CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DEL 14 MARZO 1978 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

I —

Dobbiamo oggi trattare di un'azione di danni esperita, in base agli artt. 178 e 215, 2o comma, del Trattato CEE, da una società in accomandita per azioni tedesca contro la Commissione, in quanto, per effetto del regolamento del Consiglio14 febbraio 1977, n. 425, pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee il 5 marzo successivo, l'esecuzione di un contratto stipulato dalla suddetta società con l'impresa di Stato rumena «Prodexport» sarebbe divenuta «eccessivamente onerosa».

Il contratto, concluso il 15 febbraio 1977, riguardava la fornitura di 450 tonnellate non già di «preparazioni di carne bovina condita», come nella causa 68/77, IFG, nella quale vi siete pronunciati con sentenza 14 febbraio 1978, bensì di «arrosto di manzo marinato» pronto per la cottura e cioè, più semplicemente, di carne bovina non cotta, presentata in imballaggi chiusi ermeticamente e di peso non superiore ad un chilogrammo. Le consegne da parte dell'impresa rumena dovevano essere scaglionate dall'aprile al dicembre 1977, in ragione di circa 50 tonnellate mensili.

La ricorrente aveva chiesto e ottenuto, nel marzo 1975, dai competenti organi tedeschi, un parere ufficiale di classifica doganale secondo cui la merce in questione rientrava, all'epoca considerata, nella sottovoce 16.02 B III b) 1 della tariffa doganale comune, ed era gravata, all'importazione nella Comunità, da un dazio, sia autonomo, sia convenzionale, del 26 % ad valorem, pari ad 1,30 DM il kg. Una prima partita di circa 10 tonnellate di questa carne, inviata al fine di «sondare» il mercato e non compresa nelle 450 tonnellate convenute nel contratto, veniva senza difficoltà messa in libera pratica nella Repubblica federale di Germania il 25 marzo 1977; ai sensi dell'art. 1 del regolamento della Commissione 21 dicembre 1976, n. 3117, che modifica e abroga i regimi di abbinamento istituiti dai regolamenti nn. 76/76 e 223/76 nell'ambito delle misure di salvaguardia per il settore delle carni bovine, la partita di cui sopra non aveva costituito oggetto di una licenza d'importazione; l'obbligo di chiedere il rilascio di una siffatta licenza veniva ripristinato solo a decorrere dal 1o aprile 1977 (art. 15 del regolamento del Consiglio n. 425/77).

Il regolamento n. 425/77 ha apportato sostanziali modifiche al regime degli scambi coi paesi terzi quale risultava dal regolamento 27 giugno 1968, n. 805, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine. Esso stabilisce fra l'altro (art. 12) l'aumento del prelievo oltre il limite della differenza tra il prezzo di orientamento e il prezzo di offerta franco frontiera della Comunità, maggiorato dell'incidenza del dazio doganale; il prelievo supera il 100 % allorché il prezzo di mercato nella Comunità è situato ad un livello inferiore al 98 % del suddetto prezzo di orientamento, che costituisce, in un certo senso, il prezzo d'entrata delle merci nel settore delle carni bovine.

Queste modifiche normative venivano a turbare l'equilibrio del contratto stipulato dalla ricorrente. Allo scopo di «definire meglio» i prodotti che possono essere importati in esenzione dai prelievi, il regolamento n. 425/77 scindeva infatti in due parti la sottovoce 16.02 B III b) 1, contemplando:

da un lato, la sottovoce 16.02 B III b) 1 aa), che comprende le «altre preparazioni e conserve di carni o di frattaglie, contenenti carne o frattaglie della specie bovina, non cotte», prodotti soggetti al dazio doganale autonomo del 20 % e, a talune condizioni, ad un prelievo (non era previsto alcun onere convenzionale);

dall'altro, la sottovoce 16.02 B III b) 1 bb), che comprende le «altre preparazioni e conserve di carni o di frattaglie, contenenti carne o frattaglie della specie bovina, non nominate»; i prodotti compresi in questa sottovoce venivano assoggettati ad un dazio doganale, autonomo o convenzionale, del 26 %.

