CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE SIMONE ROZÈS

DEL 17 NOVEMBRE 1982 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

II Tribunal de grande instance di Parigi vi ha sottoposto una questione pregiudiziale.

I — Nella sentenza del 10 luglio 1980 ( 2 ) avete affermato che:

«la Repubblica francese, nel disciplinare in modo discriminatorio la pubblicità delle bevande alcoliche e nel mantenere così ostacoli alla libertà degli scambi in-tracomunitari, è venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE».

Alcune imprese, e i loro direttori, denunciati e processati dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi per pubblicità illecita a favore di bevande alcoliche, eccepivano quindi che gli aru. L 17, 1o comma, e L 18 del Code des débits de boissons et des mesures contre l'alcoolisme, di cui veniva loro addebitata l'infrazione, dalla vostra sentenza summenzionata erano stati dichiarati incompatibili con il diritto comunitario e quindi non vi era motivo di procedere nei loro confronti.

Di fronte a queste eccezioni di difesa, il giudice nazionale vi chiede, in quattro serie di cause sottopostevi a norma dell'art. 177 del Trattato e che avete riunito, di pronunciam circa:

«l'efficacia diretta ed immediata nell'ordinamento giuridico interno francese, delle norme comunitarie che si desumono dalla sentenza 10 luglio 1980 e ciò tenendo conto dell'art. 171 del Trattato CEE».

II — I dubbi del giudice nazionale si spiegano tenendo presente le caratteristiche delle varie bevande in questione e dei provvedimenti d'esecuzione adottati in esito alla vostra sentenza di cui sopra.

Infatti, i prodotti per i quali gli imputati avrebbero fatto illecitamente pubblicità rientrano in due categorie distinte.

La prima comprende bevande alcoliche non importate dagli Stati membri, ma che hanno due origini diverse:

l'origine nazionale: si tratta di una bevanda alcolica del terzo gruppo ai sensi dell'art. L 1 del Code, cioè dell'aperitivo a base di vino St. Raphaël, per la quale la pubblicità è limitata (causa 314/81).

l'origine di paesi terzi: si tratta di bevande che appartengono del pari al terzo gruppo, vale a dire di vini dolci naturali ( 3 ) o vini liquorosi, più precisamente i «porto» Cruz e Cintra, importati dal Portogallo (cause 315 e 316/81).

La seconda categoria comprende una bevanda alcolica del quinto gruppo, importatada uno Stato membro, il whisky scozzese «Label 5», per la quale è vietata qualsiasi pubblicità (causa 83/82).

Quanto ai provvedimenti necessari per l'esecuzione di una sentenza della vostra Corte, l'art. 171 recita:

«Quando la Corte di giustizia riconosca che uno Stato membro ha mancato a uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del presente Trattato, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa».

Orbene, il solò provvedimento effettivamente adottato in esito alla vostra pronunzia è stata una circolare, inviata il 10 ottobre 1980 dal Guardasigilli ai giudici e ai procuratori della Repubblica, che specificava le conseguenze che si dovevano trarre dalla sentenza 10 luglio 1980.

Questa circolare dichiara che la disciplina francese è stata censurata solo in quanto fa una discriminazione a danno di un prodotto importato da uno Stato membro della Comunità. Essa distingue a seconda che

la pubblicità sia fatta a favore di un prodotto francese, quindi non importato, o di un prodotto importato da un paese terzo e — in questo caso — i giudici francesi non devono tener conto della sentenza,

la pubblicità sia fatta a favore di un prodotto importato da uno Stato membro; spetta in questo caso al giudice penale stabilire se questo prodotto «sia realmente colpito da una discriminazione» rispetto ad altri prodotti nazionali che possono considerarsi suoi concorrenti.

