CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DELL'8 NOVEMBRE 1977 ( 1 )

Signor presidente,

signori giudici,

I — Introduzione generale

Il banano appartiene al genere «musa», che raggruppa oltre un centinaio di specie e varietà, coltivate nelle zone tropicali. Attualmente il commercio di banane costituisce il settore più importante del mercato internazionale della frutta. I tipi di banana più comuni in commercio sono soprattutto due: la specie Gros-Michel e quella Cavendish (varietà Valéry e Giant).

Grazie ad un tronco più corto, i banani delle ultime varietà risentono meno degli effetti del vento. Inoltre, allorché scoppiò la malattia di Panama, la resistenza opposta da dette varietà ha contribuito a consolidare la loro affermazione in ampie zone della cintura bananifera dell'America centrale e dell'America del Sud.

La diffusione della Cavendish ha provocato mutamenti radicali: grandi imprese commerciali, che svolgevano la loro attività soprattutto nelle regioni di nuova coltivazione, hanno imperniato la loro pubblicità sulla Cavendish e questa varietà è diventata così la più richiesta. Di riflesso, la vendita di Gros-Michel è diventata sempre più difficoltosa e questa varietà ha perso sempre più terreno.

Il predominio della Cavendish e il volume ridottissimo di vendite delle altre varietà, non è stato provocato dai consumatori per motivi di gusto, ma dai distributori per motivi di facilità. In realtà i distributori trovano che le altre banane sono troppo delicate e danno luogo a scarti più rilevanti delle Cavendish. Quest'ultimo tipo richiede però maggiore concimazione e maggiore irrigazione e per affermarlo sono stati necessari maggiori investimenti sia nelle piantagioni che nella rete distributiva.

Tra le diverse varietà di Cavendish, la Valéry, ottenuta dalla United Fruit Co. nell'America Centrale, riveste, come vedremo, particolare importanza.

La banana offre il vantaggio di non essere un frutto stagionale; può essere venduta tutto l'anno. Nonostante i danni causati dagli uragani, l'offerta di banane per l'esportazione sul mercato mondiale è sempre molto superiore alla domanda nei principali paesi importatori della zona temperata.

A — Il prodotto in questione

Quanto alle consuetudini alimentari, è certo che la madre che dà al bambino uno yoghurt alla frutta, non gli farà inoltre mangiare una banana. Però nessuno oserà affermare che, per questo, i latticini possono sostituire le banane.

Gli studiosi che si sono occupati delle abitudini dei consumatori hanno concluso, in linea generale, che i fattori che più incidono sul consumo sono il reddito e il prezzo. Nella maggior parte dei paesi consumatori europei, i prezzi al minuto giungono al massimo in maggio-giugno, per scendere progressivamente fino alla fine dell'anno e risalire nel semestre successivo. Quindi, la flessione della domanda di banane sul mercato all'ingrosso nei mesi estivi può ricollegarsi alla concorrenza delle pesche, tra maggio e luglio, quando questo frutto abbonda. In Italia vi è pure una leggera flessione del consumo allorché giungono sul mercato le prime arance, a fine anno. Contrariamente a quanto avviene per gli altri frutti, l'aumento del prezzo della banana corrisponde all' aumento delle vendite. Ciò dimostrerebbe che, salvo eccezioni, l'andamento dei prezzi delle banane risente più della domanda che dell'offerta; esso dipende più dalla stagione che dai quantitativi offerti. Nel caso dei mercati regolamentati, sono i quantitativi piuttosto che i prezzi che tendono a costituire l'elemento variabile, a causa del controllo esercitato sulle vendite delle banane per raggiungere gli scopi perseguiti in fatto di prezzi.

Però le quotazioni delle singole specie rivelano una tendenza caratteristica e non pare si influenzino reciprocamente, qualunque sia il loro livello. L'immissione sul mercato di altri frutti ha ripercussioni piuttosto modeste; inoltre i prezzi di ciascuno di questi frutti tendono ad essere determinati, in larga misura, dall'entità dell'offerta.

È indubbio che gli stagionatori immagazzinano frutti diversi dalle banane e grossisti e dettaglianti che vendono banane offrono pure altri frutti, importati o locali, e le banane rientrano quasi sempre nella gamma più o meno vasta di frutti freschi offerti, il che fa pensare evidentemente alla possibilità di sostituzione. La sostituzione con altri frutti non ha tuttavia, salvo eccezioni locali e stagionali, importanza determinante; essi non figurano né col prezzo, né con la quantità consumata nei modelli rappresentativi del consumo di banane.

Di conseguenza, pur ammettendo che il fattore «stagione» ha la sua importanza, il che, data anche la deperibilità del prodotto, può spiegare in parte le frequenti oscillazioni dei prezzi, vi è indubbiamente un mercato specifico della banana, distinto dal mercato generale della frutta fresca.

Sarebbe infine contraddittorio affermare, da un lato, che vi sono mercati distinti per la banana di marca e per quella senza marca e, dall'altro, che la banana è intercambiabile con gli altri frutti.

Su questo primo punto — prodotto di cui trattasi — si deve dunque ritenere che: l'incidenza dei prezzi e dei quantitativi disponibili di altri frutti è troppo limitata nel tempo, troppo debole e troppo poco generalizzata per poterne concludere che gli altri frutti fanno parte dello stesso mercato cui appartengono le banane, come prodotti di sostituzione. Comunque, il loro grado di intercambiabilità è insufficiente per giungere a questa conclusione.

B — La «catena bananiera»

Nei paesi produttori dell'America centrale e dell'America meridionale, alla raccolta provvedono generalmente ditte che distribuiscono direttamente le banane nei paesi consumatori oppure sono strettamente legate ai grossisti. Queste ditte, che hanno piantagioni proprie o hanno stipulato dei contratti con i piantatori, sono quindi sovente legate al settore della produzione. Benché in generale si accollino il rischio della merce solo dal porto, esse controllano già la raccolta, l'imballo, il trasporto fino alla banchina e il caricamento. Si comprende l'importanza che assume l'efficacia della raccolta e del caricamento per la competitività di una regione quando si rileva che, in quasi tutti i paesi, queste operazioni rappresentano più della metà degli introiti dell'esportazione fob.

Molto deteriorabile quando è matura, la banana deve, sino ad oggi, per poter essere esportata, venir raccolta verde (indici di colore 1 e 2) e venir maneggiata e imballata con una certa cura.

Il periodo di raccolta della banana verde non è sempre e dovunque lo stesso. Dipende dal periodo intercorrente tra la raccolta e l'entrata nel deposito di stagionatura (taglio all'ordine) nonché dallo stato del frutto, che varia a seconda delle regioni, delle stagioni e delle varietà.

Da circa una dozzina di anni, il sistema di imballo e di distribuzione delle banane è stato radicalmente rivoluzionato e la formazione dei prezzi nelle varie fasi è notevolmente mutata.

Anzitutto vi è stato l'avvento della cassa di cartone: non si esportano più «caschi» interi, bensì «mani» o «mazzette» in imballaggi di cartone. Si è dovuto usare questo sistema a causa della diffusione della Cavendish, molto sensibile al trasporto. È ancora la United Fruit che ha messo a punto questo tipo di contenitore per «mani tagliate» per motivi di trasporto e di cambiamento della varietà in Honduras. Questo tipo di imballaggio ha risolto numerosi problemi d'acquisto, di trasporto e soprattutto di stagionatura. La sua diffusione ha reso più scientifici i metodi di maturazione ed ha sconvolto l'organizzazione del lavoro di stagionatura; molti stagionatori hanno dovuto risolvere il problema dell'ammortamento di un materiale moderno e costoso.

Le piantagioni hanno un loro reparto imballaggio: i cartoni sono forniti dalla ditta distributrice. Il prezzo dei cartoni e dell'imballo rappresenta nella maggior parte dei casi circa la metà delle spese, dalla raccolta all'imbarco. Ne sono scaturiti oneri fissi più alti per il produttore o per l'esportatore. Dal capannone d'imballo fino alla stiva della nave, la principale voce dell'aumento è stata, dal 1971 alla fine del 1974, il prezzo dei cartoni, che è aumentato in media del 50 % circa.

In conclusione, l'adozione dell'imballo di cartone è un fatto compiuto che ha implicato il miglioramento della qualità; ha consentito di trovare nuovi sbocchi ed ha notevolmente aumentato la capa-cità di assorbimento del mercato; però ha richiesto, come contropartita, nelle zone di produzione, un aumento degli investimenti e l'adozione di ulteriori provvedimenti organizzativi. Questa tendenza ha fatto spostare verso i paesi produttori le operazioni complesse, delicate e costose di selezione e di imballo ed è lecito domandarsi se a farne le spese non siano stati i produttori.

D'altro canto, gli stagionatori, non dovendo più sballare né tagliare i caschi, dovrebbero avere meno lavoro. Il cartone dovrebbe solo passare per le loro mani; il costo del loro intervento avrebbe dovuto risultarne diminuito. Però nella maggior parte dei casi, per scrupolo professionale, essi controllano a fondo il contenuto del cartone all'uscita dalle celle, reimballano o addirittura preconfezionano i frutti. In realtà, molto spesso i supermercati chiedono in sovrappiù la preconfezione delle banane. In uso dacché è stato adottato il cartone, la preconfezione è anzitutto un sistema che consente la vendita nei self services senza perdere i vantaggi della vendita del prodotto sciolto. Il prodotto si presenta da sé. La preconfezione serve anche a stimolare le vendite, in quanto invita ad un maggior consumo. Il sistema seguito dai negozi con succursali consiste nel praticare un prezzo superiore per le banane vendute a prezzo imposto in quanto di qualità superiore. Esso consente pure di stabilizzare i prezzi. Pare che i prezzi praticati per le banane preconfezionate variino meno di quelli delle altre banane. Dato però che le banane vanno sballate, selezionate e nuovamente confezionate, la politica del prezzo imposto elimina gran parte del vantaggio dell'imballo nei cartoni. Insomma le spese degli stagionatori invece che diminuire, sono aumentate; questa profusione di imballaggi ha fatto sì che la transizione dal circuito tradizionale ad un circuito più breve è risultata più costosa.

Di conserva con la diffusione dei cartoni, ha preso piede l'etichettatura, cioè l'apposizione del marchio non solo sui cartoni, ma su ciascun frutto, in modo da poterlo identificare nella vendita al minuto. La banana è un frutto comune: dopo tutto, la maggior parte delle banane prodotte nel mondo viene consumata senza apposizione di marchi. Dato però che non esistono ufficialmente parametri qualitativi, i marchi sono il principale punto di riferimento dello stagionatore e del consumatore per i loro acquisti. Finché non vi saranno norme di standardizzazione, o saranno mal applicate, è il marchio che determina la scelta dei consumatori.

Impedendo la fornitura di cattivi prodotti o di partite dubbie, i titolari di un marchio mirano a migliorare la loro reputazione, a impedire la concorrenza sleale tra gli speditori locali o gli esportatori o i commercianti che, specie in caso di prezzi alti, sarebbero tentati di vendere prodotti non marchiati, ma anche a spuntare prezzi più elevati per i loro prodotti. Il marchio diventa così un elemento importante nell'immissione sul mercato, ed in certi casi può avere la stessa importanza del prezzo. I prodotti marchiati si vendono malgrado l'atteggiamento dei distributori; questi non possono più fare a meno di offrire il prodotto marchiato. Il segreto commerciale è stato quello di fare della banana un frutto di marca, significativa sia per il distributore, sia per il consumatore. Anche in questo campo, United Fruit e Standard Fruit sono stati i pionieri. Ora che le spedizioni si effettuano nei cartoni e le banane sono marchiate, il che permette al consumatore di identificare il prodotto, i criteri qualitativi, specie l'aspetto esterno e la buona conservazione della banana matura, hanno assunto sempre maggior importanza e comportano notevoli differenze di prezzo nella vendita al minuto. L'importatore trasmette ai distributori e ai consumatori l'idea favorevole del marchio. Questa idea è forte, tanto che il consumatore si affeziona al prodotto, che diventa così un articolo di richiamo nella distribuzione, integrata o tradizionale che sia. Il prodotto è venduto ad un prezzo remunerativo, giacché è superiore ai prezzi delle qualità ordinarie del distributore. Questo risultato potrà ottenersi o mediante la differenziazione qualitativa del prodotto (che tende ad essere di qualità superiore a quella del prodotto ordinario) oppure mediante la differenziazione psicologica nei confronti del consumatore, però a prezzo di notevoli spese di lancio e di pubblicità che solo un'impresa di grandi dimensioni può sostenere.

Infatti il lancio di un marchio va effettuato con ampie campagne pubblicitarie e presuppone una politica a lunga scadenza. Questo fenomeno implica la sempre maggior differenziazione dell'offerta relativamente anonima mediante marchi commerciali e sistemi di distribuzione speciali, che talvolta giungono fino alla vendita al minuto. La tendenza a «sofisticare» il prodotto e il suo imballo si contrappone così all'esigenza di tener basso il prezzo al consumo.

Dopo la raccolta, le banane vengono avviate al porto d'imbarco o con autocarri o mediante ferrovie a scartamento ridotto, sovente di proprietà delle ditte che vendono le banane.

Il trasporto dal paese di produzione al paese di consumo ha grandissima importanza per la vendita delle banane. Esso si effettua quasi esclusivamente mediante navi le cui stive sono dotate di frigoriferi. Le navi impiegate nel trasporto di banane costituiscono il 60/80 % della flotta frigorifera. La maggior parte delle navi frigorifere sono a impiego polivalente, e sono munite d'impianti frigoriferi e di ventilazione che in pratica consentono loro di trasportare qualunque carico refrigerato.

Le bananiere tendono a viaggiare rispettando scrupolosamente gli orari, onde garantire la regolarità delle forniture e devono salpare alla data prescritta, anche se il loro carico non è completo. Affinché si possa fare regolarmente fronte alla maggior domanda di fine settimana, le navi devono giungere a destinazione, se possibile, all'inizio della settimana.

Le forniture avvengono sovente sotto forma di carichi regolari, spediti in vari paesi europei ed organizzati dalle associate o dalle affiliate dei maggiori importatori.

D'altro canto, l'impiego delle navi dipende pure dalla razionale elaborazione del calendario delle partenze che, specie nelle flotte maggiori, può aver notevole influenza sul rendimento del trasporto.

