CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DEL 20 MARZO 1980 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

oggi è sul tappeto una posta importante, giacché nella causa odierna dovete pronunciarvi circa il modo migliore di conciliare la libertà, di cui incontestabilmente deve fruire l'amministrazione nel modificare l'organizzazione dei suoi servizi, con la necessità di procedere a tali riorganizzazioni garantendo una tutela ai dipendenti, nei casi in cui le riorganizzazioni stesse possono pregiudicare seriamente la loro situazione professionale e statutaria.

I —

La controversia è sorta dalla ristrutturazione dell'ufficio statistico della Commissione, decisa nel giugno 1978. Per effetto di detta decisione, dal 1o settembre successivo avrebbero dovuto venire soppressi vari servizi specializzati, tra i quali il servizio «statistica dei paesi terzi», che veniva integrato in una unità amministrativa di maggiore entità. Fin dalla sua istituzione, detto servizio è dipeso dal sig. Richard Kuhner, amministratore principale di grado A 4.

Contemporaneamente alla soppressione di detto servizio, la Commissione incaricava i sigg. Ortoli e Tugendhat di «vedere quali eventuali disposizioni speciali avrebbero potuto venire adottate circa la situazione del Kuhner ...».

I due membri della Commissione adempivano il loro mandato affidando all'interessato compiti specifici nel settore della metodologia, alle dipendenze del capo della divisione F1 dell'ufficio, competente per i problemi metodologici e di classificazione del commercio estero.

Il dipendente fu ufficiosamente informato della sua nuova destinazione mediante fotocopia di una lettera, datata 29 o 30 giugno 1978 (entrambe le date sono indicate sul documento) firmata da un membro del gabinetto del sig. Ortoli.

Il successivo 17 luglio, egli veniva convocato per un colloquio dal suo direttore generale, che verbalizzava per iscritto il contenuto della conversazione. Dal verbale, non contestato su detto punto, risulta che tra gli altri argomenti veniva esaminata la questione dei settori d'attività che avrebbero potuto interessare il ricorrente dopo la soppressione della sua piccola unità amministrativa.

Questi sono gli antefatti; in seguito, il 26 luglio, il Kuhner presentava reclamo a proposito della sua nuova destinazione. Di fronte al silenzio dell'amministrazione, il 28 febbraio 1979 egli adiva la Corte di giustizia (causa 33/79). Oggetto di questo ricorso, nell'attuale stadio del procedimento, è l'annullamento della decisione relativa alla nuova destinazione del ricorrente e il risarcimento del danno morale e materiale che il ricorrente avrebbe patito per effetto di questa situazione.

Ľ 8 settembre successivo la Commissione adottava una decisione con cui si fissavano le nuove destinazioni e le nuove mansioni dei dipendenti dell'ufficio statistico di grado A 4/A 7, tra i quali era compreso il ricorrente.

Però il Kuhner fu informato della sua nuova destinazione solo con una lettera del 3 novembre 1978, firmata dal direttore generale del personale e dell'amministrazione.

Infine, il 21 marzo 1979, la Commissione respingeva espressamente il reclamo del 26 luglio 1978, il che ha indotto il dipendente interessato a promuovere un secondo ricorso (causa 75/79), con cui chiede l'annullamento di detta decisione espressa. Nei confronti di questo ricorso la convenuta ha eccepito 1 irricevibilità, punto che noi esamineremo subito.

II —

A.

Secondo la Commissione, il ricorso contro la reiezione espressa del reclamo è irricevibile, in quanto detto atto conferma puramente e semplicemente la decisione contro la quale già si rivolgeva il reclamo.

A questo argomento il ricorrente controbatte che la reiezione espressa contiene una motivazione che non compariva nel provvedimento relativo alla sua destinazione né, evidentemente, nel silenzio-rifiuto opposto al suo reclamo.

Questo fatto però non è sufficiente secondo la vostra giurisprudenza; infatti nella causa Nebe c/Commissione (sentenza 14 aprile 1970, Race. pag. 152) avete affermato che, se la decisione di reiezione espressa indica i motivi del silenzio-rifiuto, ciò non significa tuttavia che sia intervenuto alcun elemento nuovo rispetto alla situazione di diritto o di fatto esistente al momento della reiezione implicita del reclamo.

Per questo motivo, pur tenendo conto del fatto che, dal momento che ha impugnato tempestivamente la decisione originaria, il ricorrente non mira, chiedendo l'annullamento della reiezione espressa del suo reclamo, ad ottenere la remissione in termini per l'impugnazione di una decisione definitiva, la decisione di reiezione espressa va effettivamente considerata come atto di pura conferma ed il ricorso avverso questo provvedimento va dichiarato irricevibile.

B.

La Commissione eccepisce pure l'irricevibilità del ricorso 33/79, in quanto mira all'annullamento della lettera del direttore generale del personale. La Commissione sostiene che, in effetti, questa lettera è semplicemente un atto di conferma della decisione che determina la destinazione del ricorrente, provvedimento già noto all'interessato.

Pur se per ben due volte la lettera si autodefinisce decisione, è evidente che questo documento rappresenta semplicemente la notifica, per la prima volta in forma scritta ed ufficiale, della decisione adottata nel mese di giugno nei confronti del ricorrente. Si tratta dunque di un atto di conferma che, secondo la vostra costante giurisprudenza, non può considerarsi lesivo. Un ricorso avverso detto atto risulta quindi irricevibile.