Gli imputati sostengono che la disciplina francese sulla pubblicità delle bevande alcoliche è stata da voi condannata nel suo complesso e che gli artt. L 17 e L 18 del Code vanno disapplicati per intero, indipendentemente dall'origine o dal gruppo del prodotto che essi avrebbero illecitamente reclamizzato.

Di fronte a queste tesi diametralmente opposte, il giudice nazionale vorrebbe sapere quali sono le conclusioni che deve trarre dalla vostra sentenza nei processi dinanzi ad esso promossi dal Procuratore della Repubblica e dal Comité national de défense contre l'alcoolisme.

Nell'ambito del procedimento di cui all'art. 177, esula dalla vostra competenza l'applicare la vostra sentenza al caso specifico di cui deve conoscere il giudice nazionale. Tuttavia potete, fornirgli dei chiarimenti sulla portata delle vostre pronunce relativamente agli illeciti su cui deve pronunciarsi, data l'efficacia diretta dell'art. 30 — unica norma cui la Repubblica francese non si è conformata, secondo la vostra sentenza e dato che la disciplina francese della pubblicità per le bevande alcoliche non è stata ancora ufficialmente emendata.

III — Posto in questi termini, il problema è — teoricamente — di facile soluzione.

Il parere motivato della Commissione che ha portato alla vostra sentenza 10 luglio 1980 contemplava solo l'art. 30 del Trattato e questa sentenza ha quindi de-finito misure d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa solo le limitazioni o i divieti di pubblicità che colpiscono le importazioni degli altri Stati membri.

D'altro canto, nella sentenza Emi Records del 15 giugno 1976 ( 4 ) avete affermato che:

«Nell'ambito delle disposizioni del Trattato concernenti la libera circolazione delle merci, ed in conformità all'art. 3, lett. a), gli artt. 30 e segg., relativi all'abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure d'effetto equivalente stabiliscono espressamente che dette restrizioni e misure sono vietate fra gli Stati membri».

1.

Seguendo l'ordine in cui le cause sono state discusse, comincerò dalla seconda categoria di prodotti, cioè dal whisky importato da uno Stato membro, per la quale la soluzione non dovrebbe dar luogo a difficoltà, nemmeno per il Governo francese e a proposito della quale il Comité national de défense contre l'alcoolisme non si è costituito parte civile.

Infatti, in una precedente sentenza, del 27 febbraio 1980, pronunciata in una controversia fra le stesse parti (Commissione c/Repubblica francese) avete affermato che

«le caratteristiche che accomunano tutte le acquaviti (tanto di cereali, quanto di vino) sono comunque abbastanza spiccate da permettere di affermare che in ogni caso esiste un rapporto di concorrenza almeno parziale o potenziale» ( 5 ).

Al n. 16 della sentenza 10 luglio 1980 ( 6 ), dichiarate che:

«Quelle osservazioni (di principio) formulate nell'ambito di una lite relativa al trattamento fiscale delle bevande in questione, si applicano, essendo identici i motivi, alla valutazione degli ostacoli di carattere commerciale, di cui agli artt. 30 e 36 del Trattato».

Orbene, secondo il n. 20 della stessa sentenza ( 7 )

«la disciplina (francese) è contraria all'art. 30 del Trattato CEE, in quanto comporta una restrizione indiretta all'importazione di prodotti alcolici originari di altri Stati membri, nella misura in cui la distribuzione di tali prodotti è sottoposta a disposizioni più rigorose, sia in diritto, sia in fatto, di quelle che si applicano ai prodotti nazionali (o) concorrenti».

Ne consegue in modo abbastanza chiaro, mi pare, che il whisky importato da uno Stato membro va trattato alla stessa stregua delle bevande nazionali direttamente concorrenti, cioè le bevande del quarto gruppo (in particolare il cognac), per le quali, secondo la legislazione francese attualmente in vigore, la pubblicità è pienamente libera.

Su questo punto la vostra sentenza non richiedeva, in linea di massima, alcun intervento del legislatore francese giacché il divieto nazionale restava valido solo per il whisky direttamente importato dai paesi terzi.

