CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE ALBERTO TRABUCCHI

DEL 21 NOVEMBRE 1973

Signor Presidente,

Signori Giudici,

La domanda d'interpretazione degli articoli 27 e 28 del regolamento n. 3, che ci è sottoposta dalla Corte d'appello di Parigi, pone il problema dell'applicabilità alle pensioni d'invalidità dei criteri e dei princìpi già affermati da questa Corte per il calcolo delle pensioni di vecchiaia.

Benché per la decisione delle cause pregiudiziali il metodo di lavoro ci chieda di concentrare l'attenzione sulle questioni di diritto la cui soluzione deve prescindere dalle caratteristiche della singola fattispecie, in questo caso per chiarire lo stesso problema ritengo necessario di soffermarmi sui fatti.

La signora Mancuso aveva ottenuto in Francia, con decorrenza dal 25 novembre 1955, una pensione d'invalidità del gruppo 2, cioè la pensione prevista dalla legislazione francese per i lavoratori il cui stato di salute sia tale da non consentire di esercitare un'attività lavorativa. Risulta dal fascicolo trasmessoci dal giudice nazionale che, successivamente, la signora Mancuso, a partire dal 1957 e fino al 1964, è stata occupata in Italia in qualità di lavoratore subordinato. Sulla base di questo nuovo rapporto, a partire dal 1o maggio 1964, le è stata concessa, in un primo tempo come diritto autonome, poi, secondo quanto è stato affermato davanti al giudice francese, in base a proratizzazione, una nuova pensione d'invalidità in virtù della legislazione italiana. L'organismo francese di sicurezza sociale interessato ha affermato davanti al giudice nazionale che la pensione italiana venne concessa per la stessa identica ragione d'invalidità per la quale l'interessata beneficiava già dell'autonoma pensione francese. Tale asserzione è stata ripresa senza riserve anche dal pubblico ministero nelle sue conclusioni davanti alla Corte d'appello di Parigi.

È necessario — dicevamo — tenere ben presenti queste circostanze, perché esse servono a puntualizzare il vero senso del problema alla cui soluzione è interessato il giudice nazionale. Questo problema oggi all'esame della Corte è di vedere se le autorità nazionali, di fronte a un caso di cumulo di prestazioni d'invalidità per una situazione personale sostanzialmente identica dello stesso lavoratore, possano ricorrere alle regole della totalizzazione e della proratizzazione onde evitare il «doppio impiego» di un'unica invalidità con la conseguente sovrapposizione di prestazioni; e ciò specialmente al fine di ripartire la prestazione assicurativa sui diversi organi di sicurezza sociale. Scartiamo fin d'ora il caso in cui una successiva pensione d'invalidità sia concessa per un aggravarsi ulteriore della precedente inabilità al lavoro, giacché esso meriterebbe una considerazione a parte. Inoltre, consideriamo la questione principalmente in riferimento ai regimi assicurativi per i quali le prestazioni sono calcolate, in linea di principio, indipendentemente dalla durata dei periodi compiuti: si tratta delle legislazioni di tipo A, ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 1, a), del regolamento n. 3, a cui, appartiene appunto il regime assicurativo francese della cui applicazione trattasi nella procedura pendente davanti al giudice che ci ha posto la domanda d'interpretazione. Come è precisato all'allegato F del regolamento n. 3, il regime assicurativo italiano in base al quale l'interessata ha ottenuto una seconda pensione d'invalidità è invece di tipo B, nel senso precisato dall' articolo 24, paragrafo 1, b), del regolamento citato: le prestazioni d'invalidità sono qui calcolate, in linea di principio, sulla base della durata dei periodi compiuti.