Altrettanto irricevibile, per analogia con la vostra sentenza 2 luglio 1969, (Renckens e/Commissione, causa 27/68, Race. pag. 262) in quanto divenuto privo d'oggetto, mi pare il ricorso per annullamento del silenzio-rifiuto opposto al reclamo del ricorrente, giacché detto reclamo è stato espressamente respinto con la decisione della Commissione del 21 marzo 1979.

Quindi, l'esame sarà limitato alla decisione dei sigg. Tugendhat e Ortoli adottata in applicazione delle deliberazioni della Commissione del 7 giugno 1978 con cui vengono attribuiti nuovi compiti al ricorrente.

III —

Il primo mezzo invocato dal ricorrente nei confronti di detta decisione verte sulla violazione dell'art. 25, n. 2, dello Statuto. Come sapete, detta norma recita: «ogni decisione individuale presa in applicazione del presente Statuto dev'essere immediatamente comunicata per iscritto al funzionario interessato» e «le decisioni prese a suo carico devono essere motivate». Pur se, come risulta dagli antefatti, avrebbe avuto dei motivi per invocare la violazione della prima frase summenzionata, il ricorrente si è limitato ad invocare il difetto di motivazione.

Come recentemente ricordava l'avvocato generale Reischl nelle conclusioni per la causa 89/79 (Bonu c/Consiglio), il principio giuridico generale secondo cui le decisioni che arrecano pregiudizio ai singoli vanno motivate «deriva già dal principio dello stato di diritto, accolto anche nell'ordinamento comunitario, e si è concretato particolarmente ... nell'art. 25, n. 2, dello Statuto del personale».

Secondo l'avvocato generale Reischl, «lo spirito e la funzione di detto obbligo di motivazione nel caso di decisioni lesive, vale a dire consentire all'interessato di giudicare se la decisione è stata emanata correttamente o è difettosa, cosicché sia possibile la sua impugnazione, fan sì perciò che la motivazione deve venire comunicata all'interessato contemporaneamente all'atto lesivo». Mi permetto di aggiungere che la carenza di motivazione rende pure malagevole, per non dire impossibile, l'esercizio del vostro sindacato giurisdizionale.

Qual è la situazione nella fattispecie?

È chiaro che la decisione, la cui motivazione è controversa, non è quella con cui si sopprime il servizio specializzato diretto dal ricorrente. D'altronde non è nemmeno questa disposizione di indole generale che esso contesta, e d'altronde non avrebbe potuto farlo, giacché una siffatta disposizione non è pregiudizievole ai sensi dell'art. 91 dello Statuto, come avete dichiarato nella sentenza 16 dicembre 1964 (Muller c/Commissione, cause riunite 109/63 e 13/64, Race. 1964, pag. 1300).

Inoltre, se in assenza di detto provvedimento il ricorrente avesse avuto la possibilità di continuare a dirigere il suo servizio specializzato, non è escluso che una destinazione diversa da quella che gli è stata attribuita sarebbe stata di suo gradimento. Ciò peraltro si desunte dal fatto che nel suo ricorso si chiedeva pure, in un primo tempo, l'annullamento della nomina di un altro dipendente a capo del servizio specializzato «Stipendi e retribuzioni»: il Kuhner dichiara che egli avrebbe considerato questo incarico come un'alternativa accettabile dopo la soppressione del servizio specializzato che esso dirigeva.

È quindi evidente che vi è un elemento discrezionale nella scelta contestata relativa alla destinazione del ricorrente dopo la riorganizzazione dell'ufficio. Poiché le due decisioni rispettive sono indipendenti, ne consegue che la motivazione dell'una non può, da sola, giustificare l'eventuale insussistenza di motivazione dell'altra. Si deve quindi esaminare solo la motivazione della decisione relativa alla destinazione del dipendente.

Per di più si deve stabilire se costituisca un atto lesivo.

Mi pare che si debba risolvere affermativamente questo punto tanto più che la Commissione stessa, ammettendo la ricevibilità del ricorso, riconosce espressamente che la decisione con cui si affidano al ricorrente incarichi specifici nel settore della metodologia, nell'ambito della divisione FI, può ledere i suoi interessi morali. Orbene, risulta dalla vostra sentenza 27 giugno 1973 (Kley e/Commissione, causa 35/72, Race. 1973, pagg. 687-688) che una decisione avente questa indole è un atto lesivo ai sensi dell'art. 25 dello Statuto e va quindi motivata.

La decisione in esame è motivata?

Il quesito va certo risolto negativamente per il semplice motivo che la decisione litigiosa non fa parte del fascicolo processuale. Essa non è nemmeno stata depositata in esito ad una richiesta espressa.

Si sa solo che essa è distinta dalla decisione del 7 giugno 1978, che modifica la struttura dell'ufficio statistico, poiché al punto 7 di questo documento la Commissione si riservava di decidere sulla destinazione del ricorrente, chiedendo ai sigg. Ortoli e Tugendhat di trovare una soluzione al suo caso.

Nei giorni successivi la decisione litigiosa ha dovuto essere adottata, però non si sa in quale data precisa né in che forma e nemmeno, a fortiori, quale sia stato il suo preciso tenore. La decisione si col-. loca tra il 7 e il 29 o 30 giugno.