Basta dunque — ma occorre — che non si proceda per quel che riguarda questa imputazione. Questa infatti è la conclusione che si trae dalla vostra sentenza Schonenberg del 16 febbraio 1978 ( 8 ), nella quale avete precisato che«una condanna penale inflitta in forza di un atto legislativo interno riconosciuto contrastante col diritto comunitario è (del pari) incompatibile con questo diritto».

2.

Nel caso delle bevande non importate dagli Stati membri, il problema si pone in termini diversi.

Come ho detto, questa categoria di prodotti comprende tanto le bevande francesi quanto quelle importate dai paesi terzi. Esaminerò separatamente queste due ipotesi.

a) Prodotti francesi

Gli imputati (nella causa 314/81) sostengono che si verificherebbe una «discriminazione a rovescio» se si dovesse disapplicare il Code des débits de boissons ai prodotti importati dagli Stati membri (whisky, ad esempio, che — secondo la vostra sentenza — dovrebbe essere equiparato alle bevande del quarto gruppo, la cui pubblicità è libera), pur mantenendolo in vigore per i prodotti nazionali del terzo gruppo (St. Raphael, che può venire reclamizzato solo limitatamente).

Sono questi infatti i prodotti fra i quali un'analogia almeno parziale — «nozione che va interpretata estensivamente» ( 9 ) — oppure che si trovino in rapporto di «concorrenza, anche parziale, indiretta o potenziale» ( 10 ). Orbene, avete già dichiarato che, per quel che riguarda i rapporti di analogia e di concorrenza tra i prodotti in questione, è sufficiente far richiamo alla sentenza pronunciata tra le stesse parti il 27 febbraio 1980, nella causa 168/78, vertente sul regime fiscale delle acquaviti ( 11 ). Rilevo che si trattava dei vini dolci naturali e dei vini liquorosi importati, da una parte, degli alcolici distillati tipici della produzione nazionale e degli alcolici di grano importati, dall'altra.

Secondo gli interessati, siffatta differenza di trattamento è incompatibile con:

l'art. 3, f),

l'art. 7, 1o comma, del Trattato,

il principio dell'uguaglianza degli amministrati dinanzi alla disciplina economica, che a sua volta rientra tra i principi generali del diritto comunitario,

la tutela dei diritti fondamentali, garantita dalla Corte.

Nella fase orale, le stesse parti si sono pure richiamate alle conclusioni del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Parigi del 24 maggio 1981 e alla sentenza di detta Corte del 14 giugno 1982 nella causa Seul ed altri, vertente su una campagna pubblicitaria a favore di varie bevande del quinto gruppo, in particolare del pastis, aperitivo a base di anice.

Il Procuratore generale aveva concluso che «il continuare ad applicare la, disciplina litigiosa ai soli prodotti nazionali costituirebbe una discriminazione a rovescio e sarebbe in contrasto con il principio costituzionale di non discriminazione dinanzi alla legge, sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e ribadito non solo dalla costituzione francese, ma anche dalla Convenzione europea sui Diritti dell'Uomo».

La Corte d'appello, dal canto suo, ha dichiarato che

«dal momento che, con la sentenza di cui sopra ( 12 ) la normativa francese in quanto tale, ed in particolare l'art. L 17 contemplato dalla citazione, è stata dichiarata globalmente incompatibile con il Trattato di Roma, in quanto provoca nel settore considerato una disparità di trattamenti idonea ad ostacolare gli scambi intraco-munitari, non vi è motivo di distinguere fra le bevande importate da uno Stato membro e le altre».

aggiungendo che

«pur se, conformemente all'art. 36 di detto Trattato, è opportuno tenere ben presenti, nel nostro caso, le esigenze della pubblica sanità, è d'uopo non lasciar sussistere nel mercato comune, disposizioni di leggi o di regolamenti che, secondo la formula usata nello stesso articolo, potrebbero risultare equivalenti a un “mezzo di discriminazione arbitraria” o a “una restrizione dissimulate” negli scambi tra i paesi membri della Comunità ...»

