CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

FRANCESCO CAPOTORTI

DEL18 MARZO 1982

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. 

Nelle cause pregiudiziali, cui le presenti conclusioni si riferiscono, i problemi di interpretazione sollevati dal giudice di merito riguardano le disposizioni comunitarie in tema di attribuzione e revoca dei premi di denaturazione del grano e della segala da panificazione.

Riassumo brevemente i fatti principali.

Tra il 1969 e il 1974 le società BayWa di Monaco di Baviera, Raiffeisenbank Unterspiesheim und Umgebung di Unterspiesheim, Raiffeisenbank Biitthard di Biitthard e Raiffeisen Hauptgenossenschaft di Hannover (Repubblica federale di Germania) procedevano alla denaturazione di cereali — col metodo della colorazione le prime tre e con quello dell'olio di pesce la quarta — e riscuotevano dall'Ente federale per le organizzazioni agricole di mercato (Bundesanstalt für landwirtschaftliche Marktordnung) i premi di denaturazione previsti dal diritto comunitario. Successivamente, tra il 1975 e il 1976, l'Ente federale, a seguito di ispezioni eseguite presso le anzidette imprese, richiedeva loro la restituzione dei premi, affermando che, secondo quanto risultava dalle scritture contabili, esse non avevano acquistato sostanze denaturanti in quantità sufficiente per poter effettuare la denaturazione nei modi prescritti. Le imprese beneficiarie si opponevano a tale domanda proponendo dapprima un ricorso gerarchico e, dopo l'esito sfavorevole di questo, un ricorso giurisdizionale al Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno. Si sono instaurati così, innanzi a questo Tribunale, tre giudizi aventi il medesimo oggetto; nel primo figurano, in qualità di ricorrenti, le società BayWa di Monaco di Baviera, Raiffeisenbank Unterspiesheim und Umgebung di Unterspiesheim e Raiffeisenbank Biitthard di Biitthard e, in qualità di interveniente iussu iudicis, la società Rhenus di Mannheim; nel secondo e nel terzo è riccorrente la società Raiffeisen Hauptgenossenschaft di Hannover. Il giudice adito, con tre identiche ordinanze in data 30 aprile 1981, ha sospeso questi procedimenti e ha rivolto alla nostra Corte, ai sensi, dell'articolo 177 del Trattato CEE, i seguenti quesiti:

«a)

Se il premio di denaturazione attribuito a norma dell'art. 4, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 27. 6. 1967, n. 172 (GU 130 del 28. 6. 1967, p. 2602) non sia dovuto solo qualora la denaturazione non abbia conseguito lo scopo menzionato nell'art. 2, n. 1, di detto regolamento, oppure anche qualora non sia stato usato il metodo di riferimento di cui all'allegato I del regolamento (CEE) della Commissione 18. 7. 1969, n. 1403 (GU L180 del 22. 7. 1969, p. 3).

b)

Se la ripetizione del premio di denaturazione possa basarsi sui risultati di un'ispezione contabile, effettuata una volta terminata la denaturazione, ovvero dagli artt. 4, n. 3, e 5 del regolamento n. 1403/69 si desuma che il risultato del controllo a posteriori è irrilevante. Per il caso in cui la verifica a posteriori sia rilevante: quale peso abbia questa verifica rispetto ai controlli contemplati dall'art. 4, n. 3, del regolamento (CEE) n. 1403/69.

c)

Se l'art. 8 del regolamento (CEE) del Consiglio 21. 4. 1970, n. 729 (GU L 94 del 28. 4. 1970, p. 3) imponga agli Stati membri l'obbligo di ripetere in ogni caso i premi di denaturazione illegittimamente attribuiti ovvero detto regolamento lasci agli Stati membri la possibilità di rimettere, mediante norme nazionali, alla discrezione delle competenti autorità la ripetizione nel caso singolo.»

Con ordinanza del 15 luglio 1981, la nostra Corte ha disposto, ai sensi dell'articolo 43 del regolamento di procedura, la riunione delle tre cause ai fini della procedura orale e della sentenza, per connessione oggettiva.

2. 

Nell'ambito della politica agricola relativa al mercato dei cereali, la Comunità ha istituito, fra le varie forme d'intervento, quella consistente nel garantire dei premi di denaturazione ai produttori. S'intende per denaturazione un procedimento capace di rendere un dato prodotto agricolo non più utilizzabile per il consumo umano; tale procedimento viene incoraggiato allo scopo di sostenere il prezzo di taluni prodotti, il cui sbocco naturale sarebbe precisamente il consumo umano, ma che sono disponibili in quantità così abbondante da minacciare il mantenimento di prezzi rimunerativi, se non si ricorre a un meccanismo di contenimento dell'offerta.

