CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE JEAN-PIERRE WARNER

DEL 15 MAGGIO 1975 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

Nel presente caso, la Corte si trova ancora una volta a doversi pronunziare sulla decisione della Commissione 8 maggio 1969 (69/138/CEE), che autorizzava la Repubblica federale di Germania a limitare l'intervento al frumento tenero ed all'orzo di produzione nazionale.

Vi rammenterò brevemente i retroscena di quella decisione. La caduta del corso a termine del franco francese, che stava per essere svalutato, aveva reso conveniente acquistare cereali in Francia e rivenderli all'ente d'intervento tedesco. La quantità di cereali francesi offerti all'ente d'intervento tedesco fu tale da esaurire pressoché completamente le capacità ricettive del medesimo e da far temere il crollo del sistema d'intervento vigente in Germania. Situazioni analoghe si verificavano contemporaneamente anche in Belgio e nei Paesi Bassi, inducendo la Commissione ad emanare, lo stesso giorno 8 maggio 1969, identiche decisioni a favore dei due predetti paesi. Tutte e tre le decisioni vennero adottate nell'esercizio dei poteri attribuiti alla Commissione dall'art. 226 del trattato CEE.

L'art. 1, n. 2, di ciascuna decisione disponeva che l'autorizzazione concessa allo Stato non s'applicasse ai cereali offerti al rispettivo ente d'intervento prima dell' entrata in vigore della decisione stessa.

Il 9 maggio 1969, alle ore 8.45, l'ente d'intervento tedesco rendeva noto che, in seguito ad un'ordinanza del ministro federale dell'alimentazione, dell'agricoltura e delle foreste, esso non avrebbe più acquistato frumento tenero ed orzo di produzione estera. Veniva tuttavia precisato che l'ordinanza non s'applicava al frumento tenero ed all'orzo offerti per l'intervento prima che la decisione fosse entrata in vigore, vale a dire prima dell'8 maggio 1969, ore 18.40. Il comunicato in questione veniva pubblicato il 10 maggio 1969 (Bundesanzeiger n. 87/69; comunicato n. 65-68/69). Sembra tuttavia che né il comunicato né l'ordinanza su cui esso si fondava fossero efficaci ai sensi dell' ordinamento tedesco. In data 19 giugno 1969 il ministro federale dell'alimentazione, dell'agricoltura e delle foreste, di concerto con il ministro federale del commercio, emanava un decreto che, con effetto retroattivo alle ore 8.45 del giorno 9 maggio 1969, limitava l'intervento al frumento tenero ed all'orzo di produzione nazionale (Bundesanzeiger 19 giugno 1969, n. 108/69). Ci si è chiesti se il predetto decreto potesse secondo il diritto tedesco avere effetto retroattivo, ma si tratta d'una questione sulla quale non spetta evidentemente alla Corte di pronunziarsi.

Allorché la decisione della Commissione entrò in vigore, era in corso il trasporto, per via fluviale o marittima, di varie partite di cereali francesi, che alcune ditte tedesche avevano acquistato con l'intenzione di rivenderle all'ente d'intervento tedesco. Due di queste ditte, la Hagen OHG e la Wünsche OHG, entrambe di Amburgo, adirono in seguito la Corte di giustizia (cause 49-71 e 50-71; Racc. 1972, pagg. 23 e 53, rispettivamente). Come ricorderete, in quelle occasioni la Corte ritenne fra l'altro che, ai sensi della disciplina comunitaria concernente gli acquisti da parte degli enti d'intervento, ed in particolare ai sensi dell'art. 7 del regolamento n. 120/67, nonché dei regolamenti n. 132/67 e n. 1028/68:

1.

L'offerta per l'intervento andava considerata come effettuata nel momento in cui fosse giunta per iscritto all'ente d'intervento;

2.

La predetta offerta era valida solo se avesse indicato il luogo in cui le merci si trovavano nel momento in cui l'offerta stessa veniva effettuata;

3.

L'offerta, originariamente incompleta a questo proposito, poteva essere completata in seguito, ma avrebbe prodotto effetti soltanto a partire dal momento in cui avesse posseduto tutti i prescritti requisiti;

4.