Come ho già ricordato, il dispositivo della vostra sentenza 10 luglio 1980 non ha globalmente dichiarato che la legislazione francese di per sé fosse incompatibile con il Trattato di Roma.

Quanto alla «discriminazione a rovescio», la Corte di giustizia è indubbiamente competente a garantire la tutela dei diritti fondamentali allorché atti delle autorità comunitarie possono lederli in qualche modo. Però la questione su cui verte il presente procedimento non riguarda un'eventuale lesione dei diritti fondamentali dovuta ad un atto delle istituzioni delle Comunità. La vostra sentenza non prescrive alle autorità nazionali «la conservazione della disciplina incriminata per i soli prodotti nazionali»: sotto questo profilo essa è perfettamente neutra. Non dovete quindi nell'ambito del presente procedimento, pronunciarvi sulla conformità, sotto il profilo dei principi generali del diritto comunitario, dell'applicazione di norme di uno Stato membro che possono implicare discriminazioni a danno dei cittadini di detto Stato.

E opportuno esaminare gli altri mezzi delle parti.

L'art. 3, lett. f), del Trattato, invocato nella fattispecie, recita:

«... l'azione della Comunità importa, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal presente Trattato:

...

la creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune».

Nonostante enunci uno dei principi su cui si fonda la Comunità, questo articolo esercita i suoi effetti solo nell'ambito delle disposizioni specifiche alle quali fa richiamo, cioè delle norme sulla concorrenza ( 13 ) e non nell'ambito della disciplina della libera circolazione delle merci ( 14 ).

A norma dell'art. 7, 1o comma:

«nel campo di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

Questa disposizione vieta forse in via generale le discriminazioni a rovescio?

Non direi.

Secondo la vostra giurisprudenza, questo divieto vale in materia di libera circolazione delle persone ( 15 ); ma, negli altri settori, essa ha effetto solo in relazione alle disposizioni specifiche del Trattato o allorché esiste una politica comune, cosa che nel nostro caso non avviene.

Così, nella sentenza Peureux 13 marzo 1979 ( 16 ), avete dichiarato che:

«Né l'art. 37, né l'art 95 del Trattato CEE ostano a che uno Stato membro colpisca un prodotto nazionale — in particolare determinate acquaviti — indipendentemente dal fatto che esso sia soggetto ad un monopolio commerciale, con tributi nazionali superiori a quelli gravanti sui prodotti analoghi importati dagli altri Stati membri».

Più recentemente, nella sentenza Vedek 16 febbraio 1982 ( 17 ), non avete preso in considerazione una discriminazione a rovescio che poteva colpire un prodotto nazionale rispetto ai prodotti analoghi importati da altri Stati membri.

Quanto alla Convenzione per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, stipulata a Roma il 4 novembre 1950, l'art. 6, n. 1, recita:

«Ogni persona ha diritto ad essere ascoltata, equamente, pubblicamente e entro un termine di tempo ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, previsto dalla legge, che deciderà, sia riguardo alle contestazioni relative ai suoi diritti e obblighi di carattere civile, sia riguardo alla fondatezza di tutte le accuse penali che le sono mosse.

...

L'art. 14, pure citato dagli imputati, recita:

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciute nella presente Convenzione deve essere assicurato, senza alcuna distinzione, basata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, i beni di fortuna, la nascita od ogni altra situazione».

Queste due disposizioni paiono estranee alla presente causa.

Infine, l'ordinamento costituzionale francese riconosce certamente il principio di uguaglianza dinanzi alla legge penale, però questo principio mi pare esuli dall'ordinamento giuridico comunitario, che ha indole socio-economica.