Come ho già specificato, il 29-30 giugno è la data della lettera che conferma al direttore generale dell'Eurostat quali erano i nuovi incarichi che i sigg. Ortoli e Tugendhat avevano deciso di affidare al ricorrente. È palese che questa lettera non costituisce affatto la decisione, ma solo la sua comunicazione.

Quanto alla decisione collettiva dell'8 settembre, adottata in applicazione del punto 8 della decisione del 7 giugno, con cui si specificano la nuova destinazione e le mansioni dei dipendenti dell'ufficio statistico di grado A 4/A 7, pur se essa comprende il nome del Kuhner, non si può, data la situazione, definirla altro, per quel che riguarda il ricorrente, che una decisione di conferma, vale a dire il primo documento da cui risulta a posteriori l'esistenza della decisione irreperibile, unico provvedimento lesivo.

Per questa ragione la motivazione di detta decisione, che in sostanza si riduce alla considerazione molto generica dell'interesse del servizio, non può in alcun modo sanare l'atto iniziale, unico elemento che arrechi pregiudizio, dal suo vizio di forma.

Qual è la conseguenza di detta insussistenza di motivazione?

Fino a poco tempo fa la vostra giurisprudenza mi avrebbe indotto a rilevare che ciò non è sufficiente, di per sé, a implicare l'annullamento della decisione di cui trattasi, poiché, per dirla con la vostra sentenza 29 settembre 1976 (Morello e/Commissione, causa 9/76, Race. pag. 1422), il ricorrente «non può avere un interesse legittimo all'annullamento — per difetto e insufficienza di motivazione — della decisione impugnata: è certo infatti che tale atto verrebbe in sostanza confermato, senza alcun errore di diritto o di fatto ...».

Ma ecco che nella vostra sentenza 28 febbraio 1980 (Bonu c/Consiglio, causa 89/79, inedita) avete annullato una decisione del Consiglio con cui si rifiutava d: ammettere un candidato ad un concorse per il solo motivo che la motivazione era insufficiente. Alla luce delle conclusioni conformi all'avvocato generale Reischl, che ho già citato, mi pare che questa decisione abbia una portata che va decisamente oltre il contenzioso relativo alle ammissioni ai concorsi.

Per di più, nella presente causa non è solo l'insufficienza di motivazione, ma la sua assenza pura e semplice che può venir addebitata all'istituzione interessata.

Così stando le cose, esaminerò gli altri mezzi invocati dal ricorrente solo a titolo in un certo senso subordinato. Quantomeno potrò così esporre il mio modo di vedere sulla conciliazione cui facevo cenno all'inizio.

IV —

Il ricorrente invoca anzitutto la violazione degli artt. 5 e 7 dello Statuto, in virtù dei quali le mansioni affidate ad un dipendente devono essere nel complesso conformi ad un impiego corrispondente al grado che egli ha nella gerarchia.

A.

Di fatto, come rileva giustamente la Commissione, è stato esperito un solo mezzo, mentre in realtà si invocano non solo la violazione formale di dette disposizioni, ma anche lo sviamento di potere che la Commissione avrebbe commesso.

Il ricorrente allega infatti che la sua nuova destinazione non è stata determinata nell'interesse del servizio. A suo giudizio, l'amministrazione avrebbe approfittato della riorganizzazione dell'ufficio statistico per esimerlo dalle mansioni che egli svolgeva. Dicendo ciò egli allude manifestamente allo sviamento di potere, poiché se questo assunto è fondato, l'amministrazione «non si sarebbe avvalsa dei suoi poteri per uno degli scopi previsti dal provvedimento» (sentenza 5 maggio 1966, Gutman c/Commissione CEEA, cause riunite 18 e 35/65, Race. 1966, pag. 162).

Orbene, in materia di sviamento di potere, l'onere della prova incombe al ricorrente che deve dimostrare l'esistenza di «indizi obiettivi, pertinenti e concordanti, che comprovino» detto sviamento (sentenza 27 giugno 1973, Kley e/Commissione, Race. 1973, pag. 689).

Dal fascicolo non risultano indizi di questo genere.

B.

Quanto alla violazione propriamente detta degli artt. 5 e 7, il ricorrente sostiene di aver subito un declassamento in quanto le sue mansioni attuali sono, sia per la loro natura che per la loro importanza e per la loro portata, nettamente inferiori alle mansioni che svolgeva in precedenza.

I termini di questo confronto sono male impostati, in quanto le mansioni attuali del ricorrente non vanno paragonate alle sue mansioni precedenti bensì «a quelle che corrispondono, tenuto conto della loro natura e della loro importanza e della loro ampiezza, al grado ed all'impiego tipo» (sentenza 20 maggio 1976, Macevičius c/Parlamento, Race. 1976, pagg. 603-604). Dobbiamo dunque chiederci se, in sostanza, le sue mansioni attuali siano nettamente inferiori a quelle che si possono richiedere ad un amministratore principale.

È evidente che tale quesito di valutazione può essere difficilmente risolto dal giudice. Si evince dalla vostra giurisprudenza Scuppa e/Commissione (sentenza 10 luglio 1975, cause riunite 4 e 40/74, Race. pag. 933) e Macevičius c/Parlamento (sentenza 20 maggio 1976, causa 66/75, Race. pagg. 603-605), che alcuni (Dubouis, Revue trimestrielle de droit européen, 1978, pagg. 487-488) hanno ritenuto eccessivamente severa nei confronti del dipendente, che la soluzione affermativa è possibile solo se è manifesto che il ricorrente svolge attualmente soltanto mansioni di importanza minima. Sembra però che sia impossibile affermare ciò.