Per completare il quadro essenziale della situazione di fatto, segnaliamo che l'istituto assicuratore francese, sulla base dei periodi d'assicurazione compiuti dall'interessata rispettivamente in Francia e in Italia, ha proceduto alle proratizzazione della pensione già liquidata, che ammontava a 3878 franchi annui, con conseguente riduzione di tale ammontare a 2645 franchi, somma comprensiva del supplemento previsto dall'articolo 28, paragrafo 3, del regolamento n. 3, concesso per evitare che il totale delle prestazioni liquidate all'assicurato in seguito all'applicazione dell'articolo 28 sia inferiore all' ammontare della prestazione a cui avrebbe avuto diritto in Francia, indipendentemente dalle conseguenze della proratizzazione.

Per i casi in cui le diverse legislazioni nazionali in base alle quali il lavoratore ha compiuto dei periodi d'assicurazione non siano tutte del tipo A, l'articolo 26, paragrafo 1, del regolamento n. 3, dispone che le disposizioni degli articoli 27 e 28 sono applicabili per analogia.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte relativa alle pensioni di vecchiaia, il calcolo «pro rata temporis» di una prestazione può venire effettuato soltanto quando la totalizzazione dei periodi d'assicurazione compiuti dal lavoratore in diversi Stati membri sia necessaria per l'apertura del diritto alla pensione nello Stato considerato (sentenza 1-67, Ciechelsky, Raccolta 1967, pag. 219; sentenza 2-67, de Moor, Raccolta 1967, pag. 243; sentenza 27-71, Keller Raccolta 1971, pag. 890). Quando invece il ricorso all'articolo 27 del regolamento n. 3 non sia necessario per l'apertura del diritto a prestazioni, non rientrerebbe nello spirito dell'articolo 51 del trattato di fare applicazione dell'articolo 28 dello stesso regolamento. Resta però salvo il caso in cui l'applicazione autonoma e parallela di diversi regimi nazionali condurrebbe a un cumulo di prestazioni per uno stesso periodo; in questa ipotesi la Corte ha ammesso la facoltà dell'autorità nazionale di detrarre dai periodi d'assicurazione fittizi previsti a favore dell'assicurato i periodi da questi effettivamente maturati in altro Stato membro (sentenza 12-67, Guissart, Raccolta 1967, pag. 512).

Si tratta ora di stabilire se, ed eventualmente come, queste regole debbano valere anche per la pensione d'invalidità. L'istituto assicuratore francese, parte convenuta nella causa pendente davanti alla Corte d'appello di Parigi, ritiene che il criterio della proratizzazione nella materia delle pensioni d'invalidità possa applicarsi anche quando non sia necessario ricorrere all'articolo 27 per l'apertura del diritto, in ragione di differenze fondamentali che, a suo avviso, esisterebbero per quanto riguarda la natura dell'evento vecchiaia e del rischio d'invalidità, differenze che si riflettono anche nelle condizioni di apertura delle rispettive pensioni. L'apertura del diritto a pensione d'invalidità è di regola sottoposta a un periodo di affiliazione relativamente breve (in Francia è di appena un anno), di modo che l'applicazione del criterio limitativo suddetto, affermato dalla Corte in materia di pensione di vecchiaia, nel settore delle pensioni d'invalidità potrebbe facilmente portare in molti casi a un cumulo ingiustificato di pensioni.

La Commissione, pur rilevando che giustapposizione pura e semplice, ad una pensione di tipo B, di una pensione di completa invalidità ai sensi di una legislazione di tipo A può condurre a un cumulo eccessivo di benefici, perfino superiore in certi casi al salario spettante al lavoratore prima della realizzazione del rischio, ritiene peraltro che i principi affermati dalla precedente giurisprudenza di questa Corte debbano condurre a escludere la proratizzazione della pensione d'invalidità nei casi in cui non sia necessario, per l'apertura del diritto, di procedere a totalizzazione conformemente all' articolo 27.