Il quadro normativo in cui si inserisce la presente controversia è composto di tre regolamenti del Consiglio (120/67, 172/67, 729/70) e di due regolamenti della Commissione (1403/69 e 1092/70).

Il regolamento del Consiglio n. 120 del 13 giugno 1967 disciplinò l'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali. All'articolo 7, n. 3, esso previde che gli organismi d'intervento designati dagli Stati membri potessero mettere in vendita, per l'esportazione nei Paesi terzi o per l'approvvigionamento del mercato interno, il grano tenero e la segala da panificazione, previa denaturazione che li avesse resi inadatti al consumo umano; ed aggiunse, nell'ultimo comma, che «essi possono concedere un premio di denaturazione anche per il grano tenero». Il n. 4 dello stesso articolo affidava poi al Consiglio medesimo il compito di stabilire «le norme generali relative all'intervento e alla denaturazione».

Sulla base di quest'ultima disposizione, il successivo regolamento n. 172 del 27 giugno 1967 dettò le norme generali concernenti la denaturazione del grano e della segala da panificazione. Secondo il n. 1 dell'articolo 2, «I mezzi impiegati per la denaturazione devono garantire che il grano e la segala denaturati non possano più essere utilizzati per il consumo umano»; e il n. 2 dello stesso articolo precisò che «Tali mezzi devono offrire una garanzia almeno uguale a quella che sarebbe offerta da un metodo di riferimento da stabilire». Ai sensi dell'articolo 4, n. 2, il premio di denaturazione è accordato a richiesta dell'interessato, sempre che siano osservate le condizioni di cui al citato articolo 2, i cereali rispondano a caratteristiche qualitative e quantitative minime da determinare, e le operazioni di denaturazione siano realizzate previo accordo con l'organismo d'intervento e sotto il suo controllo.

Con il regolamento n. 1403 del 18 luglio 1969, la Commissione fissò le modalità di attuazione del regolamento del Consiglio sopra riportato. In particolare, il metodo di riferimento per la denaturazione, previsto dal citato articolo 2, n. 2 del regolamento 172/67, venne identificato con la tecnica della colorazione del cereale mediante una soluzione in acqua del colorante Bleu Patente V (v. l'articolo 1, che a sua volta rinvia all'allegato I). Si stabilì inoltre che, «Se la denaturazione è basata sulla colorazione, può essere utilizzato solo il metodo di riferimento» (articolo 1, comma secondo) e si ribadì che, «Se per la denaturazione si impiega un procedimento diverso dalla colorazione, i mezzi utilizzati debbono offrire una garanzia almeno uguale a quella fornita dal metodo di riferimento» ( articolo 1, terzo comma). L'articolo 4, n. 3, dispose, infine, che «La concessione del premio di denaturazione è subordinata al controllo, da parte dell'organismo d'intervento, delle operazione di denaturazione del frumento tenero o della sua incorporazione, come tale, negli alimenti composti per animali ...» e che «La durata delle operazioni di denaturazione non deve oltrepassare un giorno per 40 tonnellate di cereali utilizzati».

Il successivo regolamento della Commissione n. 1092 del 10 giugno 1970 (entrato in vigore il 1o agosto 1970) ha ripreso e specificato l'accenno ai mezzi di denaturazione diversi dalla colorazione (citato articolo 1, terzo comma del regolamento 1403/69), introducendo un secondo metodo che si basa sull'uso dell'olio di pesce o di fegato di pesce. Questo metodo ha ricevuto una precisa disciplina in un allegato ad hoc.

Resta da menzionare il regolamento del Consiglio n. 729 del 21 aprile 1970, relativo al finanziamento della politica agricola comune. Esso interessa il caso di specie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei premi versati irregolarmente: problema cui si riferisce soprattutto il terzo quesito del Tribunale tedesco. Va citato al riguardo l'articolo 8, secondo cui «Gli Stati membri adottano, in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per ... recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze».

3. 