Il riferimento al «luogo in cui i cereali si trovano al momento dell'offerta» (art. 1 del regolamento n. 132/67) andava interpretato nel senso che le merci offerte dovevano trovarsi, già al momento dell'offerta, a disposizione dell'ente d'intervento, affinché il loro eventuale successivo trasferimento fosse lasciato a discrezione di questo.

In un successivo procedimento (causa 72-72, Racc. 1973, pag. 377) un'altra ditta tedesca, la Baer-Getreide GmbH, impugnò di nullità la decisione della Commissione con diversi mezzi di gravame, tutti respinti dalla Corte. In quella circostanza si discusse, fra l'altro, il problema del se la decisione liberasse direttamente l'ente d'intervento tedesco dall'obbligo d'acquistare i cereali francesi. Com'era da prevedersi, la Corte risolse la questione in senso negativo, dichiarando, che la decisione non aveva altro effetto che quello di attribuire alla Repubblica federale la facoltà di «far adottare dai propri organi competenti i provvedimenti autorizzati».

Per tornare al presente procedimento, esso riguarda la ditta C. Mackprang jun. OHG, con sede in Amburgo, impresa specializzata nel commercio dei cereali. Contro di essa pende un ricorso dinanzi al Bundesgerichtshof, che ha sottoposto a questa Corte alcune questioni pregiudiziali.

Ecco, in breve, i fatti. Il 6 maggio 1969 la ditta Mackprang (in prosieguo: la resistente) offriva all'ente d'intervento tedesco che ha presentato il ricorso ora pendente dinanzi al Bundesgerichtshof (in prosieguo: il ricorrente), 8 partite di frumento francese, per un totale di 7500 tonnellate. Nelle offerte si dichiarava che il frumento in questione era depositato in diversi centri della Repubblica federale, e precisamente: ad Amburgo, ad Hamm, a Mannheim ed a Neuss. In realtà, tutte le partite di frumento erano ancora in navigazione. L’8 maggio 1969 il ricorrente accettava le offerte e, lo stesso giorno, prendeva in consegna una certa quantità di frumento appartenente ad una delle partite considerate, giunta proprio allora ad Amburgo nonostante la ditta Mackprang avesse dichiarato, nella sua offerta del 6 maggio, che essa era già depositata in tale città. Per quanto riguardava però il frumento giunto a destinazione nei giorni successivi, il ricorrente rescindeva i contratti, richiamandosi alla decisione della Commissione, al proprio comunicato dell'8 maggio, al successivo decreto emanato dal ministro federale dell'alimentazione, dell'agricoltura e delle foreste ed infine alla circostanza che nelle offerte non era stato dichiarato il vero circa il luogo in cui si trovavano le merci.

Rinuncio a farvi un racconto dettagliato dei successivi avvenimenti (fra cui l'invio all'ente d'intervento d'un telex della Mackprang, datato 30 maggio 1969, il quale, sotto un certo aspetto, sanava i difetti delle offerte, almeno per alcune delle partite in questione), avvenimenti rilevanti soltanto con riferimento a questioni di competenza del Bundesgerichtshof, quale ad esempio il problema dell'efficacia retroattiva del decreto ministeriale in precedenza ricordato.

Le questioni sottoposte alla Corte dal Bundesgerichtshof sono le seguenti:

1.

Se la decisione della Commissione CEE 8 maggio 1969, che autorizza la Repubblica federale di Germania a limitare l'intervento a determinati cereali (69/138/CEE, GU L 112/1 del 9. 5. 1969), si applichi ai cereali, prodotti in altri Stati membri, che l'8 maggio 1969 si trovavano già in viaggio verso la Repubblica federale di Germania e per i quali, solo dopo tale data venne presentata all'ente d'intervento un'offerta valida.

In caso affermativo:

2.

Se la decisione suddetta si applichi ai cereali in questione che si trovavano già in viaggio il 2 maggio 1969.

La data del 2 maggio 1969 potrebbe essere eventualmente rilevante per il fatto ch'essa è la data in cui la Repubblica federale chiese alla Commissione d'essere autorizzata, in forza dell'art. 226 del trattato CEE, ad adottare misure di salvaguardia.

