CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE ALBERTO TRABUCCHI

DEL 7 LUGLIO 1976

Signor presidente,

signori giudici,

La presente causa, intentata contro la Commissione da una funzionarla, trova la sua origine essenzialmente in un difetto d'informazione del superiore gerarchico immediato della ricorrente, dovuto in parte al non perfetto funzionamento dei collegamenti fra i servizi interni dell'istituzione e in parte all'insufficienza di contatti tra i due funzionari di cui è parola; i quali hanno dato entrambi prova di una certa rigidità di comportamento che riteniamo abbia contribuito al sorgere della controversia.

La riccorente, che risiede e lavora a Bruxelles, si trovava da due settimane in congedo di malattia allorché, il 14 aprile 1975, qualche giorno prima della data fissata per lo svolgimento delle prove di un concorso organizzato dalla Commissione a Lussemburgo, il comitato centrale del personale le chiese di sostituire un membro della commissione esaminatrice che improvvisamente si era trovato impedito. L'indisposizione che teneva la ricorrente lontana dall'ufficio, consistente, a quanto pare, in un'allergia al fumo, non le impediva di lavorare, tanto è vero che essa era autorizzata espressamente a effettuare a domicilio le prestazioni che rientravano nei suoi normali compiti d'ufficio.

La ricorrente accettava la designazione. Lo stesso giorno, l'organo proponente ne aveva informato la direzione generale del personale e dell'amministrazione della Commissione. Non è chiaro se l'amministrazione abbia provveduto a metterne al corrente il superiore diretto della ricorrente. Egli non era stato comunque preavvisato circa la data del previsto spostamento a Lussemburgo della sua subordinata. Cosicché, il pomeriggio del 22 aprile 1975, trovandosi di fronte all'ordine di missione concemente il viaggio che la sig.a Hirschberg avrebbe dovuto compiere l'indomani a Lussemburgo ai fini del concorso, ha reagito inviando a quest'ultima, al suo domicilio, un telegramma in cui esprimeva la sua sorpresa di trovarsi di fronte a tale domanda, non essendo stato preavvisato dell'esistenza di una convocazione e dovendosi invece tener conto dell'assenza della richiedente dall'ufficio a causa di malattia. Non avendo avuto notizia di una ripresa immediata di servizio della ricorrente, egli si rifiutava di approvare la missione e pregava la ricorrente di non recarsi a Lussemburgo.

Quest'ultima, dopo aver ricevuto tale messaggio e dopo aver preso contatto con il presidente della commissione esaminatrice, ha ritenuto preferibile assumersi la responsabilità di non osservare quanto disposto dal suo superiore piuttosto che compromettere con la sua assenza i lavori del concorso, a cui partecipavano 450 candidati. Il superiore diretto della ricorrente non sapeva (e non è per fargliene un appunto che lo rileviamo, giacché trattasi di un dato che era coperto dal segreto medico) che l'indisposizione che aveva trattenuto lontana dall'ufficio la ricorrente non era di natura da opporsi al suo viaggio a Lussemburgo e alla sua partecipazione ai lavori del concorso, cosi come non le aveva impedito di svolgere regolarmente le sue funzioni a domicilio fino a quel momento.

Le circostanze imponevano comunque di prendere subito una decisione senza consentire di chiarire preliminarmente ogni particolare. L'indomani, dunque, la ricorrente si recava a Lussemburgo, mentre il suo superiore diretto le indirizzava una lettera per chiederle informazioni circa il concorso di cui trattavasi e circa le circostanze in cui era avvenuta la sua designazione quale membro della commissione d'esami, nonché le ragioni di tale partecipazione nonostante che si (osse trovata in congedo di malattia.