Il primo dei quesiti proposti dal Tribunale amministrativo di Francoforte riguarda in sostanza, come abbiamo visto, il problema dei presupposti per la non concessione, o per la revoca, del premio di denaturazione: basta a giustificarle il mancato uso del metodo di riferimento previsto dal citato regolamento della Commissione 1403/69, allegato I, o è necessario che la denaturazione abbia mancato di conseguire il suo scopo, che è quello di rendere il prodotto non più idoneo all'alimentazione umana?

Per rispondere a questa domanda, è necessario precisare anzitutto il valore dei «metodi di riferimento» che spetta alla Commissione determinare (sappiamo che, finora, essa ne ha fissati due: il primo con il regolamento 1403/69, il secondo con il regolamento 1092/70). Ricordo che i mezzi di denaturazione applicabili al grano e alla segala furono evocati per la prima volta nel citato articolo 2 del regolamento del Consiglio 172/67; ora, mentre il n. 1 di tale articolo si limitava a definire la loro funzione (rendere quei prodotti non più utilizzabili per il consumo umano), il n. 2 poneva una condizione fondamentale: che essi offrissero una garanzia «almeno eguale» a quella di un metodo di riferimento, ancora da stabilire. Il senso preciso di questa disposizione è illuminato dal primo considerando dello stesso regolamento 172/67, là dove esso afferma che «è necessario stabilire mezzi tecnici che offrano un minimo di garanzia a tal riguardo» (riguardo, cioè, alla non utilizzabilità dei cereali denaturati per il consumo umano), «e prevedere che in alcun caso i mezzi effettivamente impiegati dagli Stati membri possano dar luogo ad un grado di denaturazione inferiore».

La normativa introdotta dal Consiglio comportava dunque due conseguenze: era lasciata agli Stati membri la possibilità di stabilire sistemi di denaturazione idonei a conseguire lo scopo voluto; purché il rendimento di tali sistemi non fosse inferiore a quello del metodo che la Commissione avrebbe fissato, e che proprio per questo suo ruolo di parametro minimo veniva denominato «metodo di riferimento». È chiaro che ogni libertà di scelta del metodo di denaturazione da parte delle imprese interessate veniva assolutamente esclusa; non poteva, pertanto, ritenersi che il raggiungimento o meno dello scopo, nei singoli casi, avesse valore assorbente, ai fini dell'attribuzione o meno del premio. In altri termini: l'articolo 2, n. 1, del regolamento 172/67 non intendeva affatto spostare l'accento dai mezzi al risultato, per quanto concerneva i produttori: questi dovevano considerarsi tenuti all'osservanza dei metodi stabiliti o dalla Commission «metodo di riferimento» o dallo Stato nel quale la denaturazione veniva effettuata, nei limiti tracciati dall'articolo 2, n. 2.

La normativa di applicazione è rimasta fedele a questa linea. Conviene notare che il citato articolo 1 del regolamento 1403/69 distingue fra il metodo della colorazione, che è quello «di riferimento» e i procedimenti diversi (che si sottintendono lasciati alla scelta degli Stati membri). Relativamente a questi ultimi, si ribadisce la condizione di una «garanzia almeno eguale a quella fornita dal metodo di riferimento», mentre a proposito della denaturazione per colorazione si dispone che «può essere utilizzato soltanto il metodo di riferimento». Ciò implica che tutte le prescrizioni relative a questo metodo — minuziosamente fissate nell'allegato I quanto alle caratteristiche del colorante, alle dosi da impiegare per la soluzione, alla quantità di cereale da colorare, alla mescolanza fra chicchi colorati e non colorati — devono essere puntualmente osservate quando i cereali vengono denaturati a mezzo di colorazione: gli stessi Stati membri non hanno alcun margine di discrezionalità al riguardo.

D'altra parte la Repubblica federale tedesca fin dal 1967-68 aveva emanato norme in materia di denaturazione, prevedendo fra l'altro la possibilità di usare il metodo basato sull'impiego di olio di pesce o di fegato di pesce. Il regolamento della Commissione 1092/70 ha tenuto conto dell'impiego di questo procedimento «per una parte importante delle quantità totali di prodotti denaturati», ma dato che alcuni oli «rischiavono di non dare tutte le garanzie volute», ha ritenuto che fosse «opportuno autorizzare la denaturazione secondo tale procedimento solo con quegli oli che dessero delle garanzie sufficienti, e fissare le caratteristiche di tale procedimento», (v. il secondo considerando del regolamento 1092/70). Questo brano, nel mettere in luce il motivo per cui un procedimento inizialmente adottato in base al diritto di uno Stato membro à stato poi assunto sul piano del diritto comunitario, conferma il carattere rigoroso delle prescrizioni introdotte (che formano oggetto dell'allegato II, aggiunto al regolamento 1403/69 in forza dell'articolo 2 del regolamento 1092/70). Basterebbe, d'altronde, a dimostrare tale carattere l'articolo 1 del regolamento in questione, il quale stabilisce che «la denaturazione per mezzo dell'olio di pesce o di fegato di pesce deve rispondere alle esigenze definite nell'allegato II».

