CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE GERHARD REISCHL
DEL 9 DICEMBRE 1975 ( 1 )
Signor presidente,
signori giudici,
Nell'ambito della lotta contro l'aumento dei prezzi sul mercato interno, il governo italiano emanava, il 24 luglio 1973, il decreto-legge n. 427, convertito, il 4 agosto 1973, nella legge n. 496. Col predetto testo si bloccavano, al livello da essi raggiunto il 16 luglio 1973, i prezzi alla produzione, nonché i prezzi del commercio all'ingrosso ed al minuto di determinati prodotti alimentari di largo consumo, fra cui le paste di grano duro. Aumenti di tali prezzi vennero poi nuovamente autorizzati soltanto nel dicembre 1973 e nel settembre 1974. La legge in questione stabiliva inoltre che l'azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (AIMA), poteva, su autorizzazione del ministro competente, svolgere attività per la regolazione del mercato interno dei cereali mediante acquisti, immagazzinamenti e vendite, queste ultime da effettuarsi sul mercato nazionale alle condizioni fissate dal comitato interministeriale dei prezzi.
In forza delle suddette disposizioni, l'AIMA acquistava effettivamente sul mercato mondiale, a cominciare dal settembre 1973, notevoli partite di frumento duro al prezzo medio di Lit. 18500 il q. La maggior parte di tale frumento veniva ceduta, in diverse riprese, durante il periodo compreso tra il settembre 1973 e l'aprile 1975, a produttori italiani di semole e di paste. Le vendite, autorizzate dal comitato interministeriale dei prezzi, vennero effettuate a prezzi varianti fra Lit. 11000, Lit. 13000 e Lit. 13600 il q, mentre i prezzi correnti sul mercato italiano nel periodo in questione erano rispettivamente di Lit. 11500, Lit. 18500 e, persino, Lit. 20000 il q.
L'intervento dell'AIMA provocò, nel periodo compreso tra il gennaio 1974 ed il gennaio 1975, una brusca caduta dei prezzi del grano duro ancora in possesso degli operatori italiani, e ciò in particolare sulla piazza di Foggia, che è la più importante d'Italia per il commercio di tale prodotto. Si giunse addirittura al punto che, in certi momenti, il grano duro non era neppur più quotato sul mercato.
L'attore nella causa principale, il sig. Carmine Russo, produttore di grano duro nel comune di Castelluccio dei Sauri, sostiene di essere stato costretto a vendere, nel gennaio 1975, 50 q di grano duro al prezzo di Lit. 17000 il q, mentre il sistema dell'organizzazione comune di mercato gli aveva dato la legittima aspettativa, o avrebbe dovuto dargli il diritto, di spuntare quel prezzo di circa Lit. 18500 il q, che si sarebbe formato per il normale gioco del mercato e dei meccanismi dell'organizzazione comune se non fosse nel frattempo intervenuta l'operazione realizzata dall'AIMA. Il sig. Russo ha perciò citato in giudizio l'AIMA dinanzi al Pretore di Bovino e chiesto, ai sensi dell'art. 2043 del codice civile, il risarcimento dei danni subiti, da lui valutati in Lit. 75000.
Con ordinanza 2 maggio 1975 il Pretore di Bovino ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE, le seguenti questioni pregiudiziali:
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«1. |
se l'esistenza di un organizzazione comune del mercato dei cereali consenta agli Stati membri l'adozione di misure unilaterali che, tramite operazioni commerciali effettuate proprio dall'organismo di intervento designato ai fini dell'applicazione del regolamento n. 120/67, si traducano in un'alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi previsto dalle norme comunitarie e in una distorsione nel commercio intracomunitario; |
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2. |
se l' acquisto di un quantitativo di grano duro da parte di un organismo di intervento di uno Stato membro effettuato sul mercato mondiale ad un certo livello di prezzo e la successiva rivendita all'interno di uno Stato membro a un prezzo inferiore a quello di acquisto e addirittura inferiore al prezzo di intervento, abbia o meno l'effetto di una sovvenzione all'importazione del prodotto in questione (nella specie, grano duro); |
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3. |
se, posto che le disposizioni del regolamento n. 120/67 del Consiglio e successive modalità sono direttamente applicabili nell'ordinamento italiano, esse facciano sorgere negli operatori del settore un diritto a che non venga turbato il normale gioco dei meccanismi previsti dall'organizzazione comune di mercato circa la formazione dei prezzi: diritto suscettibile di immediata tutela da parte dei giudici nazionali; |
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4. |
in caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, stabilire se l'intervento dello Stato membro come sopra qualificato sia comportamento da considerarsi antigiuridico e, quindi, costituisca una violazione della situazione giuridica attribuita dalle norme comunitarie all'operatore economico privato; |
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5. |
se, in caso di risposta affermativa al quesito precedente, esista nel diritto comunitario un principio che riconosce ai soggetti privati — titolari delle situazioni giuridiche qualificate dalle norme del regolamento n. 120/67 — di andare completamente e in ogni modo esenti dalle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli risultanti dall'illegittimo comportamento dello Stato membro, in particolare quando si tratti dell'organismo di intervento.» |
Sulle predette questioni prendo posizione come segue:
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I — |
Con le prime due questioni il giudice nazionale vi chiede se provvedimenti come quelli adottati dal governo italiano siano compatibili con la normativa comunitaria.
