CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE GERHARD REISCHL

DEL 15 SETTEMBRE 1976 ( 1 )

Signor presidente,

signori giudici,

il procedimento pregiudiziale nel cui ambito devo oggi esprimere il mio parere riguarda la nozione di «materia civile e commerciale», richiamata nell'art. 1 della convenzione «concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale» — in prosieguo, per brevità, convenzione sulla competenza — della quale essa determina la sfera d'applicazione. In proposito, l'Oberlandesgericht di Düsseldorf ha chiesto alla Corte, in forza del protocollo relativo all'interpretazione della suddetta convenzione, se, per interpretare la nozione di cui sopra, si debba aver riguardo al diritto dello Stato in cui la causa è stata decisa (nella fattispecie, il Belgio) ovvero a quello dello Stato in cui dev'essere apposta la formula esecutiva (nella fattispecie, la Repubblica federale di Germania).

Prima di accennare ai fatti della causa nel corso della quale è sorta tale questione, vorrei ricordare quanto segue.

Il 13 dicembre 1960 fra numerosi Stati, compresi gli Stati membri della Comunità ad eccezione della Danimarca e dell'Italia, veniva conclusa la convenzione internazionale per la cooperazione nel campo della sicurezza della navigazione aerea. Questa istituiva l'Organizzazione europea per il controllo della navigazione aerea — Eurocontrol —, organizzazione internazionale avente personalità giuridica, con sede in Bruxelles.

Per fruire dei servizi di controllo della sicurezza aerea forniti dall'Eurocontrol, i detentori di aeromobili sono soggetti al pagamento di cosiddetti «contributi di rotta», come risulta, oltre che dalle disposizioni della convenzione, da vari accordi bilaterali o multilaterali e, per la Repubblica federale di Germania in particolare, anche da un decreto 27 ottobre 1971 del ministro federale dei trasporti. Il paragrafo 3 di questo decreto stabilisce che i contributi devono essere pagati a Bruxelles; quanto all'aliquota degli stessi, alle condizioni di applicazione e al procedimento di riscossione, si fa poi rinvio ad un provvedimento emanato il 16 giugno 1971 dall'organo esecutivo dell'Eurocontrol (l'agenzia per i servizi di controllo del traffico aereo).

In forza di tali disposizioni, l'Eurocontrol emetteva a carico dell'impresa tedesca Lufttransportunternehmen LTU, appellante nella causa principale, varie fatture per il pagamento dei contributi relativi al periodo dicembre 1971-ottobre 1972, nelle quali è contenuta una clausola secondo cui il foro competente è quello belga. La competenza degli organi giuridizionali belgi è del resto stabilita anche nelle «condizioni di pagamento dei contributi dovuti dagli utenti», che costituiscono il documento n. 2 dell'allegato al summenzionato provvedimento 16 giugno 1971 dell'agenzia Eurocontrol.

Poiché la LTU contestava la legittimità della pretesa relativa ai contributi, l'Eurocontrol adiva il Tribunal de commerce di Bruxelles, per ottenere il pagamento di un importo parziale. Il tribunale condannava la LTU, respingendo in particolare l'eccezione secondo cui detta pretesa rientrava nell'ambito del diritto pubblico. Esso dichiarava invece espressamente che gli oneri in questione non dovevano essere considerati tributi, essendo decisiva, in proposito, la circostanza che il loro pagamento si riferiva ad un'attività della LTU che doveva ritenersi di carattere commerciale.

Di questa sentenza, della quale veniva autorizzata l'esecuzione provvisoria — nel frattempo essa è passata in giudicato, essendo stati respinti sia il ricorso dinanzi alla Corte di appello di Bruxelles, sia quello dinanzi alla Corte di cassazione belga — l'Eurocontrol intende ottenere l'esecuzione forzata nella Repubblica federale di Germania. A tale scopo, a norma dell'art. 31 della convenzione sulla competenza, esso chiedeva al Landgericht di Düsseldorf di autorizzare l'esecuzione forzata ed ordinare l'apposizione della formula esecutiva. A riprova dell'avvenuta notificazione della sentenza, necessaria ai sensi dell'art. 47 della convenzione sulla competenza, l'Eurocontrol produceva una relazione di notificazione stesa dal funzionario competente dell'Amtsgericht di Düsseldorf. Con ordinanza 13 agosto 1974, il Landgericht autorizzava quindi l'esecuzione forzata e disponeva l'apposizione della formula esecutiva.