C.

Ma il ricorrente si duole inoltre del fatto che gli artt. 5 e 7 siano stati violati in quanto egli non è più capo di un servizio specializzato, qualifica che aveva da cinque anni.

A norma dell'art. 5, n. 4 «la corrispondenza tra gli impieghi tipo e le carriere è stabilita nella tabella di cui all'Allegato I dello Statuto» (primo comma). L'Allegato I A dello Statuto mette in correlazione alla carriera A 5/A 4 l'impiego tipo di amministratore principale. «Sulla base di questa tabella ogni istituzione, previo parere del Comitato dello Statuto, previsto dall'art. 10, definisce le funzioni e le attribuzioni di ciascuno impiego tipo» (secondo comma). Con decisione pubblicata sul «Corriere del personale» del 4 settembre 1973, la Commissione così descriveva la mansioni e i compiti degli amministratori principali: «capo di un settore d'attività di una divisione, capo di un servizio specializzato, dipendente qualificato incaricato di compiti di concetto, di studio o di controllo di un settore d'attività, sostituto di un capo divisione». Giuridicamente, i capi di un servizio specializzato sono quindi collocati allo stesso livello degli altri amministratori principali.

Per contro, è incontestabile che, nella sua prassi amministrativa, la convenuta ha creato una disparità tra di essi e gli altri dipendenti di grado A 5/A 4. Essa ha assimilato, sotto vari aspetti, i capi dei servizi specializzati ai dipendenti di grado A 3.

Indubbiamente, la superiorità delle mansioni del capo di un servizio specializzato rispetto alle altre mansioni dei posti A 5/A 4 non deriva dal fatto che il capo di un servizio specializzato diriga un' unità amministrativa.

Se si ammettesse ciò, si negherebbe all' amministrazione la possibilità di affidare al capo di un servizio specializzato altri compiti della carriera A 5/A 4. Questa conseguenza sarebbe indubbiamente una limitazione eccessiva dell'elasticità di cui devono godere le amministrazioni onde adeguarsi alle esigenze variabili dei loro compiti e del principio giuridico che ne è il corollario, quello della responsabilità esclusiva dell'autorità gerarchica per l'organizzazione dei suoi servizi, che voi avete riconosciuto particolarmente nelle sentenze del 20 maggio 1976 (Macevičius c/Parlamento, causa 66/75, Racc, pag. 604) e del 14 luglio 1977 (Geist c/Commissione, causa 61/76, Race, pag. 1434).

Quanto esporrò dimostra però chiaramente che per la Commissione i capi di un servizio specializzato sono in realtà amministratori principali superiori agli altri:

sono nominati dalla Commissione, mentre la destinazione degli altri dipendenti A 5/A 4 è decisa dal membro della commissione responsabile del personale, su proposta del o dei commissari interessati;

dipendono direttamente da un direttore, il che li colloca, sotto questo aspetto, sullo stesso piano dei capi divisione, mentre gli altri amministratori principali sono collocati alle dipendenze di un capo divisione, come risulta dalla descrizione delle competenze e delle mansioni degli amministratori principali, elemento che è indubbiamente il più importante;

ricevono sistematicamente tutte le informazioni riservate ai dipendenti di grado A 3, contrariamente agli altri dipendenti di grado A 4/A 5, e paiono favoriti per quel che riguarda l'ammissione a determinati corsi di formazione professionale, elementi che possono facilitare la loro carriera;

la loro assimilazione ai dipendenti di carriere superiori viene inoltre completata, in modo che, più chiaramente di quanto dicano i particolari, rivela l'orientamento della convenuta, dalla concessione di alcuni vantaggi materiali accessori.

Questa assimilazione, operata di fatto più che di diritto, mi pare tanto più significativa quanto alle conseguenze che se ne devono trarre sul piano giuridico, per il fatto che essa interviene in un organismo dove «il senso della gerarchia è notoriamente assai sviluppato» come rilevava l'avvocato generale Trabucchi nelle conclusioni per la causa Scuppa e/Commissione (cause riunite 4 e 40/74, Race. 1975, pag. 942).

Indubbiamente, concedendo lo stesso trattamento ai capi di un servizio specializzato e agli altri amministratori principali e ponendoli sullo stesso piano nella descrizione delle funzioni, la Commissione si sottrae alla censura di aver violato la lettera degli artt. 5 e 7 dello Statuto.

Se dunque non si può sostenere che, privando il Kuhner delle sue competenze di capo di un servizio specializzato, l'amministrazione abbia violato gli artt. 5 e 7 dello Statuto, quantomeno è opportuno esaminare se il suo comportamento nei confronti dell'interessato non possa essere criticato sotto un altro profilo giuridico.

V —

L'illecito potrebbe essere costituito dalla violazione dell'obbligo di sollecitudine che, secondo il ricorrente, incombe all'amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti.

A.

L'obbligo di sollecitudine (Fürsorgepflicht) è una nozione tratta dal diritto tedesco che disciplina il pubblico impiego, la quale ha avuto un crisma ufficiale in virtù dell'art. 79 della legge federale che disciplina i pubblici dipendenti (Bundesbeamtengesetz).