Nel prendere in esame le questioni sottopostevi dal Bundesgerichtshof, mi sono naturalmente basato sulla traduzione inglese delle medesime, effettuata dalla sezione inglese del servizio linguistico della Corte. Il termine tedesco «gültig», usato dal Bundesgerichtshof, è ivi tradotto con «valid» [valido], ma esso può significare anche «applicable» [applicabile], ed è questo infatti il significato che gli è stato attribuito nella traduzione francese dell' ordinanza di rinvio. Propongo di accettare entrambi i possibili significati, giacché la resistente li utilizza entrambi, l'uno in alternativa all'altro. Essa sostiene infatti:

1.

che la decisione va ritenuta «non applicabile» ai cereali, di cui fosse già in corso il trasporto alle date sopra riferite;

2.

che, ove la decisione si applicasse anche ai suddetti cereali, essa andrebbe, sotto questo aspetto, ritenuta «nulla».

Prima d'esaminare gli argomenti addotti dalla resistente, vorrei illustrare — per quanto vi siano già ben note — alcune delle disposizioni che i regolamenti comunitari di cui si tratta nella presente controversia dedicano ai prezzi d'intervento ed agli acquisti da parte degli enti d'intervento.

Come ricorderete, l'art. 2, n. 3, del regolamento n. 120/67 fissa il prezzo d'intervento «di base» per Duisburg, mentre il successivo art. 4, n. 1, fissa prezzi d'intervento «derivati» per tutti gli altri centri commerciali della Comunità. L'art. 4, n. 1, si apre con l'affermazione che lo scopo del sistema d'intervento è «di garantire ai produttori che il prezzo del mercato non scenda al di sotto di un livello minimo», esso prevede, poi, che i prezzi d'intervento derivati, siano calcolati «in modo che le differenze corrispondano ai divari di prezzo prevedibili nell’ipotesi d'un raccolto normale sulla base delle condizioni naturali della formazione dei prezzi del mercato, e permettano la libera circolazione dei cereali all'interno della Comunità conformemente alle esigenze del mercato» (giugno 1967, n. 117).

L'art. 7 del già citato regolamento impone, in presenza di condizioni sulle quali non intendo dilungarmi, agli enti d'intervento l'obbligo d'acquistare i cereali di produzione comunitaria che siano loro offerti «al prezzo d'intervento valido per il centro di commercializzazione nel quale il cereale viene offerto».

Il regolamento n. 131/67, emanato contemporaneamente al regolamento n. 120/67, enuncia alcune regole per calcolare i prezzi d'intervento derivati e per determinare taluni centri commerciali. Adottato in esecuzione dell'art. 4 del regolamento n. 120/67, esso dispone tra l'altro che:

«i prezzi d'intervento derivati nei diversi centri di commercializzazione devono essere fissati a un livello tale che i cereali provenienti da altre zone non possano essere offerti ad un prezzo inferiore a tale livello» (giugno 1967, n. 120).

e che:

«i prezzi d'intervento per i centri di commercializzazione che devono essere determinati dalla Commissione non devono provocare perturbazioni delle correnti commerciali naturali».

Le disposizioni pratiche del regolamento mirano, fra l'altro, a realizzare gli obiettivi testé ricordati.

Da ultimo, l'art. 1 del regolamento n. 132/67 (giugno 1967, n. 120), anch'esso emanato lo stesso giorno dei precedenti, recita:

«1.   In applicazione dell'art. 7 del regolamento n. 120/67/CEE, ogni offerta all'intervento deve essere fatta ad un'organismo di intervento, per un centro di commercializzazione scelto fra i tre centri più vicini al luogo in cui i cereali si trovano al momento dell'offerta.»

«2.   Per i centri di commercializzazione più vicini s'intendono i centri per i quali sono stati fissati i prezzi d'intervento e ai quali i cereali possono essere avviati con le minori spese di trasporto. Tali spese sono determinate dall'organismo d'intervento.»