Il 25 aprile la ricorrente rispondeva a tali richieste riferendosi all'inattesa rinuncia di un collega precedentemente designato e agli inconvenienti che sarebbero derivati per lo svolgimento del concorso se essa pure si fosse assentata all'ultimo momento. Rammentava anche che la sua indisposizione non le aveva impedito di svolgere le sue funzioni, ma non dava una precisa spiegazione sal punto specifico della compatibilità in linea di fatto della sua malattia con il viaggio a Lussemburgo e con la sua partecipazione ai lavori della commissione d'esami. È anche vero, però, che tale questione non era stata chiaramente sollevata nella menzionata richiesta d'informazioni.

Con nota del 30 aprile, la quale indicava in epigrafe il suo oggetto con il termine «ammonimento», il superiore in questione definiva tale risposta come «incompleta e tendenziosa»: definendola incompleta, supponiamo si riferisse a quest'ultimo punto. Il «tendenziosa» si riferisce verosimilmente all'allusione, contenuta nella risposta, all'avversione che il superiore in questione avrebbe manifestata l'anno precedente in merito alla partecipazione della ricorrente ai lavori di un concorso come membro della relativa commissione d'esami. A conclusione di questa nota, il superiore della ricorrente affermava di essere spiacente di doverle rivolgere «le présent avertissement» in considerazione del suo comportamento «ambiguo e indisciplinato, non conforme né alle regole elementari dell'amministrazione, né compatibile con le responsabilità connesse alla sua funzione».

Il 9 giugno successivo, l'interessata rivolgeva alla Commissione un reclamo a norma dell'articolo 90 dello statuto dei funzionari. Dopo avere esposto i fatti e le ragioni del suo comportamento, essa chiedeva che la Commissione le desse atto per iscritto che le affermazioni contenute nelle note del suo superiore gerarchico, e in particolare nella nota del 30 aprile 1975, fossero ritirate in quanto esse ledevano ingiustamente la sua dignità personale e la sua posizione nell'ambito del servizio.

Il 22 ottobre 1975, il direttore generale del personale e dell'amministrazione le rispondeva affermando che le difficoltà che essa aveva incontrate erano il risultato di un malinteso originato dalla sua assenza dall'ufficio per ragioni di malattia e assicurandola che, malgrado questo, l'incidente non avrebbe avuto alcuna conseguenza sulla sua carriera e che tutte le note scritte riguardanti la questione non sarebbero state allegate al suo fascicolo personale. La risposta terminava con l'affermazione seguente: «Perciò non è più utile inoltrare il suo reclamo alla Commissione».

Quest'ultima affermazione pare indicare che il reclamo non è mai pervenuto all'autorità competente a decidere sullo stesso. Sarebbe stato dunque in sostanza il direttore generale ad adottare una decisione di rifiuto, partendo dall'idea che la richiedente non avesse più interesse a insistere nella sua domanda.

Sotto questo aspetto, la decisione potrebbe essere considerata viziata per incompetenza. Secondo la decisione della Commissione del 24 febbraio 1974, infatti, l'«autorità che ha il potere di nomina», competente a decidere sul reclamo dei funzionari aventi il grado della ricorrente, è il membro della Commissione incaricato delle questioni amministrative, e non un funzionario dell'amministrazione, fosse pure il più elevato in grado.

Il mezzo non è stato peraltro sollevato dalla ricorrente sotto questo profilo. D'altra parte, la posizione sostenuta dalla Commissione nell'ambito di questo processo fa ritenere che essa abbia comunque inteso far propria, sanandola per quanto necessario, quella decisione del direttore generale dell amministrazione.

Prima di esaminare singolarmente i vari capi delle conclusioni del ricorso, osserviamo che una delle condizioni di ricevibilità dell'azione intentata da un funzionario contro la decisione che ha respinto il suo reclamo amministrativo consiste nella concordanza fra le conclusioni del ricorso e l'oggetto del reclamo. Non riteniamo però che in questa materia sarebbe indicato far prova di un rigido formalismo, fino ad esigere una corrispondenza esatta di ogni singolo capo delle conclusioni del ricorso con altrettante puntuali domande contenute nel reclamo, quasi che questo desse luogo a una procedura di primo grado e il ricorso a un giudizio d'appello.