Il governo della Repubblica italiana, intervenuto nel procedimento pregiudiziale, esclude che fra la pensione d'invalidi tà e la pensione di vecchiaia sussistano differenze tali da giustificare un diverso trattamento sulla base del diritto comunitario; basandosi sulla citata disposizione dell'articolo 26 relativa all'applicazione per analogia in materia d'invalidità delle norme sulla pensione vecchiaia, e invocando la giurisprudenza al riguardo, giunge allo stesso risultato della Commissione.

Non ritengo di poter seguire la tesi di questi due ultimi intervenienti.

Si e visto che, in riferimento alle prestazioni di vecchiaia, l'eccezione prevista dalla Corte al cumulo in caso di apertura autonoma di diritti a prestazioni riguarda solo il caso di sovrapposizione di periodi d'assicurazione fittizi calcolati a favore del lavoratore da una legislazione nazionale e di periodi d'assicurazione da questi effettivamente compiuti in altro Stato.

A differenza di quanto accade di solito per le prestazioni di vecchiaia, l'ammontare della pensione d'invalidità del tipo che qui ora interessa viene determinato essenzialmente in funzione non dalla durata dell'affiliazione al regime assicurativo, ma del grado d'invalidità riscontrato nei lavoratore, in relazione alla sua futura capacità di guadagno.

In questa prospettiva, quindi, il criterio del divieto del cumulo basato sulla sovrapposizione di periodi assicurativi, il cui computo determini l'ammontare della pensione (stabilito in relazione alle pensioni di vecchiaia), non è tecnicamente applicabile al cumulo di pensioni d'invalidità del tipo qui considerato. Occorre peraltro riferirsi alla ratio di quella limitazione facendo astrazione dal meccanismo particolare, adattato al carattere predominante della prestazione di vecchiaia, in vista del quale la limitazione stessa è stata definita. Questa limitazione ha per funzione di evitare una sovrapposizione di prestazioni in relazione a un' identica situazione assicurativa, situazione che, dato il meccanismo più usuale del calcolo delle pensioni di vecchiaia, è stata individuata nella durata dell'assicurazione. L'esigenza di evitare un cumulo di prestazioni per una stessa situazione propria al lavoratore esiste a più forte ragione in materia di pensioni d'invalidità quantomeno nell'ambito delle legislazioni di tipo A, dal momento che il fatto invalidità in base a cui si calcola la prestazione, a differènza dei periodi d'assicurazione vecchiaia, è per sua natura unico e indivisibile. Essendo quindi l'elemento determinante per l'ammontare della prestazione non il tempo d'assicurazione, ma il grado di inabilità al lavoro, l'eventuale sovrapposizione di prestazioni non potrà stabilirsi che in riferimento a questo elemento. Non rientra fra gli scopi della legislazione sociale comunitaria quello di permettere ai lavoratori migranti di collezionare nei diversi Stati membri pensioni d'invalidità complete per una stessa identica situazione di inabilità al lavoro. Questa possibilità sarebbe indubbiamente tale da incoraggiare la circolazione dei lavoratori, ma non è questo lo spirito del principio della libera circolazione. Il legislatore comunitario ha inteso eliminare gli ostacoli che si frapponevano anche in materia sociale alla libertà effettiva di circolazione, ma non può certo aver voluto che si debba favorire lo spostamento dei lavoratori invalidi mediante la concessione di premi sotto forma di pensioni multiple per uno stesso identico rischio.

Come risulta espressamente dalla citata sentenza n. 2-67, de Moor, la Corte ha escluso il carattere abusivo del cumulo delle pensioni di vecchiaia riferentisi a periodi di tempo distinti, per la ragione che si tratta di sistemi che per l'apertura del diritto autonomo alla pensione prevedevano «un periodo minimo di assicurazione di durata considerevole». Quest'ultima condizione non si verifica in relazione all'apertura del diritto a pensioni d'invalidità.