Si può riassumere quest'obbligo dicendo che esso impone all'amministrazione di non tener conto soltanto dell'interesse del servizio, ma anche degli interessi dei singoli dipendenti. Come dichiara Ebert, «il dipendente ha il diritto di presumere di venir valutato in modo giusto ed equo, di essere tutelato contro eventuali danni e di non essere abusivamente ostacolato nella carriera»(Das gesamte öffentliche Dienstrecht, pagg. 280-294). L'Ule si esprime in termini analoghi (Beamtenrecht, paragrafo 48-2, pag. 197).

Quest'obbligo impone in modo particolare all'amministrazione di evitare qualsiasi provvedimento di trasferimento che possa pregiudicare la carriera o il buon nome del dipendente (Fischbach, Bundesbeamtengesetz, I, pag. 262).

Tuttavia, conformemente al principio «specialia generalibus derogant», questo obbligo, a motivo del suo carattere molto generale, pare che possa venir utilmente invocato solo in assenza di norme precise.

B.

Per il ricorrente, sia la sua nuova destinazione che le circostanze in cui essa si è verificata rappresenterebbero una violazione grave dell'obbligo di sollecitudine che incombe all'amministrazione nei suoi confronti. Adottando la decisione impugnata, l'amministrazione non a-vrebbe tenuto in debito conto l'anzianità di servizio, le capacità, l'esperienza, gli incarichi che egli aveva avuto in precedenza, né le ripercussioni nocive che il provvedimento avrebbe avuto sul suo buon nome e sulla sua reputazione, compromettendo seriamente le sue possibilità di progredire nella carriera.

La Commissione riconosce che, nel destinare un dipendente ad un determinato impiego, un'amministrazione comunitaria deve tenere debito conto non solo dell' interesse del servizio, ma anche degli interessi del dipendente stesso.

Il rispetto di questi obblighi le pare tuttavia garantito in modo sufficiente sotto questo profilo dagli artt. 5 e 7 dello Statuto e dal sindacato giurisdizionale che la Corte può esercitare in caso di sviamento di potere. Su questo punto non posso che esprimere la mia approvazione.

Analogamente, poiché l'osservanza dell' obbligo di sollecitudine implica che vengano concesse ai dipendenti determinate garanzie procedurali onde tutelarli contro l'arbitrio di provvedimenti per loro gravemente pregiudizievoli, il dovere di sollecitudine mi pare si confonda con il principio di tutela dei diritti della difesa.

C.

Questo parallelismo implica che si neghi all'obbligo di sollecitudine qualsiasi contenuto intrinseco? Non direi, in quanto esso, tra l'altro, impone all'amministrazione di non adottare nei confronti di un dipendente provvedimenti che possano ledere la sua reputazione e il suo buon nome, e di non ostacolare arbitrariamente la sua carriera.

È vero che, per la Commissione, l'obbligo di sollecitudine così concepito si confonderebbe con il dovere di assistenza (Beistandspflicht) elaborato dalla vostra giurisprudenza in base ad un'interpretazione estensiva dell'art. 24, primo comma, dello Statuto.

Come vi è noto, a norma di questa disposizione, «le Comunità assistono il funzionario, in particolare nei procedimenti a carico di autori di minacce, oltraggi, ingiurie, diffamazioni, attentati contro la persona o i beni, di cui il funzionario e i suoi familiari siano oggetto, a motivo della sua qualità e delle sue funzioni».

A meno di non dare un'interpretazione ultraestensiva alle nozioni di oltraggio, ingiuria e diffamazione contenute in questo articolo, esso non mi pare possa applicarsi alla situazione in esame. L'esame della vostra giurisprudenza recente dimostra peraltro che vi siete sempre rifiutati di assecondare i ricorrenti che cercavano di conferire a questa norma una portata generale, che abbracciasse anche ipotesi non espressamente previste. Mi permetto di far richiamo a questo proposito in particolare alle vostre sentenze del 16 marzo 1978 (Leonardi e/Commissione, causa 115/76, Racc. pag. 746) e del 5 aprile 1979 (Bellintani e/Commissione, causa 116/78, Racc. pag. 1600). Il dovere di sollecitudine ha dunque una portata che va oltre quella dell'art. 24 dello Statuto.

D.

Di fatto, mi pare che questo dovere racchiuda uno di quei principi giuridici di cui potete dichiarare la violazione. Direi che, in realtà, pur se finora non lo avete affermato espressamente, gli abbiate già riconosciuto implicitamente questa indole.

A sostegno della mia tesi ricordo talune conclusioni dell'avvocato generale Reischl, nelle quali detta espressione è impiegata nel senso che le conferisce il diritto amministrativo tedesco. Negli ultimi anni posso ricordare le sue conclusioni nelle cause 56/76, Elz c/Commissione (Racc. 1976, pag. 1118) e 164/78, Woehrling e/Commissione (Race. pag. 1974). Si deve rilevare che, se nella causa Woehrling l'obbligo di sollecitudine è richiamato dall'avvocato Reischl in modo incidentale, tanto che voi stessi lo avete sottaciuto nella sentenza, nella causa Elz, per contro, siete giunti alla stessa conclusione cui è giunto l'avvocato generale, criticando la carenza di diligenza dell' amministrazione.