L'esigenza tecnica di un'infrastruttura integrata per il trasporto delle banane ha fatto sì che, fin dagli inizi del commercio di banane, i trasporti marittimi fossero completamente integrati nel processo distributivo. Ciò premesso, non stupisce che un certo numero di operatori del ramo siano armatori delle navi che usano per trasportare la loro frutta. L'integrazione totale presenta infatti vantaggi tecnici ed economici: unico centro direttivo, controllo centralizzato delle varie operazioni e, inoltre, possibilità di ricavare utili da ogni attività.

Delle ventisette imprese d'armamento operanti nei paesi della CEE, sei (tre delle quali nella Repubblica federale di Germania, che costituiscono il 33 % del naviglio frigorifero delle flotte dei paesi della CEE) sono strettamente legate, per lo più mediante partecipazioni, a imprese che praticano l'import-export di banane.

Benché la maggior parte delle imprese del settore bananiero attualmente si serva di navi prese a nolo, le flotte integrate hanno molta importanza nel commercio delle banane. Anche se le imprese bananiere ricorrono al noleggio piuttosto che alla flotta di loro proprietà, il controllo che esse esercitano sugli armamenti e sui trasporti non è per questo necessariamente meno importante. La loro rinuncia ad immobilizzare capitali nell'acquisto di navi frigorifere può dipendere dal fatto che esse riescono ad influire, con altri mezzi, sul mercato dei noli marittimi.

In taluni porti europei o extraeuropei, una parte notevole delle banane in arrivo viene smistata per inoltro ad altri paesi, mediante nave, ferrovia o autocarro. Comunque sia, la banana deve subire una trasformazione industriale, cioè la stagionatura, in appositi locali, prima di essere offerta al consumatore. La maturazione delle banane raccolte verdi, interrotta quasi del tutto durante il trasporto, deve quindi ricominciare prima che la banana possa essere offerta al consumatore europeo. Le banane lasciano i locali climatizzati (magazzini, navi, autocarri) per passare nei locali di stagionatura solo allorché vi è la possibilità di venderle al consumatore nel giro di pochi giorni.

La banana che entra nel locale di stagionatura verde o verde chiaro (indici di colorazione 1 e 2) ne esce quasi verde (più verde che gialla, indice 3) o quasi gialla (più gialla che verde, indice 4); giunge al dettagliante quasi gialla con le estremità verdi (indice 5) ed è così venduta al consumatore (indici 4 o 5) o completamente gialla o tigrata (indici 6 o 7) o come prodotto di seconda scelta.

Fra i vari anelli della «catena bananiera», lo stagionatore occupa un posto essenziale. La sua abilità consiste nel far sì che, qualunque sia il numero degli intermediari, il consumatore riceva, 4-8 gioni dopo, una banana perfettamente matura.

La stagionatura richiede un periodo variabile a seconda della temperatura e del tipo dei locali. Questi sono per lo più a vari usi, onde poterne usufruire anche in caso di nuovi indirizzi commerciali. Oggigiorno il controllo della maturazione è divenuta un'operazione tecnica. Lo stagionatore accelera la maturazione aumentando la temperatura in relazione all'urgenza. Agendo sulla temperatura, egli controlla il processo di maturazione, adeguandolo alle esigenze della vendita e della distribuzione. Di fatto egli cerca di tener occupati i locali il minor tempo possibile e di vuotarli in una sola volta. Nei locali si immette sovente del gas di etilene per facilitare la maturazione, che dura da tre a sei giorni. Il processo, una volta iniziato, deve venir portato a termine, potendosi frenare solo in misura molto ridotta. La banana si deteriora rapidamente dopo la stagionatura: deve giungere al consumatore entro quattro giorni al massimo. Il tempo che trascorre tra l'arrivo al porto e la consegna al dettagliante è di dodici giorni circa.

La possibilità di far variare la durata della stagionatura mediante la temperatura costituisce, entro determinati limiti, una valvola di sicurezza nel sistema distributivo.

Le imprese di stagionatura si insediano di preferenza nelle regioni ad alta densità di popolazione.

Solo i grandi stagionatori sono in grado di far fronte alle esigenze qualitative e quantitative dei supermercati e delle centrali d'acquisto. La stagionatura, che fino a poco tempo fa era attività artigianale, è diventata un'industria e si è concentrata esigendo notevoli investimenti.

In complesso, gli impianti di stagionatura sono in genere sovrabbondanti ed hanno una capacità eccessiva rispetto alla quantità trattata.

Le partite depositate presso alcuni stagionatori sono in parte rivendute nelle zone limitrofe, talvolta anche relativamente lontane e, in certi periodi dell'anno, alcuni stagionatori si riforniscono presso colleghi anche distanti. È molto difficile stabilire il raggio d'azione di uno stagionatore. Se, come accade talvolta, lo stagionatore, abituale cliente di un importatore, non ottiene dal suo fornitore le consegne che gli occorrono, può rivolgersi ad un altro importatore, ma questi gli darà la merce solo col consenso del fornitore abituale e al prezzo che quest'ultimo fisserà. Si tratta dunque di un'organizzazione molto precisa, che lascia poca libertà agli acquirenti.

Giunta a maturazione, la banana deve venir smerciata in modo coordinato e relativamente rapido, salvoché le distanze da coprire siano brevi e i mezzi rapidi.

Poiché lo stagionatore opera pure come distributore, la spesa della stagionatura, conglobata nel margine netto del commercio all'ingrosso, non può venir distinta con sufficiente precisione dagli altri costi. Questa voce è molto difficile da determinare, giacché le prestazioni dello stagionatore possono essere molto diverse. L'utile dello stagionatore dipende essenzialmente dalla sua attrezzatura; il margine del grossista dipende soprattutto dalla zona che egli rifornisce e dai servizi che egli presta. Talvolta egli si limita a stagionare le banane e le vende ad un semigrossista o a un dettagliante che viene a ritirarle; in altri casi egli consegna al dettagliante e funge da grossista. Talvolta vende le banane in cartoni, ma può anche offrirle lui stesso preconfezionate. Il prezzo all'uscita dal magazzino di stagionatura può quindi essere molto diverso; per questo motivo è importante il prezzo f.o.r. o franco stagionatore.

Gli importatori non dovrebbero — né sarebbe loro compito — occuparsi della stagionatura del prodotto importato. I magazzini di stagionatura di loro proprietà dovrebbero fungere solo da valvole di sicurezza per far maturare le partite invendute, onde evitarne la perdita. Con questo sistema, potrebbe anche accadere che facciano concorrenza ai loro clienti.

In realtà, ciò non avviene in Europa; la maggior parte dei magazzini di stagionatura sono divenuti proprietà degli importatori o sono a questi strettamente legati; la concorrenza inizia solo dopo la fine della stagionatura o nella fase della vendita all'ingrosso o al minuto. Ciò si comprende dal punto di vista strettamente commerciale: la stretta collaborazione tra importatore e grossista riduce i rischi della vendita. D'altro canto, le imprese del tutto indipendenti, che si occupano unicamente della stagionatura, hanno ormai un'importanza ridotta. L'espansione del sistema di rifornimento dei principali grossisti, che peraltro ha molto migliorato la qualità dell'offerta negli ultimi anni e che ha consentito di acquistare senza rischi un prodotto maturo, ha fatto venir meno progressivamente la stagionatura presso piccole imprese.

I problemi tecnici ed economici connessi con l'approvvigionamento, la stagionatura e la distribuzione, hanno indotto alcuni stagionatori ad appoggiarsi alla produzione. Benché sia difficile conoscere i legami che intercorrono fra le varie imprese che effettuano le varie operazioni, si possono distinguere gli stagionatori in due categorie:

quelli che dipendono da un circuito integrato, nel quale coltivazione e importazione sono nelle mani della stessa impresa; lo stagionatore completamente integrato alla produzione si approvvigiona prelevando sulle partite che riceve. E la stessa impresa che coltiva, esporta, importa e stagiona, vendendo ogni volta la frutta a sé stessa;

quelli che dipendono da un circuito semi-integrato, nel quale piantatore ed esportatore sono al massimo azionisti dell'impresa di stagionatura, che appartiene dunque ad un'impresa giuridicamente distinta da quella importatrice. I loro interessi sono però comuni ed i loro rapporti si improntano a fedeltà e fiducia. Per conservare il fornitore, lo stagionatore ha interesse a vendere al prezzo massimo; il fornitore, per promuovere questa politica dello stagionatore, tende a consegnargli la migliore qualità.

Queste due categorie comprendono la massima parte degli operatori del ramo e il maggior numero di impianti di stagionatura cosiddetti «industriali». Anche gli stagionatori indipendenti stipulano sovente contratti con diversi importatori per garantirsi determinati quantitativi in caso di penuria o, se hanno voce in capitolo, per giocare sui prezzi.

Gli Stati Uniti fanno eccezione in questo sistema: la United Brands (già United Fruit) era tempo addietro interessata alla attività di stagionatura, ma ha dovuto astenersene, come pure del resto Standard Fruit e Del Monte, in seguito ad una sentenza del 1958. Nel 1965 la United Brands ha istituito un sistema di vendita con prenotazione e in seguito pure la Standard Fruit ha seguito questa strada: i contratti si stipulavano tre settimane prima a prezzo fisso, con la garanzia che i prezzi sarebbero stati ritoccati se il prezzo di vendita franco vagone fosse stato più basso al momento della consegna. Questo sistema consentiva all'importatore di pianificare le consegne e avrebbe dovuto in teoria costituire per il mercato un elemento di stabilizzazione. Tuttavia, la maggior parte delle vendite sul mercato statunitense si effettua sempre franco vagone sulla banchina o poco prima dell'arrivo della merce al porto. Sia United Brands che Standard Fruit hanno istituito una rete nazionale di uffici di vendita e di rappresentanti locali che si tengono costantemente in rapporto con gli stagionatori professionali, le catene di negozi e i rivenditori indipendenti per garantire alla clientela il miglior servizio e consigliarli sulla qualità e sulla promozione delle vendite.

Sempre negli Stati Uniti, si è registrata in questi ultimi anni una nuova concentrazione della distribuzione per effetto dello sviluppo dei negozi con succursali e dei supermercati che assumono importanza sempre maggiore nelle vendite al minuto delle banane. Questi negozi effettuano direttamente la stagionatura di quasi tutte le banane loro occorrenti. I negozi con succursali possono perciò, entro certi limiti, fissare i loro prezzi e le loro condizioni di acquisto, purché non siano vassalli o associati di gruppi di importatori o non siano in connivenza con essi per sfruttare il mercato.

Anche in Europa, l'integrazione tra grossisti e dettaglianti guadagna terreno ed il commercio integrato ha tendenza a costituire propri impianti di stagionatura e a creare quindi una specie di contrappeso nei confronti delle imprese importatrici. Poiché gli stagionatori esercitano pure la vendita all'ingrosso delle banane, il grado di integrazione verticale della prima attività, per ragioni finanziarie, contrattuali o tecniche, ha forti ripercussioni sulla vendita di banane propriamente detta. A seconda del loro grado d'integrazione nell'organizzazione di vendita delle imprese bananiere, gli stagionatori-grossisti sono quindi un elemento del potere e della posizione di queste.

In breve, le condizioni di acquisto, di trasporto e di trattamento delle banane sono del tutto speciali. La diminuzione delle spese, connessa all'entità delle aziende, è particolarmente rilevante nella coltivazione e nel commercio di questo frutto. La tendenza all'ampliamento delle aziende va di pari passo con l'aumento dell'intensità del capitale, con l'impiego dei mezzi moderni di produzione, nonché con l'organizzazione razionale delle aziende. Trattandosi di un prodotto coltivato in zona tropicale, ma venduto nei paesi importatori della zona temperata, produzione e distribuzione delle banane sono diventate operazioni caratterizzate da un alto grado di integrazione. Le organizzazioni o ditte commerciali che provvedono ad avviare le banane al porto d'imbarco si occupano in genere anche, in tutto o in parte, della stagionatura e della vendita del prodotto. Solo grandissime ditte importatrici possono sperare di vendere vantaggiosamente le banane intervenendo nelle varie fasi dell'attività della catena di produzione e di distribuzione. Non sorprende quindi che produzione e distribuzione siano effettuate da imprese che dispongono non solo di ampi mezzi finanziari, ma pure di tecniche progredite e di metodi moderni di gestione. La maggior parte di esse ha una propria flotta o ha stipulato contratti di nolo a lunga scadenza. La loro struttura è molto diversificata; esse stesse o le loro affiliate sono i maggiori importatori. Insomma, sono imprese transnazionali o multinazionali.

Dette imprese profittano naturalmente delle loro strutture di vendita perfettamente integrate e del controllo che possono esercitare sulle loro fonti di approvvigionamento. Benché siano obbligate a fare i programmi di caricamento e di vendita con molto anticipo, esse sono in grado di mutare rapidamente la destinazione delle spedizioni, onde evitare di vendere su mercati depressi e sfruttare la maggior vivacità di altri; esse possono pure parzialmente rimediare ai cali temporanei di produzione di una data zona approvvigionandosi in un'altra.

La funzione di dette imprese nella produzione di banane propriamente detta è diminuita, ma la loro partecipazione all'attività di vendita ammonta ancora al 70 % circa in valore. Il trasporto marittimo delle banane è ampiamente controllato da interessi estranei ai paesi esportatori, che praticamente non partecipano a detta attività. Nelle repubbliche produttrici di banane, la catena di vendita delle banane rimane, per oltre l'80 %, sotto il controllo effettivo di imprese aventi sede in paesi sviluppati ad economia di mercato. Questi paesi assorbono oltre i '/10 delle importazioni complessive. Il commercio mondiale delle banane è caratterizzato da una concorrenza oligopolistica tra grandi imprese transnazionali. La struttura della vendita al minuto della banana nei paesi dell'Europa occidentale si è trasformata: le piccole imprese indipendenti che vendevano su un mercato concorrenziale a prezzi determinati dall'offerta e dalla domanda, a breve termine, hanno ceduto il posto a imprese dominate da grandi «conglomerati» che vendono a prezzi spuntati con sistemi quali la differenziazione del marchio, il condizionamento psicologico del consumatore, le quotazioni a lunga scadenza o gli accordi di fornitura. Tuttavia, il processo di concentrazione del commercio, che ha fatto diminuire il numero dei rivenditori al minuto, ha pure fatto intensificare la concorrenza («guerra delle banane»). Nel settore della distribuzione degli ortofrutticoli, questo mutamento ha implicato che la vendita si operi nei negozi d'alimentari che dispongono di un vasto assortimento di tali prodotti. Detti negozi sono sempre meno accessibili ai grossisti, giacché essi si rivolgono sempre più frequentemente a centrali d'acquisto che svolgono i compiti tradizionali dei grossisti per il complesso delle merci vendute. Le banane, la cui stagionatura ha ulteriori esigenze, hanno risentito in misura minore di detto mutamento. Benché alcune centrali dispongano già di locali di stagionatura, esse si limitano a trattarvi le banane occorrenti al loro fabbisogno fisso, acquistando il resto all'esterno onde disporre di possibilità di compensazione. Però, dati i notevoli quantitativi occorrenti, dette centrali possono rivolgersi solo ai grossisti di primissimo piano.