Questo provvedimento veniva tuttavia annullato, in seguito ad appello interposto dalla LTU, con ordinanza 24 marzo 1975 della 19a sezione dell'Oberlandesgericht di Düsseldorf, che respingeva la domanda di autorizzazione dell'esecuzione forzata. Per il giudice d'appello era decisivo il fatto che la sentenza del Tribunal de commerce di Bruxelles non risultava esser stata validamente notificata: nel frattempo, infatti, con ordinanza di un'altra sezione dello stesso Oberlandesgericht, la relazione di notifica stesa dal funzionario competente dell'Amtsgericht di Düsseldorf era stata annullata, in quanto viziata da errore (vi si parlava della notifica di un atto di citazione).

Pronunciandosi sul ricorso per cassazione proposto dall'Eurocontrol, il Bundesgerichtshof respingeva la tesi del giudice d'appello in merito alla prova della notifica, e sottolineava che l'efficacia di quest'ultima, che risultava obiettivamente, non era menomata dall'annullamento della relazione di notificazione. Esso dichiarava inoltre che, anche per altri motivi, il provvedimento negativo dell'Oberlandesgericht di Düsseldorf non poteva essere confermato: il tribunale belga, la cui giurisdizione era stata accettata dalla LTU, aveva considerato la controversia come una lite in materia commerciale; tale qualificazione era vincolante per il giudice dello Stato in cui veniva richiesta l'esecuzione, dovendo la questione relativa al se una sentenza debba ritenersi emessa in materia civile o commerciale essere risolta in base al diritto dello Stato in cui la causa è stata decisa. Poiché, tuttavia, erano necessari ulteriori accertamenti quanto al passaggio in giudicato della sentenza belga — che, a quell'epoca, non era stato ancora accertato e, costituendo una questione di fatto, non poteva essere esaminato dallo stesso Bundesgerichtshof — la causa veniva rinviata all Oberlandesgericht di Düsseldorf.

Nell'ulteriore trattazione della stessa, quest'ultimo riteneva di non potersi limitare all'esame dell'unica questione che, secondo il Bundesgerichtshof, rimaneva ancora insoluta, ma di dover inoltre — evidentemente perché non condivide il parere del giudice di cassazione su questo punto — affrontare il problema dell'esatta interpretazione dell'espressione «materia civile e commerciale» nel contesto della convenzione sulla competenza. Perciò con ordinanza 16 febbraio 1976, esso sospendeva il procedimento e sottoponeva a questa Corte la questione pregiudiziale che ho già riferito.

È forse interessante ricordare altresì che la LTU, da parte sua, ha portato la controversia relativa al pagamento dei contributi dell'Eurocontrol dinanzi ai giudici amministrativi tedeschi. Il Verwaltungsgericht dichiarava però la domanda irricevibile per difetto di giurisdizione. L'Oberverwaltungsgericht della Renania settentrionale-Vestfalia, con sentenza 7 luglio 1975, dichiarava l'irricevibilità del ricorso interposto contro la sentenza del tribunale amministrativo, per il motivo che le fatture emesse dall'Eurocontrol per la riscossione dei contributi non erano atti amministrativi impugnabili a norma del diritto tedesco. Su un capo della domanda presentato in subordine, e inteso a far accertare che i contributi non sono dovuti, non è stato, a quanto pare, ancora statuito, né il Bundesverwaltungsgericht si è finora pronunciato sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza dell'Oberverwaltungsgericht.

1. 

Nell'esprimere il mio parere sulla fattispecie di cui trattasi, vorrei cominciare con due considerazioni preliminari.

a)

La prima si riferisce all'ambito di applicazione temporale della convenzione sulla competenza e potrà essere abbastanza succinta.