A mio parere, l'esame delle predette norme lascia chiaramente comprendere che l'importazione di frumento francese in Germania con l'intenzione di rivenderlo al locale ente d'intervento per realizzare un profitto di cambio speculando sul temporaneo e fortuito squilibrio fra i prezzi d'intervento francese e tedesco, pur non essendo proibita dai regolamenti, non apparteneva certamente al tipo d'operazioni commerciali che il legislatore comunitario aveva immaginato e tanto meno al tipo d'operazioni commerciali ch'esso intendeva favorire. Al contrario affari di questo genere erano di per sé inconciliabili col sistema d'intervento. Ritengo necessaria questa precisazione in quanto la resistente sembra fondare i propri argomenti sull'implicito presupposto che le operazioni in esame rientrassero nel normale commercio intracomunitario, al cui sviluppo appunto mira l'organizzazione del mercato dei cereali. In realtà, una simile impostazione del problema è palesemente falsa.

Circa l'interpretazione della decisione, la resistente espone numerosi motivi — a suo parere cumulabili — in basi ai quali la Commissione non avrebbe potuto utilizzare il termine «offerti» (art. 1, n. 2, della decisione) nel significato che la Corte gli ha attribuito nelle cause Hagen e Wünsche, bensì avrebbe dovuto ricomprendervi anche le offerte di cereali in fase di trasporto. Signori, non solo una simile conclusione mi pare piuttosto improbabile, ma, più ancora, ciascuna delle ragioni addotte per sostenerla mi sembra discutibile.

Un primo argomento consiste nel far valere che la Commissione, quando adottò nel maggio 1969 la decisione controversa, non poteva aver previsto ciò che la Corte avrebbe affermato nel febbraio 1972: sarebbe molto più verosimile — secondo la Mackprang — che a quell' epoca, essa si ispirasse alla prassi seguita dal ricorrente, che accettava anche merci ancora in fase di trasporto, e che, di conseguenza, intendesse includere nella riserva anche le offerte relative a tali merci. Questo argomento trascura, a mio avviso, due cose:

in primo luogo, il fatto che l'interpretazione accolta dalla Corte nelle cause Hagen e Wünsche era precisamente quella suggeritale dalla Commissione, la quale, per di più, aveva praticamente sostenuto che il termine «offerti» aveva lo stesso significato tanto nei regolamenti quanto nella sua decisione (cfr. Racc. 1972, pagg. 28-29 e 58-59). Non credo che la Commissione abbia mutato parere nel periodo compreso fra le due date indicate dalla resistente;

in secondo luogo il fatto che, anche ove fosse accertata l'esistenza d'una prassi costante del ricorrente nel senso sostenuto dalla Mackprang — cosa tutt'altro che dimostrata —, non ci sarebbe alcun indizio per ritenere che tale prassi fosse nota alla Commissione. Non v'è inoltre alcuna prova che tale prassi fosse seguita nei due paesi (Belgio e Paesi Bassi), a favore dei quali furono adottate, lo stesso giorno, decisioni di identico tenore. Bisogna poi tener presente che una simile prassi, ammesso che fosse seguita in qualche paese, andava ritenuta in contrasto con i regolamenti.

Un secondo argomento avanzato dalla resistente consiste nel desumere dall'art. 1, n. 2, della decisione un presunto rifiuto della Commissione d'autorizzare misure di salvaguardia con effetto retroattivo. Non credo, signori, che sia il caso di soffermarci a discutere l'ormai annosa questione del quando una normativa che disciplina le conseguenze future di situa zioni preesistenti vada considerata retroattiva. Mi basti dire che, secondo me, dal testo della disposizione controversa si può solo evincere un'intenzione della Commissione di salvaguardare i diritti quesiti. In base alla disciplina in vigore prima della decisione, solo un'offerta valida poteva attribuire ad un commerciante un diritto soggettivo di fronte all'ente d'intervento, ed è solo ai cereali che erano stati oggetto d'un'offerta valida che la Commissione — secondo me — intendeva riferirsi.