E logico dedurre da tutto ciò che un produttore, il quale abbia scelto per la denaturazione del grano o della segala un sistema riconducibile all'uno o all'altro dei modelli fissati dai citati regolamenti delle Commissione — ovvero a un diverso modello stabilito da uno Stato membro e tale da offrire le garanzie volute dal diritto comunitario — non si trova nelle condizioni stabilite per ottenere il premio di denaturazione quando si è conformato al modello solo in parte. Il fatto di avere eventualmente conseguito il risultato della denaturazione (o di pretendere che tale risultato sia stato raggiunto) non è sufficiente per dare diritto al premio. In effetti, qualora si ammettesse la possibilità, per i produttori, di scegliere un dato tipo di procedimento e di non osservarlo poi per intero, diverrebbe superflua la configurazione dettagliata di metodi di riferimento comunitario o di metodi adottati con legge statale. Mi sembra invece che, se dei modelli di questo genere sono stati introdotti, ciò sia stato fatto allo scopo di limitare la libertà delle imprese per tutto quanto attiene alle varie fasi del procedimento di denaturazione, senza lasciarle arbitre di presentare il risultato ottenuto come soddisfacente, a prescindere dai mezzi impiegati.

4. 

Con il secondo quesito, il giudice di merito mette a confronto i controlli «in loco» effettuati al momento delle operazione di denaturazione e i controlli contabili a posteriori, per stabilire se questi ultimi abbiano rilevanza ai fini della eventuale ripetizione del premio di denaturazione e, in caso affermativo, quale sia il loro peso rispetto ai risultati dei controlli «fisici» contemporanei alla denaturazione.

Ricordo che, secondo l'articolo 7 del regolamento 172/67, le operazione di denaturazione per dar diritto al premio devono essere realizzate previo accordo con l'organismo d'intervento e sotto il suo controllo. Ricordo ancora che, ai sensi dell'articolo 4, n. 3, del regolamento 1403/69, la concessione dei premi di denaturazione «è subordinata al controllo, da parte dell'organismo d'intervento, delle operazioni di denaturazione del frumento tenero ...»; l'articolo 5 ribadisce, inoltre, che il premio viene versato «solo se sono rispettate le condizioni di cui all'articolo 4, n. 3». Gli organismi nazionali d'intervento hanno dunque l'obbligo di eseguire dei controlli contestualmente allo svolgersi delle operazioni di denaturazione, e i produttori sono tenuti a subirli, se vogliono beneficiare dei premi comunitari. Resta da vedere se gli Stati membri conservino la competenza di disporre ed eseguire controlli ulteriori, basati sull'esame delle scritture contabili, in aggiunta a quelli contemplati dalla normativa comunitaria.

Le società ricorrenti nel giudizio principale sostengono che questi ulteriori controlli (espressamente previsti dall'ordinamento della Repubblica federale tedesca) introdurrebbero una nuova condizione per godere dei premi di denaturazione; sotto tale profilo, essi sarebbero in contrasto con le regole comunitarie in materia, le quali, riferendosi unicamente ai controlli «in loco» contestuali alle operazioni di denaturazione, escluderebbero la legittimità di quelli successivi. Ma questa tesi non può essere condivisa, per varie considerzioni. In primo luogo, il tenore letterale delle disposizioni innanzi citate non autorizza l'interpretazione riduttiva prospettata dalle società ricorrenti: anche se i regolamenti 172/67 e 1403/69 contemplano soltanto i controlli contestuali, da ciò non è ragionevole desumere la volontà del legislatore comunitario di escludere altre forme di controllo. Vi sono invece buoni motivi per ritenere che ogni altro controllo, beninteso di carattere aggiuntivo e non sostitutivo, sia perfettamente compatibile con il diritto comunitario. Non va dimenticato che lo scopo dei controlli è quello di evitare abusi da parte dei beneficiari e di assicurare una efficace realizzazione della politica di incentivi alla denaturazione in tutti gli Stati membri. Ora, l'introduzione di controlli aggiuntivi rispetto a quelli direttamente previsti dalle norme comunitarie è in armonia e non in conflitto con queste: i controlli aggiuntivi in definitiva sono una garanzia di più dell'attuazione delle finalità di politica agricola perseguite dai regolamenti in materia cerealicola. Ogni misura degli Stati membri rivolta ad assicurare che gli atti delle istituzioni raggiungano i risultati voluti è coerente con il principio fondamentale posto nell'articolo 5 del Trattato CEE. Tutto ciò mi induce a interpretare le norme comunitarie di cui ci stiamo occupando come prescrizioni minime, al disotto delle quali gli Stati non hanno la possibilità di andare, ma che essi ben possono rafforzare introducendo una disciplina più dettagliata e più completa.