Questa Corte ha potuto ammettere con larghezza il cumulo di prestazioni relative a pensioni di vecchiaia perché a questo l'autorizzava una norma generale del regolamento n. 3, che assume grande rilevanza nel nostro caso: trattasi dell'articolo 11, paragrafo 1, il quale, proprio in riferimento a questo tipo di prestazioni, prevede espressamente un'eccezione al principio generale ivi affermato, per cui «le disposizioni del presente regolamento non possono conferire né mantenere il diritto di beneficiare, in virtù delle legislazioni degli Stati membri, di più prestazioni della stessa natura o di più prestazioni riferentisi a uno stesso periodo d'assicurazione o periodo equivalente».

Invece, rispetto all'assicurazione d'invalidità, questa norma, sulla quale insistiamo come chiarificatrice del sistema, prevede il diritto del lavoratore di beneficiare di più prestazioni in virtù delle legislazioni nazionali soltanto allorché si proceda a ripartizione dell'onere tra gli istituti assicuratori degli Stati membri di cui trattasi (articolo 11, inciso nel paragrafo 1).

E per quanto riguarda il diritto comunitario potremmo anche fermarci qui, all' applicazione di detto articolo 11, il quale, prima ancora di riferirsi a un'idea di proratizzazione, esclude, come criterio generale, il doppio impiego.

La differenziazione di trattamento che il legislatore comunitario ha stabilito fra le due pensioni di vecchiaia e d'invalidità corrisponde alla loro diversa natura.

Mentre la pensione di vecchiaia si presenta in genere, almeno in una sua componente, come un corrispettivo dell'attività lavorativa svolta per un tempo relativamente lungo (e infatti l'apertura di tale diritto è generalmente sottoposta a un lungo periodo), la pensione d'invalidità tende a compensare una perdita della normale capacità di guadagno dell'assicurato, verificatasi, per ragioni diverse da un infortunio sul lavoro, prima dell' età del pensionamento. Mentre la pensione di vecchiaia fissa e «irrevocabile», perché legata solo al passato periodo di lavoro, tale non è la pensione d'invalidità, la quale può essere sottoposta in ogni momento a revisione, in relazione al mutamento, in peggio o anche in meglio, di quell'effettiva capacità di guadagno dell' assicurato a cui essa è legata.

Anche nei sistemi in cui sia stabilito un legame fra l'ammontare della pensione e la durata dell'assicurazione, la prestazione d'invalidità non si presenta mai come un corrispettivo del lavoro prestato, ma semplicemente come una forma d'indennizzo compensativo di una menomazione fisica. Perciò, il periodo previsto per l'apertura di questo diritto è generalmente breve.

Se è pertanto ammissibile il cumulo di più pensioni di vecchiaia calcolate in relazione a periodi assicurativi distinti, giacchè ciascuna di esse costituisce il riconoscimento di un lavoro svolto dall' assicurato in epoche diverse della sua vita, sarebbe invece ingiustificato il cumulo puro e semplice di prestazioni d'invalidità riferentisi a un'identica situazione personale dell'assicurato, allorché una almeno di esse sia concessa in base a una legislazione di tipo A. Quando infatti a una pensione completa d'invalidità concessa autonomamente in base a una siffatta legislazione si aggiungono altre prestazioni della stessa natura basate sulla stessa situazione che ha determinato la prima, vi è non una «ripartizione» dell' onere ai sensi dell'articolo 11, ma una sovrapposizione di oneri che, in ragione dell'unicità della situazione d'invalidità considerata, è costitutiva di un cumulo del genere di quello che si avrebbe in materia di pensioni di vecchiaia quando per il calcolo del loro ammontare si tenesse conto dei periodi d'assicurazione fittizi riferentisi allo stesso tempo in cui l'assicurato abbia compiuto in un altro Stato membro dei periodi d'assicurazione effettivi che, con o senza ricorso all' articolo 27, gli danno diritto ad altre prestazioni della stessa natura.