Contrariamente a quanto si è fatto per quasi tutti gli altri frutti, per le banane non è ancora stato possibile emanare norme di qualità applicate da tutti; ciò è dovuto in particolare al fatto che il frutto non è posto in vendita isolato, ma fa parte di un casco nel quale le banane si trovano spesso in condizioni diverse. Per questo motivo vi sono marchi «privati» accanto ad etichette nazionali di normalizzazione.

C — Il mercato geografico

Così pure le banane, benché rientrino nei prodotti agricoli elencati nell'allegato II del Trattato, disciplinati dagli ara. 39-46, esulano dall'organizzazione comune del mercato degli ortofrutticoli. I sostenitori di un sistema che garantisca il libero accesso al consumatore e che tenga conto delle differenze di prezzo e di qualità e i sostenitori di un'organizzazione di mercato destinata del pari a tutelare i produttori non sono riusciti a mettersi d'accordo. Di conseguenza, parallelamente alle disposizioni del Trattato di Roma, continuano a coesistere vari regimi d'importazione che rispecchiano questa o quella politica commerciale dei singoli Stati membri.

Anche nell'ambito stesso del regime istituito dal Trattato, si deve distinguere tra le norme generali, alla luce della data di adesione dei singoli Stati al Trattato di Roma, del regime vigente per le banane dei dipartimenti e territori d'oltremare francesi e degli Stati associati contemplati dall'art. 131 ed elencati nell'allegato IV (Stati africani e malgascio) e degli Stati che, prima di aderire, nel febbraio 1975, alla Convenzione ACP — CEE di Lomé, facevano parte del Commonwealth e, infine, del regime in vigore nella Repubblica federale di Germania in virtù del protocollo relativo al contingente tariffario per l'importazione delle banane, allegato alla Convenzione d'applicazione relativa all'associazione alla Comunità dei paesi e territori d'oltremare. Detto protocollo è sempre rimasto in vigore dal 1o gennaio 1958. A norma dell'art. 239 del Trattato, esso fa parte integrante di quest'ultimo, il che trova conferma nell'art. 2, 3o comma, della prima Convenzione di associazione stipulata a Lomé il 20 luglio 1963, che ha sostituito la Convenzione di applicazione allegata al Trattato.

Ponendo in relazione il regime da applicarsi a seconda della provenienza delle banane ed il regime da applicarsi a seconda delle zone in cui vengono consumate, si ottiene il seguente mosaico:

Le banane importate nei paesi del Benelux e provenienti dai mercati liberi dei paesi terzi (per lo più i paesi latino-americani) sono soggette al dazio della tariffa esterna comune pari al 20 % ad valorem. Di fatto, questo prodotto costituisce oltre il 98 % delle importazioni di banane nel Benelux.

Le importazioni nei Paesi Bassi e nel Lussemburgo sono soggette alla imposta sul valore aggiunto pari al 4 %; nel Belgio, esse sono soggette alla tassa di trasferimento pari al 14 %.

Le importazioni dai paesi e territori associati godono di franchigia doganale.

Pure nella Repubblica federale di Germania non vigono restrizioni quantitative all'importazione e le banane provenienti dai dipartimenti o territori d'oltremare e dagli Stati associati alla CEE possono venir importate in esenzione da dazi doganali.

Le importazioni da paesi terzi soggiaciono in linea di massima al dazio della tariffa esterna comune pari al 20 %. Tuttavia, a norma del protocollo summenzionato, la Repubblica federale di Germania fruisce di un contingente annuo in esenzione doganale pari al 75 % delle importazioni dai paesi terzi nel 1956, cui si aggiunge un importo pari al 50 % della differenza tra il totale delle importazioni (senza distinzione di provenienza) dell'anno precedente l'anno in corso e detto quantitativo di base (290000 tonnellate).

A norma del punto 4, 3o comma, del protocollo, il Consiglio, pronunciandosi a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide circa la soppressione o la modifica di detto contingente. Di fatto, la Repubblica federale di Germania ottiene ogni anno, dagli altri Stati membri, un contingente tariffario supplementare che, aggiunto al contingente di base, serve a far fronte all'intero consumo tedesco.

Se i paesi e i territori contemplati all'art. 131 non riescono a fornire i quantitativi richiesti dalla Repubblica federale di Germania, questa può chiedere un aumento del contingente da importarsi in franchigia.

Al momento della firma del protocollo, la Repubblica federale di Germania, mediante il proprio plenipotenziario, si dichiarava «pronta a incoraggiare le misure che potrebbero essere adottate da parte degli interessi privati tedeschi per favorire la vendita nella Repubblica federale delle banane provenienti dai paesi e territori associati d'oltremare». Così pure, in forza dell'allegato XI all'atto finale della seconda Convenzione stipulata a Yaoundé il 29 luglio 1969, «qualora i quantitativi chiesti dalla Repubblica federale di Germania superino il contingente tariffario ad essa riservato in virtù del protocollo … del 25 marzo 1957, gli Stati associati esportatori saranno consultati sulle loro possibilità di fornire, in condizioni appropriate, in tutto o in parte i quantitativi richiesti dalla Repubblica federale di Germania».

In realtà, nulla ha modificato la struttura tradizionalmente latino-americana degli approvvigionamenti di questo paese, salvo che le forniture dell'America centrale sono aumentate rispetto a quelle dell'America del Sud. In linea generale, d'altronde, il peso dei produttori di banane tutelati da preferenze è costantemente diminuito nel commercio mondiale ed è lecito ritenere che, per accedere ai mercati ritenuti liberi, continueranno a trovare l'ostacolo costituito dagli accordi in materia di navigazione e di distribuzione e dai circuiti commerciali tradizionali.

Una tassa sul valore aggiunto pari al 5,5 % è applicata alle varie fasi di vendita.

In Francia, il mercato è in gran parte appannaggio dei paesi e territori d'oltremare (circa due terzi) e dei paesi africani dell'area del franco (circa un terzo), le cui banane vengono importate in franchigia.

Le importazioni dagli altri paesi sono soggette, oltre che al dazio del 20 %, a contingentamenti e licenze. I contingenti sono fissati all'inizio di ogni stagione e modificati durante l'annata a seconda della situazione del paese.

Inoltre, a questo regime si aggiunge un'organizzazione — o quanto meno gli elementi di un'organizzazione nazionale di mercato. Vi sono decreti che stabiliscono le norme sull'imballo e sulla scelta; la classificazione, che conferisce molta importanza all'aspetto esterno, stabilisce i requisiti di qualità delle banane dei dipartimenti d'oltremare e contempla tre categorie: extra, categoria I e categoria II, messe in evidenza da contrassegni o etichette. Di conseguenza, i marchi non sono quasi utilizzati in Francia. Il consumatore è tutelato dal servizio per la repressione delle frodi.

L'esecuzione della politica nazionale nel settore specifico è affidata al Comité interprofessionnel bananier (CIB) che raggruppa rappresentanti dei produttori-esportatori dei dipartimenti d'oltremare e dei paesi africani dell'area del franco, delle compagnie di navigazione, degli importatori, grossisti-stagionatori, del commercio al minuto e dei servizi ministeriali e ufficiosi interessati.

Un «prezzo auspicabile» è stabilito ogni anno dall'amministrazione sulla base vagone-partenza; il prezzo al minuto è limitato dalla legge. Le importazioni complessive sono calcolate in modo che il prezzo all'importazione si stabilisca al livello desiderato.

D'intesa con le pubbliche autorità, il CIB determina ogni mese i quantitativi di banane da importarsi secondo le quote di ciascun paese produttore e redige le previsioni per i mesi o i trimestri venturi tenendo conto del consumo stagionale in Francia e delle previsioni di produzione. La sua funzione è quella di risanare il mercato ed evitare le forti oscillazioni di prezzo provocate dagli eccessi di acquisti o dalla scarsità di scorte, sempre tenendo conto degli interessi della produzione e del commercio.

Inoltre, un'associazione per gli interessi economici bananieri (GIEB) è incaricata di adattare costantemente l'offerta e la domanda nell'ambito di una convenzione stipulata con il direttore generale del commercio interno e dei prezzi. Il GIEB acquista presso la Compagnie des bananes, affiliata dell'United Fruit, i frutti che essa importa, tra l'altro, dall'America centrale.

Gli importatori non devono sopportare, per quel che riguarda la parte essenziale delle loro attività, nessun rischio di prezzo e di vendita, poiché le vendite si effettuano secondo il principio della commissione, per conto dei produttori. Ciascun importatore-mandatario dell'area del franco fruisce delle importazioni supplementari delle banane di paesi terzi, tramite il GIEB, in funzione del rispettivo fatturato; egli ripartisce poi le banane tra gli stagionatori suoi clienti secondo le loro precedenze.

Certamente, dalla fine del periodo transitorio, la Francia non può fare alcuna discriminazione nei confronti delle banane importate dagli altri Stati membri, originarie di paesi terzi (America del Sud, ad esempio) e che sono in libera pratica sul loro territorio, cioè per le quali è stato versato il dazio esterno comune del 20 %; essa non può nemmeno impedire ai suoi importatori di acquistare direttamente nei paesi terzi, sempre versando il dazio esterno comune, né — dopo la sentenza Charmasson — può praticare discriminazioni quantitative o di prezzo per le banane importate dai paesi associati a seconda che siano o meno in rapporti speciali con essa. Però esisteva, e continua ad esistere, una vera organizzazione nazionale del mercato della banana, che non consente di ritenere che la vendita di questa derrata si svolga in condizioni di piena concorrenza.

In Italia, dacché nel 1965 è stato abolito il monopolio di Stato per la vendita delle banane, le importazioni dai paesi associati sono state liberalizzate, ma le importazioni dai paesi terzi sono sempre soggette a un regime di contingenti globali, stabiliti mediante circolari, per poter fruire dei quali gli importatori devono fare domanda.

Il dazio per le banane dei paesi terzi è quello della tariffa esterna, cioè 20 %; l'IVA del 6 % è stata ridotta al 3 % nel 1973 per un periodo di 3 anni. Si applica però un'imposta al consumo di 110 lire/kg (cioè più del 100 % del valore cif) per le banane di qualsiasi origine.

Inoltre, contratti di nolo delle navi straniere destinate al trasporto delle banane sono soggetti all'esame del Ministero della marina mercantile e dell'ufficio dei cambi. Questo provvedimento serve a garantire l'equilibrio della bilancia dei pagamenti e a controllare i trasferimenti relativi alle partite invisibili. Nemmeno in questo caso si può parlare di un regime di piena concorrenza.

Quanto ai nuovi Stati membri, la loro adesione alla Comunità economica europea dal 1o gennaio 1973, ha portato ad un allineamento progressivo, tra il 1o gennaio 1974 e il 1o luglio 1977, del dazio doganale applicato alle importazioni dai paesi terzi, nei confronti della tariffa esterna comune. Questo dazio era dell'8 % nel 1974 e del 12 % nel 1975. Ciò si verifica in Danimarca, che acquista banane solo nell'America del Sud, mentre in precedenza acquistava pure alle Canarie, e in Irlanda, che in passato importava soprattutto dai Caraibi e dal Commonwealth, ma che, negli ultimi anni, si è del pari orientata verso l'America centrale e meridionale.

Nel Regno Unito, infine, le banane provenienti dai paesi del Commonwealth, hanno continuato a venir importate in franchigia; esse possono pure venir importate negli altri Stati membri alle stesse condizioni dopo l'entrata in vigore della Convenzione ACP — CEE di Lomé.

In questo paese, il mercato è suddiviso tra la Giamaica e le Isole del Vento. Il regime di importazione è caratterizzato dalla conservazione di un livello di produzione a vantaggio dei territori in via di sviluppo del Commonwealth. Il prezzo versato alle associazioni di produttori delle Isole del Vento è direttamente connesso al prezzo di vendita del frutto verde praticato nel Regno Unito (green market price): l'impresa di export-import diventa proprietaria delle banane f.o.b. dal porto d'imbarco. L'introito finale del Jamaica Banana Board dipende dal prezzo versato dallo stagionatore del Regno Unito per il frutto verde (green boat price), però i produttori riscuotono un prezzo minimo garantito sostenuto, se necessario, dal governo giamaicano.

Le importazioni dall'area del dollaro sono soggette a licenze con una quota base annua; licenze supplementari vengono concesse se lo richiede la situazione del mercato. Mentre le banane del Commonwealth sono importate liberamente, un dazio di 7,50 £ per tonnellata lunga, cioè circa il 10 % ad valorem, è riscosso sulle importazioni di banane di origine diversa.

Quindi si deve fare astrazione dalla Francia, dall'Italia e dal Regno Unito a motivo delle situazioni particolari che sussistono quanto ai regimi di importazioni, alle condizioni di vendita ed alle caratteristiche del frutto ivi venduto. Come territorio da prendere in considerazione per l'applicazione delle norme sulla concorrenza, restano il Benelux, la Danimarca, la Repubblica federale di Germania e la Repubblica d'Irlanda, per i quali però persiste la differenza tra tariffe esterne comuni a seconda del paese. Nonostante le difficoltà di applicare in tale situazione le norme sulla libera concorrenza sancite dal Trattato, non è il caso di rinunciarvi a priori. Anzitutto, si deve stabilire se la ricorrente goda realmente di una posizione dominante sul mercato geografico così determinato.

II — Esistenza di una posizione dominante

Tre ditte o gruppi bananieri svolgono la loro attività almeno in più paesi della zona descritta: Castle and Cooke, Del Monte e United Brands Co.

Di queste solo l'ultima è rappresentata in tutti i paesi della Comunità. Essa svolge la propria attività tramite un certo numero di affiliate, la principale delle quali è la società «chiusa» olandese; United Brands Continentaal di Rotterdam, diretta responsabile del coordinamento delle vendite nella parte sostanziale del mercato comune di cui ci occupiamo. D'altro canto, la United Brands ha designato l'affiliata United Brands Continentaal come sua rappresentante nel procedimento amministrativo.

