CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
G. FEDERICO MANCINI
DEL 1O FEBBRAIO 1983
Signor Presidente,
signori Giudici,
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La presente causa pregiudiziale riguarda l'interpretazione di taluni profili dell'espressione «materia contrattuale» che figura nell'articolo 5, prima parte e n. 1, della Convenzione di Bruxelles (27 settembre 1968) sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. È noto che, secondo tale norma, «il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o dev'essere eseguita». Si tratta di accertare preliminarmente se questa formula vada interpretata in modo autonomo o alla luce della lex causae e poi di stabilire se le obbligazioni che vincolano il soggetto aderente ad un'associazione abbiano o no natura contrattuale. La nostra Corte ha già avuto modo di pronunciarsi su altri aspetti della medesima norma. Ricordo la sentenza 6 ottobre 1976 nella causa 14/76, De Bloos/Bouyer (Raccolta 1976, p. 1497): i giudici vi definirono la portata del termine «obbligazione», stabilendo che esso si riferisce all'obbligazione contrattuale su cui è fondata l'azione giudiziaria. Ricordo altresì la sentenza della stessa data nella causa 12/76, Tessili/Dunlop (Race. 1976, p. 1473), che interpretò le parole «luogo in cui l'obbligazione è stata o dev'essere eseguita», facendo rinvio alla legge applicabile, in forza del diritto internazionale privato, dal giudice adito. Non esistono però precedenti che riguardino specificamente la nozione di «materia contrattuale» su cui siete ora chiamati a pronunciarvi. |
2. |
Per intendere esattamente i termini della controversia è opportuno fornire sin da ora alcuni dati sulla struttura e sul funzionamento dell'ente che ha il ruolo di attore nella causa principale. Il suo nome è Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging (di seguito denominata ZNAV) e la sua sede è in Olanda. Si tratta di un'associazione riconosciuta fra le imprese edili che operano nelle province meridionali dei Paesi Bassi, e precisamente nel Limburgo, nel Brabante settentrionale, nella Zelanda e in parte della Gheldria. Come si chiarisce al punto 1 della sentenza con cui la questione pregiudiziale è stata rimessa alla Corte, la ZNAV «ha lo scopo di tutelare gli interessi economici, finanziari, giuridici e altri dei propri membri e in generale delle imprese edili, nella misura in cui questi interessi riguardano ... la disciplina dei prezzi nell'ambito delle gare d'appalto e delle conseguenze di queste per gli imprenditori». Per consentirle di adempiere tali compiti lo statuto le riconosce specifici poteri: la competenza ad adottare norme interne di carattere generale, obbligatorie per i membri, e la facoltà di assumere decisioni. Queste ultime sono del pari obbligatorie, si basano sullo statuto, ma anche sulle norme generali anzidette e riguardano unicamente la posizione di singoli imprenditori. Tra le delibere del primo tipo ha particolare rilievo, ai fini della presente controversia, la «direttiva per le offerte a licitazione privata per i lavori civili e di pubblica utilità». Adottata il 28 novembre 1972 ed entrata in vigore il 1o gennaio 1973, essa impone ai membri che intendano presentare offerte per aggiudicarsi lavori rientranti nell'ambito operativo dell'associazione, l'osservanza di alcune regole: in particolare, prima di effettuare l'offerta, i membri sono tenuti a informarne l'associazione (v. articolo 3 della direttiva); e, se altri imprenditori associati si propongono di concorrere all'assegnazione del medesimo lavoro, devono partecipare, direttamente o tramite un rappresentante, all'apposita riunione indetta dall'ufficio centrale della ZNAV fra tutti gli operatori interessati (v. articolo 4). La riunione è presieduta da un rappresentante dell'associazione e il suo scopo è determinare una serie di indennità a carico di quello fra i membri che si aggiudicherà l'appalto. Si tratta di contributi:
Sulla base di tale normativa, dunque, l'imprenditore che alla fine esegue il lavoro è automaticamente tenuto a versare in favore dell'associazione tutte le indennità fissate nel corso della riunione preparatoria. Deve inoltre provvedervi nei termini e nei modi stabiliti dalla direttiva, vale a dire, in linea di principio, non appena iniziati i lavori e, quanto al luogo, presso la sede dell'ente (v. articoli 18 e 19 della direttiva). |
3. |