La prima di queste due sottovoci veniva più ampiamente definita mediante la nota complementare di cui all'art. 14, n. 2, del regolamento della Commissione 18 marzo 1977, n. 586.

Di conseguenza, a partire dal 1o aprile 1977, data la nuova formulazione della tariffa doganale comune, la «carne bovina» di cui trattasi nella fattispecie diveniva passibile, oltre che del dazio doganale del 20 %, di un prelievo da riscuotere alle condizioni stabilite nel regolamento della Commissione n. 586/77. Tale prelievo ammontava, nel caso di specie, a 7,10 DM il kg, importo addirittura superiore al prezzo d'acquisto e quindi proibitivo. La ricorrente sostiene di aver avuto conoscenza di tale innovazione (nonostante il fatto che il regolamento del Consiglio e quello della Commissione siano stati pubblicati fin dal 5 e, rispettivamente, dal 17 marzo 1977) soltanto in data 4 aprile 1977, dopo esser stata informata dalle autorità tedesche che il parere ufficiale di classificazione tariffaria emesso nel 1975 non era più valido. Essa interrompeva perciò immediatamente l'importazione della carne bovina in questione; ora, la controparte pretende da lei una somma di 495000 DM per inadempimento del contratto.

In una prima lettera inviata alla Commissione il 12 aprile 1977, la ricorrente chiedeva all'istituzione di adottare speciali provvedimenti onde consentirle di onorare i suoi impegni contrattuali a condizioni accettabili. Il 22 aprile, essa tornava alla carica chiedendo che venissero adottati, in base all'art. 7 del regolamento n. 425/77, misure transitorie che le permettessero d'importare in franchigia da prelievo, fino al 31 dicembre 1977, i quantitativi di merce convenuti con l'impresa rumena.

Il 3 giugno 1977, un capo divisione della direzione generale «Agricoltura» le rispondeva negativamente. La ricorrente chiede alla Corte, in via principale, di dichiarare che la Commissione ha l'obbligo di garantire l'esecuzione del contratto stipulato il 15 febbraio 1977 (risarcimento in forma specifica); nella replica, introducendo una lieve variante, essa vi chiede in via principale di dichiarare che la Commissione è tenuta ad autorizzare l'importazione, in franchigia da prelievo, del quantitativo di carne convenuto nel contratto 15 febbraio 1977, ingiungendo, mediante decisione, alla Repubblica federale di Germania di ammettere nel proprio territorio il quantitativo di cui trattasi, in franchigia da prelievo. In subordine, essa chiede che la Commissione venga condannata a risarcirle il danno derivante dal mancato adempimento del contratto, ch'essa valuta in 787500 DM, cui andrebbero aggiunti gli interessi al tasso dell'8 % a decorrere dalla data in cui si è verificato il danno.

II —

La Commissione eccepisce, in primo luogo, che il capo della domanda formulato in via principale è irricevibile: essa sostiene di essere tenuta ad applicare la disciplina esistente ed afferma che il ricorso per danni non può essere usato al fine di ottenere l'emanazione di un atto normativo che deroghi a tale disciplina. Questo scopo potrebbe essere eventualmente perseguito in forza dell'art. 175 del Trattato, il quale non viene fatto valere nella fattispecie.

Pur condividendo, personalmente, le considerazioni svolte dall'avvocato generale Capotorti nelle sue conclusioni relative alla causa IFG e pur ritenendo irricevibile, in entrambe le varianti, il capo della domanda formulato in via principale dalla ricorrente, mi propongo, inchinandomi all'autorità della sentenza 14 febbraio 1978 da voi emessa nella suddetta causa, di esaminare il merito prima di esprimere eventualmente il mio parere sulla ricevibilità del capo principale della domanda. Tanto questo capo, infatti, quanto quello formulato in subordine (contro il quale la Commissione non solleva alcuna eccezione d'irricevibilità) hanno lo stesso fondamento in quanto implicano il sorgere della responsabilità della Comunità per atto o comportamento illecito delle istituzioni comunitarie.