Va osservato che, nel caso in esame, la domanda al tribunale di Bruxelles è stata proposta prima dell'entrata in vigore della Convenzione, mentre la relativa pronunzia veniva emessa dopo tale data. A norma dell'art. 54, 2o comma, della convenzione, ciò è irrilevante, «se le norme di competenza applicate sono conformi a quelle previste dal titolo II o da una convenzione in vigore tra lo Stato di origine e lo Stato richiesto al momento della proposizione dell'azione». Il fatto che queste condizioni sono soddisfatte nel caso di specie è stato convincentemente dimostrato, a mio avviso, dalla Commissione. In effetti, per quanto riguarda la competenza territoriale del tribunale di Bruxelles, si può far riferimento non solo all'accordo belgo-tedesco 30 giugno 1958, ma anche alle disposizioni contenute nel già ricordato provvedimento dell'Eurocontrol 16 giugno 1971 e nel decreto 27 ottobre 1971 del ministro federale dei trasporti, secondo cui il luogo di pagamento dei contributi per il controllo della sicurezza aerea è fissato a Bruxelles.

b)

La seconda considerazione preliminare riguarda un argomento dedotto dall'Eurocontrol in merito all'ammissibilità del rinvio.

L'organizzazione osserva che il giudice proponente si è già pronunziato in appello, e la causa è quindi giunta dinanzi al Bundesgerichtshof, il quale l'ha rinviata all'Oberlandesgericht unicamente perché riteneva necessari ulteriori accertamenti circa il passaggio in giudicato della sentenza di cui è stata chiesta l'esecuzione. Ora, per tale accertamento di questioni di fatto, non è necessaria una pronunzia pregiudiziale relativa all'interpretazione della convenzione sulla competenza. Andrebbe inoltre rilevato che il Bundesgerichtshof, senza ritenere necessario il rinvio pregiudiziale, si è già pronunziato in ordine al problema di cui trattasi e che, a norma del diritto interno, tale pronunzia vincola l'Oberlandesgericht.

Questa obiezione e manifestamente infondata.

In primo luogo, infatti, è certo che la Corte, nell'ambito del protocollo relativo all'interpretazione, deve eventualmente procedere anche all'esame del diritto interno, e precisamente qualora sorga la questione della ricevibilità di una domanda di pronunzia pregiudiziale proposta da un giudice non di ultima istanza. Tutt'altra cosa è però l'esaminare il diritto interno dal punto di vista della rilevanza ai fini della decisione, cioè risolvere la questione relativa all'ampiezza dei poteri di un giudice di grado inferiore cui la causa sia stata rimessa da un giudice di grado superiore, e quindi stabilire se effettivamente la richiesta interpretazione sia necessaria per la definizione della controversia. La Corte si è sempre astenuta, a ragion veduta, dal prendere in considerazione il diritto interno sotto questo aspetto.

Inoltre, esiste già una univoca giurisprudenza sulla facoltà di proporre domande pregiudiziali, spettante ai giudici non di ultima istanza, che debbano pronunciarsi in una causa loro rinviata da un giudice di grado superiore. Questa Corte ha affermato, nella causa 166-73 (Rheinmühlen-Düsseldorf/Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel, sentenza 16 gennaio 1974, Racc. 1974, pag. 37 e segg.), e ribadito nella causa 146-73 (Rheinmühlen-Düsseldorf/Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel, sentenza 12 febbraio 1974, Racc. 1974, pag. 147 e segg.), che il giudice nazionale ha il diritto illimitato di effettuare il rinvio al giudice comunitario. Essa ha espressamente sottolineato che «il giudice che non si pronuncia in ultimo grado, qualora ritenga che il vincolo a rispettare le valutazioni contenute nella sentenza di rinvio del tribunale superiore possa risolversi in pratica in una sentenza incompatibile con il diritto comunitario, deve rimanere libero di interpellare la Corte di giustizia sui punti che gli paiono nebulosi». È vero che queste considerazioni sono state espresse nell'ambito di procedimenti pregiudiziali a norma dell art. 177 del trattato CEE. Non ho tuttavia alcun dubbio sul fatto che, per analogia, esse debbano essere valide anche per il procedimento pregiudiziale ai sensi del protocollo relativo all'interpretazione. In particolare, è irrilevante al riguardo la circostanza che, quanto all'obbligo di effettuare il rinvio, incombente ai giudici di ultima istanza, soltanto nel suddetto protocollo si rinviene la formula «qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto», essendo senz'altro chiaro che lo stesso vale, anche senza che ne sia fatta espressa menzione, per l'art. 177, 3o comma del trattato.

2. 