Dal canto mio, già altre volte ho condiviso le preoccupazioni del ricorrente e ho pure ribattuto agli argomenti ora svolti dalla convenuta nelle conclusioni per la causa 128/75, N. e/Commissione. Ho infatti riconosciuto l'esistenza di un principio di portata più ampia che non l'art. 24, n. 1, che io ho chiamato «obbligo di tutela incombente all'amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti» (Race. 1976, pag. 1581).

Mi riferisco inoltre alle vostre numerose sentenze che consacrano il principio di sana amministrazione, specialmente a quelle dell'11 luglio 1974 (Guillot e/Commissione, causa 53/72, Race. pag. 791) e del 9 novembre 1978 (Verhaaf e/Commissione, causa 140/77, pag. 2117) che sono per me altrettanti riconoscimenti impliciti dell'obbligo di sollecitudine.

Nella sentenza Guillot avete sostenuto che «prescindendo dai doveri incombenti alle istituzioni comunitarie a norma dell' art. 24 dello Statuto, il principio d'equità e le esigenze di una sana amministrazione richiedono» che l'amministrazione segua una determinata linea di condotta (Race. pag. 802). Analogamente, nella sentenza Verhaaf avete ritenuto che l'art. 24 fosse solo un esempio della facoltà, e, eventualmente, del dovere che incombe alle autorità competenti, ai fini di una sana amministrazione, di adottare determinati provvedimenti (Race. pag. 2123).

Mi pare che quest'ultima sentenza sia tanto più interessante in quanto si trattava di un caso di trasferimento. Ora, come ha riconosciuto in udienza il rappresentante della Commissione, se ad un dipendente si prescrive di svolgere mansioni diverse, in un servizio diverso, come nella fattispecie, il provvedimento deve ispirarsi agli stessi principi sostanziali che valgono per il trasferimento. Inoltre, in quest'ultima causa, la stessa Commissione ha sostenuto di aver accolto una richiesta del ricorrente in forza dell'obbligo «di prestare ai suoi dipendenti aiuto e assistenza» (Fürsorgepflicht) (Race. pag. 2121). È inutile domandarsi come ora essa potrebbe rifiutare, mentre lo aveva ammesso nel 1974, di attribuire a questa nozione un carattere autonomo.

In realtà, le nozioni di amministrazione, di giustizia e di sana equità e di dovere di sollecitudine mi pare siano soltanto vari aspetti, frutto di diverse tradizioni giuridiche, di una sola ed identica preoccupazione, cioè quella di garantire l'armonia dell'attività nell'ambito di una amministrazione.

E.

Dobbiamo vedere ora se, decidendo il trasferimento del ricorrente, l'amministrazione non abbia leso il suo buon nome e la sua reputazione e non l'abbia ostacolato arbitrariamente nella carriera.

Non penso che possiate risolvere questo problema di valutazione, limitandovi a trasporre la soluzione già adottata nella sentenza 13 dicembre 1979 (Loebisch, causa 14/79, inedita), nella quale avete sostenuto che «ciascuna istituzione è padrona del proprio organigramma e dispone di un ampio potere discrezionale per l'organizzazione dei propri uffici» (n. 11). In realtà, vi è una differenza che mi pare fondamentale fra la posizione del Loebisch e quella del Kuhner. Il primo reclamava la promozione al grado superiore; il secondo si duole di una «capitis diminutio» in quanto è stato privato della qualità di «assimilato al grado A 3»

Ritengo invece che la Commissione abbia tenuto un comportamento che lede il buon nome e la reputazione del ricorrente. Mi pare pregiudizievole anzitutto il fatto di aver soppresso il posto di capo servizio specializzato occupato dal ricorrente. Poiché con questa qualifica egli fruiva dei privilegi concessi al titolare di questo tipo di posto, privilegi ben noti nel suo ambiente professionale, non vedo come si potrebbe definire il provvedimento che in pratica lo ha privato di detta qualifica, diversamente da una degradazione di fatto.

Per il ricorrente l'elemento tangibile di questa degradazione è costituito dallo spostamento del suo nome nell'organigramma dell'ufficio statistico. Mentre prima egli vi appariva registrato allo stesso livello dei dipendenti A 3, il suo nome compare ora subordinato a quello del capo divisione. Indubbiamente, come osserva la Commissione, l'organigramma è anzitutto uno strumento funzionale di lavoro. Ma, in pratica, non si può negare l'impatto che esso ha sia all'interno che all'esterno dell'istituzione. La reazione del ricorrente mi pare quindi legittima.

Infine, e forse soprattutto, egli ha potuto ritenere che la Commissione abbia agito nei suoi confronti con una laggerezza che rasenta la malafede allorché gli è stato chiesto, durante l'incontro del 17 luglio, quali mansioni egli avrebbe preferito, mentre la sua nuova destinazione era già stata decisa.

Per questi motivi, mi pare manifesta l'inosservanza da parte della Commissione dell'obbligo di sollecitudine.

VI —

Devo ancora esaminare un mezzo invocato a sostegno della domanda d'annullamento della decisione impugnata che si fonda sull'osservanza dei diritti della difesa.

A.

Il ricorrente ritiene di avere il diritto di essere informato e consultato preventivamente sui progetti di mutamento di destinazione che lo riguardano e la sua pretesa è ancor più giustificata dal momento che la Commissione aveva specialmente incaricato due dei suoi membri di «vedere quali eventuali disposizioni speciali avrebbero potuto venir adottate circa la situazione dell'interessato»

La Commissione nega che sussista siffatto diritto. Essa sostiene che non si può pretendere dall'amministrazione, allorché riorganizza i suoi servizi e deve inevitabilmente mutare la destinazione di diversi dipendenti, che essa consulti sistematicamente ogni interessato. Questo mezzo fa insorgere quindi il problema della sfera d'applicazione ratione materiae del principio dell'osservanza dei diritti della difesa.