Fin dall'inizio, comunque, l'azione mi sembra piuttosto mal impostata in quanto è la Commissione che viene citata in veste di convenuta in un procedimento per risarcimento del danno assertivamente causato, in realtà, da un atto del Consiglio. La ricorrente, che aveva diretto la sua domanda unicamente contro la Commissione, ha tentato, nella replica, di chiamare in causa il Consiglio; con ordinanza 10 novembre 1977, voi avete però rifiutato di accedere alla sua richiesta. Non ritengo comunque possibile che la Comunità venga condannata a riparare il danno eventualmente causato, in sostanza, dal Consiglio, nell'esercizio dei suoi poteri, mentre soltanto la Commissione si vede citata nel procedimento intentato a tale scopo.

III —

1.

Esaminerò anzitutto non già la questione del se il regolamento del Consiglio n. 425/77 sia illegittimo, censura che non è stata formulata dalla parte interessata e sulla quale non è possibile prendere posizione in assenza dell'autore di tale atto, ma quella del se, omettendo di valersi dell'art. 7 del regolamento n. 425/77, la Commissione abbia procurato alla ricorrente un danno tale da far sorgere la propria responsabilità extracontrattuale.

Detto articolo dispone che:

«Qualora siano necessarie misure transitorie per agevolare l'applicazione del presente regolamento, in particolare nel caso in cui questa applicazione alla data prevista incontrasse per taluni prodotti notevoli difficoltà, dette misure vengono adottate secondo la procedura prevista dall'art. 27. Esse sono applicabili fino al 31 dicembre 1977».

L'art. 27 è quello del regolamento di base n. 805/68, che riguarda il ben noto procedimento «dei comitati di gestione».

Su questo primo punto, mi sia concesso riferirmi a quanto ho già detto nelle mie conclusioni nella causa Bainne, a proposito di tale procedimento, e nelle cause Debayser e altri, a proposito del «regolamento d'equità», per affermare che il presente ricorso non fornisce la base opportuna per accertare se la Commissione avesse l'obbligo di esercitare i poteri attribuitile dall'art. 7 e che, in ogni caso, non è possibile far valere su questo terreno la responsabilità extracontrattuale della Commissione: questa non ha agito in modo illecito rifiutandosi di applicare l'art. 7 nel senso auspicato dalla ricorrente.

Quest'ultima non giunge fino a sostenere che, se non desse luogo ad una competenza vincolata della Commissione, l'art. 7 sarebbe illegittimo. Ma, anche in tal caso, non si potrebbe prendere in considerazione una siffatta eccezione d'illegittimità nell'ambito della presente causa e, del resto, l'eventuale illegittimità sarebbe imputabile al Consiglio, non già alla Commissione.

Neppure i motivi di equità posti in rilievo nella vostra sentenza 1o febbraio 1978 relativa alla causa Lührs basterebbero a far ammettere un siffatto obbligo a carico della Commissione.

Nei rapporti fra i singoli e l'amministrazione comunitaria come quelli di cui trattasi nella fattispecie, in cui la riscossione del prelievo, lungi dall'implicare l'inadempimento di una qualsiasi obbligazione incombente ai singoli, comporta come unica conseguenza l'assoggettamento delle importazioni in questione ad un regime meno favorevole rispetto a quello vigente prima dell'istituzione del prelievo, non è possibile desumere dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri un principio generale di diritto — e tanto meno un principio di equità — avente il senso propugnato dalla ricorrente.

2.