Passo ora all'esame della questione formulata dall'Oberlandesgericht di Düsseldorf, che — come ho già detto — riguarda la sfera di applicazione della convenzione sulla competenza. In proposito sorgono delle difficoltà, in quanto tale atto — a prescindere dalle espresse esclusioni di cui all'art. 1, 2o comma — definisce il proprio campo di applicazione mediante il semplice riferimento alla nozione di «materia civile e commerciale», senza indicare affatto come questa vada interpretata.

Non fa quindi meraviglia che il problema di cui sopra sia divenuto, subito dopo l'elaborazione della convenzione, oggetto delle indagini dottrinali e sia stato già trattato anche nella giurisprudenza nazionale, dando luogo a tutta una serie di proposte di soluzione — che sono state dettagliatamente esposte dalla Commissione —, proposte che, del resto, non si esauriscono affatto nell'alternativa prospettata nel testo della questione.

Secondo alcuni — farò soltanto qualche breve accenno — si dovrebbe avere riguardo al diritto dello Stato in cui viene richiesta l'esecuzione, ed è questa la tesi cui si richiama in sostanza anche la LTU. Per altri, invece, ci si deve basare sul diritto dello Stato d'origine, o incondizionatamente, o in relazione al fatto che nella sentenza di cui si chiede l'esecuzione sia stata effettuata o meno un'espressa qualificazione. Se questa manchi, si considera ammissibile anche una qualificazione ai sensi del diritto dello Stato richiesto.

Si riscontrano poi orientamenti per cui, riconosciuta in via di principio la qualificazione da parte dello Stato d'origine, vengono formulate riserve di altro genere. Così, è stato sostenuto che, nei procedimenti iniziati prima dell'entrata in vigore della convenzione, non si può ammettere che il giudice cui viene richiesta l'autorizzazione dell'esecuzione sia vincolato dalla qualificazione effettuata nello Stato d'origine, poiché il giudice adito per primo non era ancora condizionato dalla convenzione nell'emettere la propria sentenza. Da altri si nega l'efficacia vincolante della qualificazione compiuta dallo Stato d'origine, qualora si tratti, senza possibilità di equivoco, di rapporti disciplinati dal diritto pubblico; in casi del genere, viene quanto meno presa in considerazione la possibilità di un richiamo all'«ordine pubblico» di cui all'art. 27 della convenzione.

Su un piano del tutto diverso si pongono coloro che vorrebbero definire la nozione di «materia civile e commerciale» non già con riguardo al diritto interno, bensì ammettendo che si tratti di una nozione autonoma, in quanto basata sul diritto comunitario. In tal senso hanno preso posizione, fra l'altro, il governo italiano ed il governo della Repubblica federale di Germania. Il primo, facendo riferimento ad accordi bilaterali ed a norme del trattato CEE (art. 84), giunge alla conclusione che dalla sfera d'applicazione della convenzione sono escluse la navigazione aerea e quella marittima. Il governo federale ha espresso in subordine, il parere che, per il giudice successivamente adito la questione decisiva potrebbe essere quella del se il giudice adito per primo abbia definito la nozione di cui trattasi in base ad argomenti quanto meno non manifestamente infondati, con la possibilità d'interpellare la Corte di giustizia, per risolvere il problema della delimitazione, solo in caso di gravi dubbi in proposito.

Nell'affrontare questo problema e nell'esaminare gli argomenti svolti a sostegno dell'una o dell'altra soluzione, ho trovato particolarmente seducente, in un primo momento, la tesi secondo cui si dovrebbe partire dal presupposto che il contenuto della nozione di «materia civile e commerciale» va definito in base al diritto comunitario. Essa presenta indubbiamente il grande vantaggio — la Commissione parla addirittura di soluzione «ideale» — di garantire l'uniforme applicazione della convenzione e d'imporre agli Stati membri obblighi della stessa portata. In particolare, si eviterebbe così il pericolo che la suddetta nozione, rilevante nell'ambito della convenzione per quanto riguarda sia la parte relativa alla competenza, sia quella relativa all'esecuzione, divenga oggetto d'interpretazioni divergenti. D'altra parte, in mancanza di una precisa definizione, si dovrebbe procedere come sempre si fa qualora ci si trovi di fronte a lacune del diritto comunitario, e cioè fare riferimento ai principi comuni degli Stati membri, tenendo eventualmente conto di precedenti accordi bilaterali o plurilaterali fra gli Stati stessi. In ogni caso, sarebbe certamente esclusa una soluzione semplicistica come quella suggerita dal patrono della LTU — ritorneremo su questa fondamentale presa di posizione — consistente nel riconoscere come «materia civile e commerciale» soltanto ciò che viene in tal modo qualificato dall'ordinamento dello Stato membro in cui il settore del diritto pubblico è meno limitato; ciò equivarrebbe, infatti, allo scegliere come criterio decisivo l'orientamento seguito nel sistema giuridico di un solo Stato membro, non già le concezioni comuni di tutti gli Stati membri. È certo altresì che non si può condividere l'opinione del governo italiano, nel senso che le questioni attinenti alla navigazione aerea e marittima non sarebbero comprese nell'ambito della convenzione.