Per questo l'articolo 11 ammette in materia d'invalidità la pluralità di prestazioni solo sulla base di una ripartizione dell'onere fra gli istituti nazionali interessati; ripartizione che può ben essere effettuata in base alle regole dell'articolo 28, e beninteso nel rispetto del divieto della «reformatio in pejus» stabilito a favore del lavoratore dal paragrafo 3 a cui si riferisce la seconda domanda del giudice francese.

Alla soluzione che propugnamo si può arrivare anche per altra via. Se partiamo dal carattere indennitario che la prestazione sociale per l'invalidità certamente ha in ogni sistema della sicurezza sociale dei lavoratori, ne deriva che la logica giuridica, per non dire la logica elementare del «ne bis in idem» ci porrebbe di fronte a due possibili soluzioni in una ipotesi in cui l'evento dannoso da indennizzare è sempre lo stesso e cioè uno solo:

a)

o si esclude la prestazione della prima istituzione di sicurezza sociale, nel nostro caso la francese, perché si è dimostrato che non era mancata quella capacità di guadagno sulla cui base era stata attribuita la prestazione assicurativa e la cui privazione costituisce un presupposto per la continuazione della prestazione;

b)

oppure si esclude la prestazione del secondo ente, nel nostro caso quello italiano, perché il rischio risulta già completamente indennizzato, essendosi l'invalidità manifestata anteriormente, quando il lavoratore trovavasi sottoposto a un regime assicurativo di tipo A di un altro Stato membro.

L'alternativa, che potrebbe verificarsi nell'applicazione dei singoli diritti nazionali invocati indipendentemente l'uno dall'altro, risulterebbe in tal modo sostanzialmente a danno, e non certo a vantaggio del lavoratore migrante: ripeto, per la stessa ragionevolezza del principio «ne bis in idem» che potrebbe venire invocato dall'uno e ' dall'altro degli istituti assicurativi: con possibilità di danno del lavoratore che, in applicazione del criterio di evitare ingiustificate attribuzioni teoricamente applicabile sulla base del solo diritto nazionale, potrebbe perdere la prestazione più favorevole.

La soluzione comunitaria invece, che considera unitariamente i periodi di lavoro compiuti nei diversi paesi, viene ad assicurare il giusto al lavoratore, garantendogli sempre quantomeno di raggiungere il livello della prestazione completa più favorevole (regolamento n. 3, articolo 28, paragrafo 3), ma non il cumulo puro e semplice di prestazioni in relazione all'unico evento d'invalidità.

Di fronte alle due soluzioni reciprocamente esclusive, che per le ragioni indicate presupporrebbero una più compiuta coordinazione dei regimi assicurativi nazionali, l'articolo 11 del regolamento n. 3 delinea per il diritto comunitario una soluzione intermedia. Poiché, già nell'ambito di questo regolamento, si tende a considerare in modo unitario la posizione del lavoratore rispetto ai vari Stati e alle varie legislazioni sociali, si fa ricorso alla ripartizione dell'onere d'invalidità fra i vari istituti interessati; ciò che implica il criterio della proporzionalità che forma la sostanza della proratizzazione dell'articolo 28, la quale sarà fatta, non in conseguenza della totalizzazione, nel nostro caso non necessaria, ma applicandone tuttavia il criterio per analogia e con riferimento, in questo caso, non ai periodi di affiliazione ma ai periodi di lavoro compiuti nell'uno o nell'altro Stato, nell'ambito quindi dell'uno o dell'altro istituto di sicurezza sociale.

Se una sola ha da essere l'indennità da riconoscere per un'unica situazione d'incapacità di guadagno, se, secondo i princìpi affermati, questa indennità deve essere calcolata nella forma più conveniente per il lavoratore migrante che abbia acquistato il relativo diritto in diversi paesi (con la garanzia fornitagli dalla menzionata disposizione dell'articolo 28, paragrafo 3), il problema, quale si pone in assenza della previsione, nella disciplina comunitaria, di un sistema esclusivo nel senso sopra ipotizzato, sostanzialmente si sposta e si riduce, non a trovare una soluzione più o meno favorevole al lavoratore di cui si tratta, ma a realizzare un'equa ripartizione degli oneri fra istituti diversi dei diversi paesi nei quali lo stesso lavoratore ha prestato la sua attività.

