CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

FRANCESCO CAPOTORTI

DEL 13 SETTEMBRE 1979

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. 

La nostra Corte è chiamata a giudicare, ancora una volta, su di un caso che riguarda le condizioni di ammissione ad un concorso generale per esami. Il ricorrente, signor Szemerey, funzionano della Commissione, di nazionalità britannica, avendo fatto domanda di partecipazione al concorso COM/A/154 bandito nel settembre 1977 per la costituzione di una riserva di amministratori nella categoria A, gradi 7 e 6 (GU CE C 213 del 7 settembre 1977), non venne ammesso alle prove scritte, in quanto la commissione giudicatrice ritenne che i suoi titoli («qualifications») fossero inadeguati, cioè non rispondenti ai requisiti richiesti. Il candidato escluso propose allora reclamo contro tale decisione ai sensi dell'articolo 90 dello Statuto dei funzionari; ma la Commissione, con lettera del 17 aprile 1978, respinse il reclamo, affermando la piena conformità della decisione impugnata alle norme statutarie.

Di fronte a questo atteggiamento negativo dell'istituzione, l'interessato ha introdotto un ricorso giurisdizionale, con atto depositato in cancelleria il 24 agosto 1978, sostenendo che il bando di concorso fosse in contrasto con gli articoli 5, paragrafo 1, comma secondo, e 27 dello Statuto, e che la decisione di non ammissione, oltre ad essere viziata per difetto di motivazione, avesse anche violato una delle clausole del bando. Il signor Szemerey ha pertanto chiesto in via principale l'annullamento del bando, limitatamente alle disposizioni citate, in via subordinata l'annullamento della decisione di non ammetterlo alle prove e, in conseguenza di ciò, dell'intera procedura di concorso. Il ricorrente ha chiesto altresì alla Corte di riconoscere che egli possiede i requisiti necessari e sufficienti per essere ammesso a concorrere.

2. 

Esaminerò prima di tutto i motivi riguardanti la pretesa illegittimità del bando di concorso. Il ricorrente si duole che siano state prescritte cumulativamente la condizione del possesso di un titolo di studio di livello universitario e quella di un'esperienza professionale di almeno un anno, nel settore scelto dal candidato. A suo avviso la previsione congiunta dei due requisiti sarebbe contraria al disposto dell'articolo 5, paragrafo 1, comma secondo, dello Statuto, che contempla alternativamente le «cognizioni di livello universitario» e l'«esperienza professionale di livello equivalente» come requisiti necessari per l'accesso alle carriere di categoria A.

Secondo l'interessato, questa tesi troverebbe conferma nell'articolo 29, paragrafo 2, dello Statuto, che per i posti più elevati, cioè per i gradi A 1 ed A 2, ammette l'assunzione di funzionari senza la procedura del concorso e quindi a prescindere dal fatto che le persone da assumere posseggano o meno i requisiti richiesti per i concorsi. Se dunque lo Statuto consente di coprire i posti di più alta responsabilità con candidati privi di diploma universitario, dovrebbe ritenersi, secondo l'opinione del ricorrente, che a maggior ragione per i posti, la cui copertura si effettua attraverso concorso, valga il criterio della sufficienza dell'esperienza professionale, interpretando in tal senso il citato articolo 5, paragrafo 1, comma secondo, dello Statuto.