La giurisprudenza di questa Corte non contraddice questo punto di vista. Le società ricorrenti invocano la sentenza del 14 gennaio 1981 nella causa 819/79, Repubblica federale di Germania e/Commissione (Raccolta 1981, p. 21): causa nella quale si trattava di stabilire se il regolamento n. 990/72 (relativo alle modalità di attribuzione degli aiuti ai produttori di latte magro in polvere destinato ad uso zootecnico), che contempla il controllo sul posto delle operazioni di denaturazione, fosse compatibile con un sistema interno di controllo basato sulla successiva verifica della contabilità delle imprese interessate. La Corte ritenne allora che tale sistema fosse precluso dalle norme comunitarie, in quanto implicava la parziale inosservanza di queste ultime, ed enunciò il principio che gli Stati membri devono attenersi ai meccanismi di controllo comunitari. Ma questa presa di posizione non incide sulla tesi che ho qui sostenuto: la Corte, essendosi pronunciata su di una situazione in cui i controlli statali derogavano (in parte) a quelli comunitari, non ha affatto escluso che i primi potessero eventualmente integrare i secondi. In effetti, nelle mie conclusioni del 25 novembre 1980, concernenti precisamente la causa 819/79, avevo criticato l'interpretazione data dal Governo tedesco all'articolo 10 del regolamento 990/72, nel senso che esso autorizzasse una deroga al regime comunitario dei controlli, ma avevo notato che la stessa norma «consentiva indubbiamente, agli Stati membri che lo volessero, di aggiungere il controllo contabile a quello fisico, purché il sistema della notificazione fosse rispettato». D'altra parte, va rammentato che la stessa Corte, nella sentenza 11 luglio 1973, relativa alla causa 3/73, Hessische Mehlindustrie (Raccolta 1973, p. 745), interpretando proprio le norme sui controlli inerenti alle operazioni di denaturazione del grano e della segala da panificazione contenute nei regolamenti 172/67 e 1403/769, aveva affermato che il legislatore comunitario «ha lasciato agli Stati membri la facoltà di stabilire le modalità dei controlli» (punto 6 della motivazione), fermo restando che il legislatore nazionale deve «garantire che la denaturazione avvenga in conformità alle disposizioni vigenti e che i premi vengano versati a chi ne ha diritto» (punto 4 della motivazione). Mi sembra che da questa sentenza si possa ritenere implicitamente confermato che gli Stati membri hanno la facoltà di introdurre ulteriori forme di controllo a fianco di quelle espressamente indicate dalle fonti comunitarie.

Il ragionamento svolto finora conduce a riconoscere che un controllo a posteriori, sotto forma di ispezione contabile, non soltanto è compatibile con il rispetto del sistema comunitario di controllo contestuale alla denaturazione, ma è pienamente rilevante, e perciò può eventualmente provocare la ripetizione del premio di denaturazione già conferito, qualora si accerti che faceva difetto uno dei presupposti per l'attribuzione di tale premio (ad esempio, l'impiego di un dato quantitativo minimo di colorante). Il giudice a quo vi interroga anche sul peso della verifica a posteriori rispetto al controllo «fisico» contestuale: in altri termini, supponendo che il risultato del controllo contestuale sia stato tale da far ritenere realizzate le condizioni per accordare il premio, può il controllo a posteriori smentire tale risultato? A me sembra che la risposta debba essere senz'altro affermativa, tanto più che il controllo contestuale non si identifica necessariamente con la sorveglianza personale di un incaricato dell'ente d'intervento (v. in proposito il punto 1o del dispositivo della citata sentenza Hessische Mehlindustrie).