Chiarito così il quadro in cui si colloca la vicenda che è oggetto della lite principale, passo a riassumere brevemente i fatti di causa. L'impresa Martin Peters Bauunternehmung GmbH (in seguito denominata Peters) ha sede in Aquisgrana nella Repubblica federale di Germania. Quando aveva già aderito alla ZNAV, essa si aggiudicò un lavoro consistente nella costruzione di uffici ed edifici industriali Medtronic in Kerkrade; omise tuttavia di informarne l'associazione e non partecipò alla riunione preventiva da questa indetta e svoltasi regolarmente a Heerlen il 3 maggio 1977. Nel corso di tale riunione furono decisi i contributi dovuti dall'impresa che avesse ottenuto l'appalto. Successivamente, e cioè quando risultò che la Peters aveva iniziato l'esecuzione delle opere, la ZNAV la invitò a pagare i contributi già fissati in rapporto alle medesime. La Peters rifiutò di provvedervi e, con atto del 12 maggio 1978, l'associazione la convenne in giudizio davanti al tribunale di Boscoducale, chiedendo che fosse condannata a pagarle la somma di 112725 fiorini olandesi, oltre agli interessi legali e alle spese, per i contributi a cui era tenuta in quanto aggiudicataria. La società tedesca eccepì il difetto di giurisdizione del giudice adito invocando la localizzazione della propria sede nella Repubblica federale: tale circostanza — essa sostenne — impediva, per l'articolo 2 della Convenzione di Bruxelles, che la ZNAV potesse convenirla davanti ad un giudice olandese. Con sentenza del 2 marzo 1979, il tribunale di Boscoducale respinse l'eccezione, affermando che l'obbligazione dedotta in giudizio aveva natura contrattuale e doveva venire adempiuta presso la sede della ZNAV nei Paesi Bassi: da qui la sua competenza a norma dell'articolo 5, prima parte e n. 1 dell'anzidetta Convenzione che per le obbligazioni contrattuali, come sappiamo, prevede quale foro speciale quello del giudice del luogo in cui l'obbligazione «è stata o deve essere eseguita». La Peters si rivolse allora alla Corte d'appello di Boscoducale che peraltro confermò la decisione di prima istanza. Ne seguì un ricorso per cassazione in cui l'impresa soccombente contestò la natura contrattuale del rapporto che la legava alla ZNAV. Con sentenza del 15 gennaio 1982, lo Hoge Raad sospese il procedimento e propose alla nostra Corte le seguenti domande pregiudiziali: «Se l'articolo 5, prima parte e n. 1 della Convenzione si applichi alle pretese di un'associazione munita di personalità giuridica nei confronti di uno dei suoi membri, pretese relative al pagamento di una somma e che hanno il loro fondamento nel rapporto di associazione in atto fra le parti, posto in essere dal fatto che la convenuta è divenuta membro dell'associazione in forza di un apposito negozio giuridico. Se si debba in proposito rare una distinzione a seconda che le obbligazioni derivino direttamente dall'iscrizione ovvero dall'iscrizione in relazione a una o più delibere di organi dell'associazione». |
4. |
Il primo punto su cui occorre far chiarezza riguarda la portata della formula «materia contrattuale». Com'è noto, infatti, le espressioni e le nozioni giuridiche tratte dal diritto civile, commerciale e processuale che figurano nella Convenzione di Bruxelles sono suscettibili di una duplice lettura: si può cioè attribuir loro un significato autonomo e quindi comune all'insieme degli Stati membri o si può ritenere che esse operino un rinvio all'ordinamento applicabile dal giudice investito per primo della causa secondo le regole del diritto internazionale privato. In proposito, la nostra Corte ha affermato che «nessuna delle due opzioni può essere accettata in modo esclusivo, giacché la soluzione migliore va studiata di volta in volta per ciascuna norma della convenzione, in modo tale tuttavia da garantire la piena efficacia di quest'ultima nella prospettiva delle realizzazioni volute dall'articolo 220 del Trattato» (v. sentenza 6. 10. 1976 nella causa 12/76, Tessili/Dunlop, già citata, punto 11 della motivazione). Ma, detto ciò, è doveroso aggiungere che la Corte ha imboccato la seconda strada solo in quest'ultima sentenza (nella quale si trattava, come sappiamo, di definire il significato dell'espressione «luogo di esecuzione» delle obbligazioni contrattuali) e che lo ha fatto in vista «delle divergenze esistenti fra le legislazioni nazionali sui contratti e dell'assenza, nell'attuale stadio dell'evoluzione giuridica, di qualsiasi unificazione del diritto sostanziale da applicarsi» (v. ivi, punto 14 della motivazione). Tutte le altre sentenze sin qui pronunciate in cause pregiudiziali riguardanti la Convenzione di Bruxelles fanno propria la prima interpretazione; ossia riconoscono alle espressioni tecnico-giuridiche impiegate da quel testo un valore