Poiché il reclamo si limita invece a promuovere una procedura precontenziosa di carattere puramente amministrativo, basterà che il ricorso avverso la decisione di rifiuto abbia lo stesso oggetto sostanziale del reclamo, senza che delle differenze formali o comunque di carattere marginale possano comportarne l'irricevibilita.

Ci pare che tale condizione sia soddisfatta nelle specie.

Esaminiamo dunque le singole domande proposte dalla ricorrente. Essa chiede in primo luogo alle Corte di affermare che il rifiuto opposto dal suo superiore gerarchico di consentirne la missione a Lussemburgo, mediante il telegramma del 22 aprile 1975, è contrario all'articolo 1, ultimo comma, dell'allegato II dello statuto. Questa norma dispone che le funzioni assunte dai membri del Comitato del personale, nonché dai funzionari che, per delega del Comitato, facciano parte di organi statutari creati dall'istituzione, sono considerate come parte dei compiti che essi devono assolvere presso la loro istituzione.

Non siamo peraltro a conoscenza di alcun elemento atto a dimostrare l'esistenza di un intento contrario al disposto di detta norma. Questo telegramma si spiega semplicemente in ragione dell'ignoranza in cui il capo servizio era stato lasciato circa l'effettivo stato di salute della ricorrente e dei legittimi dubbi che egli poteva avere sull'ammissibilità della partecipazione di un funzionario che ancora si trovava in congedo di malattia a un'attività che ne avrebbe comportato lo spostamento in altra città. E tutto questo, sulla base di un ordine di missione il quale, presupponendo che il suo destinatario si trovi in servizio attivo, è normalmente incompatibile con il permanere di questo in congedo di malattia.

D'altra parte, la qualificazione rispetto al diritto comunitario delle istruzioni contenute in quel telegramma potrebbe avere interesse soltanto qualora la ricorrente, per il fatto di non averle seguite, si fosse vista rifiutare il riconoscimento della missione compiuta in contrasto con tale ordine. Ma non risulta che vi sia stato tale rifiuto. Il primo capo delle conclusioni, di per sè considerato, non riveste dunque alcun interesse per la ricorrente: e la relativa domanda è quindi irricevibile.

In secondo luogo, la ricorrente chiede l'annullamento, per ragioni d'incompetenza, della nota del 30 aprile, qualificata come «ammonimento» dal suo autore.

L'articolo 87 dello statuto del personale prevede che l'autorità che ha il potere di nomina può infliggere la sanzione dell'ammonimento, senza consultare la commissione di disciplina, su proposta del superiore gerarchico del funzionario o di propria iniziativa. L'interessato deve essere sentito in precendenza. Nella specie si trattava di una nota di rimostranze, alle quale il suo autore ha cèrtamente inteso conferire una certa solennità, come dimostra la qualifica di «ammonimento» apposta in epigrafe. Tale circostanza non è però sufficiente per far ritenere che questi intendesse attribuire alla nota il valore di vero e proprio provvedimento disciplinare ai sensi dell'articolo 87 dello statuto. Trattasi di semplici osservazioni, indirizzate a un dipendente dal superiore gerarchico, di per sé prive di ogni effetto giuridico, costituenti un provvedimento puramente interno che, conformemente alle giurisprudenza della Corte, non è impugnabile (v. sentenza nella causa 16-67, Labeyrie, Racc. 1968, pag. 401).

Pur dovendosi deplorare l'uso improprio di termini a cui lo statuto del personale ha conferito un senso ben preciso e circoscritto, la preminenza che deve avere la considerazione della realtà sostanziale degli atti sulla loro forma ci conduce a ritenere irricevibile la domanda volta a ottenere l'annullamento della nota di cui si tratta.

In terzo luogo, la ricorrente chiede l'annullamento del rifiuto implicito della Commissione di accogliere il reclamo tendente a ottenere il ritiro delle menzionate critiche espresse a suo riguardo dal superiore diretto. Questa domanda si basa sulla pretesa violazione da parte della Commissione dell'obbligo d'assistenza impostole nei confronti dei propri funzionari dall'articolo 24 dello statuto.

