere aperto il problema dell'esattezza delle predette cifre presentate dalla ricorrente. Come essa stessa ha affermato, è invece decisiva, ai fini della valutazione dell'argomento fondato sullo stato di necessità, la situazione in essere prima dell'inizio del secondo trimestre 1981 dato che il programma di produzione per il trimestre litigioso doveva essere fissato già all'inizio del marzo 1981. Ha dunque importanza soltanto — dato che i presupposti per un comportamento fondato sullo stato di necessità debbono sussistere al momento dell'esecuzione degli atti relativi — stabilire come si presentava la situazione della ricorrente a tale data. Di conseguenza non possono certamente essere prese in considerazione le asserite maggiori perdite da temere, dopo la scadenza della disciplina delle quote fondata sulla decisione n. 2794/80, nell'ambito di un nuovo sistema di quote, di cui non era ancora noto, nel marzo 1981, se sarebbe effettivamente venuto in essere e quali caratteri particolari avrebbe presentato. Orbene, se ci si attiene soltanto alla suddetta cifra attinente al secondo trimestre 1981 (maggior perdita temuta: circa 20 milioni di DM), non può affatto fondarsi in questo modo la tesi secondo cui l'esistenza della ricorrente sarebbe stata minacciata ovvero si sarebbero trovati in pericolo un numero rilevante di posti di lavoro.

Anche la stessa ricorrente sembra essersi fondata su ciò in quanto ha ritenuto necessario prendere complessivamente in considerazione tutte le maggiori perdite da lei temute fino al giugno 1983 ed in quanto essa ha precisato che non avrebbe potuto far fronte alle stesse neppure per un quinto, cioè per un ammontare di circa 100 milioni di DM. Inoltre non va solo rilevato ch'essa non ha comprovato la validità della sua affermazione secondo cui già moltissimo tempo prima si era esaurita la sua liquidità finanziaria; è anzi rilevante anche il fatto che i suoi periti non abbiano esaminato se venisse in considerazione una compensazione delle suddette perdite mediante utili provenienti da altri settori della società ovvero mediante proventi straordinari nonché il fatto che essi si siano genericamente limitati ad affermare, sulla questione della solvibilità della ricorrente, che gli importi da essi calcolati erano pericolosi. Inoltre potrebbe essere ancora interessante sotto questo profilo — come la Commissione ha giustamente rilevato — il fatto che, fino al settembre 1981, la ricorrente sia riuscita, secondo le sue stesse indicazioni, a compensare una perdita dell'ordine di 1,5 milardi di DM e ch'essa abbia solo vagamente asserito che, in seguito — quindi nell'autunno 1981 — le restavano a malapena i beni patrimoniali.

Ciò legittima certamente — e cioè senza che sia necessaria una perizia specifica — la conclusione che nel secondo trimestre 1981 non poteva assolutamente parlarsi di uno stato di necessità tale da minacciare l'esistenza della ricorrente. Il superamento delle quote, solo oggetto della presente controversia, non può dunque essere giustificato o scusato con riferimento al suddetto istituto né può con ciò essere messa in discussione la legittimità delle sanzioni irrogate.

bb)

Per quanto concerne l'altra considerazione che viene in esame — che l'autotutela in base allo stato di necessità è consentita solo come ultima ratio qualora non vi siano a disposizione altri mezzi — si deve così pensare, in primo luogo, alla presentazione di una domanda a norma dell'art. 14 della decisione n. 2794/80 che può avvenire non solo — come sappiamo a seguito di altre cause — nel caso di un'utilizzazione della capacità produttiva notevolmente inferiore alla media della Comunità, ma anche sulla base di consegne nei paesi terzi. In effetti è difficile comprendere come questa possibilità di pervenire per una via regolare ad un aumento della produzione dovesse essere destinata all'insuccesso per la ricorrente, in quanto — come è stato argomento in ordine alla mancata presentazione di tale domanda — essa non poteva procurarsi, a suo dire, ordini da paesi terzi. Per contro la Commissione poteva almeno rilevare che tentativi del genere da parte di altre imprese avevano ottenuto pieno successo. Inoltre si possono anche ricordare le affermazioni della ricorrente nel corso della fase orale della causa 244/81 ( 12 ), secondo le quali la ricorrente non aveva intrapreso ulteriori tentativi di vendita presso paesi terzi e secondo cui la ricorrente, se le esportazioni non fossero state sostanzialmente limitate dalle quote di produzione, avrebbe praticato una politica di produzione completamente diversa. Inoltre sappiamo anche, da questa trattazione orale, che la ricorrente ha presentato, per il terzo trimestre 1981, una domanda d'aumento delle quote di produzione, a seguito di un incremento nelle esportazioni, che tuttavia, all'epoca, per la mancanza di una norma corrispondente all'art. 14 della decisione n. 2794/80 nella normativa in materia di quote successivamente entrata in vigore, non poteva trovare accoglimento.