Ne consegue che spetta al giudice francese, sotto il controllo della Corte di Cassazione, pronunciarsi su questa «discriminazione a rovescio».

A questo proposito, contrariamente a quello che ha sostenuto la Commissione nella fase orale, la Corte di Cassazione non ha affatto dichiarato, fino ad oggi, che «la legittimità della legge penale (francese) nei confronti delle disposizioni del Trattato, che prevalgono sulla legge nazionale, non può venir valutata diversamente a seconda della cittadinanza dell'imputato e dell'origine del prodotto oggetto della pubblicità litigiosa»: questo è uno dei mezzi dedotti da alcuni ricorrenti in cassazione e non un passo della sentenza pronunciata dalla Cassazione il 1 °ottobre 1979 ( 18 ).

b) Bevande importate da paesi terzi

Gli interessati (cause 315 e 316/81) nelle osservazioni scritte fanno valere solo il carattere globale della condanna contenuta nella vostra sentenza.

Credo di avere dimostrato che la vostra sentenza non aveva questo carattere.

Nelle osservazioni scritte, la Commissione solleva il problema se l'esistenza dell'accordo di libero scambio stipulato il 22 luglio 1972 dalla Comunità economica europea con la Repubblica portoghese possa essere di qualche utilità agli imputati. All'udienza, questi (causa 316/81) hanno del pari invocato detto accordo; essi hanno sostenuto che la parità di trattamento si deve in ogni caso accordare ai prodotti importati da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri, a norma degli artt. 9 e 10 del Trattato.

Pur se questo aspetto del problema non è stato espressamente posto sul tappeto dal giudice nazionale, lo esaminerò in breve; le conseguenze della vostra sentenza hanno infatti creato in Francia, in un certo senso, una relativa incertezza giuridica cui può essere opportuno porre rimedio.

Gli artt. 14, n. 2, e 23 dell'accordo CEE—Portogallo equivalgono agli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. Ma il loro parallelismo letterale non è una ragione sufficiente per trasporre al sistema dell'accordo la vostra sentenza 10 luglio 1980 la quale determina, nell'ambito della Comunità il rapporto tra la tutela della pubblica sanità e le norme relative alla libera circolazione delle merci ( 19 ).

Al contrario, le bevande importate da paesi terzi (Portogallo o altri) e regolarmente sdoganate in uno Stato membro diverso dalla Francia, ove sono poi state poste in libera pratica, dovrebbero poter venire reclamizzate in Francia al pari di bevande analoghe di quest'altro Stato membro, a condizione che gli operatori dimostrino che la loro pubblicità riguarda solo prodotti messi in libera pratica nel resto della Comunità.

IV — Per finire, mi pare che alcune considerazioni meritino la vostra attenzione.

Ho detto che, dal punto di vista unicamente della libera circolazione delle merci fra Stati membri (art. 30) era irrilevante che le autorità nazionali dirigessero sui prodotti nazionali o su quelli direttamente importati da paesi terzi l'azione diretta a frenare l'eccessivo consumo di bevande alcoliche. Voi stessi non avete attribuito alcuna importanza al fatto che la classificazione dell'art. L 1 del Codice francese sia stata basata su determinate differenze inerenti tanto al metodo di fabbricazione quanto alle caratteristiche dei prodotti: era sufficiente che due gruppi di bevande fossero in concorrenza, anche parziale, indiretta o potenziale o analoga.

Ma, indipendentemente da ciò che l'avv. Mortelmans chiama il «disturbo di crescita» della discriminazione a rovescio, la situazione è diversa per quel che riguarda la tutela della pubblica sanità, che resta un obiettivo legittimo del legislatore nazionale, in mancanza di una politica comune in questo settore. La lotta contro l'alcolismo costituisce un imperativo assoluto, che non può consentire distinzioni a seconda che si tratti o no degli scambi intracomunitari.