Ciò non può desumersi dall'art. 84 del trattato CEE — le finalità cui risponde questa norma, nel contesto del trattato, sono del tutto diverse — ed anche il raffronto con altri accordi non è decisivo, proprio perché, nella convenzione sulla competenza, la navigazione aerea e quella marittima non sono menzionate fra i settori espressamente esclusi dal suo ambito di applicazione. È interessante, d'altro canto, notare che neppure nell'attuale redazione del progetto di convenzione per l'adesione dei nuovi Stati membri la navigazione aerea e quella marittima costituiscono oggetto di un'esclusione; per dette materie — comprese, almeno in parte, nel settore del diritto privato — si parte dal presupposto che la relativa delimitazione venga effettuata .secondo i criteri generali.

Dovrebbe quindi essere decisiva la circostanza che, nel far valere la propria pretesa in materia di contributi — l'evidente carattere di attività di polizia inerente ai compiti di controllo della sicurezza della navigazione aerea è qui irrilevante —, l'Eurocontrol si trovi o meno in quella situazione di superiorità che è eminentemente caratteristica dei rapporti di diritto pubblico. Sotto questo profilo si possono fare, a mio avviso, due considerazioni, dalle quali deriva l'effettiva possibilità di applicare la convenzione sulla competenza alla fattispecie di cui trattasi nella causa principale. In primo luogo, secondo la volontà degli autori, che risulta dalla relazione inviata ai governi con il progetto di convenzione, quest'ultima va interpretata in senso lato. Inoltre, è importante il fatto che i contributi da versare all'Eurocontrol vengono considerati, come si desume dai testi di cui ho fatto cenno all'inizio, come il corrispettivo per la prestazione di servizi, e che era stata contemplata, per le controversie relative alla loro riscossione, la competenza dell'autorità giudiziaria belga.

Tuttavia, contro la tesi secondo cui la portata della nozione «materia civile e commerciale» sarebbe determinata dal diritto comunitario possono essere sollevate — anche se ciò può apparire deprecabile — gravi obiezioni.

Date le divergenti qualificazioni possibili nei vari Stati membri, si deve senz'altro ammettere che la definizione comunitaria della nozione di «materia civile e commerciale» sarebbe tutt'altro che facile, e ciò tanto più dopo l'adesione della Gran Bretagna alla convenzione, in quanto, nell'ordinamento inglese, la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico è molto meno netta che sul continente. È questa la ragione per cui neppure gli esperti incaricati dell'elaborazione della convenzione hanno osato tentare una definizione, ed è perciò che nel progetto di accordo di adesione si trovano solo, con riferimento a questioni tributarie, doganali e amministrative, taluni accenni di delimitazione in senso negativo. Il tentativo di mettere a punto una nozione comunitaria richiederebbe quindi molto tempo, come dimostra l'esperienza dei giudici degli Stati membri in cui esiste la distinzione fra i due settori del diritto, ed implicherebbe perciò un lungo periodo d'incertezza. È senz'altro prevedibile che molto spesso — ogniqualvolta si configurasse un'incidenza di diritto pubblico — verrebbero proposte alla Corte domande di pronunzia pregiudiziale, anche qualora si accettasse il punto di vista prospettato in subordine dal governo federale, e cioè se il rinvio fosse limitato ai casi in cui il giudice nutra gravi dubbi. Il procedimento di esecuzione sarebbe, in tal modo, ritardato e non potrebbe svolgersi con quella continuità che certamente era nelle previsioni degli autori della convenzione. Le esigenze fondamentali e gli scopi principali di quest'ultima si oppongono, quindi, ad un'interpretazione da cui deriverebbero inconvenienti tanto gravi come la perdurante incertezza e il rallentamento del ritmo dei processi. In proposito mi limiterò a ricordare che, nel preambolo della convenzione, viene sottolineata la necessità di una «procedura rapida»; rimando poi alla dichiarazione comune, allegata al testo della convenzione, nella quale si parla di «un'applicazione quanto più possibile efficace» delle disposizioni di questa, e mi riferisco, infine, alla già ricordata relazione sulla convenzione, in cui si fa menzione dell'opportunità di favorire quanto più possibile la libera circolazione delle sentenze emesse negli Stati membri.