A mio avviso, questa doglianza non ha fondamento. Ho già avuto occasione di osservare in un caso analogo (conclusioni nella causa 117/78, Orlando c/ Commissione) che deve essere, in linea di massima, considerato legittimo un bando il quale — come nella specie — ponga per la partecipazione alle prove di concorso condizioni di ammissione più gravose o restrittive rispetto a quelle previste, in generale, dallo Statuto dei funzionari. Tale opinione poggia su due considerazioni. In primo luogo mi sembra significativo che l'articolo 5 non si riferisca direttamente al tema dei requisiti di ammissione ai concorsi, ma soltanto alla classificazione degli impieghi in quattro categorie ed ai criteri sui quali tale classificazione si fonda. Ritengo quindi azzardato desumere dalla formulazione del paragrafo 1, secondo comma, della norma in questione, e precisamente dal fatto che esso collega i due requisiti con la particella disgiuntiva «o», delle rigide implicazioni in materia di assunzione del personale, materia che si trova disciplinata in altra sede e precisamente negli articoli 27 e seguenti dello Statuto. Inoltre, non va dimenticato che il principio da cui l'amministrazione deve essere guidata nella scelta del personale è quello dell'interesse del servizio; per assicurare il quale un'istituzione ben può, nel bandire un concorso, stabilire delle condizioni di ammissione più severe di quelle, minime, indicate nello Statuto. Nel caso di cui ci stiamo occupando, la Commissione si è attenuta proprio a quest'ultimo criterio quando ha predisposto il bando, e alla stessa linea si è correttamente attenuta la commissione giudicatrice nell'in-terpretare il bando e nel darvi attuazione.

Né mi sembra che il riferimento all'articolo 29 dello Statuto modifichi i termini del problema. Questa disposizione, infatti, si limita a stabilire che, per coprire gli impieghi più elevati ed eccezionalmente anche quelli che richiedono una «speciale competenza», l'amministrazione può adottare una procedura diversa da quella del concorso. Ma una simile possibilità assai ristretta, che trova riscontro negli ordinamenti degli Stati membri, non ha niente a che vedere con lo standard minimo di conoscenze e di esperienza che venga richiesto per la partecipazione ai concorsi, ai fini della copertura, nelle forme ordinarie, della grandissima maggioranza dei posti disponibili.

3. 

Un'altra doglianza trae spunto dall'articolo 27 dello Statuto. Questa disposizione, al comma primo, stabilisce che il reclutamento del personale deve essere effettuato in modo da «assicurare all'istituzione la collaborazione di funzionari dotati delle più alte qualità di competenza, rendimento e integrità, assunti secondo una base geografica quanto più ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri delle Comunità».

Secondo la tesi del ricorrente, la Commissione, col prescrivere per l'ammissione al concorso di cui trattasi, oltre ad una specifica esperienza professionale, anche il possesso di un titolo universitario, avrebbe automaticamente rinunciato ad acquisire la collaborazione di elementi di primo piano forniti di larga esperienza professionale, quanto meno equivalente alle cognizioni di livello universitario; in tal modo essa avrebbe operato in contrasto con i principi informatori del regime delle assunzioni, fissati dall'articolo 27.

Un simile argomento non può essere condiviso. Ammettiamo pure che in qualche caso dei candidati privi di titolo universitario ma forniti di buona esperienza professionale siano più validi di altri concorrenti aventi entrambi questi requisiti; ciò non toglie che, in generale, il possesso di entrambi i requisiti garantisce un più elevato grado di competenza, e che, nel predisporre un bando di concorso, le istituzioni debbano tener conto dell'ipotesi normale e non di eventuali eccezioni. Non ritengo pertanto che il bando, prevedendo congiuntamente le due condizioni del titolo universitario e della esperienza professionale, abbia violato l'articolo 27 dello Statuto.

Il ricorrente invoca poi l'articolo 27 anche sotto un altro profilo. Egli osserva che nel Regno Unito l'accesso alle professioni richiede essenzialmente il possesso di cognizioni acquisite attraverso l'esperienza, come è dimostrato dalla circostanza che per l'iscrizione a certi ordini professionali si esige che il candidato abbia svolto la pratica professionale per un certo tempo e non già che possieda un determinato titolo di studio. Il fatto che, viceversa, ai fini dell'ammissione a taluni concorsi per le funzioni comunitarie si richieda un titolo di studio oltre che una esperienza professionale porrebbe — secondo l'opinione del ricorrente — i candidati provenienti dal Regno Unito in una condizione di sfavore. Ciò contrasterebbe nuovamente con l'articolo 27 dello Statuto, che impone di effettuare le assunzioni «secondo una base geografica quanto più ampia possibile, tra i cittadini degli Stati membri», e contrasterebbe, in una prospettiva più larga, con lo stesso principio di egualianza, in quanto darebbe luogo ad una discriminazione da parte delle istituzioni, nelle operazioni di reclutamento, a danno dei cittadini del Regno Unito.