autonomo e dunque identico per i vari Stati membri. Tra di esse ricordo, in questo senso, le sentenze 14 ottobre 1976 nella causa 29/76, LTU/Eurocontrol (Race. 1976, p. 1541) e 16 dicembre 1980 nella causa 814/79, Paesi Bassi/Rüffer (Race. 1980, p. 3807), concernenti l'espressione «materia civile e commerciale» di cui all'articolo 1; la sentenza 30 novembre 1976, nella causa 21/76, Bier/Mines de potasse d'Alsace (Racc. 1976, p. 1735), sulla nozione di «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto», che figura nell'articolo 5, n. 3; la sentenza 21 giugno 1978, nella causa 150/77, Bertrand/Ott (Race. 1978, p. 1431), sulla nozione di «vendita a rate», di cui all'articolo 13; le sentenze 22 novembre 1978 nella causa 33/78, Somafer/Saar-Ferngas (Racc. 1978, p. 2183) e 18 marzo 1981 nella causa 139/80, Blanckaert & Willems/Trost (Race. 1981, p. 819), sulla interpretazione della formula «l'esercizio di una succursale, di un'agenzia o di qualsiasi altra filiale», di cui all'articolo 5, n. 5. Ritengo che l'espressione «materia contrattuale» a cui si riferiscono i quesiti del giudice olandese debba essere interpretata in modo autonomo. Giungo a questa conclusione riferendomi, per un verso, ai principi generali che sul punto si desumono dal complesso degli ordinamenti nazionali e, per l'altro, agli scopi e al sistema della Convenzione. Sotto il secondo profilo occorre in particolare tener conto del fatto che la Convenzione tende a garantire, nella misura del possibile, la parità e l'uniformità dei diritti e degli obblighi da essa derivanti per gli Stati contraenti e per le persone interessate. La nostra Corte ha sottolineato più volte l'importanza di questi criteri interpretativi: ricordo, fra le altre, le sentenze 22 febbraio 1979 nella causa 133/78, Gourdain/Nadler (Race. 1979, p. 733) e 16 dicembre 1980 nella causa 814/79, Paesi Bassi/Rüffer, già citata (specialmente punti 8 e 14 della motivazione). |
5. |
Quasi tutti gli ordinamenti degli Stati membri riconoscono la natura contrattuale dei rapporti fra un'associazione e i soggetti che ne fanno parte. Per i diritti belga, francese, italiano, danese, inglese e scozzese, tale qualificazione riguarda sia l'atto di adesione all'ente, sia i diritti e gli obblighi che discendono dalla posizione di membro. La dottrina francese, ad esempio, afferma che la nascita di un'associazione poggia sulla volontà delle parti e la giurisprudenza di quel paese considera «contrattuali» i rapporti di un'associazione con i propri membri. Nello stesso senso è orientato il sistema italiano: l'articolo 1420 del codice civile considera la partecipazione di più persone ad un accordo (è il caso degli atti istitutivi di una associazione) come un vero e proprio contratto, anche se «le prestazioni di ciascuna (delle parti) sono dirette al conseguimento di uno scopo comune». Quanto agli obblighi derivanti ai soci dall'appartenenza all'associazione, la Corte di cassazione italiana ha ritenuto che l'atto generatore del legame associativo riproduce la situazione tipica dei contratti sinallagmatici; l'associazione può dunque rivolgersi al giudice in base all'articolo 1453 ce. (relativo alla risoluzione per inadempimento del contratto a prestazioni corrispettive) per ottenere lo scioglimento del vincolo sociale nei confronti dei membri inadempienti agli obblighi anzidetti (v. Cass. 2 marzo 1973, n. 579). Su questa linea è anche il diritto inglese con riferimento sia all'atto costitutivo dell'associazione sia alle obbligazioni scaturenti per i soci dall'appartenenza all'ente; rammento al riguardo che, nel caso Lee v Showmen's Guild of Great Britain (1952) 2 Q.B., 329, 341 f., Lord Denning sottolineò la natura contrattuale del rapporto tra associato e associazione per dimostrare che la competenza del giudice adito non era circoscritta alla tutela dei diritti di proprietà. Quanto al sistema tedesco, giudici e scrittori concordano nel qualificare di contrattuale l'atto con cui si aderisce ad un'associazione. Viceversa, per ciò che riguarda i rapporti posteriori all'adesione, si registrano punti di vista difformi: la giurisprudenza sembra propensa ad intendere questi rapporti come attinenti al «diritto istituzionale» dell'ente, mentre la dottrina è divisa, nel senso che alcuni autori accolgono la tesi della natura contrattuale e altri sostengono quella della natura istituzionale. Nei Paesi Bassi, infine, il nuovo codice civile considera l'atto istitutivo di un'associazione come negozio giuridico multilaterale sui generis e parallelamente qualifica sui generis (o di diritto istituzionale) i