Se, però, anche per ragioni pratiche — il fatto che la convenzione va applicata il più prammaticamente possibile è espressamente sottolineato nella suddetta relazione — , si deve abbandonare la tesi di una nozione autonoma, basata sul diritto comunitario, di «materia civile e commerciale», non resta in concreto altra possibilità se non quella di aver riguardo al diritto interno. In via di principio, può essere quindi decisiva solo la qualificazione effettuata dal giudice del merito o quella compiuta dal giudice cui viene richiesta l'esecuzione, il che significa che, di regola, si deve scegliere fra le due alternative prospettate nel provvedimento di rinvio (anche se ciò ovviamente non equivale a dire — com'è stato ritenuto da uno dei partecipanti al presente procedimento — che la Corte, nell'esaminare la domanda pregiudiziale, è sostanzialmente vincolata alle possibili interpretazioni suggerite dal giudice proponente).

Per quanto riguarda le due possibili soluzioni proposte nella fattispecie, si deve del resto constatare subito che non sono molto convincenti neppure gli argomenti dedotti per sostenere che la qualificazione dovrebbe essere effettuata, in via di principio, secondo il diritto dello Stato richiesto.

In proposito, la LTU ha fatto valere che, in caso di dubbio, i trattati internazionali vanno interpretati restrittivamente e in modo tale da portare alla minima possibile incidenza sulla sovranità degli Stati contraenti. Nel caso della convenzione sulla competenza non si può, a suo avviso, presumere che lo Stato cui si richiede l'esecuzione si sottoponga, per così dire, senza alcuna disposizione espressa nella convenzione stessa, al diritto straniero, ed in particolare sia disposto ad autorizzare l'esecuzione anche in materie ch'esso considera di diritto pubblico e nelle quali, in linea di massima, è esclusa l'esecuzione all'estero. Ritengo che questa argomentazione non sia pertinente. Essa non tiene conto del fatto che la convenzione svolge una funzione importante nell'ambito delle Comunità: essa mira a garantire che la semplificazione dei rapporti economici trascendenti i confini degli Stati venga accompagnata e completata dalla semplificazione dei rapporti giuridici, in quanto sia resa più facile l'attuazione giudiziale dei diritti. Per questa ragione, ma anche perché la situazione giuridica negli Stati membri non presenta poi enormi divergenze, venendo fra l'altro offerte garanzie giuridiche e procedurali press'a poco equivalenti, non è certo opportuno applicare, nel caso della convenzione, canoni esegetici che possono altrimenti essere giustificati nel caso di accordi internazionali di tipo classico.

Vi sono invece buone ragioni che militano a favore della tesi secondo cui, in linea di principio, deve ammettersi come decisiva la qualificazione compiuta dallo Stato d'origine.

Ad esempio, dalla più volte menzionata relazione si può desumere che una delle esigenze fondamentali cui deve rispondere la convenzione è quella di rafforzare la posizione degli organi giurisdizionali dello Stato d'origine. Ciò si traduce, in primo luogo, nella circostanza — cui pure si accenna nella relazione — che le norme sul riconoscimento sono molto liberali, e portano ad una soluzione positiva nel maggior numero possibile di casi. I motivi per cui il riconoscimento può essere rifiutato sono infatti enumerati tassativamente negli artt. 27 e 28, e nella dottrina si parla quindi, addirittura, di una presunzione di riconoscimento. In secondo luogo, ciò si manifesta, in materia di esecuzione, nel fatto che, a norma dell'art. 34, quest'ultima può essere rifiutata solo per i motivi di cui agli artt. 27 e 28. Né, di regola, vi è alcun controllo della competenza, in quanto le relative disposizioni, ai sensi dell'art. 28, n. 3, non fanno parte dell'ordine pubblico. Né, infine, può essere esercitato alcun sindacato sulla legittimità delle decisioni emesse.