Lo stesso deve dirsi delle circostanze in cui il Parlamento europeo è stato — o piuttosto non è stato — consultato in merito all'ultima proposta orale della Commissione, che è alla base del regolamento del Consiglio n. 425/77. Un'eventuale irregolarità sotto questo aspetto non può portare a dar soddisfazione alla ricorrente sul piano del risarcimento.

3.

La ricorrente fa poi valere il famoso principio generale della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento degli interessati.

Farò osservare anzitutto che, pur qualora la ricorrente abbia potuto nutrire legittime speranze quanto al mantenimento in vigore della normativa vigente al momento della stipulazione del suo contratto, si tratterebbe comunque di una pura e semplice aspettativa: un diritto quesito al riguardo presupporrebbe almeno l'esistenza di un titolo; ora, nessuna licenza d'importazione era stata richiesta per effettuare l'operazione progettata. Il regime d'importazione considerato non richiedeva alcuna previa autorizzazione, né alcun impegno, garantito mediante cauzione, da parte dell'interessato nei confronti delle autorità incaricate di gestire l'organizzazione del mercato di cui trattasi.

Se gli uffici competenti della Repubblica federale di Germania hanno fornito alla ricorrente un indizio che abbia potuto giustificare il suo affidamento sull'integrale mantenimento in vigore della disciplina preesistente, durante il periodo di esecuzione di vecchi contratti, nonostante il cambiamento della situazione di mercato, è detto Stato membro che andrebbe eventualmente considerato responsabile della violazione del legittimo affidamento.

Sotto il profilo di tale violazione, ricorderò che due, almeno, delle condizioni alle quali la vostra giurisprudenza subordina il riconoscimento della responsabilità delle istituzioni comunitarie non ricorrono nella fattispecie.

In primo luogo, come dimostra dettagliatamente la Commissione, l'istituzione del prelievo di cui trattasi non era imprevedibile. I prodotti compresi nella sottovoce 16.02 B III b) 1 della tariffa doganale comune hanno sempre costituito una categoria delicata. In passato, la Comunità era stata frequentemente indotta ad emanare provvedimenti di salvaguardia per alcuni di tali prodotti, stabilendo che le licenze d'importazione sarebbero state rilasciate dietro presentazione di contratti d'acquisto, nell'ambito del regime di abbinamento dell'importazione di prodotti del settore delle carni bovine con la vendita di carni bovine, fresche o conservate, in possesso degli enti d'intervento. Richiamerò anche il regolamento della Commissione 7 marzo 1975, n. 610, relativo a misure di salvaguardia per taluni prodotti di questa sottovoce, come pure l'altro regolamento della Commissione, 5 agosto 1975, n. 2033, di cui si trattava nella causa IFG. Non è certo l'annuncio dato dal regolamento della Commissione 21 dicembre 1976, n. 3117, secondo cui le misure instaurate da questo testo, tenuto conto della situazione del mercato, costituivano «un primo passo verso il ripristino del regime normale delle importazioni» ed era prevista «la scadenza del regime di misure di salvaguardia», che poteva dare agli operatori la garanzia che, qualora la situazione cambiasse, le importazioni di taluni prodotti di questo delicato settore avrebbero continuato a poter essere effettuate senza che venisse ristabilito, sotto l'una o l'altra forma, un regime di salvaguardia.

Il parere ufficiale di classificazione tariffaria emanato dai competenti organi tedeschi costituisce una semplice indicazione. Sarebbe invece spettato alla ricorrente premunirsi, come non è infrequente nel campo dei contratti internazionali, inserendo nel proprio contratto una clausola che la garantisse contro il sopravvenire di circostanze che ne rendessero l'esecuzione eccessivamente onerosa: è nei rapporti giuridici col suo co-contraente o con le autorità federali tedesche che la ricorrente deve cercare il rimedio adeguato, facendo eventualmente valere il verificarsi di un caso di forza maggiore.

