CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE ALBERTO TRABUCCHI
DEL 28 MARZO 1974
Signor Presidente,
Signori Giudici,
L'impresa ricorrente, che da lunghissimo tempo esercita l'attività di commerciante all'ingrosso di prima mano del carbone della Ruhr, dopo essere riuscita nel passato, mediante ripetute azioni davanti a questa Corte, a fare annullare alcune decisioni dell'Alta Autorità che autorizzavano i produttori di carbone della Ruhr a introdurre delle condizioni di vendita limitative, tali da compromettere la possibilità per l'impresa stessa di continuare ad accedere alle forniture di prima mano, afferma di essere ora nuovamente minacciata dalla decisione della Commissione del 21 dicembre 1972, la quale ha autorizzato una nuova disciplina, più restrittiva della precedente per le vendite della Ruhrkohle AG.
Come è noto, con decisione del 27 novembre 1969, la Commissione aveva autorizzato la fusione delle società minerarie del bacino della Ruhr, mediante l'apporto del patrimonio minerario alla società Ruhrkohle AG, sulla base dell'articolo 66, paragrafo 2, del trattato CECA. Ciò fa sì che, a differenza delle cause precedenti, le quali riguardavano l'autorizzazione di accordi fra i diversi uffici di vendita del carbone della Ruhr all' epoca operanti, accordi che si dovevano valutare nell'ambito d'applicazione dell' articolo 65 del trattato CECA, la presente causa concerne essenzialmente l'articolo 66 relativo alle concentrazioni. Va notato che la menzionata decisione del 27 novembre 1969, nel consentire la concentrazione delle diverse società minerarie della Ruhr in un'unica società, ha fatto obbligo a questa di sottoporre ad autorizzazione preventiva della Commissione ogni modifica delle sue regole di vendita.
Mentre nelle precedenti cause intentate dall'impresa Nold entrava in rilievo la questione del mantenimento della concorrenza o quantomeno della possibilità della concorrenza fra i produttori del carbone della Ruhr, in questa causa la questione del mantenimento di sane condizioni di concorrenza si pone invece essenzialmente al livello del commercio all'ingrosso.
Circa l'ammissione dei commercianti di carbone a rifornirsi direttamente presso la Ruhrkohle AG, l'innovazione portata dalla decisione del 21 dicembre 1972, ora impugnata, consiste anzitutto nel fatto che essa è condizionata alla conclusione di un contratto di due anni per l'acquisto di almeno 6000 tonnellate annue di carbone della Ruhr da smerciare nel settore del consumo privato e della piccola industria. L'aggravamento delle condizioni d'ammissione agli acquisti di prima mano viene giustificato essenzialmente in base ad esigenze di razionalizzazione del commercio del carbone, te-nuto conto della progressiva recessione che si era verificata in questo settore.
Inoltre, in base alla nuova disciplina, per potere approvvigionare i consumatori industriali, il commerciante deve essere autorizzato a rifornire il settore domestico e la piccola industria. Oltre a ciò, in luogo del criterio anteriore del consumo annuo minimo di 30000 tonnellate di combustibili solidi di qualsiasi provenienza, occorre ora che il commerciante abbia acquistato la stessa quantità in prodotti della Ruhr.
Infine, per quanto riguarda l'approvvigionamento dei consumatori industriali che acquistano più di 30000 tonnellate annue di prodotti della Ruhr, si richiede al grossista di soddisfare ulteriori condizioni consistenti nel fornire prestazioni speciali che la decisione impugnata precisa al suo articolo 2, paragrafo 3.
Era previsto cne una sessantina di com-mercianti, in applicazione di questa nuova disciplina, sarebbero stati esclusi dal commercio all'ingrosso di prima mano del carbone della Ruhr. Per quanto riguarda l'impresa ricorrente, va rilevato che, secondo i dati allegati dalle intervenienti, la Ruhrkohle AG e la Ruhrkohle-Verkaufs-Gesellschaft, essa — già sulla base della disciplina applicabile anteriormente all'entrata in vigore della decisione ora impugnata — non possedeva più, al momento della presentazione del ricorso, i requisiti per potere essere ammessa all'acquisto diretto.