Nemmeno queste argomentazioni mi sembrano convincenti. Esigere determinati requisiti per l'ammissione dei candidati alle prove di concorso costituisce una tipica manifestazione del potere discrezionale dell'amministrazione. La conformità o meno ai criteri adottati in un determinato Stato membro mi sembra irrilevante.

È precluso al giudice comunitario di assumere come metri di valutazione i criteri di organizzazione delle professioni accolti negli Stati membri, né d'altra parte è suo compito sindacare, sotto il profilo dell'opportunità, i metodi di assunzione del personale praticati dalle istituzioni.

Escludo, poi, che nel caso in esame possa seriamente ipotizzarsi una violazione del principio di egualianza. L'importante, a questo proposito, è che le condizioni di ammissione ai concorsi siano le stesse per i cittadini di tutti gli Stati membri, e che questo equilibrio non venga modificato dalla preoccupazione di imitare il regime di accesso alle professioni e alle funzioni pubbliche proprio di uno o più Stati membri.

4. 

Passo alle censure che toccano direttamente il provvedimento con cui la commissione giudicatrice escluse il ricorrente dalla partecipazione alle prove d'esame. Il signor Szemerey sostiene che tale provvedimento è privo di una motivazione sufficientemente chiara, e quindi viola l'articolo 25, paragrafo 2, dello Statuto, il quale prescrive che tutte le decisioni individuali prese a carico dei funzionari debbano essere motivate.

La decisione di non ammissione alle prove di concorso fu resa nota all'interessato mediante una lettera-formulario, che conteneva una lista di quattro motivi e recava un asterisco nella casella posta a fianco del motivo numero 2 («your qualifications were not considered adequate», corrispondente alla formula italiana «i vostri titoli o diplomi non sono stati giudicati conformi ai requisiti richiesti»). Una tale motivazione, per la sua genericità, non consentiva — secondo l'opinione del ricorrente — di comprendere che la difformità dei titoli dai requisiti del bando doveva riscontrarsi nel fatto che il ricorrente non possedeva diplomi universitari; ciò pregiudicava le possibilità di difesa dell'interessato tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale.

L'orientamento della nostra Corte sulla questione, espresso da ultimo nelle sentenze 30 novembre 1978 (cause riunite 4, 19 e 28/78, Salerno, Authié e Massangioli) e 5 aprile 1979 (causa 112/78, Kobor c/Commissione), è nel senso che quando una condizione di ammissione rappresenta in realtà la somma di più requisiti, non basta che il provvedimento di non ammissione alle prove faccia rinvio alla condizione nel suo insieme, per indicare quale precisamente dei requisiti richiesti sia stato nel caso singolo ritenuto mancante (cfr. punto 15 della motivazione della sentenza Kobor). Da questa premessa discende a contrario la conseguenza che, qualora la condizione d'ammisione si identifichi in una circostanza unica e ben individuabile, la motivazione del provvedimento di non ammissione che sia costruita mediante semplice rinvio alla condizione stessa, senza precisazioni ulteriori, deve considerarsi sufficiente e quindi conforme alla prescrizione dell'articolo 25, paragrafo 2, dello Statuto. Invero, in casi del genere, l'interessato è posto in grado di intendere chiaramente quale sia stata la carenza rilevata dalla commissione giudicatrice, e ha quindi modo di esperire, se crede, gli opportuni mezzi di difesa.

Nel caso di specie è proprio quest'ultima situazione che si è verificata. Che il ricorrente non possieda un titolo universitario è un dato di fatto incontroverso; esso emerge, oltre che dal curriculum vitae del candidato, dalla stessa domanda di partecipazione al concorso, che, al punto 12 («Diplomas or degrees obtained and class of degree») non recava, significativamente, alcuna indicazione (v. documento n. 4 allegato al ricorso).