Per contro, l'entità del prelievo che avrebbe sostituito il precedente regime di abbinamento poteva soltanto costituire oggetto di congetture. Uno dei principali problemi, negli scambi di carni bovine, è l'incertezza, fra il momento dell'ordinazione e quello della consegna, quanto all'aliquota del prelievo che colpirà le merci importate nella Comunità. In periodo di scarsità del prodotto sul mercato mondiale, un regime di prelievi scoraggia gli importatori comunitari; un onere unico e fisso, ad valorem, per tutte le forme sotto le quali viene presentata la merce contribuisce a ridurre tale incertezza. Il prelievo istituito col regolamento del Consiglio n. 425/77 e col regolamento della Commissione n. 586/77 varia in funzione dei prezzi praticati nella Comunità; col decidere questa innovazione relativa al prelievo, il Consiglio ha inteso garantire per il futuro una gestione del mercato più conforme all'andamento dei prezzi comunitari rispetto al prezzo di orientamento, onde evitare il ritorno a situazioni estreme come l'applicazione del regime di penuria nel 1972 e quella del sistema di clausole di salvaguardia a partire dal 1974. Detta disciplina implicava quindi, per natura, un elemento d'incertezza; tuttavia, tale incertezza non si ripercuoteva unicamente sulla ricorrente, le cui importazioni si collocano, d'altronde, non già in un periodo di scarsa disponibilità di merce, ma, al contrario, in un periodo di eccedenza.

In secondo luogo, e nello spirito di tale nuova disciplina, mi sembra senz'altro che esistesse un interesse pubblico inderogabile, o ciò che, da parte mia, preferisco qualificare un motivo d'interesse generale, a porre in atto la disciplina stessa, non immediatamente, si noti, ma circa quattro settimane dopo l'annuncio dell'adattamento del sistema, dato con la pubblicazione del regolamento del Consiglio n. 425/77 e circa una settimana dopo che erano state rese note le modalità d'applicazione fissate con regolamento della Commissione n. 586/77.

Il regolamento del Consiglio parte dalla constatazione che i prodotti del genere di quelli che la ricorrente intendeva importare «sono stati creati al fine di sottrarli all'applicazione dei prelievi», la cui istituzione è a sua volta giustificata dal rischio di gravi perturbazioni che tali prodotti sono «sostitutivi delle carni della voce 02.01 della tariffa doganale comune», le quali possono essere importate in esenzione dai prelievi.

Si tratta di considerazioni basate sulla valutazione di una situazione economica complessa, che non possono essere oggetto di discussione nell'ambito della presente controversia e che, a prima vista, giustificano pienamente l'istituzione di un regime di prelievi.

È sempre stato molto difficile far fronte all'instabilità del mercato della carne bovina e controllare i cicli produttivi, nell'ambito dei quali si verificano fluttuazioni notevoli. Un regime come quello di cui trattasi è certamente un metodo migliore che non il ricorso a clausole di salvaguardia. Come ho già detto, il sistema del prelievo unico di base e le sue modalità d'applicazione danno un carattere necessariamente precario ed aleatorio alla gestione del mercato, la quale si manifesta tramite provvedimenti adottati «di volta in volta», il che implica, per forza di cose, delle discontinuità. Sulla fissazione del prelievo influiscono considerazioni congiunturali, nonché l'andamento dei prezzi comunitari rispetto al prezzo d'orientamento, e la gestione del mercato non può prescindere dall'aspetto «politico» dell'incremento del reddito dei produttori comunitari di carne bovina.