Più avanti, la resistente si richiama alla sentenza n. 13/63 (Italia/Commissione; Racc. 1963, pag. 333) in cui la Corte avrebbe enunciato il principio che l'art. 226 del trattato non consentiva alla Commissione d'autorizzare provvedimenti di salvaguardia non «strettamente necessari», ed aggiunge che ciò doveva essere noto alla Commissione. Essa non ha spiegato, in questa parte della sua argomentazione, per quali motivi le misure di salvaguardia autorizzate dalla Commissione non sarebbero state strettamente necessarie; può darsi, tuttavia, ch'essa abbia ritenuto di aver chiarito detto punto con quanto successivamente esposto in merito al principio di proporzionalità. Su questo punto, che attiene alla validità della decisione, avrò modo d'esporre in seguito il mio punto di vista. Non mi sembra, comunque, che la causa 13-63 possa qui esserci di alcuna utilità. In quell'occasione, la Corte non enunciò alcun principio simile a quello cui si riferisce la resistente. L'espressione «strettamente necessari» ricorre piuttosto, se essa può avere qualche importanza, nell’art. 226, n. 3, del trattato CEE ed implica una limitazione dei poteri attribuiti alla Commissione dal n. 2 dello stesso articolo, limitazione valevole solo per il caso in cui tali poteri vengano esercitati in deroga alle norme del trattato. Simili deroghe devono allora essere previste «nei limiti e nei termini strettamente necessari». Il n. 3 aggiunge che «nella scelta di tali misure dovrà accordarsi la precedenza a quelle che turbino il meno possibile il funzionamento del mercato comune». Ora, i provvedimenti autorizzati dalla Commissione nel caso in esame — autorizzati ovviamente in forza del n. 2 dell'art. 226 — non derogavano affatto il funzionamento del mercato comune. Ben al contrario, essi intendevano salvaguardare, in una situazione d'emergenza, il funzionamento dell'organizzazione comune del mercato dei cereali creata dal trattato.

Da ultimo, sempre con riferimento all'interpretazione della decisione, la resistente sviluppa un complesso ed ingegnoso argomento fondato sull'art. 22, n. 2, 2o comma, del regolamento 4 aprile 1962, n. 19. Quel regolamento — ricordate? — fu, per cosi dire, il progenitore del regolamento n. 120/67. La disposizione testé menzionata vietava agli Stati membri, che dovessero adottare urgenti misure di salvaguardia durante la progressiva instaurazione dell'organizzazione comune di mercato nel settore dei cereali, di farlo in modo tale da colpire le merci in fase di trasporto. L'argomento, in breve, è il seguente: la Commissione non poteva, nelle condizioni più progredite del 1969, allorché il regolamento n. 120/67 aveva sostituito il regolamento n. 19/62, voler concedere agli Stati membri possibilità d'ingerenza più ampie di quelle loro concesse nel 1962. Signori, devo dire che il ragionamento è impostato senza tenere alcun conto della realtà. Nel maggio 1969 la Commissione dovette affrontare una situazione che non solo non era stata prevista dagli autori del regolamento n. 120/67, ma addirittura metteva in forse la stessa sopravvivenza del sistema d'intervento instaurato da quel regolamento. Essa non aveva alcun motivo d'usare particolari riguardi a quei commercianti, le cui manovre speculative avevano esasperato la situazione, né alcuna ragione di riferirsi al regolamento n. 19, che, oltre a non aver previsto alcun sistema d'intervento comunitario, era a quell'epoca ormai superato.

Ritengo pertanto che la resistente abbia torto nella questione relativa all'interpretazione della decisione e, detto questo, passo a discutere la validità del provvedimento controverso.

La resistente si richiama, in proposito, a due noti principi dell'ordinamento comunitario: il principio di proporzionalità ed il principio della tutela del legittimo affidamento.

Per quanto concerne il principio di proporzionalità, essa cita la sentenza emessa dalla Corte nella causa Bock/Commissione (Racc. 1971, pagg. 909-910). Non mi sembra tuttavia che il richiamo sia esatto. Benché nella predetta causa si fosse discusso del principio di proporzionalità, la sentenza riguarda semplicemente l'interpretazione dell'art. 115 del trattato, articolo in base al quale la Commissione aveva autorizzato le misure di salvaguardia controverse. Il citato articolo prevede fra l'altro che «in ordine di priorità, devono essere scelte le misure capaci di provocare il minor turbamento possibile nel funzionamento del mercato comune …». La Corte si pronunziò allora con riferimento a questa disposizione ed al fatto che le misure autorizzate, derogando agli artt. 90, 30 e 113 del trattato, turbavano il funzionamento del mercato comune. Nel presente caso, al contrario, le misure autorizzate non turbavano il funzionamento del mercato comune, ma anzi miravano addirittura a correggerne i difetti.

