CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JEAN-PIERRE WARNER

DEL 27 SETTEMBRE 1979 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

Il presente procedimento è stato originato da una domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte dal College van Beroep voor het Bedrijfsleven. Attrice nella causa pendente dinanzi a questo giudice è una società avente sede in Rotterdam, che, sotto la denominazione «H. Ferwerda BV», svolge l'attività di importatore ed esportatore di carne. In prosieguo la chiamerò per brevità «Ferwerda». Convenuto è il Produktschap voor Vee en Vlees (ente pubblico per l'organizzazione delle attività economiche nel settore del bestiame e della carne) il quale, fra l'altro, provvede a pagare, nei Paesi Bassi, le restituzioni comunitarie all'esportazione di carne bovina.

Quello che il College van Beroep deve decidere è, in sostanza, se la Ferwerda abbia il diritto di trattenere determinate somme erroneamente versatele dal convenuto come restituzioni all'esportazione per talune partite di carne di vitello congelata fornite nel 1976 ad alcune navi della «Holland-Amerika Lijn» trovantisi allora nelle acque delle Bermude; e, in caso negativo, se la Ferwerda possa, in ragione dell'errore in cui è incorso il convenuto, pretendere da questo il risarcimento dei danni.

Le restituzioni all'esportazione di carne bovina erano fissate, al tempo dei fatti di causa, dai regolamenti (CEE) della Commissione 15 marzo 1976, n. 584 e 13 ottobre 1976, n. 2492. Nel preambolo di ciascuno di tali regolamenti si dichiarava che la situazione allora esistente sul mercato comunitario e le possibilità di smercio nei paesi terzi rendevano opportuno il versamento di restituzioni all'esportazione di carne congelata solamente in relazione a determinate destinazioni. Queste destinazioni erano elencate nell'allegato di ciascuno dei suddetti regolamenti. Si trattava dei paesi terzi europei, della Giordania, dei paesi terzi che si affacciano sul Mediterraneo o sul Golfo Persico, dei paesi terzi della penisola arabica e dell'Africa e, per taluni tagli di carne, degli Stati Uniti d'America. Le Bermude non figuravano tra tali destinazioni. In una nota in calce a ciascun allegato si precisava che per «paesi terzi europei» dovevano intendersi anche le «destinazioni considerate nell'articolo 3 del regolamento (CEE) n. 192/75». Quest'ultimo è un regolamento della Commissione «che stabilisce le modalità d'applicazione delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli». All'art. 3 esso dispone che le forniture di tali prodotti, nell'ambito della Comunità, a navi, aeromobili, organizzazioni internazionali e forze armate straniere vanno equiparate, in determinati casi, alle esportazioni dalla Comunità. Tale disposizione non si applica all'approvvigionamento di navi all'esterno della Comunità.

Nel chiedere le restituzioni, la Ferwerda dichiarava di avvalersi del procedimento contemplato dall'art. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 441/69, che, com'è specificato nel titolo, «stabilisce le norme generali complementari concernenti la concessione delle restituzioni all'esportazione» per taluni prodotti. Dal penultimo punto del preambolo del regolamento risulta che l'art. 3 ha lo scopo di controbilanciare la sospensione della riscossione del prelievo su determinate merci provenienti da paesi terzi e sottoposte al regime di deposito doganale o di «zona franca». La compensazione consiste in un procedimento in base al quale, per i prodotti comunitari elencati nell'allegato II del regolamento, fra cui la carne bovina, le restituzioni all'esportazione possono essere ottenute non appena detti prodotti siano stati del pari sottoposti a tale regime.

L'art. 3 recita, per quanto qui interessa:

«1.

La restituzione, ovvero, in caso di differenziazione secondo la destinazione, la parte della restituzione calcolata sulla base del tasso più basso, è pagata a richiesta dell'interessato non appena i prodotti o le merci elencati nell'allegato II siano stati sottoposti al regime di deposito doganale o di zona franca.