Tenuto conto di questa circostanza, le intervenienti hanno eccepito l'irricevibili-tà del ricorso per mancanza di un interesse giuridicamente rilevante, dal momento che l'annullamento richiesto della decisione impugnata non potrebbe comunque ottenere l'effetto ricercato dalla ricorrente. Infatti, in tale ipotesi, rivivrebbero le regole di vendita anteriori in applicazione delle quali la ricorrente do-vrebbe ugualmente essere esclusa dagli acquisti di prima mano del carbone della Ruhr.
Non riteniamo che questa eccezione d'ir-ricevibilità sia fondata.
È un fatto non contestato che al momento della presentazione del ricorso era ancora consentito all'impresa Nold, almeno in linea di fatto, di accedere diretta-mente alle forniture della Ruhrkohle. Non è invece sicuro che, rivivendo le precedenti regole di vendita, essa do-vrebbe necessariamente essere esclusa dalle forniture di prima mano. Anche nell'ipotesi che in un particolare momento l'impresa ricorrente possa non aver soddisfatto neppure i criteri anteriori, certamente meno restrittivi di quelli attualmente in vigore, non è esclusa la possibilità di un mutamento nella situazione delle vendite della ricorrente tale da permetterle di soddisfare ora questi criteri. Recenti esperienze ci mostrano quanto rapidamente possa cambiare la situazione di mercato, in seguito a eventi imprevisti, anche in relazione alle possibilità di smercio del carbone. Potrebbe quindi sussistere un valido interesse della ricorrente a ottenere l'eliminazione delle più restrittive condizioni di vendita autorizzate dalla decisione impugnata.
Per quanto riguarda il merito del ricorso, dagli argomenti e dalle considerazioni esposte dalla ricorrente, si possono precisare i seguenti mezzi:
1. |
La decisione impugnata, avendo per effetto di escludere la ricorrente dal commercio all'ingrosso di prima mano, violerebbe un principio generale del trattato CECA in quanto stabilirebbe una discriminazione fra i commercianti della Comunità. |
2. |
La decisione impugnata, avendo per effetto di espropriare l'impresa ricorrente della sua qualifica e quindi del suo diritto di commerciante all'ingrosso di carbone di prima mano, sarebbe in contrasto con un principio generale che si trova espresso e tutelato sia nella costituzione federale germanica (articolo 14) sia nella costituzione del Land di Hessen, le quali garantiscono la proprietà individuale. |
3. |
Per la prima volta nella memoria di replica, la ricorrente sostiene che le nuove condizioni di vendita, invece di contribuire a migliorare la distribuzione del carbone, la renderebbero più difficile; o che, in ogni caso, la decisione impugnata non sarebbe al riguardo sufficientemente motivata. In assenza di una qualifica data dalla ricorrente, si può ravvisare in questa critica sia un mezzo di violazione del trattato, sia un mezzo di violazione di forme sostanziali. |
Prima di esaminare singolarmente questi mezzi, sarà utile sgombrare il terreno da alcuni elementi che la ricorrente ha introdotto nella procedura, ma che sono logicamente estranei alla presente causa. La ditta Nold ha lungamente insistito e sul mutamento della situazione di mercato del carbone verificatosi a partire dall' autunno scorso, e su allegati comportamenti sleali della Ruhrkohle, consistenti sia nell'insostenibile concorrenza diretta ai commercianti effettuata da questa società praticando prezzi sensibilmente più bassi di quelli indicati nei listini, sia nel rifiuto opposto all'impresa ricorrente di soddisfare certe sue richieste d'acquisto d'importanti quantità di carbone presentate verso la fine del 1973 in seguito all' accresciuta domanda di questo prodotto sul mercato.