A questo orientamento fondamentale secondo cui, in linea di massima, viene presa in considerazione la valutazione data nello Stato d'origine, risponde senza dubbio meglio la tesi consistente nel sostenere che, in via di principio, dev'essere decisiva, trattandosi della nozione di «materia civile e commerciale», la qualificazione effettuata dallo Stato in cui la causa è stata decisa. Inoltre, ci si conforma così nel modo migliore all'evidente scopo della convenzione di rendere possibile la più ampia circolazione delle sentenze, nonché al principio di garantire la più ampia e la più efficace applicazione dell'atto. Eventuali controlli da parte dello Stato richiesto potrebbero invece, in talune circostanze, compromettere il conseguimento delle suddette finalità e portare a prassi divergenti in materia di esecuzione.

Perciò, per quanto mi riguarda, sono convinto che la questione sollevata possa essere risolta unicamente nel modo che risulta dalle considerazioni testé svolte.

D'altra parte, ho l'impressione che il mettere in rilievo questa concezione di base dovrebbe essere più che sufficiente ai fini della pronunzia nella causa principale. In primo luogo, infatti, contrariamente a quanto sostiene la LTU, non vi è alcun motivo di dubitare che i giudici belgi abbiano espressamene qualificato la controversia come una lite in materia civile. A questo proposito, basta ricordare che la domanda è stata proposta assumendo espressamente che si trattava di una causa civile, e che il Tribunal de commerce ha preso specificamente in considerazione l'eccezione sollevata al riguardo dalla LTU. Inoltre, nella sentenza con cui veniva respinto l'appello, si fa espresso riferimento, per quanto concerne la questione della notifica, alla convenzione dell'Aia 1o marzo 1954 sul processo civile. In secondo luogo, poi, si possono ricordare le considerazioni da me già fatte, richiamando principi giuridici comuni, circa la qualificazione della pretesa dell'Eurocontrol relativa ai contributi, considerazioni le quali sembrano dimostrare che il rischio di una classificazione inesatta di controversie del genere da parte dello Stato d'origine è relativamente modesto.

Stando così le cose, non vi è quindi alcun motivo di prendere in esame ulteriori aspetti della problematica trattata, in parte venuti in luce durante il procedimento. Non è necessario, fra l'altro, per il momento, accertare come debba procedersi qualora nello Stato d'origine non sia stata effettuata una qualificazione espressa (se, in tal caso, debba aversi una valutazione da parte dello Stato richiesto e se, per quest ultimo, siano decisivi i propri criteri giuridici ovvero si debba far rinvio — il che sarebbe certamente lungo e difficile — all'ordinamento dello Stato d'origine).

Così pure non vi è ragione, nel presente procedimento, di affrontare la questione del se, eventualmente, la qualificazione effettuata, all'occorrenza con riferimento alla riserva dell'ordine pubblico di cui all'art. 27 della convenzione, dal giudice cui viene richiesta l'esecuzione, non debba essere sottoposta a controllo in certi casi estremi, come quando, ad esempio, si tratti dell'esecuzione di decisioni chiaramente emesse in materia tributaria o penale. Per prendere in considerazione questi problemi si devono attendere, a mio parere, gli ulteriori sviluppi della situazione. Al momento opportuno, potranno svolgersi tutte le indagini necessarie per risolvere tali questioni indubbiamente delicate.

3. 

Di conseguenza, proporrei di risolvere nel seguente modo la questione formulata dall'Oberlandesgericht di Düsseldorf:

L'art. 1, 1o comma, della convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale va interpretato nel senso che il giudice dello Stato richiesto è vincolato dalla qualificazione giuridica sostanziale effettuata dal giudice dello Stato d'origine, quanto meno nei casi in cui questo giudice abbia espressamente qualificato la controversia sottopostagli come una lite in materia civile o commerciale.


( 1 ) Traduzione dal tedesco.