rapporti che si formano in capo ai membri per effetto dell'appartenenza all'associazione. Dai dati sin qui riportati risulta insomma che, se si eccettua quello olandese, tutti gli altri ordinamenti identificano nel negozio costitutivo dell'ente un contratto in senso tecnico. Quanto poi ai rapporti che sorgono tra i soci e l'ente per effetto dell'adesione, l'orientamento appare analogo: a parte l'opzione per la cosiddetta teoria istituzionale, che è fatta propria dal nuovo codice civile olandese e dalla giurisprudenza della Repubblica federale (ma, ripeto, la dottrina tedesca sul punto resta discorde), tutti gli altri sistemi riconoscono a questi rapporti natura contrattuale. Lo stesso rappresentante della Commissione ha messo in evidenza tale stato di cose nella propria memoria del 26 marzo 1982 (v. in particolare il punto 6, p. 21). Da qui a dire che la tendenza prevalente nei diritti degli Stati comunitari è nel senso di applicare sia agli atti creativi di associazioni sia ai rapporti fra queste e i loro soci il regime giuridico dei contratti, il passo è breve. E si tratta di un passo importante ai fini del risultato che c'interessa: l'attinenza degli obblighi che, direttamente o indirettamente, vincolano i membri di un'associazione al concetto di «materia contrattuale» di cui all'articolo 5, prima parte e n. 1, della Convenzione di Bruxelles. L'esattezza di tale interpretazione, del resto, trova una convincente conferma negli scopi e nel sistema della Convenzione. |
6. |
Gli articoli 5 e 6 di quest'ultima contengono un elenco di casi nei quali il convenuto può essere citato in uno Stato contraente che non sia quello del suo domicilio. Come si osserva nella relazione Jenard (GU C 59 del 5. 3. 1979, p. 1 e seguenti, specialmente p. 22), «i giudici previsti da detti articoli vengono ad aggiungersi a quelli di cui all'articolo 2», ossia ai giudici dello Stato contraente nel cui territorio hanno il loro domicilio le persone convenute. L'istituzione di fori alternativi individuabili direttamente sulla base della Convenzione (senza cioè che si debba far ricorso alle regole sulla competenza territoriale in vigore nell'ordinamento del foro) risponde essenzialmente ad un'esigenza di calcolabilità o, se si preferisce, di certezza giuridica. In questo modo — afferma la relazione (p. 22) — si è inteso «facilitare l'attuazione della convenzione»; perché, «ratificandola, gli Stati membri non dovranno prendere altre misure per adattare eventualmente la loro legislazione interna ai vari criteri adottati negli articoli 5 e 6». È chiaro, infatti, che, approdando ad un concetto uniforme applicabile nello stesso modo in tutti gli Stati membri, l'interpretazione autonoma dell'espressione «materia contrattuale» è la più idonea a garantire il bisogno di certezza a cui ho alluso. Ma, come si aggiunge nella stessa relazione, è soprattutto un altro rilievo attinente al merito che giustifica «l'adozione di norme di competenza speciali». Si tratta della «stretta correlazione tra la controversia ed il giudice competente a conoscerla» (v. ancora p. 22). Nel formulare l'articolo 5, n. 1 (e gli altri disposti dello stesso articolo e di quello successivo), gli autori della Convenzione sono infatti partiti dall'idea che il giudice del luogo «in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita» abbia, per la sua vicinanza fisica al rapporto controverso, le migliori «chances» di valutarlo con la massima possibile conoscenza dei dati di causa. Quest'argomento si rivela particolarmente persuasivo quando si tratta — com'è nella specie — di obbligazioni da adempiere presso la sede di un ente: appare ovvio che, in casi del genere, il giudice del luogo in cui l'obbligazione va eseguita è quello che meglio d'ogni altro può acquisire le opportune informazioni sul funzionamento dell'ente creditore e quindi meglio di ogni altro decidere le eventuali controversie inerenti a tale obbligazione. Queste considerazioni corroborano la tesi cosiddetta contrattualistica. D'altronde, non si ravvisano, né sono stati indicati dalle parti, argomenti che giustifichino l'esclusione delle obbligazioni a cui dà vita il vincolo associativo dalla sfera di applicazione dell'articolo 5, n. 1. E vero anzi il contrario: i motivi che hanno indotto a prevedere, per le obbligazioni contrattuali in genere, il foro speciale del luogo di esecuzione, valgono esattamente allo stesso modo per le obbligazioni prodotte da quel vincolo. Nell'uno come nell'altro caso, si tratta di introdurre un foro alternativo che incardini la competenza del giudice più vicino al