È questo il punto centrale della causa. Dal momento che, come si è detto, le note del superiore gerarchico di cui la ricorrente si lamenta non hanno dato origine ad alcun provvedimento di carattere disciplinare, e sono di per sé prive di effetti giuridici, l'unica questione che si pone a questo riguardo è quella di sapere se le espressioni usate in quelle note per criticare il comportamento della ricorrente siano tali da poterne ledere ingiustamente l'onorabilità professionale o da poterle comunque causare un danno morale; mentre è da escludere che sul piano della carriera queste critiche avrebbero potuto nuocere alla ricorrente, dal momento che le note in questione non avrebbero mai figurato nel fascicolo personale secondo le assicurazioni date dal direttore generale dell'amministrazione e del personale.

Sulla proponibilità in linea di principio, in base all'articolo 91 dello statuto dei funzionari, di domande volte a ottenere il risarcimento di un danno anche puramente morale che il funzionario pretende di aver subito in occasione del servizio e di cui possa addossarsi la responsabilità all'istituzione da cui dipende, e ciò anche indipendentemente da una domanda d'annullamento, mi sono già espresso nelle conclusioni presentate il 12 marzo 1975 e in quelle successive del 26 giugno nelle cause riunite 4 e 30-74 (Scuppa/Commissione, Racc. 1975, pag. 938 e ss. e 940 e ss. Benché sembri che la sentenza accolga implicitamente i principi di procedura e di competenza sostenuti in tali conclusioni, la sezione non ha avuto allora bisogno di prendere espressamente posizione al riguardo. Per il caso che essa lo ritenesse ora necessario, mi permetto di rinviare a quanto da me sostenuto in quell'occasione.

Per quanto riguarda l'allegata lesione dell'onorabilità professionale, l'esistenza di un danno presupporrebbe la pubblicità data alle note di cui è questione, le quali avevano un carattere interno e personale. Se si comprende che la ricorrente abbia dovuto menzionare il telegramma del 22 aprile al presidente della commissione di concorso, nessuna necessità vi era perché essa comunicasse a chicchessia il contenuto delle note successive, e in particolare di quella del 30 aprile. Resterebbe dunque preminente l'aspetto del danno morale, la cui riparazione costituisce l'oggetto del quarto punto delle conclusioni.

La Commissione ha dato atto alla ricorrente del valore della sua preparazione e delle sue prestazioni professionali. Ne fanno prova le note stabilite dai suoi superiori. Il rapporto informativo biennale sul comportamento in servizio della ricorrente, stabilito successivamente al verificarsi dell'incidente di cui trattasi, previa consultazione del superiore diretto della ricorrente, non porta alcuna traccia di questo incidente, né diretta né indiretta. Esso si esprime in termini lusinghieri per la funzionaria.

Si può comprendere che un funzionario che, per ragioni riguardanti l'interesse del servizio, accetta un'incombenza straordiniaria, come ha fatto la ricorrente nell'aderire di spostarsi a Lussemburgo per sopperire all'ultimo momento alla mancanza di un membro della commissione d'esame e per evitare che venissero intralciate le operazioni di un concorso riguardante varie centinaia di persone, possa sentirsi offeso quando poi si trovi criticato in termini, bisogna riconoscerlo, assai duri; e l'offesa sarà tanto più grave in quanto si tratti di un funzionario particolarmente coscienzioso e legato ai suoi doveri.

La ricorrente però avrebbe certamente fatto meglio a tenere più al corrente il suo superiore diretto circa il previsto spostamento a Lussemburgo. Se questi ne fosse venuto a conoscenza un po' prima, vi sarebbe stato il tempo per chiarire la posizione, ed è probabile che non vi sarebbero state ragioni per provocare, dall'una e dall'altra parte, quell'irrigidimento che è poi risultato dal fatto compiuto.