La società madre è stata costituita nello Stato del New Jersey nel 1899, con la ragione sociale di United Fruit Co. L'attuale denominazione, United Brands Co., è stata assunta nel 1970, dopo la fusione con l'AMK Corp. Essa si occupa soprattutto della produzione, della trasformazione e della distribuzione di prodotti alimentari, i principali dei quali sono le banane, la carne e gli ortaggi. Essa gestisce pure ristoranti in concessione. Nel settore extra alimentare, essa si occupa della produzione e della vendita di piante ornamentali, di prodotti di plastica, ecc. La sua sfera di attività comprende pure le telecomunicazioni internazionali.

Esula dall'ambito delle presenti conclusioni l'esporre tutte le vicende di questa società che più di una volta è assurta agli onori della cronaca finanziaria, giuridica e anche politica in campo inter-nazionale. Quello che ci interessa qui è che essa' è l'esempio del modello di cui ho esposto le caratteristiche nell'introduzione generale.

Sotto il profilo della produzione, la United Brands coltiva circa 194000 acri di sua proprietà, ubicati principalmente in Costa Rica, nell'Honduras e nel Panama.

Essa integra la «coltivazione diretta» con contratti di coltivazione stipulati con i produttori, specie in Colombia e nel Surinam. Le banane di quest'ultimo paese sono vendute da un'impresa che riunisce sei aziende di Stato, nell'ambito di un contratto quinquennale stipulato con l'affiliata olandese della United Brands. Oltre alla vendita delle banane di sua produzione, la United Brands dispone di un quasi monopolio per la vendita delle banane del Surinam, già citato, della Guyana britannica e del Camerun. Essa opera una parte delle spedizioni dalla Somalia e dalla Giamaica. I suoi dipendenti ammontano a circa 50000.

La United Brands vende di preferenza le banane del tipo che essa stessa coltiva, cioè del tipo Cavendish e più precisamente della varietà Valéry. Abbiamo già detto che essa aveva molto stimolato i propri fornitori a dedicarsi a questa varietà, il che aveva provocato anche in altre ditte una forte tendenza a coltivarla.

La flotta bananiera di proprietà della United Brands o delle sue affiliate è la prima del mondo; essa comprende circa quaranta navi, con una capacità di 9,5 milioni di piedi cubi. Mentre la United Brands e le sue affiliate in teoria potrebbero, senza far ricorso ai noli esterni, convogliare circa il 65 % delle esportazioni di merce loro, la Del Monte, ad esempio, non potrebbe probabilmente trasportarne più di un terzo. Ogni settimana, vi sono quindi un arrivo a Rotterdam e vari arrivi a Bremerhaven, senza citare Goteborg. L'impiego di tutte le navi messe in linea per la United Brands sulle rotte dell'Europa nord-occidentale è coordinato dall'armatrice svedese Sven Salén AB.

Sul piano della distribuzione, e per limitarci agli Stati membri in questione, la United Brands importa, stagiona e distribuisce le sue banane come segue:

La maggior parte della banane vendute nell'unione economica belgo-lussemburghese sono o importate via Anversa oppure inoltrate per ferrovia da Rotterdam. La United Brands distribuisce le sue banane tramite due ditte: BM Spiers and Son di Anversa (acquistata dalla United Brands nel 1962) e Banacopera. In Belgio vi sono circa 40 stabilimenti di stagionatura: 13 appartengono alla Spiers, tredici altri fanno parte della cooperativa Banacopera, legata alla United Brands mediante accordi di distribuzione. Non è superfluo ricordare che la Spiers, con tre altri importatori di ortofrutticoli, è stata dichiarata colpevole di abuso di potenza economica in un regio decreto del 7 novembre 1973.

In complesso si può ritenere che la percentuale della United Brands nelle importazioni sul mercato belgo-lussem-burghese sia del 47 %.

La risposta data dalla United Brands alla domanda ad essa rivolta circa il grado di dipendenza degli stagionatori del Benelux nei suoi confronti è stata evasiva. Tuttavia, pur sulla base del volume settimanale medio acquistato durante i quattro primi mesi dell'anno 1977, risulta che il tasso effettivo d'impiego della capacità teorica di stagionatura «Chiquita» è molto superiore a quella di cui dispongono in teoria, a titolo esclusivo, i concorrenti della United Brands, capacità teorica che è d'altronde molto inferiore, in cifre assolute, alla capacità «Chiquita».

Nei Paesi Bassi, il maggior importatore di banane è naturalmente la United Brands Continentaal, che a Rotterdam si serve degli impianti della Müller and Co. Essa riesporta la metà della merce che essa tratta nel Belgio, nella Repubblica federale di Germania, nella Repubblica d'Irlanda ed anche in Svizzera.

Alcune altre ditte importano banane diverse da quelle della United Brands, via Amburgo o via Anversa.

In totale, la quota della United Brands nel complesso delle importazioni nel mercato olandese è del 41 %.

Nei Paesi Bassi vi sono circa cento stagionatori, il 75 % circa dei quali è strettamente legato alla United Brands Continentaal e distribuisce solo banane di questa ditta.

In Danimarca si ritiene che la United Brands effettui il 47 % delle vendite complessive di banane. La Danimarca importa solo banane del centro e sud America, via Rotterdam e Bremerhaven, talvolta via Goteborg.

Il mercato della Repubblica d'Irlanda è stato rifornito dalla United Brands dal dicembre 1973 via Rotterdam e Bremerhaven. Le banane sono vendute cif Dublino. Una parte delle banane sud-americane che giungono a Dublino viene riesportata nel Regno Unito. Dal 3 % della fine del 1973, la quota della United Brands nel mercato irlandese ha raggiunto quasi il 30 % dal secondo trimestre del 1974.

Il movimento di concentrazione nella vendita all'ingrosso e al minuto delle banane nella Repubblica federale di Germania è stato quello più marcato in questi ultimi tempi, data la crescente importanza assunta dalle centrali di acquisto. Operazioni d'integrazione si sono svolte tra importatori e stagionatori-grossisti e il fenomeno si è esteso talvolta fino alla vendita al minuto. Si ritiene giunga al 60-70 % la quota dei grandi magazzini con varie succursali nella vendita di banane all'ingrosso e al minuto.

In molti casi, questi negozi hanno scavalcato importatori e stagionatori tradizionali. Gli importatori tedeschi non hanno in genere interessi diretti nelle piantagioni; essi acquistano f.o.b., o direttamente dai produttori o tramite i commissionari acquirenti nel paese produttore. Essi possono permetterselo tanto più facilmente in quanto — grazie al protocollo sul contingente tariffario — essi acquistano senza alcun onere di dazio doganale.

Le imprese importatrici si occupano direttamente, in generale, dei trasporti per mare, o mediante la loro flotta o con voli «charter».

Questo è ad esempio il caso del gruppo Scipio-Atlanta. La struttura del gruppo e le sue relazioni con la United Brands sono rimaste piuttosto oscure, nonostante le domande rivolte dalla Corte alla United Brands.

Pare che la Scipio Fruchtvertrieb KG di Brema, il cui accomandante è la Scipio und Co. KG pure di Brema, sia succeduta alla soc. «Atlanta» Handelsgesellschaft Harder und Co. di Brema, il che ha dato origine alla ragione sociale «Scipio-Atlanta».

Le sue principali affiliate sono le ditte Harder, Meiser und Co. (Hameico) di Brema e Olff, Kopke und Co. di Amburgo (Olfko) che sono stagionatori con svariate succursali.

Queste ultime due ditte si suddividono la terza parte degli stabilimenti di stagionatura esistenti nel territorio federale (circa ottanta). Esse stagionano quasi esclusivamente le banane della United Brands importate dal gruppo Scipio-Atlanta. Dai documenti prodotti si rileva che quasi tutti gli stabilimenti di stagionatura ubicati presso le frontiere appartengono a questo gruppo.

La Scipio-Atlanta usa in permanenza, in virtù di accordi di nolo a tempo, i vapori frigoriferi (capacità 2,5 milioni di piedi cubi) della società armatrice Union Partenreedereien Scipio und Co. di Brema, i cui soci sono praticamente gli stessi della Scipio-Atlanta, per il trasporto delle banane, acquistate presso la United Brands, nei porti dell'Europa nord-occidentale.

I calendari di partenza sono stabiliti dal gruppo svedese Sven Salén AB.

Le banane vengono trasbordate a Bremerhaven, mediante impianti gestiti dalla Bananenlösch-Anlage GmbH. Con la Schiffahrts- und Speditionsgesell-schaft Meyer und Co., quest'ultima società ha rilevato l'attività dell'ex Union Handels- und Schiffahrtsgesellschaft mbH, che era in rapporti privilegiati con l'ex United Fruit. La United Brands si avvale pure della Speditionsge-sellschaft per l'inoltro di banane sbarcate a Bremerhaven e vendute a stagionatori diversi dalla Scipio-Atlanta.

Poiché è la Sven Salén che coordina pure i trasporti della United Brands verso l'Europa e se si tiene presente l'importanza rivestita dai trasporti transoceanici nella «catena bananiera», è facile immaginare che i vincoli che esistono tra la United Brands e la Scipio-Atlanta devono essere, già per questo solo motivo, di tipo particolare.

Per di più, la maggior parte delle banane stagionate e vendute dal gruppo Scipio-Atlanta proviene dalla United Brands. Indubbiamente, come ho detto, queste banane sono acquistate fob per motivi di cambio, grazie al protocollo sul contingente tariffario, per essere smerciate nella Germania federale o in Austria, ma resta il fatto che sono della varietà Valéry e che la maggior parte è marchiata «Chiquita». Come risulta dalla risposta data dalla United Brands alla domanda rivoltale, vi sono accordi di consegna e di prezzo tra questi due gruppi. Benché sia una società giuridicamente distinta dalla United Brands, la Scipio-Atlanta è il cliente tedesco più importante della United Brands e in sostanza ne dipende per l'approvvigionamento.

D'altro canto, la United Brands esercita un controllo tecnico sulla stagionatura delle sue banane, effettuata dal gruppo Scipio, altrettanto immediato che se gli impianti di stagionatura fossero di sua proprietà.

La Scipio — come qualsiasi altro distributore-stagionatore legato alla United Brands — osserva l'obbligo di non rivendere le banane «Chiquita» allo stato verde, e da trent'anni questo gruppo non ha mai tentato di agire in modo indipendente rispetto alla United Brands.

Infine vi sono «accordi di lavoro» tra la Scipio e la United Brands sul piano della «cooperazione promozionale», che riguardano di fatto le spese di lancio sul mercato, finanziate in tutto o in parte dal fabbricante-produttore (azioni sui prezzi, animazione dei punti di vendita, campagne pubblicitarie …) a richiesta dello stagionatore-distributore.

Le indicazioni fornite dalla United Brands in risposta alla domanda ad essa rivolta, pur se incomplete, consentono di accertare che, come nel Benelux, il tasso d'impiego della capacità teorica esclusiva o privilegiata «Chiquita», per effetto dei diritti di proprietà o di contratti (Van Wylick, Scipio, Hameico, Olfko), è stato molto superiore al tasso d'impiego della capacità teorica degli stagionatori che non trattano solo banane Chiquita, che d'altronde è molto inferiore alla capacità Chiquita. La quota del gruppo Scipio-Atlanta sul mercato delle banane nella Repubblica federale di Germania ammonta a circa il 41,5 %.

La United Brands vende pure le sue banane a stagionatori indipendenti, che acquistano solo da essa, specialmente alla Van Wylick di Dusseldorf. La quota di mercato di cui la United Brands dispone in questa forma è pari al 10,2 % circa. Però il cliente principale della United Brands nella Repubblica federale resta il gruppo Scipio-Atlanta.

In questo Stato, la quota approssimativa del mercato posseduta dalle banane United Brands (marchio Chiquita o banane United Brands non marchiate) ammonta, sia grazie alle vendite dirette della United Brands, sia tramite la Scipio-Atlanta, al 51,7 %.

Per il complesso del mercato territoriale definito dalla Commissione nella decisione impugnata, la quota della United Brands raggiunge circa il 45 %.

La ricorrente sostiene che, pur se si ammette che essa detenga una quota del mercato stimata al 45 % — di fatto questa percentuale sarebbe scesa al 41 % circa nel 1975 — detta quota è comunque molto meno cospicua di quella che detenevano le imprese a carico delle quali la Commissione aveva in precedenza accertato delle infrazioni dell'art. 86 del Trattato, in particolare la Continental Can.

Sono d'accordo nel riconoscere che la sola quota del 45 % non consente di concludere che la United Brands controlli il mercato e goda di posizione dominante. Però, indipendentemente da altri fattori sui quali tornerò, è opportuno rilevare che detta percentuale, già elevata, costituisce di per sé un elemento importante, giacché significa una quota di mercato tre volte superiore a quella del più potente concorrente della United Brands, cioè la Castle and Cooke, che giunge appena al 16 % del mercato in questione, mentre la Del Monte, secondo concorrente in ordine di importanza, non supera il 10 % e tutti gli altri concorrenti non giungono nemmeno a questa percentuale.

Una simile struttura del mercato, da cui risalta la posizione preminente della United Brands rispetto ai suoi concorrenti, basterebbe già a consentire di affermare — sostiene la Commissione nel controricorso — che la United Brands gode di una posizione dominante.

Senza giungere a condividere questo atteggiamento, ritengo, da parte mia, che la quota di mercato detenuta dalla United Brands sia uno degli elementi, per non dire il principale, che comprovano la sua forza economica, tenuto conto della struttura del mercato.

Così pure, ciò non significa affatto che ogni concorrenza sia stata eliminata. Anzi mi consta che alcuni concorrenti della United Brands hanno ripetutamente tentato di toglierle il primo posto. Così la Castle and Cook, nel 1973, ha condotto in Germania e in Danimarca una campagna di pubblicità e di promozione di ampie dimensioni, con riduzioni di prezzo; nello stesso periodo il gruppo Alba ha tentato di far cadere i prezzi e ha offerto articoli promozionali; più recentemente, la Velleman e Tas ha fatto una concorrenza così vivace in Olanda che i prezzi delle banane sono scesi sotto il livello del mercato tedesco, che per tradizione è il più basso.

Si deve però constatare che queste imprese, malgrado i loro sforzi, non sono riuscite nel loro intento e non sono pervenute a scalzare la posizione dominante della United Brands, né a migliorare la loro posizione sui vari mercati nazionali. Del resto, questi attacchi sporadici e isolati non sono mai stati condotti sull'intero fronte del mercato in questione e questa osservazione consente di rilevare che un'impresa, se agisce su una zona soltanto del mercato di cui trattasi, non ha alcuna possibilità di contrapporsi efficacemente all'azione della United Brands, la quale, al contrario, si esercita su tutto il mercato e impernia le vendite su una centrale unica, l'affiliata United Brands Continentaal, il che le consente, in particolare, di fruire di dimensioni ottimali e di disporre di un sistema di distribuzione più elastico, onde adeguarsi immediatamente alle oscillazioni di prezzo e alle capacità di assorbimento dei mercati nazionali degli Stati membri in questione.