Altrettanto indiscutibile è il fato che il bando di concorso esigeva, in relazione alla rubrica «certificates, diplomas, etc.», un titolo universitario («University education, with degree or diploma») in un campo corrispondente al settore di attività scelto (nella specie l'informazione). Il requisito dell'esperienza professionale («practical experience») era indicato in un capoverso distinto. Nel modulo inviato al candidato per informarlo della non ammissione alle prove, l'esperienza professionale figurava ugualmente sotto un numero, e accanto ad una casella, diversi da quelli relativi ai titoli («qualifications»).

Il rischio di incertezze, di fronte alla frase messa in evidenza nell'anzidetto modulo, era dunque da escludere nel caso di specie: la lacuna individuata dalla commissione giudicatrice non poteva consistere se non nella mancanza del diploma (o altro titolo) universitario che costituiva il primo dei due requisiti particolari richiesti dal bando per l'ammissione alle prove e l'unico definibile con il termine «qualifications». L'incertezza, in via d'ipotesi, avrebbe potuto insorgere se il concorrente avesse posseduto un titolo universitario, ma questo fosse stato ritenuto non inerente al settore prescelto ovvero non qualificabile come un «degree» o «diploma», pur tenendosi conto delle particolari strutture d'insegnamento esistenti nel Regno Unito. Ma il nostro caso non presentava questi profili particolari: la mancanza, incontestata, di ogni titolo universitario non poteva dar luogo a fraintendimenti.

Queste considerazioni inducono a ritenere che la motivazione del provvedimento di esclusione dalle prove d'esame era chiara ed adeguata, e quindi conforme alle prescrizioni dell'articolo 25 dello Statuto. Pertanto anche questo motivo del ricorso va riconosciuto privo di fondamento.

5. 

Con l'ultimo motivo il ricorrente si duole del fatto che la commissione giudicatrice non abbia preso in considerazione, nel valutare i suoi titoli, la struttura dell'insegnamento esistente nel Regno Unito, suo paese di appartenenza.

Il bando di concorso, nella parte III (Condizioni per l'ammissione al concorso), lettera B (Condizioni particolari), punto 2 (Titoli di studio ed esperienza professionale), stabiliva che «la commisione esaminatrice terrà conto delle varie strutture d'insegnamento esistenti negli Stati membri». Non mi sembra tuttavia che nel nostro caso la commissione esaminatrice si sia resa colpevole della omissione che le viene addebitata. Infatti, l'obbligo di tener conto delle strutture d'insegnamento proprie dei diversi Stati membri, messo in relazione con l'esigenza di una «University education», presuppone, chiaramente, l'esistenza di un titolo di studio universitario del quale si debba eventualmente valutare se sia equipollente oppure no ad un «diploma» o «degree».

Ora, il connotato essenziale del caso di specie sta, come si è visto, nel fatto che il ricorrente è privo di qualsiasi titolo di studio universitario o che possa in qualsiasi modo reputarsi equivalente a un titolo universitario. Nel curriculum vitae da lui esibito si legge che «iniziò a studiare diritto nell'Università di Londra (Holborn College) nel 1958 ma abbandonò per dedicarsi al giornalismo». Segue poi l'indicazione della frequenza di classi serali (in stenografia, dattilografia, filosofia, economia, pubbliche relazioni, economia dei trasporti) e di un corso di formazione indetto dalla Commissione delle Comunità europee in collaborazione con l'Università di Lovanio. Ciò posto, non si comprende su quale base e secondo quale prospettiva la commissione esaminatrice avrebbe dovuto tener conto delle strutture dell'insegnamento esistenti nel Regno Unito, nell'esaminare i titoli vantati dal ricorrente.

6. 

Per tutte le considerazioni fin qui svolte, ritengo che il ricorso debba essere respinto: è risultato infatti che sia il bando del concorso COM/A/154, sia la decisione di non ammissione presa dalla commissione giudicatrice nei confronti del signor Szemerey sono esenti dai vizi di legittimità dedotti dal ricorrente. Data la natura della controversia, ciascuna delle parti sopporterà l'onere delle proprie spese.