In termini più generali, credo si debba anzitutto porre in evidenza che il controllo contestuale e il controllo contabile a posteriori hanno la medesima efficacia probatoria: non vi è fra essi alcuna gerarchia formale, nel senso che i risultati forniti da uno dei due abbiano legalmente un peso maggiore. Ciò posto, spetterà al giudice di merito comparare tali risultati e in base ad essi formarsi il proprio convincimento. S'intende che, qualora la medesima circostanza (per esempio, la quantità di colorante impiegata) sia stata oggetto di entrambe le verifiche, e queste abbiano dato esito contraddittorio, il problema sarà quello di stabilire quale verifica sia più attendibile — per il modo in cui è stata specificamente condotto, o per il grado di oggettività della valutazione —; mentre nell' ipotesi di circostanze diverse — le une emerse dal controllo fisico, le altre al controllo contabile — il giudice sarà chiamato a una valutazione globale, e in base ad essa stabilirà se le condizioni di attribuzione del premio siano state integralmente osservate.

5. 

Il terzo quesito proposto dai giudici di Francoforte è il più delicato: tenuto conto dell'esistenza di una norma comunitaria sul recupero, ad opera degli Stati membri, delle somme perse per «irregolarità o negligenze» (il citato articolo 8 del regolamento 729/70), si vuol sapere se gli Stati abbiano ancora un certo margine di discrezionalità in materia. Si tratta, dunque, di stabilire fino a che punto le regole interne di diritto amministrativo, riguardanti la ripetizione di somme indebitamente pagate dall'amministrazione, possano essere applicate allorché siano stati irregolamente corrisposti alle imprese, dai competenti organismi d'intervento, dei premi di denaturazione del grano e della segala da panificazione.

Conviene citare di nuovo il testo del suddetto articolo 8, che si inserisce nella normativa della politica agricola comune. Esso dispone: «Gli Stati membri adottano, in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per ... recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze». Secondo le imprese che hanno eseguito la denaturazione, questa norma lascerebbe agli Stati il potere di valutare caso per caso, alla stregua delle disposizioni interne vigenti in materia di recuperi, se sia giustificato o meno chiedere la restituzione delle somme irregolarmente pagate. Al contrario, l'agente della Commissione e il rappresentante del Governo della Repubblica federale tedesca, intervenuta nella procedura, sono d'avviso che gli Stati siano in ogni caso obbligati ad agire per il recupero dei premi irregolarmente corrisposti.

Per comprendere meglio la posizione assunta dalla difesa delle imprese interessate è opportuno ricordare che la legislazione tedesca non impone all'amministrazione l'obbligo di revocare i propri atti viziati, e conseguentemente di recuperare le somme pagate sulla base di atti del genere, ma si limita a stabilire che un atto irregolare può essere ritirato a meno che non ricorrano certe condizioni, le quali rispondono in sostanza all'esigenza di tutelare il beneficiario in buona fede (v. l'articolo 48 della legge 25 maggio 1976, che ha recepito principi generali già in precedenza consolidati nella prassi dell'amministrazione e nella giurisprudenza). Se si applicasse tale criterio nei casi di specie, le imprese beneficiarie avrebbero la possibilità di evitare la restituzione dei premi riscossi qualora l'amministrazione germanica ritenesse di far uso a loro favore del potere di apprezzamento discrezionale, e in particolare qualora si riconoscesse l'esistenza di condizione che, secondo la norma di legge summenzionata, fanno ostacolo al recupero (come, ad esempio, il decorso di un non breve periodo di tempo dal giorno del pagamento a quello in cui l'amministrazione si rende conto della sua irregolarità).

Esaminiamo con attenzione la norma comunitaria, da cui la soluzione del problema dipende. È vero che essa fa riferimento alle «disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali» per dire che le misure statali previste si conformeranno a tali disposizioni. D'altro lato, però, essa indica con chiarezza le finalità a cui tali misure devono mirare; in particolare quella di «recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze». L'accento viene messo sul conseguimento di questo risultato; gli Stati sono tenuti ad adottare le misure necessarie per il recupero delle somme perse. Pertanto le norme interne, sia processuali che sostanziali, inerenti al recupero, saranno operanti in quanto renderanno possibili determinate misure e ne regoleranno le modalità, ma sempre a condizione di essere compatibili con il raggiungimento della finalità voluta.