IV —

Resta da accertare se l'istituzione di un regime di prelievi per i prodotti in questione sia in contrasto col combinato disposto degli artt. 39 e 110 del Trattato, e specialmente con le norme relative al consolidamento nell'ambito del GATT. Rilevo, ancora una volta, che questa censura riguarda il regolamento n. 425/77. Fatte salve le obiezioni che il Consiglio potrebbe sollevare, osserverò quanto segue:

Secondo la ricorrente, l'inclusione delle preparazioni a base di carni, come quelle di cui è causa, nella sottovoce 16.02 B III b) 1 aa) della tariffa doganale comune è in contrasto con il consolidamento del dazio doganale relativo alla sottovoce 16.02 B III b) 1 nell'ambito del GATT. Il consolidamento si riferisce espressamente, a suo avviso, a questa sottovoce nel suo complesso. Essa sostiene che la nuova versione dell'art. 17 del regolamento n. 805/68, quale risulta dal regolamento n. 425/77, corrisponde del resto esattamente all'art. 16 del regolamento n. 805/68, che recita: «le disposizioni del presente regolamento sono applicate osservando gli obblighi risultanti da accordi che impegnano la Comunità sul piano internazionale». L'istituzione di un prelievo per taluni prodotti di questa sottovoce doganale violerebbe manifestamente detta norma.

Rispondendo al quesito che le avevate rivolto a proposito di tale «mancato consolidamento», la Commissione sostiene che la concessione fatta non riguardava i prodotti in questione e che ciò che importa è invece il volume complessivo, dal punto di vista economico e finanziario, degli scambi su cui vertevano i negoziati tariffari.

Non mi addentrerò più oltre in questa discussione, in quanto ritengo che una violazione delle norme del GATT concretantesi in un regolamento del Consiglio, adottato all'unanimità, non può far sorgere, anche a supporre che sia provata e ammesso che possa essere fatta valere da un singolo, la responsabilità della Commissione.

Aggiungerò tuttavia che, nell'ambito della politica agricola comune, la Comunità deve rispettare i vari obiettivi enunciati dall'art. 39 del Trattato, ed in particolare: stabilizzare i mercati (n. 1, lett. c); garantire la sicurezza degli approvvigionamenti (n. 1, leu. d); assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori (n. 1, lett. e). Questi obiettivi sono, da parte loro, d'importanza ineguale e difficilmente conciliabili. Per garantire prezzi ragionevoli ai consumatori, è necessario semplificare gli accordi che disciplinano l'importazione di carne bovina; ciò è in antitesi con l'obiettivo della stabilizzazione dei mercati; analogamente, per garantire una migliore qualità, è necessario incoraggiare la produzione comunitaria di carni rosse, e ciò è a sua volta difficilmente compatibile con lo sviluppo del commercio internazionale. Tuttavia, se è vero che gli obiettivi di cui all'art. 39 sono già difficilmente conciliabili fra di loro, ancor più problematico è il conciliarli con l'armonico sviluppo del commercio mondiale, auspicato dall'art. 110. La Comunità deve quindi avere la facoltà di dare la preferenza a taluni obiettivi rispetto ad altri, tenuto conto della situazione economica e politica. Come ricordava l'avvocato generale Capotorti nelle sue conclusioni relative alla causa IFG, si tratta di questioni d'ordine prevalentemente politico.

Osserverò, infine, che i regimi di abbinamento, instaurati in quanto misure di salvaguardia, sono stati abrogati con effetto dal 1o aprile 1977 e che, a differenza della Iugoslavia, ad esempio, la Romania non è legata alla Comunità da alcun accordo commerciale; questo paese non ha assunto alcun impegno nel senso di limitare le sue esportazioni di carni bovine nella Comunità o di impedire che tali esportazioni avvengano a prezzi anormalmente bassi.

La scadenza del 31 dicembre 1977 e la facoltà di cui all'art. 7 sono state previste essenzialmente per far fronte alle difficoltà che avrebbero potuto sorgere nel caso di paesi ACP, e per consentire la proroga, fino al 31 dicembre 1977, dei provvedimenti di riduzione degli oneri non tariffari all'importazione fino a concorrenza del 90 %, come corrispettivo della riscossione, da parte dei paesi ACP interessati, di un tributo di equivalente entità all'esportazione.

Concludo nel senso che il ricorso dovrebbe essere respinto e che le spese del giudizio andrebbero poste a carico della ricorrente.


( 1 ) Traduzione dal francese.