In secondo luogo, la Commissione ha messo altresì in rilievo, a mio parere a ragione, la possibilità — di cui la ricorrente non si è avvalsa — nella causa riferita alle quote di produzione della ricorrente per il secondo trimestre 1981, di presentare una domanda di provvedimenti provvisori, quindi di fare il tentativo di ottenere un aumento della produzione tramite un mezzo d'impugnazione ordinario a cui andrebbe fatto ricorso prima di ogni forma di autotutela. Se la ricorrente fosse stata effettivamente convinta dell'esistenza di uno stato di necessità — essa ha pur sempre già utilizzato l'argomento dello stato di necessità nella causa 244/81 ( 13 ) riferentesi al terzo trimestre 1981 e ha domandato una quota minima necessaria alla sua sopravvivenza — questa via non poteva, retrospettivamente, apparirle a priori vana. La circostanza che la Commissione nel predetto procedimento abbia definito non convincente tale argomento non forma certo ora, per contro, un adeguato argomento difensivo per la ricorrente.

4. 

Di conseguenza non mi membra necessario esaminare ancora le questioni se effettivamente il bene giuridico tutelato — Resistenza della ricorrente — vada considerato prioritario nei confronti dei beni giuridici lesi dal superamento delle quote e se abbia rilevanza la tesi secondo cui la ricorrente stessa ha contribuito a provocare lo stato di necessità attraverso precedenti decisioni aziendali. In ogni caso è certo che la ricorrente non può giustificare o scusare il mancato rispetto della decisione in ordine alle quote di cui trattasi nella presente controversia invocando lo stato di necessità. Poiché la ricorrente non ha addotto altri argomenti difensivi, la decisione d'ammenda non può pertanto essere né annullata né modificata.

5. 

Di conseguenza posso solo proporre di respingere il ricorso e di condannare la ricorrente alle spese ivi comprese quelle provocate dalle sue domande di sospensione.


( 1 ) Traduzione dal tedesco.

( 2 ) Sentenza 7. 7. 1982, causa 119/81, Klöckner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1982, pag. 2627.

( 3 ) Sentenza 7. 7. 1982, causa 119/81, Klockner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1982, pag. 2627.

( 4 ) Sentenza 11. 5. 1983, cause riunite 303 e 312/81, Klockner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1983, pag. 1507.

( 5 ) Causa 219/82, Klockner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, ancora pendente.

( 6 ) Sentenza 7. 7. 1982, causa 119/81, Klflckner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1982, pag. 2627.

( 7 ) Sentenza 7. 7. 1982, causa 119/81, Klöckner-Werke AG/Commissione delle Comunica europee, Race. 1982, pag. 2627.

( 8 ) Semenza 11. 5. 1983, cause riunite 303 e 312/81, Klackner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1983, pag. 1507.

( 9 ) Sentenza 12. 7. 1962, causa 16/61, Acciaierie, Ferriere e Fonderie di Modena/Alta Autorità CECA, Race 1962, pagg. 531,559.

( 10 ) Sentenzi 7. 6. 1973, cause riunite 100-103/80, Pioneer E.A-/Commissione delle Comunità europee, Race. 1983, pag. 1825.

( 11 ) Sentenza 11. 5. 1983, cause riunite 303 e 312/81, Klöckner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1983, pag. 1507.

( 12 ) Sentenza 11. 5. 1983, causa 244/81, Kleckner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race. 1983, pag. 1451.

( 13 ) Sentenza 11. 5. 1983, causa 244/81, Klöckner-Werke AG/Commissione delle Comunità europee, Race 1983 pag. 1451.