Le osservazioni testé svolte non sono tuttavia sufficienti a liquidare l'argomento in quanto la resistente sostiene ed offre di provare che, quando entrò in vigore la decisione, erano in viaggio verso la Germania per esservi rivendute al locale ente d'intervento non più di 12000 tonnellate di cereali francesi, vale a dire una minima percentuale dei cereali che la Germania importa ogni mese dalla Francia. Si tratta allora di vedere se, una volta provata l'esattezza di tali affermazioni, si potrebbe giustamente ritenere che la Commissione non avrebbe avuto bisogno, per conseguire i propri scopi, di autorizzare la Repubblica federale ad imporre ai commercianti interessati di vendere in perdita sul mercato tedesco o di riportare la merce in Francia. Signori, io non sono di questa opinione. Valutiamo la situazione come realmente era, ricordiamo che l'ente d'intervento stava esaurendo la propria capacità di immagazzinamento e che si stava profilando il collasso del sistema d'intervento in Germania, teniamo conto delle conseguenze che un simile crollo avrebbe avuto per i produttori tedeschi, anzi per la stessa politica agricola comune: la Commissione aveva ben ragione di attribuire importanza ad ogni singola tonnellata e di pensare che il suo unico dovere, nei confronti dei commercianti interessati, era di salvaguardare i diritti quesiti!

Affronto per ultimo l'argomento fondato sul principio della tutela del legittimo affidamento. Esso consiste, in sostanza, nell'affermazione che i commercianti interessati, fra cui la Mackprang, avevano comprato in Francia e trasportato in Germania dei cereali anteriormente all’8 maggio 1969, contando sul mantenimento in vigore dell'art. 7 del regolamento n. 120/67. Non potendo successivamente rescindere i contratti d'acquisto e di trasporto, essi erano esposti a subire gravi perdite, qualora il loro affidamento fosse stato deluso. Di conseguenza, la Commissione non avrebbe potuto trascurare il legittimo affidamento dei commercianti, e ciò a maggior ragione per le merci già acquistate e spedite prima del 2 maggio 1969.

La predetta argomentazione trascura — secondo me — il fatto che soltanto un affidamento legittimo può essere tutelato dal principio in esame. Ricordiamo ancora una volta che la situazione originata dalla caduta del franco francese era abnorme ed assolutamente inconciliabile col sistema d'intervento. Nessuno dei commercianti, che approfittavano di tale situazione per ricavare dal sistema profitti che un regolare funzionamento del medesimo non avrebbe assolutamente contemplato, poteva legittimamente confidare nel protrarsi d'un simile stato di cose. Al contrario, si poteva ragionevolmente prevedere che le autorità competenti avrebbero cercato di riportare, il più presto possibile, la situazione alla normalità. Né gli speculatori potevano attendersi — come già ho osservato — particolare riguardi. Ciò mi fa venire in mente una famosa massima pronunziata da Lord Greene M. R. con riferimento ad un caso in cui complicate manovre volte ad evitare il pagamento dell'imposta sui redditi non solo non avevano raggiunto lo scopo, ma si erano anzi risolte in un danno per i loro autori: «Il contribuente che giuoca col fuoco» disse Lord Greene «non può lamentarsi d'essersi scottato le dita». (Howard de Walden/C.I.R., anno 1942, 1 King's Bench, pag. 397). A fortiori, mi sembra che un'analoga risposta possa venir data a chi, invece di limitarsi ad evadere le tasse, cerca addirittura di attingere, con manovre speculative, dai fondi pubblici.

Ritengo pertanto che le questioni sottoposte alla Corte dal Bundesgerichtshof vadano risolte come segue:

1.

La decisione della Commissione CEE 8 maggio 1969, che autorizza la Repubblica federale di Germania a limitare provvisoriamente l'intervento a determinati cereali (69/138/CEE; GU 9 maggio 1969, n. L 112, pag. 1) è legittima e si applica anche ai cereali, prodotti in altri Stati membri, che l'8 maggio 1969 si trovavano già in viaggio verso la Repubblica federale di Germania e per i quali solo dopo tale data venne presentata all'ente d'intervento un'offerta valida.

2.

La stessa conclusione vale con riguardo ai cereali in questione che erano già in viaggio il 2 maggio 1969.


( 1 ) Traduzione dall’inglese.