Si tratta di circostanze e di comportamenti che, anche se potrebbero entrare in rilievo sul piano comunitario ai fini di un'eventuale modifica della disciplina di vendita qui criticata, autorizzata dalla Commissione in funzione di una diversa situazione di mercato, e anche per infliggere sanzioni ove fosse accertato un abuso di posizione dominante, a norma dell'articolo 66, paragrafo 7, del trattato CECA, sono peraltro del tutto irrilevanti nella presente causa, la quale ha per oggetto la questione della validità di una decisione adottata anteriormente a questi fatti. Per la legittimità di questo atto non possono quindi aver significato eventi economici successivi, imprevedibili all' epoca in cui la decisione fu adottata, né l'eventuale comportamento illecito del destinatario della decisione impugnata nei confronti dell'impresa ricorrente.
Passando ora all'esame dei singoli mezzi, osserviamo che quelli enunciati per ultimi, essendo stati fatti valere tardivamente, a norma dell'articolo 42, paragrafo 2, del regolamento di procedura, vanno considerati irricevibili. Peraltro il difetto di motivazione, costituendo un mezzo che già è stato ritenuto di ordine pubblico, potrebbe essere considerato d'ufficio, come d'altronde la Corte aveva già fatto in una precedente causa intentata dalla stessa ricorrente (v. sentenza nella causa 18-57, Nold/Alta Autorità, Raccolta 1959, p. 109).
Tuttavia, nella presente causa, il preteso difetto di motivazione della decisione impugnata è tutt'altro che evidente. La critica del ricorrente riguarda essenzialmente la condizione del contratto biennale per l'acquisto di almeno 6000 to-nellate all'anno di carbone destinate al settore domestico e alla piccola industria. La decisione impugnata osserva in proposito che appare giustificato che la Ruhrkohle decida di tener conto, nell'organizzare la distribuzione, del forte calo delle proprie vendite di carbone, limitando le forniture di prima mano ai commercianti che sono in grado di garantire un volume adeguato di vendite. Questa giustificazione, per la verità assai sommaria, è stata elucidata in corso di causa dalla Commissione, la quale ha osservato nel controricorso che la sostituzione del criterio di 6000 tonnellate annue di vendita globale di carbone con il criterio che impone la vendita di almeno 6000 tonnellate annue nel settore del consumo privato e nella piccola industria, e l'impegno preventivo di acquistare questa quantità minima per due anni, contribuirebbero a riservare l'ammissione agli acquisti diretti ai commercianti che si sforzano effettivamente di smerciare la produzione della Ruhrkohle. La motivazione più esauriente di questa condizione viene fornita dalla Commissione nella controreplica, con il rilievo che la severa concorrenza a cui è sottoposto il carbone dall'offerta di altre fonti di energia si è fatta sentire soprattutto nei settori del consumo privato e della piccola industria, come risulterebbe dall'evoluzione delle vendite del carbone della Ruhr. Questo ulteriore chiarimento si ricollega alla considerazione esposta in un considerando della decisione impugnata, la quale giustifica l'introduzione della condizione in esame con l'intento di incitare il grossista a concentrare in via principale la sua attività in questi due settori, perché è qui specialmente che i commercianti possono conseguire effetti promozionali per le vendite di carbone.
Pertanto, tenuto conto delie esplicazioni fornite nella presente procedura, le ragioni addotte nella motivazione dell'atto impugnato, contro la fondatezza delle quali la ricorrente non ha fornito argomenti, possono ritenersi sufficienti a giustificare la modifica delle condizioni di vendita. E così, anche qualora la Corte ritenesse di dovere esaminare d'ufficio la questione sollevata tardivamente dal ricorrente, la decisione impugnata non do-vrebbe ritenersi inficiata da violazione di forme sostanziali.
Manifestamente infondata è la censura di discriminazione. La disciplina autorizzata dalla Commissione è infatti basata su criteri obiettivi che escludono la possibilità di trattamento discriminatorio dei grossisti di carbone. Tutti coloro che soddisfano le condizioni obiettive richieste hanno diritto di essere ammessi agli acquisti di prima mano.