L'osservanza dell'obbligo di esportare effettivamente detti prodotti o merci fuori della Comunità, salvo casi di forza maggiore, entro un termine determinato, è assicurata dalla costituzione di una cauzione che garantisca il rimborso di un importo pari a quello della restituzione pagata, maggiorato di un determinato importo qualora l'esportazione non sia avvenuta entro detto termine.

...»

Il regolamento (CEE) della Commissione n. 1957/69 stabilisce dettagliatamente le modalità di attuazione dei regimi istituiti dal regolamento n. 441/69, compreso il procedimento di cui all'art. 3. Le disposizioni del regolamento n. 1957/69 sono alquanto complesse, anche perché alcune di esse si riferiscono a determinate disposizioni di un precedente regolamento della Commissione, il regolamento (CEE) n. 1041/67, a sua volta sostituito dal regolamento n. 192/75. Occorre pertanto considerare tali riferimenti in relazione alle corrispondenti disposizioni del regolamento n. 192/75, individuabili grazie alla «tavola di concordanza» a questo allegata.

L'art. 1, n. 2, leu. a), del regolamento n. 1957/69 dispone in effetti, per quanto attiene al caso presente, che l'art. 11 del regolamento n. 192/75 si applica alle operazioni effettuate a norma del regolamento n. 441/69. Non è necessario citare per intero il lungo testo dell'art. 11. In questo contesto basta ricordare che l'articolo è inteso a dare attuazione al disposto dell'art. 3 del regolamento n. 441/69, a norma del quale, «in caso di differenziazione secondo la destinazione», solo «la parte della restituzione calcolata sulla base del tasso più basso» dev'essere versata non appena la merce sia stata posta sotto controllo doganale. L'art. 11 precisa che, qualora una determinata merce abbia una destinazione in relazione alla quale non sia fissata nessuna restituzione, nessun pagamento viene effettuato nella fase suddetta.

A norma del combinato disposto dell'art. 2, n. 1, leu. b), e dell'art. 4, n. 1, del regolamento n. 1957/69, in caso di applicazione dell'art. 3 del regolamento n. 441/69, l'aliquota della restituzione è, salvo fissazione anticipata, quella vigente il giorno della «accettazione da parte del servizio doganale dell'atto con il quale il dichiarante manifesta la volontà di porre i prodotti o le merci sotto controllo doganale affinché siano sottoposti al regime di deposito doganale o di zona franca ai fini di esportazione». L'art. 4, n. 2, stabilisce che la merce può restare in regime di deposito doganale o di zona franca al massimo per sei mesi a decorrere dalla data suddetta.

L'art. 6, n. 1, dispone infatti, per quanto qui interessa, che la cauzione da depositare a norma dell'art. 3 del regolamento n. 441/69 è pari al 120% della restituzione versata e viene incamerata qualora, entro un dato termine, «non sia comprovato che ... i prodotti o le merci hanno lasciato, come tali, il territorio geografico della Comunità o raggiunto la loro destinazione ai sensi dell'art. 3 del regolamento n. [192/75] nel termine di 45 giorni ... dalla data in cui è terminato il regime di deposito doganale o di zona franca ...».

L'art. 6, n. 5, è la disposizione in base alla quale, nella fattispecie, il convenuto sostiene di avere il diritto di ripetere le somme erroneamente versate alla Ferwerda. Esso recita:

«L'importo della restituzione pagato ed eventualmente maggiorato è rimborsato ai sensi. del presente articolo, quando le prove di cui al paragrafo 1 non siano apportate nei termini richiesti. In tal caso, se l'importo non viene rimborsato nonostante esplicita richiesta, la cauzione già prestata viene incamerata.»

Il College van Beroep ha accertato i seguenti fatti.