Per farsi un'idea completa della potenza economica della United Brands nella CEE, è opportuno ricordare in breve anche la sua posizione negli Stati membri che non fanno parte del «mercato di cui trattasi».

Nel Regno Unito, la Fyffes Group Ltd., affiliata completamente controllata dalla United Brands, opera su commissione per conto dell'Ufficio bananiero della Giamaica ed effettua con questo sistema il 40 % delle importazioni di banane del Regno Unito. Essa stagiona l'80 % delle importazioni della United Brands su questo mercato.

In Francia, la Compagnie des bananes SA., affiliata al 100 % della United Brands, e Omer-Decugis et Fils, affiliata all'81 %, distribuiscono una parte rilevante delle importazioni francesi.

Infine, in Italia la Compagnia italiana della frutta S.p.A., affiliata al 100 % della United Brands, acquista le banane, in particolare, in Somalia a prezzo f.o.b.

In complesso, si può ritenere che la United Brands tratti un terzo delle banane importate e vendute nella Comunità.

A tutto ciò si aggiunge il marchio.

Ho già accennato al fatto che la United Fruits Co. era stata la prima ad introdurre, nel 1967 circa, la pratica dell'etichettatura delle banane mediante apposizione del marchio «Chiquita». Poi è venuta la Standard Fruit con il marchio «Cabana». È comparso in seguito il marchio «Dole» ecc. Queste ditte, specie la United Fruit, hanno fatto investimenti pubblicitari notevoli, prima negli Stati Uniti, poi nell'Europa occidentale. Nella pubblicità per il marchio «Chiquita» sono stati posti in rilievo i vantaggi di un frutto di qualità superiore, accuratamente selezionato ed etichettato ai tropici, insistendo sulla garanzia data ai dettaglianti circa la regolarità delle spedizioni di frutti di qualità uniforme, di bell'aspetto e di buona conservazione nei locali di vendita. In realtà la United Fruit aveva il vantaggio di poter controllare completamente le sue fonti di approvvigionamento ed è stata la prima a lanciare sul mercato banane marchiate. I concorrenti hanno avuto un certo ritardo nell'allinearsi su questa politica; hanno dovuto far fronte alle spese rilevanti causate dall'adozione di un marchio che valeva per prodotti di origine diversa e non sempre sono riusciti a procurarsi frutti della stessa qualità in quantità sufficiente.

Illustrando l'importanza e i motivi di dette campagne pubblicitarie, il vice direttore generale della United Fruit dichiarava, all'inizio degli anni 60, in una riunione di azionisti: «se tengo tanto ad avere l'esclusiva di un marchio e ad impostare le vendite su un prodotto marchiato, lanciato con una pubblicità fortemente controllata e tutelata, è proprio perché penso che spesso si possano così impedire le attività distruttrici di alcuni imprenditori atte a produrre effetti disastrosi per l'intera categoria. Se riusciamo a dare del nostro prodotto un'immagine ben differenziata, cosicché la massaia sappia quando acquista una banana “Chiquita”, ch'essa riconoscerà dal marchio della banana che il frutto corrisponderà alle promesse fatte nella nostra pubblicità, penso che ci accattiveremo i consumatori e la minaccia della concorrenza avrà effetti salutari, invece che deleteri».

A giudicare dal grado di penetrazione sul mercato e dal successo ottenuto nella vendita al consumo dalle «Chiquita», pare che questa politica commerciale sia stata indovinata.

Ora, la Federai Trade Commission degli Stati Uniti ritiene che l'adozione di un programma pubblicitario efficace in un ramo industriale in cui non esiste la differenziazione pubblicitaria costituisca una grave minaccia per la concorrenza.

Sempre secondo la Federai Trade Commission, la strategia delle campagne condotte dalla United Fruit per il lancio del suo marchio era dettata da progetti a lunga scadenza della società, miranti a ridurre i costi di produzione fino alla eliminazione definitiva dei vantaggi di cui godeva la concorrenza sotto il profilo dei costi. Come azione a breve termine, fu tuttavia deciso di escogitare un mezzo per guadagnarsi la preferenza del consumatore. Questa decisione venne presa in quanto, per il consumatore, non vi erano differenze di qualità né di prezzo tra le banane della United Fruit e le altre. A qualità analoga, il consumatore acquistava la banana meno cara. Per questo motivo il prodotto nella United Fruit è divenuto praticamente un prodotto marchiato; «Chiquita» è diventato un vocabolo comune e United Brands ora gode di una «rendita di notorietà». I dettaglianti non possono più permettersi di non offrire questa marca; il caso Olesen lo dimostra.

A giudizio del commissario Thompson, nel caso della lattuga, trasformare in un prodotto marchiato un prodotto che in precedenza era venduto in un mercato depresso costituisce una pratica chiaramente incompatibile con la conservazione di un'economia di mercato effettivamente concorrenziale.

Per tutti questi motivi, la United Brands ha una potenza economica cospicua; essa controlla una parte molto rilevante dell'importazione di banane nei paesi in questione; essa è quindi in grado di esercitare un'influenza preponderante sugli approvvigionamenti, sui prezzi e sulla qualità delle sue derrate. Essa corrisponde dunque alla definizione di posizione dominante data nella motivazione della decisione «Europemballage»:

«Considerando che un'impresa si trova in posizione dominante quando può disporre di un'ampia libertà di comportamento che le permette di agire prevalentemente senza tener conto dei concorrenti, degli acquirenti o dei fornitori; che questa situazione si presenta quando tale impresa, in virtù della sua parte di mercato o della sua parte di mercato unita in particolare al possesso di conoscenze tecniche e alla disponibilità di materie prime o di capitali, ha la possibilità di determinare i prezzi o di controllare la produzione o la distribuzione di una parte cospicua dei prodotti considerati, che questa possibilità non deve necessariamente scaturire da un dominio assoluto che consenta all'impresa in questione di eliminare ogni iniziativa da parte dei suoi partner economici, ma è sufficiente che sia complessivamente talmente forte da assicurare a questa impresa un'indipendenza globale di comportamento, anche se esistono delle differenze di intensità della sua influenza sui vari mercati parziali».

Detta decisione è stata annullata dalla vostra sentenza del 21 febbraio 1973 (Racc. pag. 217), giacché la Commissione non aveva provato l'esattezza dei dati di fatto sui quali si era fondata; tuttavia i criteri generali che essa usa per definire la posizione dominante mi paiono sempre validi.

Non è del resto ingiurioso per la ricorrente darle atto della natura della sua posizione, giacché secondo gli storici della United Brands:

«Gli investimenti oltremodo gravosi richiesti dalla creazione e dalla gestione delle piantagioni di banane, il sopraggiungere di malattie che hanno imposto ripetuti spostamenti delle piantagioni stesse, gli uragani e le inondazioni periodiche che obbligano, per maggior sicurezza, a moltiplicare le fonti di approvvigionamento e la logistica molto esigente richiesta dalla distribuzione di una merce estremamente deperibile sono tutti fattori che hanno fatto di un'organizzazione su vasta scala e integrata verticalmente una condizione del successo nel commercio delle banane».

III — Gli addebiti

La decisione impugnata contiene quattro addebiti, corrispondenti ai motivi per cui la United Brands avrebbe leso l'interesse generale mediante pratiche che falsano o restringono il normale gioco della concorrenza e ostacolano la libertà economica dei distributori. Prima di esaminare nel merito i singoli «addebiti», è opportuno descrivere la strategia d'insieme della quale essi potrebbero costituire l'illustrazione.

Il prezzo è solo uno dei fattori della politica commerciale delle imprese. È esso che determina complessivamente, in ultima analisi, il carattere più o meno vantaggioso delle vendite. Però nella. vendita entrano altri due fattori importanti: la distribuzione (approvvigionamento e reti di vendita) e quella che si può chiamare promozione (pubblicità ed altri mezzi), fondata sulla qualità del prodotto.

Il produttore cerca di migliorare la presentazione e la selezione delle partite; egli tende ad essere parsimonioso nelle forniture agli stagionatori, a spedire loro il minimo per ottenere il massimo assorbimento del mercato, pur evitando il più possibile le importazioni parallele o concorrenti.

La United Brands ha tentato di dare di sé l'idea favorevole che viene diffusa da determinati ambienti professionali in simili casi. A suo dire, le difficoltà del mestiere impediscono assolutamente di far previsioni e di pianificare l'attività del settore e addirittura di effettuare analisi approfondite a posteriori. L'arte del mestiere consisterebbe unicamente nel fiuto professionale e nel sapersi destreggiare.

Ciononostante, la natura deperibile della banana non ha impedito alla United Brands di industrializzare la distribuzione e di portarla ad un alto grado di perfezione.

Mettendo in opera il progetto di «accorciare il circuito di vendita» e di eliminare alcuni intermediari nel commercio all'ingrosso, la United Fruit sperava di istituire un sistema nel quale gli stagionatori avrebbero ordinato le banane prima dell'imbarco. Essa avrebbe potuto così orientare le sue offerte sulle previsioni di assorbimento del mercato, tenendo presente che il prezzo, allorché si dibatte, si riferisce a banane in viaggio, che verranno immesse sul mercato al massimo entro due settimane.

Di fatto, al ricevimento degli ordini, la United Brands sa esattamente quante banane arriveranno, con le navi in viaggio. Inoltre essa ha anche la possibilità di modificare le rotte di queste navi. È vero che gli stagionatori esclusivi o preferenziali di banane Chiquita sono stati riforniti relativamente meglio ed hanno potuto quindi meglio sfruttare le capacità dei loro impianti che non gli stagionatori di altre banane. Tuttavia, anch'essi sono stati sistematicamente sottoriforniti.

All'udienza, la United Brands ha mostrato stupore per questo addebito, che tuttavia è chiaramente indicato nella decisione (I, 1, B, 6) e che risulta dall'allegato 39 del ricorso (riduzione degli ordini in Danimarca nel 1970-73). Pur ammettendo che le riduzioni «d'ufficio» di forniture, indipendenti da motivi di forza maggiore, erano state praticate ogni anno per circa 10 settimane tra il 1971 e il 1975, cioè per un quinto del periodo in questione, essa ha affermato che i carichi non sono stati mai distrutti. Non ho difficoltà a crederlo, però alla partenza non è sempre stato così. Le spedizioni da Costa Rica, Panama e Honduras, sono state più volte interrotte tra l'aprile e l'agosto 1974 a motivo di contrasti fra i governi locali e le imprese esportatrici circa l'applicazione di dazi all'esportazione contemplati dall'Accordo di Panama del marzo 1974. Secondo una relazione della FAO, una certa impresa transnazionale è giunta a distruggere, nel maggio-giugno 1974, 145000 cartoni di banane ogni settimana in una determinata repubblica dell'America centrale in segno di protesta contro questa tassa all'esportazione.

Vediamo ora gli addebiti mossi dalla Commissione.

1. Divieto di rivendere le banane verdi

Nella versione del gennaio 1967, le condizioni generali imposte dalla United Brands ai suoi stagionatori per la vendita delle sue banane comprendevano una clausola che vietava non solo di rivendere finché erano verdi (indici 1 e 2) le banane acquistate presso la United Brands, ma anche di vendere banane diverse da quelle che essa forniva e di rifornire grossisti stranieri.

Questa era indubbiamente una clausola di esclusiva.

La United Brands sostiene che questa clausola non risulta affatto da un accordo ai sensi dell'art. 85 e che essa non ha mai inteso applicare sanzioni in caso d'inosservanza.

Inoltre tale clausola sarebbe un provvedimento per l'organizzazione del mercato ed essa si giustificherebbe con la differenza di varietà tra le banane vendute nel Benelux (Gros-Michel) e nella Repubblica federale di Germania (Valéry) sempre sotto il marchio Chiquita e con la trasformazione del marchio Fyffes in Chiquita nella Repubblica federale nel 1967. L'isolamento temporaneo del mercato avrebbe avuto l'unico scopo di impedire che la vendita delle banane della varietà Gros-Michel, ancora effettuata nel Benelux, turbasse gli effetti della campagna pubblicitaria iniziata nella Repubblica federale per le banane Cavendish-Valéry. Il divieto avrebbe avuto il solo scopo di conservare la qualità e di tutelare il marchio e quindi, in definitiva, i consumatori (art. 85, n. 3). L'applicazione di detta disciplina nei Paesi Bassi mise in moto un'inchiesta della Commissione. Su suggerimento di questa, la United Brands notificava la clausola il 15 novembre 1968, a norma degli artt. 4 e 5 del regolamento n. 17 del 6 febbraio 1962.

Quanto alla mancanza di sanzioni, mi limiterò a ricordare che, secondo il tenore letterale della clausola, nella versione 25 gennaio 1967, la United Brands «pregava vivamente i propri clienti di vegliare a che le banane in loro possesso non fossero vendute a negozianti stranieri; la stessa richiesta era stata rivolta ai clienti stranieri per quanto riguardava i Paesi Bassi. Essa non avrebbe esitato ad adottare i provvedimenti necessari se le condizioni di cui sopra non fossero state rispettate in un modo o nell'altro».

Sorge però il problema dell'esistenza o della possibilità di un commercio «orizzontale» delle banane sul mercato geografico di cui trattasi.

Per quanto riguarda le banane mature, la prova che gli scambi non sono impossibili mi pare sia fornita dall'allegato 34 all'atto introduttivo («alcuni reclami riguardanti il commercio delle banane gialle»).

Sotto il profilo tecnico dovrebbe essere così, a più forte ragione, per le banane verdi. La maggior parte dei distributori-stagionatori della United Brands nel mercato di cui trattasi acquistano le banane di detta impresa for Bremerhaven o Rotterdam. Le comunicazioni tra il Benelux, la Repubblica federale di Germania e la Danimarca sono così buone e le distanze così brevi che un commercio di transito può svolgersi con profitto anche se il volume d'affari non è grandissimo. D'altro canto, gli scambi commerciali degli stagionatori industriali e dei mercati d'interesse nazionale, che assorbono la quasi totalità delle importazioni, possono estendersi a lungo raggio. Su circa 10000 tonnellate di banane riesportate dagli Stati membri della Comunità nel 1971, poco meno della metà sono stati oggetto di scambi intracomunitari, mentre il resto è stato riesportato in paesi terzi (soprattutto Svizzera e Austria). Dal dicembre 1973, pure il mercato irlandese è stato rifornito via Rotterdam e Bremerhaven. Lo stagionatore danese Olesen si è rivolto, peraltro inutilmente, dopo la cessazione delle consegne della United Brands nell'ottobre 1973, ad altri distributoristagionatori della United Brands ed alla Scipio per avere banane verdi della United Brands. Infine, se la rivendita di banane verdi fosse impossibile, non si comprende perché agli stagionatori della United Brands fosse vietata la rivendita a commercianti stranieri.