Il mezzo di violazione di diritti fonda-mentali, fatto valere dal ricorrente, deve essere preso in considerazione in quanto il diritto invocato trovi la sua tutela nel sistema. Come già risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, i diritti fonda-mentali riconosciuti generalmente dagli Stati membri fanno parte integrante del nostro sistema comunitario, il quale ne garantisce il rispetto nell'ambito delle competenze attribuite alla Comunità e in funzione degli obiettivi a questa assegnati ispirandosi alle comuni tradizioni degli Stati membri. Occorre quindi vedere anzitutto se il fatto che la disciplina impugnata avrebbe per effetto di privare l'impresa ricorrente della possibilità di accesso diretto all'acquisto di prima mano del carbone della Ruhr, possa configurarsi come violazione di uno di quei diritti fondamentali che vanno tutelati come valori essenziali anche nell'ordinamento comunitario.
Il ricorrente ritiene di avere un diritto acquisito a mantenere la sua qualità di grossista di carbone di prima mano, per il fatto che la sua impresa possiede tale qualità da più di un secolo, e che, più in generale, il diritto ad esercitare tale attività spetterebbe a chiunque, a titolo quasi di diritto innato, in omaggio alla libertà del commercio e all'esigenza di garantire ai singoli la possibilità di realizzare pienamente le proprie capacità. Se questa tesi fosse esatta, ne risulterebbe la negazione totale di qualsiasi potere dell'esecutivo comunitario di autorizzare delle condizioni di vendita. Porre condizioni all'accesso diretto alle forniture di carbone, implica che, per quanto larghe queste siano, potrà sempre esservi un'impresa che non è in grado di soddisfarle, e che quindi si trova privata della possibilità di esercitare il commercio di prima mano. In tal modo, si finirebbe per negare qualsiasi potere di intervento all'esecutivo comunitario nell'economia, ciò che è contrario non solo allo spirito e agli scopi stessi del trattata CECA ma, ben più in generale, alle esigenze vitali della moderna organizzazione della società. La ri-corrente si sarebbe probabilmente spaventata se fosse stata posta di fronte alle conseguenze estreme che sono inerenti alla sua tesi. Essa non intendeva probabilmente spingersi tanto lontano. La questione sollevata, posta in termini più concreti e realistici, può condurci a esaminare se il potere, che indubbiamente ha la Commissione di autorizzare delle norme poste liberamente dai produttori per stabilire le loro condizioni di vendita, sia stato esercitato in modo da non ledere dei principi generali che, anche se non enunciati espressamente dal trattato, fanno parte dell'ordinamento comunitario. Occorrerà esaminare in particolare se sia stato violato il principio generale che tutela la proprietà, il quale è riconosciuto in tutti gli ordinamenti costituzionali degli Stati membri e che, indubbiamente, fa parte integrante anche dell' ordinamento comunitario.
Dopo le precise affermazioni in argomento, già chiaramente fatte da questa Corte, sarebbe forse anche inutile ribadire che, se il compito istituzionale della Corte di giustizia è quello di assicurare il rispetto del diritto nell'applicazione dei trattati, questa funzione richiede anche una particolare sensibilità di fronte ai problemi che tocchino quei diritti essenziali siu quali si basa ogni convivenza civile. Il rispetto dovuto alla libertà, alla proprietà, l'affermazione dei principi di uguaglianza, di non discriminazione, di proporzionalità — per citare solo alcune delle espressioni più sicure — fanno parte di quella concezione del diritto che inquadra e regge tutto il sistema comunitario il quale mai potrebbe sottrarvisi anche nelle singole applicazioni.