Il 16 marzo 1976 la Ferwerda immetteva in un deposito doganale in Rotterdam 4511 chilogrammi di carne di vitello congelata, dichiarando nell'apposito modulo che la merce era destinata a «varie navi» («diverse schepen») a norma del regolamento del Consiglio n. 441/69 e del regolamento della Commissione n. 1957/69. La carne veniva estratta dal deposito suddivisa in tre partite, le prime due il 29 marzo 1976 e la terza il 12 maggio 1976. Negli «esemplari di controllo» compilati all'atto dell'estrazione erano indicate come destinatarie la «MN Statendam», la «MN Rotterdam» e, rispettivamente, la «MN Veendam Ned»; in ciascuno di tali documenti era altresì precisato che la nave destinataria si trovava nelle acque delle Bermude. In base al «modulo d'esportazione» depositato il 16 marzo 1976, il convenuto, con nota 13 aprile 1976, comunicava alla Ferwerda che le spettava una restituzione pari a 12410,66 fiorini. La somma veniva versata alla Ferwerda in una data non precisata dal College van Beroep.

Il 2 novembre 1976 la Ferwerda poneva ancora sotto vincolo doganale 820 chilogrammi di carne di vitello congelata, che veniva estratta dal deposito lo stesso giorno. Essa dichiarava, sia nel «modulo d'esportazione» presentato all'atto dell'immissione della carne nel deposito sia nell'«esemplare di controllo» presentato al momento dell'estrazione, che la merce era destinata alla «MN Rotterdam, Isole Bermude» («MS Rotterdam, Bermude-ei-landen»). In base al «modulo d'esportazione», il convenuto notificava alla Ferwerda, il 23 novembre 1976, che le spettava una restituzione pari a 1540,62 fiorini, maggiorata dell'importo compensativo monetario. Anche questa somma veniva versata all'interessata in una data che il College van Beroep non specifica.

È pacifico che la Ferwerda non aveva diritto alle somme versatele dal convenuto. Infatti, innanzitutto al tempo dei fatti di causa le restituzioni all'esportazione di vitello congelato erano state fissate solo per talune destinazioni, e quindi non potevano essere chieste in forza dell'art. 3 del regolamento n. 441/69; in secondo luogo, dette restituzioni non potevano essere versate per consegne di vitello congelato a navi trovantisi nelle acque delle Bermude.

Taluni documenti prodotti in giudizio lasciano pensare che la Ferwerda possa essere stata indotta a chiedere indebitamente le restituzioni da una circolare emanata il 15 ottobre 1976 dal convenuto con l'intento di spiegare agli esportatori di carne in quali casi le restituzioni potevano essere concesse. Queste, secondo la circolare, spettavano in relazione alle «consegne per l'approvvigionamento di imbarcazioni destinate alla navigazione marittima» («leveranties voor de bevoorrading van zeeschepen»); non era però specificato che doveva trattarsi di navi trovantisi nelle acque comunitarie. Mi sembra ovvio, tuttavia, che quella circolare non poteva aver indotto la Ferwerda a chiedere le restituzioni nel marzo 1976, cioè sette mesi prima della sua emanazione. Né, anche ammesso che lo stesso documento possa avere incitato la Ferwerda a presentare la seconda domanda di restituzioni nel novembre 1976, vedo quale importanza ciò potrebbe avere. Come il convenuto ha, in pratica, ammesso in corso di causa, il riferimento, nel modulo d'esportazione 16 marzo 1976, a «varie navi» avrebbe dovuto quanto meno indurlo ad assumere ulteriori informazioni in proposito, mentre l'espressa menzione, nel modulo 2 novembre 1976, della «MN Rotterdam, Isole Bermude» avrebbe dovuto, di per sé, portare all'immediato rigetto della domanda.

Non è necessario spendere molte parole per completare il resoconto dei fatti.