Pare tuttavia escluso che gli stagionatori possano, in generale, aver interesse a vendere ad altri stagionatori banane la cui stagionatura è già in corso. Così pure, mi pare dubbio, a prima vista, che gli stagionatori intendano rivendere banane che hanno acquistato: se si acquista è per stagionare. L'importante per gli stagionatori non è il poter comprare o rivendere ad altri stagionatori, ma il poter comprare, stagionare e vendere banane Chiquita o di marca diversa ai clienti che preferiscono. Pur se il divieto di rivendere banane verdi (non ancora giunte al grado 3) può giustificarsi con l'intento della United Brands di riservare la stagionatura e l'utile relativo ai propri stagionatori Chiquita «autorizzati» — il che le offre il vantaggio di poter così controllare la distribuzione e fare previsioni abbastanza attendibili circa le proprie banane — si potrebbe pensare che le vendite di banane verdi (grado 1 e 2) tra stagionatori resti un fatto eccezionale. L'interesse di tale rivendita potrebbe consistere in un margine di profitto superiore a quello della stagionatura.

La Commissione riconosce che di fatto la differenza di prezzo tra le banane sui mercati nazionali è stata superiore all'utile offerto dalla stagionatura solo per alcune settimane ogni anno. Per gli altri ortofrutticoli le vendite «di necessità» o «selvagge» non sono poi così eccezionali. Prima dell'industrializzazione della stagionatura, le vendite tra stagionatori non erano rare e ciò vale ancora per gli stagionatori marginali. Anche attualmente, le capacità di stagionatura superano di molto il fabbisogno e uno stagionatore potrebbe aver interesse ad usare appieno i suoi impianti o, al contrario, ad aiutare un collega. Ciò supporrebbe però la possibilità di azioni concorrenziali da parte degli stagionatori, allo stadio dell'importazione, nei confronti degli importatori- distributori e la possibilità per gli stessi di rivendere immediatamente sul posto. All'uopo, occorrerebbe anche per le banane un sistema di aste pubbliche come per gli altri frutti in cui, in condizioni di piena concorrenza, gli stagionatori abbiano libero accesso ai moli e ai depositi, nonché l'autorizzazione ad esaminare e a manipolare i campioni delle partite. Ciò non avviene però per le banane, che in pratica vengono vendute durante il trasporto, prima di essere sbarcate.

Oltre alla clausola che vieta la rivendita, il principale ostacolo allo sviluppo degli scambi intracomunitari orizzontali di banane della United Brands, tanto verdi quanto mature, col marchio o senza, mi pare sia la disparità di livello tra i dazi della tariffa doganale esterna «comune», l'esistenza di marchi e la persistenza di organizzazioni nazionali di mercato. Simili scambi con la Francia sono ad esempio esclusi, giacché in questo paese la United Brands non vende con il marchio Chiquita. Lo stesso dicasi del Regno Unito e dell'Italia, dove esistono altri marchi.

Questa clausola ha certo contribuito a consolidare e rafforzare la posizione dominante della United Brands. Dobbiamo andare oltre e ritenere che essa imponeva restrizioni che non erano indispensabili al conseguimento delle finalità di cui all'art. 85, n. 3' in quanto alla clausola si sommava il divieto di rivendere anche agli stagionatori Chiquita?

Il fatto che, dopo la notifica della decisione, la United Brands abbia «chiarito» la clausola eliminando detta restrizione e consentendo la rivendita delle sue banane non marchiate a qualsiasi stagionatore costituisce una forte presunzione in questo senso. Così pure, poiché la United Brands vieta la vendita delle banane che «non sono mature» dal che si può intendere che è permessa solo la vendita di banane completamente gialle, come avveniva nel Belgio ed in Germania, si potrebbe ritenere che detta esigenza vada oltre i criteri generalmente ammessi: le banane possono essere vendute ai dettaglianti dal momento in cui «tendono al verde» (indice 3) e non soltanto allorché «tendono al giallo» (indice n. 4). Solo al momento della vendita al consumo la banana deve aver raggiunto l'indice 4.

La clausola che vieta di rivendere le banane verdi mi pare dunque costituisca non solo un mezzo o una componente della posizione dominante, come il marchio, ma una conseguenza di questa posizione e di per sé un abuso.

2. Rifiuto di vendita opposto alla Olesen

Per contro, il razionamento, da parte della United Brands, dei suoi clienti stagionatori ha toccato il culmine nel caso del grossista danese Olesen e costituisce incontestabilmente un'infrazione dell'art. 86.

I fatti, prima di essere esposti nella decisione impugnata, sono stati accertati dalla Commissione danese dei monopoli.

Le riduzioni nelle consegne agli stagionatori danesi sono state una pratica costante e generale della United Brands dal 1970 al 1973. Nell'ottobre 1973, tuttavia, la United Brands avvertiva la Olesen che non le avrebbe più fornito banane. Il motivo era la sua partecipazione ad una campagna pubblicitaria a favore delle banane che essa vendeva sotto un marchio concorrente, di esser divenuta distributore esclusivo di detta marca e di vendere più banane di questa marca che Chiquita. Oltre alle deficienze della Olesen, come distributore, si allegava la sua cattiva situazione finanziaria.

L'11 febbraio 1975, cioè due giorni prima che la Commissione spedisse l'ultimo questionario alla United Brands, nell'ambito dell'inchiesta che stava concludendo, questa impresa pose fine «spontaneamente» — almeno così sostiene — a quello che si può senz'altro definire un boicottaggio, stipulando un accordo con la Olesen.

La condotta della United Brands ha provocato se non la sparizione, almeno il deterioramento, temporaneo ma grave, della situazione di un distributore. Il rifiuto di vendere ad un vecchio cliente, che non può rifornirsi se non rivolgendosi al suo fornitore tradizionale, costituisce un abuso vietato dall'art. 86, nei limiti in cui ciò può ripercuotersi sul commercio tra Stati, ciò che si verifica se uno stagionatoredistributore rischia di sparire dal mercato e se la struttura dell'offerta delle banane rischia di venir notevolmente modificata in una parte sostanziale del mercato comune. Se si accettasse la motivazione che lo stagionatore di cui trattasi aveva collaborato ad una campagna pubblicitaria a favore delle banane vendute con il marchio di una ditta concorrente, ciò vorrebbe dire che l'impresa ha il diritto di ampliare ancor più la posizione dominante di cui gode e, quindi, di abusarne.

3. I prezzi discriminatori

Veniamo ora all'addebito relativo al carattere discriminatorio dei prezzi f.o.r. imposti dalla United Brands.

Nonostante il fuoco di domande cui è stata sottoposta all'udienza, la United Brands non ha fornito risposte che consentano di avere idee chiare sul come si formano i suoi prezzi.

Mi pare di aver capito che gli ordini dovevano giungere prima del lunedì della settimana precedente quella dell'arrivo della nave. Gli ordini sono confermati — se la merce è disponibile, e se il carico comprende una quantità sufficiente di banane trasportabili — dalla United Brands il giorno dopo o il mercoledì, come pure la «quota settimanale assegnata» all'acquirente. D'estate, se il cliente desidera ricevere le banane in vagoni frigoriferi, lo deve specificare alla United Brands al momento dell'ordine. Il prezzo di vendita è fissato e comunicato al cliente solo quattro giorni prima dell'arrivo della nave. Il cliente può ridurre o revocare l'ordine, a condizione che lo faccia avvisando la United Brands il giorno stesso in cui viene a conoscere il prezzo di vendita.

Per i Paesi Bassi, nel febbraio 1972 si è istituito il sistema dell'«ordine anticipato»; si distingueva tra ordini a breve termine e ordini a lungo termine. Il prezzo comunicato al cliente era pure ritoccato a seconda che questi aumentasse o diminuisse l'ordine. Questo sistema di «ordini anticipati» sarebbe stato ripetutamente sospeso e non sarebbe più stato praticato dall'ottobre 1974.

Di fatto, l'80 % di un carico si vende in anticipo per telex o per telefono. Gli stagionatori, come ho detto, non vanno più sulla banchina per scegliere direttamente la merce né per discuterne il prezzo. La pressione degli stagionatori, nella migliore delle ipotesi, può esercitarsi solo con una settimana di ritardo. Stando così le cose, la United Brands è in una posizione di forza allorché dibatte il prezzo f.o.r. (franco vagone), solo prezzo che possa venir preso in esame. Essa controlla in effetti interamente la distribuzione iniziale di un prodotto che diventa rapidamente deperibile all'uscita dalla stagionatura. Le navi e gli stessi depositi sono centri orto-frutticoli, che possono fungere da volano e la United Brands controlla i movimenti delle navi e gli arrivi. Essa può dirottare o frazionare determinati carichi.

Anche nella Repubblica federale di Germania, il prezzo praticato dalla United Brands ha una funzione pilota, pur se i quantitativi venduti dalla Scipio sono molto più rilevanti di quelli venduti direttamente dalla United Brands. Se è vero che le banane fornite dalla Scipio sono vendute allo stesso prezzo di quelle vendute da altri stagionatori tedeschi indipendenti dalla Scipio, ma dipendenti dalla United Brands, ciò si deve al fatto che quest'ultima è il «price-leader».

Si desume infatti dalla risposta, del resto molto sfumata, data dalla United Brands alla domanda n. 3, 1 rivoltale dalla Corte, che il prezzo f.o.b. praticato alla Scipio per i quantitativi convenuti o per i quantitativi supplementari è adeguato al prezzo praticato dalla United Brands agli altri clienti tedeschi e non il contrario.

Potrebbe risultarne che, se si ritiene che i prezzi praticati agli «altri clienti tedeschi» da parte della United Brands sono iniqui, i prezzi fatturati dalla Scipio lo sono pure, o quanto meno sussiste tra la United Brands e questo gruppo una collusione per fissare direttamente o indirettamente il prezzo di vendita (art. 85, n. 1, a) o «controllare gli sbocchi e ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento» (art. 85, n. 1, b e c). Tuttavia lascio a voi il giudizio su questo punto, poiché la decisione ha avuto cura di escludere dalla sua sfera d'applicazione le vendite effettuate dalla Scipio, gruppo giuridicamente distinto dalla United Brands, il cui comportamento è il solo in esame.

La posizione della United Brands in materia di prezzi è dunque quella di un «leader» ed il fatto che i suoi concorrenti abbiano potuto trarre vantaggi dall'«effetto parapioggia» di questa «leadership» non sminuisce per nulla la gravità degli abusi commessi sotto questo aspetto.

Aggiungendo al prezzo c.i.f. le spese di sbarco e di transito e le commissioni, ma escludendo i dazi doganali (se ve ne sono) e le altre tasse, si ottiene il prezzo franco vagone-partenza o f.o.r., cioè il prezzo corrisposto dallo stagionatore all'importatore. È questa la fase in cui si verifica la vendita, mentre il prezzo «uscita dalla stagionatura» è praticamento sconosciuto e non costituisce oggetto di statistiche ufficiali.

Ora si constata che il prezzo f.o.r. praticato dalla United Brands è un prezzo fissato in condizioni che violano le norme sulla concorrenza per due ragioni.

Anzitutto pare logico che il prezzo vari ogni settimana; per la stessa destinazione, a seconda degli svariati fattori dell'offerta e della domanda del momento (qualità del frutto sbarcato, temperatura esterna, scorte in stagionatura …). Ma, come nota la decisione (pag. 9, colonna di destra), per banane che abbiano le stesse caratteristiche, vendute nello stesso luogo e nello stesso momento, i prezzi variano notevolmente a seconda della provenienza degli acquirenti o della destinazione finale delle banane. Così, lo stesso fornitore incassa, per una prestazione equivalente, un prezzo diverso a seconda che venda questo o quello. In genere, è il prezzo f.o.r. delle banane destinate alla Repubblica federale di Germania e, di riflesso, quello delle banane destinate alla Danimarca e all'Irlanda che si tiene a livello più basso, mentre quello delle banane per il Benelux è il più alto.

La prima spiegazione che si può dare per queste differenze è la diversa incidenza del dazio della tariffa esterna comune: 0 % nella Repubblica federale di Germania, 8 o 12 % nella Repubblica d'Irlanda e in Danimarca, 20 % nel Benelux. Questa differenza — obietta la Commissione — non si spiega con la disparità dei dazi doganali, che sono a carico degli acquirenti. Ciò è vero, in linea di massima, ma resta il fatto che alcuni ne vanno esenti (tedeschi), altri devono pagare dazi maggiori (Benelux) o minori (irlandesi e danesi).

La disciplina comunitaria vigente per gli ortofrutticoli soggetti ad un'organizzazione di mercato non comporta certo l'obbligo di praticare prezzi di vendita uniformi, tanto per i prodotti importati da paesi terzi, quanto per quelli di origine comunitaria. È comprensibile che i prezzi varino entro certi limiti da una settimana all'altra nello stesso paese o da un paese all'altro. Non è però comprensibile che nella stessa settimana si verifichino variazioni per un prodotto rigorosamente identico e sulla stessa piazza.

La United Brands spiega che si tratta di un prezzo derivato, calcolato a ritroso, partendo dal punto di vendita finale e che essa non «fa» il prezzo, ma si accontenta di registrare passivamente l'intensità della domanda, senza tentare di influenzarla o di orientarla. Simili discriminazioni possono spiegarsi da parte di un commerciante tradizionale, che tiene conto dell'entità delle partite fornite, che desidera allinearsi sui prezzi più o meno alti dei concorrenti o che fa sacrifici per affermarsi su un nuovo mercato. Però, data la posizione dominante della United Brands, questo ragionamento si risolve nell'ammettere apertamente che essa può far il bello e il cattivo tempo. Se la United Brands chiede quello che il mercato può sopportare e pratica discriminazioni di prezzo, ciò significa in realtà che essa considera che non esiste un mercato comune, nemmeno residuale, per la banana; del resto, essa lo afferma senza mezzi termini.

In secondo luogo, è lecito per un importatore tener conto delle differenze dei dazi doganali all'importazione nel prezzo che fattura ai clienti, se detti dazi non sono a suo carico?