Ma un 'affermazione come quella che qui si è voluta ribadire ad abundantiam richiede anche delle precisazioni, per la sua stessa serietà e per la concreta credibilità del suo valore. In sostanza, si tratta sempre di quei princìpi quarum causa omne ius constitutum est: li ritroviamo negli antichi diritti, come la ragione scritta della convivenza umana, li ritroviamo nei codici dell'Ottocento, che appunto sono stati concepiti per fissare in articoli la validità di tali affermazioni; li ritroviamo ora più solennemente proclamati nelle moderne costituzioni; tra queste, nell'articolo 14 della costituzione germanica invocato nella presente causa. Di fronte a tali principi, si deve fermare rispettosa l'attività dei poteri comunitari: e il compito della Corte è quello di assicurarne la piena applicazione. Ma è appunto sempre per il rispetto sostanziale di questi diritti, che il loro esercizio va regolato. Il riconoscimento costituzionale non significa la sottrazione della materia a una disciplina, che deve essere ispirata e contenuta entro un effettivo sostanziale riconoscimento dei principi. Non si può pertanto invocare in generale una di dette norme-base per sottrarsi in concreto a quegli obblighi e oneri che il sistema giuridico ha stabilito o consentito (come nel caso) proprio per ottenere un'applicazione funzionale di quelle norme che rientri nello spirito del sistema. L'eventuale violazione deve toccare effettivamente l'esistenza del diritto riconosciuto costituzionalmente come attributo non discutibile della persona umana. La Corte tutela l'osservanza di questi diritti essenziali, che devono essere fatti propri dalla Comunità mediante il riconoscimento di limiti all'attività degli organi e dei soggetti e mediante l'eventuale attribuzione di responsabilità. Ma l'una e l'altra forma di riconoscimento si adeguano alle realtà e alle esigenze delle diverse forme di tutela. Ripeto che la stessa importanza di tali forme essenziali di riconoscimento dei diritti fondamentali richiede che essi non siano invocati come generico motivo per negare l'obbligo di più preciso adempimento o per ostacolare quelle forme di vita sociale che richiedono limiti e sacrifici all'esercizio del diritto di ognuno.
Il diritto soggettivo è pur sempre anche il risultato della delimitazione di una sfera di libertà. Come ogni libertà, esso non esiste senza limiti: ciascun diritto va quindi esercitato nel rispetto delle norme che lo regolano. L'ordinamento comunitario non può certo disconoscere il diritto di ogni cittadino di esercitare il commercio. La tutela dell'interesse pubblico, sia negli ordinamenti interni sia nel sistema comunitario, porta peraltro a limitare a più riguardi l'esercizio dell'attività commerciale. Un esempio sul piano comunitario è costituito dalle norme relative alla concorrenza, le quali vietano una serie di comportamenti, di negozi e di pratiche. Anche in omaggio al principio della libera circolazione dei prodotti nella Comunità, la limitazione può giungere fino a vietare determinati usi della proprietà, come si è verificato in materia di prerogative connesse al diritto di marchio o di diritti assimilati al diritto d'autore. Limitazioni così importanti si giustificano nell'interesse generale del corretto funzionamento del mercato comune; non solo: ma esse si devono vedere come stabilite proprio a tutela di altro criterio fondamentale che riguarda la garanzia di una sostanziale libertà di commercio. Le limitazioni poste, seppure ad iniziativa di soggetti privati, all'accesso diretto alle forniture di prima mano presso i produttori di carbone possono a loro volta contribuire a un ordinato assetto dell'attività economica commerciale e produttiva, non solo nell'interesse dei produttori, ma degli stessi consumatori, mediante una diminuzione dei costi di distribuzione, e possono quindi stimolare la concorrenza esistente fra il carbone e altre fonti di energia; e per questo l'autorizzazione ad opera della Commissione di limitazioni del genere è ammessa dal trattato.
il ricorrente avrebbe potuto tentare di criticare, invocando le regole della concorrenza e tenendo conto della concreta situazione di mercato del prodotto di cui trattasi, il genere di limitazioni previste in concreto, ma egli ha preferito valersi soprattutto di affermazioni generali che vanno troppo lontano senza provare niente, come quando rivendica il suo diritto assoluto di restare grossista di prima mano perché la sua ditta ha esercitato quest'attività per oltre cento anni. Il ricorrente ipotizza così un diritto di proprietà su questa qualità, la cui protezione incondizionata non è prevista dall'or- dinamento giuridico comunitario e, certamente, neppure dagli ordinamenti nazionali.