In relazione alle cauzioni da depositare a norma degli artt. 3 del regolamento n. 441/69 e 6, n. 1, del regolamento n. 1957/69, la Ferwerda, a quanto risulta, aveva un conto corrente con il convenuto. Il 5 aprile 1976 veniva addebitata su questo conto una somma pari al 120 % di 12410,66 fiorini e il 12 novembre 1976 una somma pari al 120 % di 1540,62 fiorini.

II 16 dicembre 1977 il convenuto scriveva alla ricorrente rilevando che le somme di 12410,66 e 1540,62 fiorini non avrebbero mai dovuto esserle versate e che pertanto andavano restituite. Esso aggiungeva che non appena la Ferwerda avesse effettuato tale rimborso, le sarebbero state accreditate le somme depositate a titolo di cauzione. La Ferwerda aderiva alla richiesta e l'accredito veniva effettuato il 27 dicembre 1977. Il 13 gennaio 1978, tuttavia, la Ferwerda impugnava dinanzi al College van Beroep la «decisione» del convenuto contenuta nella lettera 16 dicembre 1977.

Il 15 dicembre 1978 il College van Beroep emetteva l'ordinanza di rinvio con la quale ha sottoposto alla Corte di giustizia tre questioni.

La prima è così formulata:

«Se la corretta interpretazione dell'art. 6, n. 5, del regolamento (CEE) n. 1957/69 implichi che non è lecito invocare il principio della certezza del diritto, sancito da una legge nazionale o applicato in conformità ad una legge nazionale, per opporsi all'ingiunzione del rimborso di restituzioni.»

Per giustificare tale questione, il College van Beroep cita l'art. 9, n. 1, della «Inen Uitvoerwet» (legge olandese sulle importazioni e sulle esportazioni), a norma del quale la concessione della restituzione può essere revocata solo qualora le informazioni fornite per ottenerla risultino talmente inesatte o incomplete che la domanda di restituzione avrebbe avuto un esito diverso se la situazione fosse stata esattamente ed interamente nota al momento del suo esame. Il giudice di rinvio si richiama inoltre alla «Memorie van Toelichting» (relazione) che accompagnava il progetto della legge suddetta e nel quale si dichiarava che la limitazione del potere di revocare, fra l'altro, la concessione di restituzioni era contemplata dalla stessa legge «nell'interesse della certezza del diritto» («in het belang der rechtszekerheid»). Il College van Beroep osserva che, secondo il suo giudizio provvisorio, il provvedimento impugnato, soprattutto nella parte in cui ingiunge il rimborso della restituzione concessa dal convenuto con nota 23 novembre 1976, è incompatibile anche «con il principio di buona amministrazione, radicato nella coscienza giuridica generale, il quale esige che non venga violata la certezza del diritto». Secondo il College van Beroep, occorre pertanto stabilire se sia lecito richiamarsi alle disposizioni e ai principi suddetti del diritto olandese per opporsi ad un'ingiunzione di rimborso ai sensi dell'art. 6, n. 5, del regolamento n. 1957/69.

La seconda questione del giudice di rinvio è intesa ad accertare se, in via alternativa, l'opposizione ad una siffatta ingiunzione possa trovare fondamento in un principio della certezza del diritto tratto dal diritto comunitario. La questione è redatta nei termini seguenti:

«Se dalla corretta interpretazione dell'art. 6, n. 5, del regolamento n. 1957/69 risulti che la validità di un provvedimento col quale si ingiunge il rimborso di restituzioni non può essere valutata alla stregua di un principio della certezza del diritto tratto dal diritto comunitario.»

Infine, la terza questione del College è la seguente:

«Qualora la prima e la seconda questione debbano essere risolte nel senso che nel caso ivi prospettato non è lecito invocare un principio giuridico nazionale o comunitario della certezza del diritto, se l'art. 6, n. 5, del regolamento (CEE) n. 1957/69 osti del pari a che l'esportatore esperisca, contro l'Amministrazione che ha ingiunto il rimborso della restituzione, un'azione di risarcimento fondata sugli stessi fatti e sulle stesse circostanze che avrebbero giustificato il richiamo al principio della certezza del diritto se ciò non fosse escluso dal suddetto art. 6, n. 5.»