È incontestabile che detto principio vale soprattutto per il settore disciplinare, settore in cui la salvaguardia dei diritti della difesa è disciplinata da norme speciali. Però voi avete ammesso ugualmente che questo principio è vincolante, anche se dette norme non sussistono, allorché si tratta di provvedimenti «atti a ledere gravemente gli interessi individuali» (sentenza 27 ottobre 1977, Moli e/Commissione, causa 121/76, Race. pag. 1979).

Dalla giurisprudenza che finora avete elaborato, si evince che sono tali ad esempio il rifiuto di assumere, per inidoneità fisica, un candidato a un posto di dipendente o agente della Comunità (sentenze 27 ottobre 1977, Molli e/Commissione, summenzionata, e 13 aprile 1978, Mollet c/Commissione, causa 75/77, Race. pag. 907) e la revoca dell'incarico nell'interesse del servizio a norma dell'art. 50 dello Statuto (sentenza 11 maggio 1978, Oslizlok e/Commissione, causa 34/77, Race. pag. 1114).

Si deve escludere a priori che si possa dire altrettanto, in determinate circostanze, in caso di trasferimento o di mutamento di destinazione effettuato contro la volontà del dipendente? Direi di no.

B.

Vorrei anzitutto osservare che alcuni Stati membri hanno contemplato procedimenti che limitano la facoltà discrezionale dell'amministrazione e consentono al dipendente di presentare i propri argomenti o direttamente o mediante i suoi rappresentanti.

Nel diritto francese, il trasferimento è disciplinato in modo diverso a seconda che il dipendente sia o meno soggetto allo Statuto generale che regge il rapporto di pubblico impiego. Ai dipendenti cui, in via eccezionale, non si applica lo Statuto, spetta la trasmissione del fascicolo, che è il minimo cui può esser tenuta l'amministrazione.

Per coloro che sono soggetti allo Statuto generale, la consultazione della commissione amministrativa paritetica è, in caso di mutamento di residenza o di modifica della situazione dell'interessato, una formalità obbligatoria la cui inosservanza comporta l'annullamento della decisione di trasferimento. Per modifica della situazione dell'interessato, si deve intendere ad esempio la perdita delle indennità accessorie, la modifica degli incarichi (Conseil d'Etat francese, Egazé, 27 aprile 1956, Race. pag. 172), la riduzione delle mansioni (Conseil d'État francese, sig.ra Guillon, 23 luglio 1974, Race. pag. 157) oppure il provvedimento con cui si colloca in posizione subordinata un dipendente già responsabile principale di un servizio (Conseil d'Etat francese, sig.ra Gille, 21 luglio 1970, Race. pag. 532) (Plantey — Traité pratique de la fonction publique, Vol. I, terza edizione, nn. 1309-1327, comm. nn. 1311 e 1323, Riforme nel rapporto del pubblico impiego, n. 382).

Il sistema tedesco è analogo al sistema francese: l'art 76, paragrafo 1, n. 4, della legge sulla rappresentanza del personale della pubblica amministrazione (Bundespersonalvertretungsgesetz) prescrive la consultazione di detto organo in caso di trasferimento.

Nei Paesi Bassi, il n. 1 dell'art. 57 del regolamento generale in materia di dipendenti dello Stato (Algemeen Rijksambtenaren Reglement) obbliga l'amministrazione, in caso di trasferimento, a tener conto della personalità del dipendente, della sua situazione specifica e delle prospettive che questi ha; inoltre il n. 2 dispone che, salvo casi urgenti, non si può affidare un incarico diverso al dipendente senza averlo consultato.

Analogamente, nel Lussemburgo, la recente legge 16 aprile 1979, che determina lo stato giuridico dei pubblici dipendenti, contempla molto chiaramente, all' art. 6, n. 2, che è incluso nel capitolo riguardante la destinazione, che, prima di adottare qualsiasi provvedimento, il dipendente interessato deve aver modo di presentare le sue osservazioni.

Indubbiamente gli altri Stati membri non contemplano disposizioni di questo genere. Voglio tuttavia ricordare che nel Regno Unito ed in Irlanda, ove non esistono leggi in materia, il rapporto è disciplinato, secondo la prassi, a quanto pare in modo soddisfacente per gli interessati, facendo ricorso a discussioni e negoziati interni nei quali intervengono le delegazioni sindacali dei dipendenti.

C.

Sul piano comunitario, il diritto del dipendente di essere sentito prima del trasferimento era già assento, in un contesto di diritto comparato meno favorevole a questo orientamento, dall'avvocato generale Roemer nelle conclusioni per le cause riunite 18 e 35/65, Gutmann c/Commissione CEEA. Nel caso -— simile alla presente fattispecie — del trasferimento d'ufficio, il ricorrente non era evidentemente stato informato delle dichiarazioni che hanno provocato la decisione che egli impugnava. L'avvocato generale Roemer osservava: «La correttezza di un tale procedimento mi pare dubbia, anche se lo Statuto del personale non prevede espressamente garanzie a difesa di un funzionario in predicato per il trasferimento» (Race. 1966, pag. 178).