È sufficiente anche sotto questo riguardo fare un richiamo a taluni canoni fonda-mentali della vita giuridica per dimostrare l'inconsistenza dell'invocazione fatta dall'impresa ricorrente a principi di tutela che non sarebbero sottoponibili a vicende di mutamenti nel tempo. L'essenza della pretesa alla protezione del diritto acquisito, anche secondo la regola base di tutela dei diritti fondamentali della persona, consiste nel riconoscimento dell'esistenza dei diritti stessi, ma non anche nel riconoscimento, per la loro esplicazione, di tutte le facoltà che ne possono formare il contenuto; questa esplicazione e questo particolare contenuto sono senza dubbio, in tutti gli ordinamenti, sottoposti all'evoluzione delle norme, le quali devono soltanto trovare il limite invalicabile del rispetto del diritto nella sua essenza, come tale ritenuto meritevole di una protezione primaria. Questo vale soprattutto per l'invocazione fatta del diritto di proprietà, diritto riconosciuto in tutte le costituzioni dei paesi liberi, ma sottoposto dovunque a continua evoluzione secondo le esigenze che animano le leggi nello sviluppo del progresso economico e sociale.
È del resto significativo a questo riguardo l'articolo 222 del trattato CEE che lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri.
Questa distinzione, ai fini della tutela sul piano costituzionale, fra l'essenza del diritto di proprietà e i suoi attributi eventuali è ben nota negli Stati membri, ed è esplicitamente o implicitamente alla base di pronuncie delle supreme giurisdizioni, ivi compresa la Corte costituzionale federale germanica: v., ad esempio, le sentenze n. 21 del 29 novembre 1961, n. 16 del 22 maggio 1963 e n. 12 del 18 marzo 1970. In quest'ultima pronuncia, la giurisdizione germanica ha affermato in particolare che «l'articolo 14 della costituzione federale tutela la proprietà così come l'hanno configurata il diritto civile e le concezioni sociali, e non tutela invece gli interessi, le possibilità e le aspettative di guadagno»; analogamente a quanto aveva affermato il Bundesge-richtshof (sentenza del 7 dicembre 1967, in Neue Juristische Wochenschrift, 1968, p. 293), secondo cui la protezione della proprietà di un'impresa non si estende a tutte le circostanze di fatto o a tutte le norme esistenti che siano a favore dell' impresa stessa.
Nessuna costituzione può cristallizzare le norme previste per soddisfare le mutevoli esigenze della realtà economica. Se le mutate circostanze del mercato del carbone esigono, nell'interesse generale, di razionalizzare il sistema distributivo per diminuire i costi e per stimolare una più efficace concorrenza con altri prodotti, sarebbe irrazionale opporsi a questi imperativi economici e pretendere il mantenimento di situazioni di fatto acquisite. Ciò sarebbe contrario al progresso e alle capacità di adattamento del sistema economico. A un mercato basato sul principio della concorrenza deve corrispondere la possibilità per le imprese di razionalizzare la loro attività anche sulla distribuzione dei loro prodotti, seppure sotto il controllo di un'autorità responsabile.
La qualità di commerciante all'ingrosso di carbone non è né un diritto inalienabile, né uno status garantito incondizionatamente. Il grossista di prima mano adempie una funzione per la società nella misura in cui la sua attività sia articolata in modo tale da corrispondere a esigenze reali del sistema economico. Se queste esigenze cambiano, anche i requisiti necessari per conservare questa qualifica devono seguire l'evoluzione.
Le nuove regole di vendita all'esame non hanno per scopo, nè per effetto, di impedire all'impresa ricorrente di esercitare l'attività di grossista di carbone. Ove essa sia aliena dall'associarsi con altri commercianti per soddisfare le condizioni richieste per gli acquisti diretti, potrà comunque continuare a essere grossista di carbone, anche se non più di prima mano come nel passato. Poiché la ricorrente non ha addotto argomenti validi per escludere che le condizioni di vendita ch'essa critica soddisfino reali ed essenziali esigenze economiche, non è possibile opporsi alla loro applicazione nei con fronti di una singola impresa per il fatto che questa si vedrebbe preclusa, non già da un'attività commerciale, ma soltanto da un vantaggio speciale (l'acquisto diretto dal produttore) di cui beneficiava nel passato. Anche perciò la perdita della possibilità di acquistare direttamente il carbone dai produttori, pur potendo comportare un pregiudizio economico, non è assimilabile a una espropriazione.
Concludo quindi al rigetto del ricorso e alla condanna della ricorrente alle spese di causa.