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II — |
Con le ultime tre questioni il Pretore di Bovino domanda se esista, in diritto comunitario, un principio in base al quale i singoli possano richiamarsi all'efficacia diretta dei regolamenti comunitari per «andare completamente ed in ogni modo esenti» dalle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli risultanti da un comportamento dello Stato membro interessato che costituisca eventualmente una violazione degli obblighi imposti dal trattato. La Corte ha già avuto occasione di precisare in una certa misura le conseguenze che una simile situazione implica per il giudice nazionale e per i singoli. Il diritto comunitario — ha affermato la Corte (sentenza 4 aprile 1968, Lück, causa 34-67, Racc. 1968, pag. 325) — «non limita la facoltà dei giudici nazionali competenti di servirsi, tra i vari mezzi offerti dall'ordinamento interno, di quelli che appaiono loro più appropriati onde tutelare i diritti soggettivi attribuiti» dal trattato. È così che, quando una legge interna risulta in contrasto con la disciplina comunitaria, il giudice nazionale deve astenersi dall'applicarla. Se si tratta di procedimenti pendenti dinanzi ai giudici amministrativi, questi devono astenersi dall'applicare le norme interne contrarie al diritto comunitario, come ha deciso il Consiglio di Stato italiano, in una controversia concernente il settore del latte, in data 25 settembre 1974, cioè prima ancora che venisse pronunziata la sentenza Galli. Se si tratta di procedimenti penali, l'imputato dev'essere prosciolto dalle accuse formulate a suo carico: a tale conclusione è giunto, giustamente, il Pretore di Roma, che si era rivolto alla Corte nella causa Galli (sentenza 26 aprile 1975). Ma che cosa succede sotto l'aspetto della responsabilità per danni derivanti dall'applicazione di norme incompatibili col diritto comunitario, sia che della causa venga investito il giudice civile, sia che ne venga investito il giudice amministrativo? Io penso che, in generale, anche in questo settore, spetti ai giudici nazionali di trarre nel loro ordinamento interno, in conformità agli obblighi generali imposti agli Stati membri dall'art. 5 del trattato, le conseguenze del fatto che il loro Stato è membro della Comunità. La Corte ha più volte affermato che è compito di ciascuno Stato l'assumere le iniziative necessarie affinché la disciplina comunitaria riceva un'applicazione simultanea ed uniforme in tutti gli Stati membri. Nella sentenza 7 febbraio 1973 (causa 39-72, Commissione Italia, Racc. 1973, pag. 111) essa ha deciso, con riferimento ad una questione preliminare, che «di fronte al ritardo nell'adempiere un obbligo o al rifiuto definitivo di adempierlo, la sentenza pronunciata dalla Corte in forza degli artt. 169 e 171 del trattato può avere pratica rilevanza come fondamento della responsabilità eventualmente incombente allo Stato membro — a causa dell'inadempimento — nei confronti di altri Stati membri, della Comunità o dei singoli». Il concetto espresso nella suddetta sentenza è un logico corollario del principio della preminenza del diritto comunitario e della sua efficacia diretta. È ben vero che, salvo i casi in cui la Corte è direttamente chiamata a giudicare dei diritti attribuiti ai singoli dall'ordinamento comunitario, spetta al magistrato nazionale di contribuire alla tutela di questi diritti nei modi consentiti da ciascun ordinamento giuridico interno. Se però non si vuol correre il rischio che i diversi interessati subiscano un trattamento differente a seconda dell'ordinamento giuridico interno valido nei loro confronti, occorre — come ha già più d'una volta ricordato la Corte — elaborare dei principi volti a garantire una protezione uniforme ed il più possibile efficace di tali diritti. Credo pertanto di poter constatare l'esistenza d'un principio di diritto comunitario in base al quale le autorità — ed in particolare i giudici — degli Stati membri sono tenute a salvaguardare, garantendo in proposito una tutela diretta ed immediata, gli interessi delle persone lese da un eventuale violazione di disposizioni comunitarie che accordino loro dei diritti (cfr. causa 13-68, Salgoil contro Ministero del commercio con l'estero, sentenza 19 dicembre 1968, Racc. 1968, pag. 601). Ciò premesso, ove siano presenti anche le altre condizioni richieste dal diritto interno, si può pensare ad una domanda di risarcimento contro lo Stato membro che non abbia rispettato il trattato. |
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III — |
Per concludere, vi propongo di risolvere come segue le questioni sottopostevi dal Pretore di Bovino:
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( 1 ) Traduzione dal tedesco.