Questa interpretazione dell'articolo 8 trova un ulteriore sostegno nel rilievo che gli Stati membri, allorché provvedono al recupero di premi irregolarmente corrisposti (come anche quando effettuano il pagamento dei premi alle impresi), operano per conto della Comunità e gestiscono fondi comunitari. È ben noto, infatti, che gli interventi nel settore agricolo sono finanziati dal Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola e gravano pertanto sul bilancio comunitario (v., in particolare, gli articoli 1, 3, e 4 del citato regolamento 729/70 relativo, come sappiamo, al finanziamento della politica agricola comune). Ciò posto, mi sembra ragionevole che gli Stati, nel gestire risorse non proprie, non godano della stessa discrezionalità di cui eventualmente dispongono, alla stregua delle rispettive regole nazionali, per la gestione di fondi propri. Un ordinamento interno può, ad esempio, riconoscere all'autorità pubblica la libertà di valutare se recuperare o non un credito nei confronti di un operatore economico non soltanto in ossequio al principio dell'affidamento, ma anche tenendo conto di altre esigenze di carattere generale, come quella di garantire il livello dell'occupazione o di evitare il fallimento di un'impresa. Ma, trattandosi di recupero di premi comunitari, il riconoscimento alle autorità nazionali di una discrezionalità di questo tipo sarebbe incompatibile con il principio generale di eguaglianza, che deve essere rispettato anche nella gestione di fondi comunitari.

A questo proposito conviene ricordare che la nostra Corte ha avuto occasione di ribadire il principio di eguaglianza con diretto riferimento alla gestione di fondi comunitari. Nella sentenza del 5 marzo 1980, Ferwerda (Raccolta 1980, p. 617) essa ha affermato che i benefici finanziati a carico del bilancio comunitario «devono essere disciplinati ed applicati in modo da gravare uniformemente o da avvantaggiare in modo uniforme tutti coloro che si trovano nella situazione stabilita dalla normativa comunitaria per esserne colpiti o per fruirne» (punto 8 della motivazione). L'orientamento così accolto ha evidenti ripercussioni sulla soluzioni del problema che stiamo discutendo. Una interpretazione dell'articolo 8 del regolamento 729/70 che si fondasse sul riconoscimento agli Stati membri di ampia discrezionalità nel decidere se debba essere chiesta o meno la restituzione dei premi sarebbe in contrasto con il principio messo in luce dalla sentenza Ferwerda. Ammettere quella discrezionalità significherebbe infatti compromettere l'uniforme applicazione del regime comunitario dei premi, dando luogo da disparità di trattamento fra imprese e a distorsioni di concorrenza nel mercato comune.

Né varrebbe, in senso contrario, invocare il principio, affermato in ripetute occasioni dalla nostra Corte, secondo cui le controversie relative alla restituzione di aiuti corrisposti nel quadro della politica agricola comune rientrano nella competenza dei giudici nazionali e vanno da essi risolte a norma del loro diritto nazionale. Questo principio infatti vale solo qualora il diritto comunitario non abbia disposto in materia (cfr. le sentenze 21 maggio 1976 nella causa 76/74, Roquette, Raccolta 1976, p. 677; 5 marzo 1980 nella causa 265/78, Ferwerda, cit.; 12 giugno 1980 nella causa 130/79, Express Dairy Foods, Raccolta 1980, p. 1887; 12 giugno 1980 nelle cause riunite 119 e 126/79, Lippische Hauptgenossenschaft, Raccolta 1980, p. 1863). Perciò quando, come nel caso che stiamo esaminando, una specifica disposizione comunitaria impone agli Stati membri di recuperare i premi pagati irregolarmente, non è più possibile fare ricorso agli ordinamenti interni per la disciplina sostanziale di questo aspetto del regime dei premi.

D'altronde il fatto che in mancanza di norme comunitarie ad hoc sia inevitabile fare ricorso al diritto nazionale è all'origine di sperequazioni di trattamento che in altre occasioni non ho mancato di segnalare. Già nelle mie conclusioni nella causa Express Dairy Foods succitata (Raccolta 1980, p. 1903), osservavo, in tema di importi compensativi monetari, che «Il rincio al diritto interno per la determinazione delle modalità di restituzione dell'indebito ... non rappresenta certo la soluzione più giusta o conveniente» e mettevo in evidenza il fatto che non era stata data ancora attuazione al principio generale di eguaglianza fra tutti gli operatori comunitari circa le condizioni di forma e di sostanza per chiedere la restituzione dell'indebito. Analoghe considerazione sviluppavo poi nelle mie conclusioni nella causa Lippische Hauptgenossenschaft già citata; in quella sede, a proposito del termine di prescrizione del diritto degli enti nazionali d'intervento di chiedere ai beneficiari il rimborso dei premi versati illegittimamente, riconoscevo che la necessità di evitare le differenze di trattamento fra cittadini comunitari era giustificata, ma aggiungevo che tale esigenza non bastava ad «ovviare alla mancata adozione da parte del legislatore comunitario di una regola uniforme in materia di prescrizione» (Raccolta 1980, p. 1881). Nel nostro caso, la sperequazione si ripresenterebbe solo se l'articolo 8 venisse interpreta nel modo che ritengo inesatto.