Ci si può infatti chiedere perchè la pubblicità dovrebbe essere assolutamente vietata per gli aperitivi nazionali a base di anice, come il pastis, ed invece tollerata, per le bevande alcoliche a base di cereali o di ginepro degli altri Stati membri. È, per queste ultime bevande, la pubblicità dovrebbe forse essere totalmente libera — come avviene per le bevande del secondo e del quarto gruppo — mentre per le bevande del terzo gruppo è ammessa solo una pubblicità limitata? Sì dovrebbe dunque riservare a tutti i vini dolci naturali e a tutti gli aperitivi a base di vino degli altri Stati membri (la cui pubblicità è ancora attualmente limitata) lo stesso trattamento fatto ai vini dolci naturali francesi che fruiscono del regime fiscale dei vini (la cui pubblicità è libera)?

Sotto questo profilo, l'applicazione indiscriminata della parità di trattamento ai prodotti importati dagli altri Stati membri rischia di risolversi in una pletora di annunci pubblicitari che avrebbero proprio l'effetto contrario a quello auspicato dal legislatore. Si giungerebbe ad un assetto del regime nazionale impeccabile per quel che riguarda la libera circolazione delle merci, ma estremamente sfavorevole per la pubblica sanità.

A mio parere, ci sono solo due modi per porre rimedio a questa situazione :

o armonizzando o ravvicinando le legislazioni nazionali in materia di pubblicità per le bevande alcoliche (in base agli artt. 100 o 235 del Trattato), e la classificazione fiscale, nei limiti del possibile, dovrebbe adeguarsi alle esigenze della pubblica sanità,

oppure modificando radicalmente la disciplina francese in materia di pubblicità per le bevande alcoliche. Era questa la strada che pareva avessero scelto le autorità francesi allorché hanno presentato, il 24 maggio 1980, un progetto di legge sulla pubblicità delle bevande alcoliche.

Così stando le cose, non mi resta che proporvi di risolvere la questione sottopostavi dal giudice nazionale dichiarando che:

La disciplina di uno Stato membro in fatto di pubblicità per le bevande alcoliche, che la Corte di giustizia abbia dichiarato costituire una misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE, in forza dell'art. 171 del Trattato va disapplicata solo nei confronti dei prodotti analoghi importati dagli altri Stati membri.


( 1 ) Traduzione da! francese.

( 2 ) Causa 152/87, Commissione c/Repubblica francese, Race. pagg. 2300 e segg.

( 3 ) Diversi da quelli assoggettati al regime fiscale dei vini del secondo gruppo.

( 4 ) Racc. 1976, pag. 903, punto n. S.

( 5 ) Racc. 1980, pag. 362, punto n. 12.

( 6 ) Racc. 1980, pag. 2316.

( 7 ) Racc. 1980, pag. 2317.

( 8 ) Racc. 1987, pag. 492.

( 9 ) Sentenza 27 febbraio 1980, n. 5, Racc. 1980, pag. 359.

( 10 ) Sentenza 27 febbraio 1980, n. 6, Racc. 1980, pag. 360.

( 11 ) Sentenza 10 luglio 1980, Racc. pag. 2315, n. 13.

( 12 ) Sentenza Coric di giustizia IO luglio 1980.

( 13 ) Titolo I della terza parte.

( 14 ) Titolo II della seconda parte.

( 15 ) Diritto di stabilimento di cui all'art. 52: sentenza Knoors 7 febbraio 1979, Racc. pagg. 400 e segg.

( 16 ) Racc. 1979, pag. 915, cfr. conclusioni dell'avvocato ge-nerale Mayras del 14 dicembre 1979, Racc. 1979, pagg. 920-921.

( 17 ) Vedi mie conclusioni 20 ottobre 1981, Racc. 1982, pagg. 481-486.

( 18 ) Rossi di Montelera ed altri.

( 19 ) Vedi n. 15 della sentenza Polydor 9 febbraio 1982.