In corso di causa la Commissione ha sostenuto in primo luogo che l'art. 6, n. 5, non può affatto essere applicato nel caso di specie. Condivido questo punto di vista. Mi sembra infatti evidente che, come sottolinea la Commissione, l'art. 6, n. 5, non concerne l'ipotesi in cui l'ente nazionale incaricato di applicare il diritto comunitario abbia commesso un errore. Detta disposizione è fondata sul presupposto che la restituzione sia stata debitamente versata all'operatore commerciale interessato al momento in cui la merce è stata posta sotto controllo doganale, ed è intesa a disciplinare il caso in cui la merce non sia stata successivamente esportata entro i termini menzionati all'art. 6, n. 1. Nella fattispecie — come fa osservare la Commissione — la Ferwerda si è fedelmente attenuta a quanto prescritto dall'art. 6, n. 1, in quanto ha fornito, entro i termini suddetti, la prova che la merce ha lasciato, nello stato in cui si trovava, il territorio geografico della Comunità. L'irregolarità, nel caso in esame, consiste non già in una qualsiasi trasgressione, da parte della Ferwerda, all'art. 6, n. 1, ma nel fatto che a quest'impresa vennero pagate, quando la sua merce venne immessa nel deposito doganale, somme che non le spettavano.

Pertanto, il problema sollevato dal caso di specie è, in realtà, leggermente diverso da come lo vede il College van Beroep. Si tratta infatti di stabilire se, qualora un ente nazionale abbia pagato per errore una restituzione ad un commerciante, la questione se tale somma possa essere ripetuta a quest'ultimo vada risolta in base al diritto comunitario oppure alla stregua del diritto nazionale. Non si tratta di un problema nuovo: si pensi, per menzionare solo alcune tra le più recenti, alle cause 26/74, Roquette c/ Commissione (Race. 1976, Voi. I, pag. 677), 33/76, Rewe e/ Landwirtschafiskammer Saarland (Race. 1976, Voi. II, pag. 1989), 45/76, Comet c/ Produktschap voor Siergewassen (ibidem pag. 2043), 118/76, Balkan-Im-port-Export c/ HZA Berlin-Packhof (Race. 1977, Vol. I, pag. 1177) e 177/78, Pigs and Bacon Commission c/ Me Garren & Co. Ltd. (sentenza 26 giugno 1979, ancora inedita), nelle quali la Corte ha dovuto esaminare questioni concernenti le sfere d'applicazione del diritto comunitario e del diritto nazionale. Dalle sentenze pronunziate nell'ambito di tali cause emerge con chiarezza il principio secondo cui, qualora il diritto comunitario non prescriva i rimedi giudiziari da applicare in una determinata situazione, occorre avvalersi dei rimedi contemplati dal diritto nazionale.

Pertanto, dato che l'art. 6, n. 5, del regolamento n. 1957/69 non può trovare applicazione, occorre accertare se vi sia una qualsiasi norma di diritto comunitario che disciplini la situazione in esame. Mi sembra chiaro che non ve n'è.

Il convenuto nella causa principale e la Commissione hanno fatto riferimento all'art. 8 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 729/70, «relativo al finanziamento della politica agricola comune». Quest'articolo recita:

«1.

Gli Stati membri adottano, in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per:

accertare se le operazioni del Fondo [cioè il FEAOG] siano reali e regolari,

prevenire e perseguire le irregolarità,

recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze.

Gli Stati membri informano la Commissione delle misure adottate a tal fine e in particolare dello stato delle procedure amministrative e giudiziarie.

2.

In mancanza di recupero totale, le conseguenze finanziarie delle irregolarità o negligenze sono sopportate dalla Comunità, salvo quelle risultanti da irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri.