rapporto litigioso. Sempre nello stesso ordine di idee, si può aggiungere un'ulteriore osservazione. Ho già ricordato che, secondo la nostra Corte, la Convenzione tende a garantire, per quanto è possibile, l'eguaglianza e l'uniformità delle situazioni giuridiche da essa derivanti per gli Stati membri e per i soggetti interessati. Ora, quest'obbiettivo viene più efficacemente conseguito se si riconosce portata autonoma all'espressione «materia contrattuale». E manifesto infatti che, se tale espressione viene interpretata con riguardo alla lex causae di volta in volta applicabile, il funzionamento del foro speciale di cui all'articolo 5, n. 1, sarà tanto diverso quanto diversi sono i modi in cui i vari ordinamenti intendono il concetto di obbligazione contrattuale; mentre se, come propongo, l'espressione è interpretata in modo autonomo, essa viene a rappresentare un criterio uniforme per tutti gli Stati membri. |
7. |
Nella procedura scritta come nella trattazione orale, si è insistito sul collegamento fra la Convenzione di Bruxelles e la Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (GU L 266 del 9. 10. 1980, p. 1). All'articolo 1, lettera e), il secondo accordo (peraltro non ancora entrato in vigore) espunge dal proprio campo di applicazione le «questioni inerenti al diritto delle società, associazioni e persone giuridiche, quali la costituzione, la capacità giuridica, l'organizzazione interna e lo scioglimento delle società, associazioni e persone giuridiche, nonché la responsabilità legale personale dei soci e degli organi per le obbligazioni della società, associazione o persona giuridica». La difesa della Peters trae argomento da tale norma per sostenere che le obbligazioni derivanti in capo ai soci dall'adesione all'associazione non hanno fondamento contrattuale; a confermare la loro diversa natura sarebbe proprio il fatto che esse siano escluse dall'ambito della convenzione con cui si disciplina la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. All'opposto, la Commissione e la Repubblica federale di Germania desumono dalla stessa esclusione il carattere contrattuale delle obbligazioni in esame; avere avvertito — esse osservano — la necessità di prevederla, postula il timore che, in assenza di un'esplicita previsione, le dette obbligazioni ricadrebbero, proprio per la loro natura contrattuale, nella sfera applicativa della Convenzione. Orbene, io non credo che argomenti di questo genere abbiano di per sè forza tale da risolvere il nostro problema in un senso o nell'altro. Tuttavia, tenuto conto delle considerazioni che in precedenza ho svolto circa le finalità della Convenzione del 1968 e in particolare dell'articolo 5, n. 1, mi sembra che l'argomento a contrario ricavabile dalla Convenzione di Roma possa almeno valere come conferma della tesi qui accolta. |
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Lo Hoge Raad non si limita a chiedere se rientrino nell'ambito di applicazione dell'articolo 5, n. 1, le pretese che l'associazione fonda sull'appartenenza alla medesima dei soggetti obbligati. Esso domanda altresì «se si debba fare una distinzione a seconda che le obbligazioni derivino direttamente dall'iscrizione ovvero dall'iscrizione in relazione ad una o più delibere di organi dell'associazione». Ritengo che a questo secondo quesito debba darsi risposta negativa. Anche le obbligazioni nascenti dalla delibera di un organo sociale trovano il loro fondamento nell'accordo che istituisce il vincolo associativo; mediante tale accordo, infatti, i contraenti manifestano la volontà di accettare l'ordinamento interno dell'ente, il che suppone, tra l'altro, la loro soggezióne alle decisioni degli organi sociali. Si può cioè affermare che in ultima analisi anche l'efficacia vincolante di tale delibera riposi — come quella dell'atto di adesione — sulla volontà contrattuale delle parti. Così stando le cose, mi sembra che — dal punto di vista della costruzione teorica — non vi siano difficoltà a ricondurre le delibere degli organi sociali ad una matrice contrattuale. E del resto abbiamo già visto che è appunto questa la tendenza prevalente negli ordinamenti degli Stati membri. |
9. |
Per tutti i rilievi sopra svolti suggerisco che la Corte risponda nel modo che segue alle domande formulate in via pregiudiziale dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi con sentenza del 15 gennaio 1982, nella causa promossa, con atto del 12 maggio 1978, dalla Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging contro la società Peters :
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