Aggiungo infine che, qualora si seguisse l'interpretazione dell'articolo 8 da me criticata, si verrebbe con ciò ad ammettere che l'applicazione di norme interne possa modificare la portata di disposizione di diritto comunitario. Ora, la nostra Corte ha giustamente escluso questa possibilità. La sentenza 28 giugno 1977 nella causa 118/76, Balkan (Raccolta 1977, p. 1177), occupandosi della ripartizione delle funzioni fra la Comunità e gli Stati membri in materia di riscossione di importi compensativi monetari, affermò che un'amministrazione nazionale non può applicare una disposizione interna quando «ciò produca l'effetto di modificare la portata delle disposizioni di diritto comunitario», quando, in altri termini, tale applicazione modificherebbe l'efficacia delle norme comunitarie (v. in particolare punto 5 della motivazione).

Tutti gli argomenti che ho sin qui svolto dimostrano esaurientemente, a mio avviso, che l'articolo 8 deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri l'obbligo di agire in ogni caso per il recupero dei premi indebitamente versati. Ciò naturalmente non esclude che tale obbligo, avendo la sua fonte in una norma comunitaria, possa in singoli casi trovare un contemperamento in taluni principi che lo stesso ordinamento comunitario conosce e che del resto sono comuni agli Stati membri. Penso al principio della certezza del diritto, a quello dell'affidamento e a quello di proporzionalità. Questo tema, che esula dall'ambito della presente controversia, è stato di recente affrontato dall'avvocato generale VerLoren van Themaat nelle conclusioni che egli ha presentato, il 21 gennaio scorso, nella causa 54/81, Fromme; egli ha espresso l'opinione che il principio di proporzionalità debba essere preso in considerazione nell'interpretare l'estensione dell'obbligo degli Stati membri di recuperare i premi irregolarmente corrisposti.

6. 

Concludo suggerendo che, in risposta ai quesiti formulati dal Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno, dei quali ho inizialmente riferito il contenuto, la Corte dichiari:

1.

Gli articoli 2 e 4, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 172 del 27 giugno 1967 devono essere interpretati nel senso che il premio di denaturazione per il grano e la segala da panificazione non è dovuto qualora i produttori non abbiano integralmente osservato le prescrizioni inerenti ad uno dei metodi di riferimento indicati dai regolamenti della Commissione, o quelle dettate da uno Stato membro nell'ipotesi che questo abbia adottato un diverso metodo di denaturazione, il quale offra garanzie non minori dei metodi di riferimento.

2.

Gli articoli 7 del regolamento del Consiglio n. 172/67 e 4, n. 3 del regolamento della Commissione n. 1403 del 18 luglio 1969 devono essere interpretati nel senso che è consentito agli Stati membri sottoporre le operazioni di denaturazione, oltre che ai controlli in loco, da effettuare al momento delle operazioni medesime in conformità alle norme comunitarie anche a controlli successivi basati su scritture contabili. Tali verifiche a posteriori hanno un'efficacia probatoria pari a quella dei controlli «fisici» contestuali; di conseguenza, se ne può tener conto anche ai fini della ripetizione di premi di denaturazione già corrisposti. Spetta al giudice di merito comparare i risultati rispettivi dei controlli contestuali e a posteriori, formando il proprio convincimento sulla base di una valutazione globale di tali risultati.

3.

L'articolo 8 del regolamento del Consiglio n. 729 del 21 aprile 1970 deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono obbligati ad agire per il recupero delle somme indebitamente versate ai privati a titolo di premi di denaturazione. Essi pertanto non hanno il potere di affidare alle competenti autorità nazionali il compito di valutare discrezionalmente, caso per caso, se chiedere o non chiedere la restituzione dei premi corrisposti in modo irregolare, anche qualora il diritto nazionale ammetta tale possibilità in determinate circostanze.