Cosí pure la ricorrente avrebbe potuto essere più esplicita nello spiegare come la sua partecipazione ai lavori della commissione d'esami poteva essere compatibile con la malattia che la teneva lontana dall'ufficio, anche se, come si è rilevato, la lettera del 23 aprile non era del tutto precisa nel chiedere spiegazioni su questo punto. Essa si limitava infatti a chiedere la ragione della partecipazione della ricorrente ai lavori della commissione d'esami, nonostante che essa fosse in congedo di malattia. La ricorrente riteneva di aver risposto esaurientemente a tale domanda facendo presente che, qualora essa non si fosse recata a Lussemburgo, i lavori del concorso avrebbero potuto risultarne compromessi. È perciò comprensibile che, pur dopo le spiegazioni ricevute, il superiore gerarchico continuasse a pensare di poter ravvisare una contraddizione nel comportamento di chi, da una parte, era disposta a effettuare uno spostamento in altra città per prestare la sua opera in una procedura di concorso, mentre, d'altra parte, si asteneva dal partecipare a riunioni di gruppi di lavoro riguardanti direttamente le sue incombenze d'ufficio che si svolgevano nella città in cui risiedeva.

Risulta da tutto questo che la mancanza di sufficiente contatto fra i due funzionari in questione e gli equivoci che ne sono risultati hanno determinato la reazione del superiore della ricorrente nel senso che abbiamo visto, reazione certamente eccessiva da un punto di vista obiettivo, ma soggettivamente comprensibile tenuto conto delle circostanze.

La decisione del direttore generale dell'amministrazione e del personale di non far figurare nel fascicolo personale dell'interessata questo scambio di note, se non costituisce di per sé una smentita dell'obiettiva fondatezza delle critiche espresse dal superiore diretto della ricorrente, implica quantomeno un giudizio di irrilevanza delle stesse. Tenuto conto delle circostanze sopra menzionate e in particolare del fatto che il comportamento della ricorrente può aver contribuito a determinare l'incomprensione che è stata alla base di questo episodio, riteniamo che l'interessata non possa ora pretendere la condanna della Commissione al risarcimento, sia pure simbolico, del danno morale che essa reputa aver subito per le critiche che le sono state rivolte e per avere la convenuta omesso di accedere alle richieste formulate nel reclamo amministrativo, e in particolare per non aver provveduto a che tali critiche venissero formalmente ritirate.

Si può comprendere l'esitazione della Commissione a sconfessare ufficialmente un capo servizio che, nell'esercizio delle funzioni inerenti alla sua posizione di superiore gerarchico e agendo in perfetta buona fede, ha mosso delle critiche che, pure eccessive, sono tuttavia soggettivamente giustificabili, tenuto conto delle circostanze e degli equivoci a cui aveva contribuito la stessa ricorrente.

In questo contesto, la ricorrente avrebbe anche potuto accontentarsi dell'assicurazione ricevuta dal direttore generale del personale e dell'amministrazione circa l'elimiliazione dal suo fascicolo di ogni riferimento all'incidente. Comunque, anche se ciò non bastasse, il riconoscimento, effettuato dall'agente della Commissione nel corso dell'udienza, dell'eccellenza sotto ogni riguardo della funzionarla in questione, e la conseguente pubblicità di tale riconoscimento, costituisce di per sé solo un mezzo sufficiente per dare soddisfazione alle ricorrente, dissipando ogni equivoco nei suoi confronti che, nell'ambito del servizio, avrebbe potuto eventualmente essere stato provocato dallo scambio di note a cui ci siamo riferiti.

Tenuto conto delle particolari circostanze che hanno determinato la presente causa, pur concludendo per il rigetto del ricorso, riteniamo che sarebbe equo porre a carico delle convenuta, a cui, secondo la regola applicabile ai ricorsi dei funzionari, incombono comunque le sue proprie spese, anche una metà delle spese della ricorrente in applicazione dell'articolo 69, paragrafo 3, primo comma, del regolamento di procedura.