Anche il nuovo sistema adottato nel regolamento n. 1408/71 è chiaramente basato sul principio del divieto del «bis in idem» in materia di prestazioni d'invalidità. Benché nel suo articolo 12, che corrisponde all'articolo 11 del regolamento n. 3, l'eccezione al divieto del cumulo sia enunciata per le prestazioni di vecchiaia e d'invalidità senza fare distinzioni, la disciplina della materia nei confronti dei lavoratori soggetti a legislazioni che non fanno dipendere le prestazioni d'invalidità dalla durata dei periodi d'assicurazione esclude espressamente ogni possibilità di cumulo. L'articolo 39, paragrafo 2, dispone infatti che il lavoratore ottiene le prestazioni esclusivamente dall'istituto dello Stato membro la cui legislazione era applicabile al momento in cui è sopravvenuta l'incapacità al lavoro seguita da invalidità, secondo le disposizioni della legislazione che esso applica. Il lavoratore può beneficiare di prestazioni d'invalidità secondo la legislazione di un altro Stato membro soltanto nel caso in cui non abbia diritto a prestazioni d'invalidità secondo la legislazione dello Stato in cui è sopravvenuta l'invalidità (articolo 39, paragrafo 3).

E vero che nel caso in cui il lavoratore sia stato soggetto successivamente o alternativamente a legislazioni del tipo A e del tipo B, l'articolo 40 dello stesso regolamento si limita a disporre, così come l'articolo 26 del regolamento n. 3, che sono applicabili «per analogia» le disposizioni relative alle pensioni di vecchiaia.

Ciò ripropone il problema che abbiamo cercato di risolvere nell'ambito del regolamento n. 3. Ma anche nell'ambito del nuovo regolamento — che noi qui peraltro invochiamo solo a conforto di un' interpretazione della precedente disciplina — se è vietato il cumulo di pensioni nel caso in cui il lavoratore sia stato soggetto esclusivamente a legislazioni di tipo A, sarebbe logicamente contraddittorio il cumulo puro e semplice di diverse pensioni anche complete, e non già un'equa «ripartizione» nel senso da noi indicato della proratizzazione, per il solo fatto che egli, oltre ad essere stato soggetto a legislazioni di tipo A (che, non dimentichiamolo, potrebbero essere — e non solo teoricamente — anche due o più) sia stato soggetto anche a una legislazione di tipo B. Non si vede perché la sottoposizione del lavoratore anche a una legislazione di quest'ultimo tipo, per sua natura meno favorevole al lavoratore, dovrebbe invece avere un tal magico effetto!

Mi pare quindi che corrisponda anche allo spirito di questa nuova disciplina comunitaria di considerare inammissibile il cumulo puro e semplice, per uno stesso stato d'incapacità al lavoro, di una pensione d'invalidità del tipo A qui considerato con altre pensioni d'invalidità, anche se di tipo diverso.

Per queste ragioni, propongo che la Corte risponda alla domanda della Corte d'appello di Parigi affermando per diritto che nell'ambito d'applicazione del regolamento n. 3 del Consiglio, relativo alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti, qualora un lavoratore sia beneficiario di più pensioni d'invalidità, ai sensi di distinte legislazioni nazionali, per un'identica situazione d'invalidità, gli istituti assicuratori che applicano una legislazione del tipo A di cui all'articolo 24, paragrafo 1, a), di detto regolamento possono procedere a calcolare l'onere loro incombente applicando per analogia, sulla base della durata dell'attività lavorativa esplicata dall'assicurato sul territorio nazionale, i criteri stabiliti dall'articolo 28, ivi compreso il suo paragrafo 3, anche quando per l'acquisto del diritto alla pensione non sia necessario valersi dell'articolo 27.