Gli stagionatori ne tengono certamente conto nei prezzi che praticano ai consumatori; questa è la finalità o quanto meno la conseguenza del dazio doganale.

Però la United Brands pare ritenga che, poiché i grossisti che stagionano le sue banane possono rivalersi sui loro clienti del dazio della tariffa esterna comune nel Benelux, in Danimarca e nella Repubblica d'Irlanda, essa ha a sua volta il diritto di aumentare correlativamente il prezzo delle sue banane destinate a questi stagionatori: ciò equivale a considerare questi stagionatori come facenti parte integrante del suo circuito commerciale; essa si comporta in pratica come se fosse lei a pagare o no i dazi all'importazione: ciò significa sfruttare abusivamente il mercato.

Del resto, le disparità della tariffa doganale comune esterna non bastano a spiegare le differenze settimanali praticate dalla United Brands. Le discriminazioni hanno lo scopo di impedire agli stagionatori di vendere in Stati membri diversi da quelli in cui hanno la sede, giocando sulle differenze di prezzo. Però esse si spiegano pure con il rapporto di forze tra la United Brands e gli stagionatori cui essa vende. Il margine lordo degli stagionatori si può così scomporre: dazi doganali se ve ne sono, spese di stagionatura, spese generali di distribuzione, spese di pubblicità, imposte ed utile. Chi è disposto a credere che la United Brands fornisce banane già marchiate, presta la sua assistenza tecnica per la stagionatura e paga la pubblicità per la vendita delle sue banane Chiquita senza contropartita? Questa contropartita è una forma di esclusiva o di preferenza data dallo stagionatore all'acquisto o alla vendita delle banane Chiquita, 'oppure è la rinuncia ad una parte della componente del prezzo costituita dall'utile netto, che rientra così parzialmente negli scarti praticati.

Di conseguenza, mi pare provato che, la United Brands ha commesso l'abuso contemplato dall'art. 86 c) e, data la sua posizione dominante, il fatto che alcuni suoi concorrenti abbiano commesso la stessa infrazione non può discriminarla.

4. I prezzi esagerati

La decisione rileva inoltre che la United Brands ha imposto condizioni di transazione inique, in parole povere, che essa ha praticato prezzi abusivi.

Prima di vedere se l'addebito sia realmente fondato, è opportuno chiedersi se il fatto di imporre prezzi eccessivi costituisca, di per sé, un comportamento abusivo da parte dell'impresa che gode, in una parte sostanziale del mercato comune, di una posizione dominante.

La questione mi pare debba risolversi affermativamente: l'art. 86 a) definisce come pratica abusiva «l'imporre diretta-mente o indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque». Ricordiamo che l'art. 85 a) considera come infrazione del libero gioco della concorrenza la fissazione, nell'ambito di una intesa o di una pratica concordata, dei prezzi d'acquisto o di vendita, senza però far cenno alla loro natura non equa.

La differenza nella redazione delle due norme si spiega col fatto che si riferiscono a due situazioni diverse.

Nell'ambito di un'intesa tra varie imprese che, per accordo o con semplice pratica concordata, applicano prezzi o aumenti di prezzi nella stessa misura, l'alterazione della concorrenza risulta dal solo fatto che dette imprese s'impegnano con ciò a non effettuare diminuzioni di prezzo unilaterali.

Nel caso di una impresa in posizione dominante o di un gruppo di imprese tra loro legate, come ad esempio proprio la United Brands e la sua affiliata al 100 % United Brands Continentaal, cioè di un complesso nel quale il potere di decisione è accentrato nella società madre, non è possibile parlare di un accordo relativo alla fissazione dei prezzi. Il semplice fatto di fissare i prezzi non è, di per sé, un abuso di posizione dominante, giacché spetta ad ogni impresa di determinare i propri prezzi. L'infrazione viene in luce allorché l'impresa o il gruppo in posizione dominante sfrutta la sua posizione, in particolare, per imporre alla clientela prezzi iniqui, cioè esagerati e senza ragionevole relazione con la prestazione fornita.

Benché nella vostra giurisprudenza non vi siano casi in cui abbiate accertato un abuso del genere, voi avete quanto meno affermato in merito che il livello del prezzo, benché non sia di per sé sufficiente come prova (di un comportamento abusivo), «può tuttavia divenirlo, in considerazione della sua rilevanza, qualora non appaia obiettivamente giustificato» (sentenza 18 dicembre 1970, causa 40/70, Sirena/Eda, Racc. 1971, pag. 70).

Considerazioni dello stesso genere, circa la differenza tra il prezzo imposto e il prezzo del prodotto reimportato da un altro Stato, si ritrovano nella vostra sentenza 8 giugno 1971, causa 78/70, Deutsche Grammophon, (Racc. 1971, pag. 487).

Ritengo dunque che, di fronte all'imposizione di prezzi di vendita non equi, in quanto eccessivi rispetto ai costi, la Commissione abbia, nell'ambito dell'art. 86, la facoltà di far ridurre d'autorità i prezzi, salva restando la sua facoltà di infliggere un'ammenda all'impresa in posizione dominante che ha commesso simile abuso.

Si tratta ora di stabilire se, in effetti, la United Brands abbia praticato prezzi eccessivi.

Il margine della United Brands sul mercato in esame è per forza maggiore di quello dei commissionari francesi, italiani e britannici, giacché essa deve premunirsi contro rischi che i commissionari non corrono. Però i prezzi calcolati dalla United Brands per le sue banane machiate possono considerarsi eccessivi?

Per deciderlo disponiamo di questi parametri: prezzo delle banane delle marche concorrenti, prezzo delle banane United Brands non marchiate, prezzi rispettivi delle banane United Brands marchiate, a seconda dei paesi di destinazione, criterio connesso a quanto esposto sopra.

Prima di applicare questi criteri, si deve esaminare un argomento d'indole generale: i prezzi della United Brands al consumatore europeo, come d'altronde quelli dei suoi concorrenti, sarebbero rimasti immutati, o addirittura sarebbero diminuiti rispetto alle quotazioni di dieci o venti anni fa.

È vero che gli aumenti del prezzo di vendita franco vagone stagionatore, che espressi in dollari sono molto forti, si smorzano o spariscono addirittura se si tiene conto delle variazioni del cambio.

Tuttavia, per valutare la natura iniqua o meno di un prezzo di vendita, non basta osservare l'andamento allo stesso stadio, ma si deve pure tener conto dell'andamento dei costi negli stadi precedenti. Ora, si tratti dell'«accorciamento dei circuiti» o di qualsiasi altra ragione, è assodato che il prezzo pagato dalla United Brands per le banane è notevolmente diminuito.

Quanto al rapporto esistente tra il prezzo di vendita agli stagionatori e il prezzo pagato ai produttori, si ritiene in via generale che l'incidenza del prezzo ai produttori locali sul prezzo finale al dettaglio è di poco superiore al 10 %. Il totale del margine lordo degli stagionatori e del margine lordo dei dettaglianti rappresenta circa il quintuplo dell'introito lordo dei piantatori. Mentre la tassa all'esportazione rappresentava lo 0,8o/o del valore unitario al dettaglio, i dazi d'entrata riscossi dai paesi sviluppati importatori ammontavano, in media ponderata, secondo la FAO, al 6,9 %, cioè otto volte l'importo della tassa all'esportazione dei paesi produttoriesportatori sul mercato mondiale.

A partire dagli anni 50, se ci si riferisce ai prezzi correnti modificati per tener conto del rincaro degli articoli manufatti, si nota che praticamente tutti i paesi produttori hanno registrato un simile calo del valore unitario reale delle loro esportazioni di banane. Non si deve nemmeno dimenticare che, nei paesi a moneta forte, la United Brands ha tratto vantaggio da un cambio del dollaro molto più favorevole, mentre i costi nel paese produttore venivano coperti in moneta locale. Questa situazione ha provocato un'effettiva riduzione dei prezzi di acquisto f.o.b. ed ha così mitigato le conseguenze dell'aumento dei noli. L'immobilità o addirittura la diminuzione dei prezzi al minuto delle banane è andata forse a vantaggio dei consumatori dei paesi sviluppati, ma certamente ha privato i paesi esportatori dei vantaggi derivanti dalla riduzione dei costi, che avrebbe dovuto arrecare l'introduzione della varietà Cavendish e dell'imballaggio di cartone. La quasi totalità degli utili così ricavati ha mantenuto, se non aggravato, la differenza tra il prezzo pagato ai piantatori e il prezzo praticato dalla United Brands, il che si è risolto in una conservazione, per non dire aumento, degli utili di detta impresa. La maggior produttività non si è risolta affatto, per i paesi produttoriesportatori, in un aumento dei loro introiti, in moneta pregiata, per unità esportata. Le condizioni sfavorevoli degli scambi rispecchiano il tasso d'inflazione che ha raggiunto i paesi in via di sviluppo.

In secondo luogo, se si fa astrazione del fattore «costo di produzione», si nota che la differenza tra le banane Chiquita e le banane United Brands di seconda scelta o non marchiate è del 30-40 %. Ciò rappresenta uno scarto non indifferente per la massaia.

Indubbiamente, delle differenze esistono pure per altri frutti, nonostante siano disciplinati da un'organizzazione di mercato. Perciò il primo rimedio mi pare sia l'informazione e l'educazione del consumatore.

In terzo luogo, la differenza di prezzo tra banane Chiquita e banane di altre marche è sicuramente meno rilevante, però le Chiquita si vendono in genere con margini superiori rispetto alle altre marche, specie al minuto. Molte catene di distribuzione hanno mostrato la loro preferenza per questa marca, data l'uniformità del prodotto, la sua buona qualità e il rilevante giro d'affari che consente di realizzare. Talune hanno dichiarato che il loro scopo era quello di poter vendere al minuto a prezzi stabili durante tutto l'anno, dato che il minor utile della vendita al minuto poteva essere compensato da un maggior giro d'affari e da una riduzione delle oscillazioni di prezzo. Tuttavia, determinati stagionatori sarebbero molto interessati alla possibilità di ampliare le loro fonti di approvvigionamento e desidererebbero poter vendere le banane con il loro marchio piuttosto che con quello dell'importatore. Nonostante l'elevato consumo pro capite già raggiunto nel mercato in questione, la diminuzione dei prezzi al minuto potrebbe incrementare ulteriormente la domanda. È però difficile pronunciarsi, soltanto sotto questo aspetto, sulla natura eccessiva o meno delle differenze di prezzo tra. marche senza fare un esame approfondito delle medesime.

Vi è un ultimo elemento che la Commissione ha sottolineato e che mi pare più decisivo: se si confrontano i prezzi for praticati dalla United Brands nei paesi del mercato in questione diversi dalla Repubblica d'Irlanda al prezzo cif Dublino, riferito alla base Rotterdam, si constata una notevole differenza. La Commissione pensa che il prezzo cif Dublino, così riferito alla base Rotterdam, va considerato come indicativo e che esso lasciava, secondo quanto ha dichiarato la stessa United Brands, un margine di utile, pur se meno consistente di quello risultante dai prezzi praticati ai clienti degli altri Stati membri di cui trattasi.

Senza ammettere che questo prezzo avesse carattere di dumping, il che, evidentemente costituirebbe un abuso per un altro motivo, la United Brands sostiene che esso va ricollegato ad un tentativo di sfondamento sul mercato irlandese — tentativo peraltro felicemente riuscito, se si giudica dal reclamo presentato alla Commissione da due stagionatori irlandesi concorrenti della United Brands — e che non può dunque servire da valido parametro. Nell'ultima fase del procedimento, in risposta ad una domanda rivoltale, la United Brands ha dichiarato che il prezzo irlandese aveva dovuto venir aumentato a seguito dei danni arrecati dall'uragano Fifi, che nel settembre 1974 distrusse circa l'80 % della produzione honduregna e circa il 25 % di quella guatemalteca. Le ripercussioni di questa catastrofe sulle consegne e sui prezzi non furono però immediate, poiché le zone rimaste indenni, sopratutto l'Ecuador, fornirono notevoli partite integrative da settembre ai primi di novembre. Le ripercussioni si sono fatte sentire nel primo trimestre del 1975 ed i prezzi sono aumentati in relazione.

Questa spiegazione tardiva non mi convince affatto e penso che i prezzi praticati in Irlanda, pur tenendo conto della campagna di penetrazione su un nuovo mercato cui possono essere stati informati, sono un utile parametro per valutare il livello dei prezzi della United Brands. Come i suoi concorrenti, la United Brands può aver «perso» denaro nel 1974, ma, per un'impresa integrata come lei, queste perdite possono esser state ricuperate con profitti sui trasporti o sulla stagionatura. Comunque, è inaccettabile l'asserzione della United Brands secondo la quale, a lungo termine, essa realizza solo utili modesti, mentre gravi sono le perdite che deve subire. Se così fosse, la sua attività sarebbe ormai cessata da lungo tempo.

IV — L'ammenda

Il dispositivo della decisione impugnata inizia constatando che la United Brands ha violato l'art. 86 per le quattro pratiche che ho sopra esaminato. Quindi infligge all'impresa un'ammenda di un milione di unità di conto. Oltracciò nell'art. 3 ingiunge alla United Brands di por fine «senza indugio» alle infrazioni rilevate, qualora essa non vi abbia già posto fine spontaneamente, il che pare riferirsi al boicottaggio della Olesen. A questo scopo si ordina alla United Brands, comminando una penale di 1000 u.c. per ogni giorno di ritardo, d'informare la Commissione, entro il 1o febbraio 1976, che l'impresa aveva reso nota ai suoi stagionatori la soppressione della clausola che vietava di rivendere le banane verdi; d'altro canto, si ingiunge alla United Brands di comunicare alla Commissione, due volte all'anno, a decorrere dal 20 aprile 1976, per due anni, i prezzi da lei praticati sui mercati in questione nel semestre precedente.

È sottinteso che, per porre termine all'abuso consistente nell'applicazione di prezzi di vendita non equi, la United Brands avrebbe dovuto ridurre i prezzi praticati ai clienti tedeschi (eccezion fatta per i prezzi praticati dal gruppo Scipio), danesi e del Benelux ad un livello inferiore, in media, di almeno il 15 % rispetto al prezzo che essa fatturava nel dicembre 1975 ai suoi clienti tedeschi e danesi. Per l'eventuale inosservanza di detto precetto non era comminata alcun'altra sanzione oltre all'ammenda relativa al periodo anteriore, con la possibilità di un'altra ammenda in caso di recidiva e l'obbligo di comunicare i prezzi, per la cui inosservanza era prevista la penale.