...».

Tuttavia, come ha sottolineato la Commissione, tale disposizione concerne in sostanza i rapporti giuridici tra la Comunità e gli Stati membri. L'espressione «in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali» vale in pratica ad escludere che i suoi autori intendessero disciplinare i rapporti tra gli Stati membri ed i privati.

La Corte ha recentemente avuto occasione di pronunziarsi sull'interpretazione dell'art. 8 nelle sentenze 7 febbraio 1979 (cause 11/76, Paesi Bassi e/ Commissione, e 18/76, Germania e/ Commissione, ancora inedite). I problemi sollevati nell'ambito di entrambe le cause riguardavano, naturalmente, i rapporti giuridici tra la Comunità e gli Stati membri. Tuttavia, due considerazioni svolte dalla Corte nelle suddette sentenze mi sembrano pertinenti al caso presente.

In primo luogo, la Corte ha ammesso, in entrambe le sentenze, che né in forza del diritto comunitario né secondo la maggior parte dei sistemi giuridici nazionali è, di regola, possibile recuperare da una persona somme indebitamente versatele dalle autorità nazionali a seguito di un errore da esse comesso, anche in buona fede, nell'applicare il diritto comunitario (cfr. punto 12 della motivazione della sentenza in causa 11/76 e punto 6 della motivazione della sentenza in causa 18/76). Ciò, a mio avviso, esclude la possibilità di interpretare l'art. 8 nel senso ch'esso enuncia un principio generale di diritto comunitario secondo cui dette somme vanno restituite in ogni caso.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato — del pari in entrambe le sentenze — che in casi del genere l'art. 8 è del tutto inapplicabile e che qualsiasi perdita deve restare a carico dello Stato membro le cui autorità hanno commesso l'errore. Se questo è esatto — e non può essere altrimenti — mi sembra logico che dovrebbe toccare a ciascuno Stato membro determinare, in base alle proprie leggi, se e in quale misura esso debba sopportare la perdita.

Si potrebbe obiettare che, in tal caso, le conseguenze dell'applicazione del diritto comunitario sarebbero diverse da uno Stato membro all'altro. La risposta a tale obiezione è, a mio parere, duplice: innanzitutto questa Corte non può creare il diritto comunitario là dove questo è lacunoso; questo compito dev'essere lasciato agli organi legislativi della Comunità; in secondo luogo, ci stiamo qui occupando delle conseguenze di errori amministrativi, cioè di una situazione che dovrebbe essere anormale. Siffatti errori dovrebbero essere rari e non dovrebbero incidere sensibilmente sulle condizioni nelle quali si svolge la concorrenza tra gli operatori commerciali dei vari Stati membri.

Per amore di completezza aggiungerò che ho preso in considerazione anche il regolamento (CEE) del Consiglio n. 283/72, «relativo alle irregolarità ed al recupero delle somme indebitamente pagate nell'ambito del finanziamento della politica agricola comune nonché all'instaurazione di un sistema di informazione in questo settore». Non mi sembra, però, che esso contenga elementi rilevanti ai fini della soluzione del problema.

Pertanto, l'unica conclusione possibile, secondo me, è che non esiste alcuna norma comunitaria che concerna la materia in esame e che questa è disciplinata in ciascuno Stato membro dal diritto nazionale. Nei Paesi Bassi, si dovrebbe quindi applicare l'art. 9, n. 1, della In- en Uitvoerwet.

In definitiva, la prima questione sottopostavi dal College van Beroep va, a mio avviso, risolta nel senso che, qualora un'autorità amministrativa o un altro ente di uno Stato membro, applicando erroneamente l'art. 3 del regolamento (CEE) n. 441/69, abbiano versato una restituzione all'esportazione, è in base alla legge di tale Stato che si deve stabilire se la somma versata possa essere ripetuta dall'accipiens.

Risulta così superfluo risolvere la seconda e la terza questione.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.