Non può nemmeno passare inosservato il contrasto che vi è tra le promozioni (per cui sono contemplate garanzie molto precise, che in particolare comprendono ìa consultazione di un comitato di promozione di cui fanno parte i rappresentanti del personale), le note caratteristiche (che costituiscono oggetto di direttive precise pubbliche e di possibilità di appello) e i trasferimenti o mutamenti di destinazione (per i quali dette garanzie mancano del tutto). Non ritengo che l'incidenza di queste varie decisioni sulla carriera del dipendente sia a tal punto dissimile che esse meritino una simile diversità di trattamento.

Osservando la pratica, rilevo che, frequentemente, l'amministrazione consulta i suoi dipendenti anche se non vi è obbligata. Ad esempio, pur se la legge non glielo impone, essa offre al dipendente in prova la possibilità di esprimersi sulla sua intenzione di licenziarlo in base ad un rapporto negativo sul periodo di prova, «attenendosi in tal modo ai principi di una sana amministrazione in materia di personale» (sentenza 12 luglio 1973, di Pillo e/Commissione, cause riunite 10 e 42/72, Race. 1973, pag. 771). Anche nella fattispecie la Commissione sostiene d'averlo fatto nel corso del colloquio del 18 luglio 1978.

Non risulta dunque che la concessione di garanzie procedurali in determinati casi di mutamento di destinazione o di trasferimento di un dipendente ponga all' amministrazione difficoltà insormontabili.

D.

Per questo motivo propongo di riconoscere che, in determinate circostanze, una siffatta decisione può ledere gravemente gli interessi del singolo.

Nella fattispecie, è per due motivi che io ritengo di poter definire lesivo il provvedimento litigioso. Se è difficile per me stabilire se la nuova destinazione abbia comportato una notevole riduzione delle competenze del ricorrente, è incontestabile che essa ha modificato le sue competenze in modo sostanziale e ha avuto al tempo stesso l'effetto di collocarlo in posizione subordinata, mentre prima era il responsabile principale di un servizio.

In conclusione, dopo aver esaminato i mezzi diversi dalla carenza di motivazione, invocati a sostegno della domanda d'annullamento della decisione litigiosa, propongo di annullare il provvedimento impugnato anche per violazione dell'obbligo di sollecitudine e del rispetto dei diritti della difesa incombenti all'amministrazione.

Vorrei aggiungere che un eventuale annullamento non implicherebbe per la Commissione l'obbligo di riaffidare al Kuhner un incarico di capo di un servizio specializzato, né a maggior ragione di ricostituire il servizio che egli dirigeva prima della decisione di soppressione. Una siffatta conseguenza implicherebbe una sclerosi per l'amministrazione, mentre questa deve sempre tendere a migliorare il suo funzionamento.

Ciò consegue dai motivi per i quali la nuova destinazione del ricorrente mi è parsa criticabile. Il rispetto dell'obbligo di sollecitudine dell'amministrazione impone soltanto che siano soppressi i privilegi attualmente concessi, senza base statutaria, ai capi dei servizi specializzati, pur se non sono affatto necessari per lo svolgimento delle loro mansioni. I diritti della difesa dei dipendenti, trasferiti o destinati ad altre mansioni contro la loro volontà in condizioni che si può ritenere ledano gravemente i loro interessi personali, sarebbero rispettati se l'amministrazione organizzasse un procedimento che consentisse di consultare l'interessato prima di adottare il provvedimento che lo riguarda o di consultare un organo di cui fanno parte i rappresentanti del personale.

VII —

Resta da vedere la domanda del ricorrente che la Commissione sia condannata al risarcimento del danno materiale e morale che gli avrebbe arrecato la decisione impugnata.

Poiché a mio parere è indiscusso che la decisione è illegittima, sussiste quindi il primo presupposto per concedere il risarcimento. Però il ricorrente deve anche fornire la prova che detta decisione gli ha arrecato un pregiudizio.

Questa condizione non è evidentemente soddisfatta per quel che riguarda il pregiudizio materiale rivendicato, che consisterebbe nel venir meno delle possibilità di promozione del ricorrente alla carriera superiore. È chiaro che un amministratore principale, che svolge mansioni di capo di un servizio specializzato non ha quel margine di certezza, richiesto dalla vostra giurisprudenza (sentenza 2 luglio 1976, Kampffmeyer c/ Commissione e Consiglio, Racc. pag. 742), di accedere al grado A 3.

Per contro, come ho già detto, ritengo che il provvedimento litigioso e le condizioni in cui esso è stato adottato debbano venir considerati, nell'ambito e fuori dall'ambito della Commissione, nonostante i dinieghi di quest'ultima, come pregiudizievoli per il buon nome e per la reputazione del ricorrente. Vi propongo quindi di condannare la convenuta a versargli l'unità di conto simbolica che esso reclama.

In conclusione, propongo quindi che:

sia annullata la decisione adottata tra il 7 e il 29 o 30 giugno 1978 dai sigg. Ortoli e Tugendhat, con cui si destina il Kuhner alla divisione F/l dell'ufficio statistico, come dipendente incaricato di compiti speciali del settore della metodologia.

la Commissione sia condannata a versare al ricorrente un'unità di conto a risarcimento del danno morale,

la Commissione sia condannata alla spese.


( 1 ) Traduzione dal francese.