Le conclusioni del ricorso della United Brands mirano a far annullare la decisione, a far condannare la Commissione ad un'unità di conto di danni e, in subordine, a far revocare o ridurre l'ammenda nonché a far condannare alle spese la Commissione.

Ancor prima di promuovere il ricorso, la United Brands ha «chiarito», entro il 30 gennaio 1976, per i suoi stagionatori, il testo della clausola litigiosa, completandola con la frase «salvo per le vendite tra stagionatori Chiquita». Su questo punto, quindi, la decisione non è più contestata o è stata eseguita, almeno se si ritiene, come fa la Commissione, che la precisazione è sufficiente. D'altro canto, la questione non ha importanza per la determinazione dell'importo dell'ammenda poiché, se l'art. 2 del dispositivo infligge un'ammenda per le infrazioni rilevate all'art. 1 — tra le quali il divieto di rivendere, anche agli stagionatori Chiquita — l'importo effettivo dell'ammenda è stato determinato in base ai considerandi contenuti nella parte II, B, della decisione. Ora, in detta valutazione, la decisione stabilisce espressamente che «tale comportamento (relativo al divieto di rivendere banane verdi) non deve quindi essere sanzionato da un'ammenda».

Con ordinanza 5 aprile 1976, il presidente della Seconda sezione della Corte ha preso atto della dichiarazione sulla modifica della clausola relativa alla rivendita delle banane verdi.

Nella stessa ordinanza si sospendeva, fino alla pronuncia nel merito, l'esecuzione della decisione nel punto in cui obbligava la United Brands a por fine immediatamente alle infrazioni accertate ed a modificare il testo della clausola relativa alla rivendita delle banane verdi, sempreché alla turbativa non si fosse già posto fine spontaneamente.

Poiché, come ho detto, la United Brands ha modificato la clausola ed ha notificato, almeno lo penso, i suoi prezzi alla Commissione, la controversia si limita all'esattezza degli accertamenti della Commissione quanto al comportamento della United Brands e alla valutazione dell'importo dell'ammenda.

A questo proposito ho sostenuto che il divieto di rivendere banane Chiquita verdi ad altri stagionatori Chiquita e il divieto di rivendere banane verdi della United Brands non marchiate a stagionatori di banane della concorrenza, marchiate o meno, costituivano un abuso.

Poiché credo d'essermi occupato a sufficienza delle altre pratiche abusive di cui si fa carico alla United Brands, non mi resta, per quel che mi riguarda, che esprimermi sull'importo dell'ammenda, sulla domanda di risarcimento e sulle spese.

Ma voglio aggiungere ancora qualcosa sul mezzo relativo alla violazione dei diritti della difesa, in quanto la United Brands non sarebbe stata sentita debitamente nel procedimento amministrativo. Questo mezzo mi pare infondato. Un siffatto vizio di forma, supponendo che sia provato, secondo la vostra giurisprudenza (sentenza IO, 14 luglio 1972, pag. 621) non potrebbe implicare l'annullamento della decisione, poiché la United Brands ha avuto ampia possibilità di esporre i suoi argomenti dinanzi alla Corte.

In forza del combinato disposto degli artt. 87 del Trattato e 3, n. 1 del regolamento n. 17/62 la Commissione può, se accerta un'infrazione degli artt. 85 e 86, obbligare, mediante decisione, le imprese interessate a porre fine all'infrazione accertata. Come ha affermato la Corte (sentenza 6 marzo 1974, cause 6 e 7/73, Istituto chemioterapico italiano, Racc. 1974, pagg. 223 e segg.) l'applicazione dell'art. 3 del regolamento n. 17/62 ad opera della Commissione deve avvenire in funzione della natura dell'infrazione e può concretarsi sia nell'ordine di eseguire determinate attività o prestazioni, illegittimamente omesse, sia nel divieto di continuare data attività o pratiche. La Commissione ha dunque il potere, in caso di grave violazione dell'art. 86, di obbligare, con decisione, un'impresa ad osservare certi limiti di prezzo o, se si vuole, di fungere da «calmiere». Nella fattispecie la Commissione ha aggiunto all'ingiunzione solo un'ammenda per il passato e l'obbligo, per la United Brands, di comunicare i prezzi. Poiché nessuna penale è stata effettivamente applicata né potrà più esserlo secondo il tenore della decisione, ciò significa che, se confermaste l'importo dell'ammenda, la Commissione potrebbe riaprire la pratica per stabilire se la United Brands si sia veramente conformata alle sue ingiunzioni.

Ci si potrebbe chiedere se, invece di infliggere un'ammenda, non sarebbe stato meglio vietare, come è stato fatto negli Stati Uniti, alla United Brands — ed ai suoi concorrenti — di avere un qualsiasi interesse nella stagionatura delle banane, onde rafforzare la posizione di questa fase distributiva rispetto ai fornitori, o addirittura vietare alla United Brands — e ai suoi concorrenti — di far pubblicità per una marca, se non imporle di astenersi dal farne uso. Ciò però presupporrebbe l'elaborazione di tutta una disciplina comunitaria e, nella situazione attuale, bisogna accontentarsi di reprimere gli abusi, piuttosto che prevenirli. Se, come contrappeso, i supermarket stagionassero le loro partite, ciò potrebbe essere una buona difesa contro la posizione dei fornitori, purché non ne risulti soffocato il piccolo commercio e non vi sia collusione tra supermarket e importatori.

Ignoro quanto ciascuna delle infrazioni che la Commissione intendeva reprimere abbia influito sulla sua valutazione complessiva. Ad esempio, i due abusi accertati in materia di prezzi (prezzi discriminatori e prezzi iniqui) sono oggetto di due addebiti distinti, ma di una sola valutazione, per quel che riguarda la loro entità e la loro durata. Quanto ai comportamenti relativi alla politica dei prezzi, la Commissione ha «mitigato» l'ammontare dell'ammenda in considerazione del fatto che era la prima volta ch'essa esaminava a fondo il complesso della politica dei prezzi di un'impresa alla luce dell'art. 86 e che la decisione conteneva l'ingiunzione di informare la Commissione, sotto minaccia di una penale, durante un certo periodo: però, nel corso del procedimento sommario, la Commissione ha acconsentito a rinunciare a servirsi di quest'arma. Quanto al boicottaggio della Olesen, la Commissione ha tenuto conto del fatto che la United Brands aveva posto «spontaneamente» fine all'infrazione.

Nessuna norma obbliga la Commissione a specificare l'incidenza delle singole infrazioni sul totale dell'ammenda: essa deve soltanto tener conto della durata e della gravità delle singole infrazioni, evidentemente evitando di punire due volte lo stesso fatto. La ripartizione dell'ammenda avrebbe importanza solo se annullaste o riduceste l'ammenda.

Ritengo che si debba lasciare, in questo settore, alla Commissione un potere discrezionale globale, specie in una materia in cui i comportamenti sono strettamente connessi e le infrazioni si compenetrano.

Allorché la Commissione decide di irrogare la massima ammenda contemplata dall'art. 15, 2o del regolamento n. 17/62, questo massimo può a sua volta variare in rapporto al fatturato dell'impresa nell'esercizio precedente l'infrazione. Questo milione di u.c. non rappresenta che il 2 % del fatturato dell'impresa nel mercato in questione, cioè delle vendite complessive di banane della United Brands nel Benelux, nella Repubblica federale di Germania, eccettuate le partite vendute dalla Scipio, nella Repubblica d'Irlanda e in Danimarca. La Commissione avrebbe quindi potuto arrivare al 10 %.

A mio parere l'importo dell'ammenda non è eccessivo e ne propongo la conferma.

D'altra parte, il regolamento n. 17/62 parla solo di fatturato, senza distinguere se l'esercizio è stato attivo o passivo.

Senza approfondire la struttura dei costi della United Brands, la Commissione ha tuttavia constatato i larghi utili realizzati da detta impresa e la discussione su questo punto si è svolta nella fase scritta e in quella orale.

Nello stato attuale delle cose, è impossibile farsi un'idea esatta, eccetto che sul piano strettamente contabile, sul se l'esercizio della società United Brands, come del resto di qualunque altra società transnazionale, si sia chiuso in attivo o in passivo. Le perdite indicate in bilancio non sono necessariamente connesse all'attività sul mercato in questione: potrebbero riferirsi ad affari conclusi nei paesi produttori del Sudamerica.

È difficile dire quanto, dell'utile lordo — cioè della differenza tra costi f.o.b. e incassi f.o.b., vada al produttore e, rispettivamente, all'esportatore. L'incasso f.o.b. del produttore corrisponde solo all'importo versato dall'impresa esportatrice per la frutta acquistata. Per calcolare l'introito netto f.o.b. dell'impresa esportatrice si dovrebbe pure tener conto del costo dell'assistenza tecnica che essa presta, delle sue spese generali nonché del margine che corrisponde alla sua funzione nella vendita. Si sa solo, ad esempio, che la vendita di banane Chiquita provenienti dall'Honduras e da Panama, effettuata f.o.b. dalla United Brands agli importatori tedeschi, offre maggiori utili della vendita delle banane costaricane; però bisogna detrarne le spese generali dell'impresa e le spese pubblicitarie nei paesi importatori. Si deve pure rilevare che le società americane possono far rientrare in patria una certa parte degli utili dopo la vendita nei paesi importatori e che la struttura fiscale delle società americane che hanno affiliate nei tropici è tale che sono colpite meno pesantemente che se tutti i loro utili si fossero prodotti negli Stati Uniti; per ragioni fiscali, gli Stati Uniti hanno pure accettato di assegnare il 60 % dell'utile netto ai paesi produttori.

Le banane sono normalmente vendute nei paesi importatori franco vagone nel porto d'arrivo e le stime fatte della vendita f.o.r. a fini doganali hanno tendenza ad essere puramente contabili; se il dazio è pari a zero, non vi è del resto alcun bisogno di stime a questo proposito. I prezzi c.i.f. nel Benelux sono quelli forniti dalla statistica doganale; non si tratta di prezzi effettivamente spuntati, ma di prezzi fissati forfettariamente, prima dello sbarco e della vendita dei frutti, dalle autorità fiscali per un periodo di quattro settimane.

I negozi tra imprese facenti parte di un complesso economico multinazionale e che riguardano il trasferimento di profitti o di perdite da un'affiliata all'altra ed eventualmente da un paese all'altro sono particolarmente opachi. I prezzi di trasferimento applicati dalla United Brands vanno considerati come riferentisi ad operazioni realizzate tra imprese dello stesso gruppo, cioè come prezzi di ordine interno, il cui livello è fissato in funzione di considerazioni di ordine fiscale, finanziario ed economico, che riguardano solo l'impresa. È impossibile farsi un'idea esatta di questi prezzi di trasferimento senza conoscere gli utili nell'America del Sud. In risposta alle domande fattele all'udienza, la United Brands ha precisato che i prezzi di trasferimento pagati dall'affiliata olandese United Brands Continentaal alle compagnie del gruppo che operano nell'America del Sud sono calcolati in base ad una percentuale concordata con le autorità nazionali. È noto che determinate pratiche interne in materia di prezzi di trasferimento possono costituire l'indizio di un accordo o di una pratica concordata tra varie imprese e che una politica di prezzi di trasferimento alti o diversificati nei confronti delle affiliate di paesi nei quali le pubbliche autorità si astengono dall'intervenire può costituire un fattore di comportamento abusivo, a causa dei suoi effetti sui prezzi praticati agli acquirenti qualora le imprese in questione si trovino in posizione dominante. La lettura dei conti diventa impossibile nel caso di società integrate in holdings internazionali e che controllano complete catene di produzione nel cui ambito esse determinano, almeno in parte, il prezzo dei servizi o delle merci che esse si autoforniscono. Allorché presentò il suo programma per il 1977, la Commissione preannunciò la sua intenzione di presentare una proposta di direttiva riguardante i sindaci di dette società. Nel frattempo, dobbiamo affidarci ai controlli nazionali, incompleti per definizione? Tutto quello che si può dire in proposito è che gli utili della United Brands pare siano stati meno cospicui nel 1974 che nel 1975.

In quest'ordine d'idee, si potrebbe raffrontare il milione di u.c. alla «commissione» versata nel 1975 dalla United Brands ad un generale honduregno per cercare di avere determinate facilitazioni commerciali, oppure allo stanziamento annuo per spese pubblicitarie, somma che il suo direttore generale, a dire il vero in un contesto diverso, ha definito «del tutto sopportabile», per non dire «insignificante». Le spese pubblicitarie della United Brands sono molto più alte di quelle della maggioranza dei suoi concorrenti. Per le sue vendite di banane nella Repubblica federale di Germania, nel Benelux e in Danimarca, che corrispondono circa alla metà delle banane vendute dalla United Brands nella Comunità economica europea, questa impresa ha speso circa due milioni di u.c. ogni anno, nel 1967 e nel 1968, allorché fu lanciato il marchio Chiquita in questi Stati membri, ed in media 1,5 milioni di u.c. per ogni anno successivo.

Infine, è opportuno ricordare che, come è sua abitudine, la Commissione non ha dato esecuzione alla decisione e, giacché sulle ammende non maturano interessi, la loro incidenza effettiva ne viene diminuita in proporzione.

La Commissione, benché perfettamente al corrente delle difficoltà cui ha dato luogo in passato l'esazione delle ammende, non ha espresso l'ammenda inflitta in moneta nazionale. Nell'ambito della sua competenza di merito e conformemente alla sentenza 9 marzo 1977, Générale Sucrière (Racc. pag. 445), la Corte sarà inevitabilmente indotta a determinare l'importo dell'ammenda in moneta nazionale.

Se si ammette, secondo la sentenza ICI del 14 luglio 1972 (Race. pagg. 621 e seguenti) che l'unità di comportamento sul mercato della società madre e delle sue affiliate prevale sulla loro separazione formale, questo importo potrà pure venir espresso in dollari USA; in caso contrario, si dovrà scegliere la moneta del paese in cui ha sede la principale affiliata europea della United Brands. Preferisco lasciare al vostro apprezzamento quest'ultimo punto, come pure il giudizio sulla ricevibilità della domanda di risarcimento presentata dalla United Brands. Qualora accoglieste la domanda, si dovrebbe solo operare la conversione in moneta nazionale, sulla scorta della stessa giurisprudenza.

In conclusione, propongo che sia respinto il ricorso e che le spese, ivi comprese quelle relative al procedimento sommario, siano poste in solido a carico delle ricorrenti.


( 1 ) Traduzione dal francese.