CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DEL 13 DICEMBRE 1972 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

la signora Van der Schueren, belga, è stata assunta dall'Alta Autorità nel 1954 e presta servizio a Lussemburgo come capo del magazzino centrale degli archi vi, inquadrata nel grado C 1.

Essa percepiva tra l'altro l'indennità di espatrio contemplata dall'art. 69 dello statuto.

Il 1o ottobre 1971, essa sposava il sig. Goeth, austriaco, residente in Lussemburgo dal 1964 e occupato presso un'impresa privata.

L'amministrazione, informata del matrimonio dalla dipendente stessa, con una cota del 15 ottobre redatta dal servizio del personale, la pregava di trasmettere un «documento ufficiale» da cui risultasse ove il marito aveva risieduto o aveva svolto la propria attività professionale nel quinquennio precedente gli ultimi sei, mesi prima della data del matrimonio.

Infatti, l'art. 4, n. 3, dell'allegato VII alla versione dello statuto allora in vigore disponeva che «il funzionario perde il diritto all'indennità se, contraendo matrimonio con una persona che alla data del matrimonio non soddisfi alle condizioni per la corresponsione di detta indennità, non acquista la qualità di capo famiglia».

Il 28 ottobre 1971, il capo della divisione del personale della direzione generale del personale e dell'amministrazione generale della Commissione così scriveva alla

«Dopo il suo matrimonio, avvenuto il 1o ottobre 1971, abbiamo riesaminato la sua posizione sotto il profilo dell'indennità di espatrio. Dal certificato di residenza da lei trasmesso, risulta che il suo consorte risiede in Lussemburgo dal 25 settembre 1964. Le disposizioni dell'art. 4, n. 3, dell'allegato VII dello statuto non consentono di versarle ulteriormente l'indennità di espatrio, che quindi viene a cessare dal 1o ottobre 1971.

Quanto le è stato versato a tale titolo per i mesi di ottobre e novembre verrà defalcato in quattro rate dagli stipendi dei prossimi mesi».

Con lettera 22 dicembre, l'interessata chiedeva un riesame della sua situazione, giacché il marito deve ottenere ogni anno il rinnovo del suo permesso di lavoro, il che non consente di considerarlo residente in permanenza nel Granducato. In considerazione di questo fatto, la sig. ra Goeth chiedeva di poter fruire ulteriormente dell'indennità di espatrio.

Il 14 gennaio 1972 il capo della divisione del personale ribadiva puramente e semplicemente l'atteggiamento già assunto.

Solo il 5 aprile 1972 la ricorrente si decise a presentare un reclamo al presidente della Commissione, onde poter continuare a riscuotere l'indennità. Registrato nella segreteria generale della Commissione in data 6 aprile, il reclamo rimase privo di risposta, eccezion fatta per una ricevuta confermante il suo arrivo.

Il 7 giugno 1972 avete pronunciato le sentenze 20-71 (Bertoni-Sabbatini) e 32-71 (Bauduin-Cholet), nelle quali si affermava che la disposizione dello statuto secondo cui il versamento ulteriore dell' indennità di espatrio al dipendente che aveva sposato una persona che non presentava i requisiti per riscuotere l'indennità era subordinato all'acquisizione, da parte del dipendente, della qualifica di capo famiglia, implicava una discriminazione arbitraria tra i dipendenti di sesso maschile e femminile.

La sig.ra Goeth, non appena conosciute le sentenze, chiedeva un adeguamento in questo senso della sua posizione.

Con nota 5 luglio, l'amministrazione le comunicava che l'indennità le sarebbe stata versata nouvamente dal 1o luglio, però «detta rettifica lascia impregiudicata ogni conseguenza del reclamo presentato a norma dell'art. 90 dello statuto».

Il 3 agosto la Goeth ha promosso un ricorso mirante a far annullare il silenzio-rifiuto opposto al reclamo del 5 aprile, di riflesso si chiede l'annullamento della decisione di non versare più l'indennità tra il 1o ottobre 1971 e il 1o luglio 1972, quindi tale indennità va versata retroattivamente.

La Commissione eccepisce la tardività del ricorso, a norma dell'art. 91 del regolamento di procedura.

Avete deciso di esaminare anzitutto il problema della ricevibilità ed il mio esame verterà su questo punto.

La soluzione dipende dall'esito dell'analisi della nota del capo divisione, datata 28 ottobre 1971. Se, come afferma la Commissione, tale nota costituisce un provvedimento lesivo nei confronti dell' interessata, il reclamo del 5 aprile, presentato al presidente della Commissione, è tardivo, quindi ne consegue che nemmeno il termine d'impugnazione è stato sospeso ed è dunque scaduto.

La ricorrente invece sostiene che la nota del 28 ottobre 1971 era una semplice informazione, un provvedimento preparatorio. Nulla permetteva di concludere che si trattasse di un provvedimento definitivo; d'altronde non vi figurano i termini «decisione» o «decidere». La Goeth ritiene quindi che il termine abbia cominciato a decorrere solo il 14 gennaio, poiché solo nella nota del 14 gennaio compare il vocabolo «decisione», con la conclusione che il reclamo del 5 aprile è stato presentato tempestivamente.

Non sono d'accordo su questa versione: è ormai giurisprudenza consolidata e costante quella che impone di ricercare e valutare la sostanza dell'atto, indipendentemente dalla sua forma e dalla sua redazione.

Non ha quindi importanza il fatto che la comunicazione del 28 ottobre 1971 non contenga il termine «decisione» e sia intitolata «nota per la sig.ra Goeth».

In secondo luogo, il tenore della nota mette chiaramente in luce che non si tratta né di una semplice informazione, né di un avvertimento o di un atto preparatorio.

L'indole decisiva è evidente: vi è una premessa «Dal certificato di residenza da lei trasmesso, risulta che il suo consorte risiede in Lussemburgo dal 25 settembre 1964». «Le disposizioni dell'art. 4, n. 3, dell'allegato VII dello statuto non consentono di versarle ulteriormente l'indennità di espatrio»: questa costituisce la motivazione del provvedimento. Il dispositivo è rappresentato dalla frase: «che quindi viene a cessare dal 1o ottobre 1971».

Pur se la formulazione è infelice e meglio sarebbe stato dire «l'indennità non sarà più corrisposta dal 1o ottobre 1971», il senso della frase è chiarissimo: esprime una volontà inequivocabile, che sarà posta in atto come specificato nella frase finale: «Quanto le è stato versato a tale titolo per i mesi di ottobre e di novembre verrà defalcato in quattro rate dagli stipendi dei prossimi mesi».

Ricordo ancora che, fin dal 15 ottobre, l'amministrazione aveva avvertito la ricorrente circa la possibilità di una soppressione dell'indennità, soppressione che sarebbe dipesa dal contenuto del documento sull'attività professionale del marito che l'interessata era stata invitata a produrre.

L'amministrazione intendeva rendere noto all'interessata che il suo matrimonio avrebbe potuto avere conseguenze negative sull'entità degli emolumenti, giacché sussistevano i presupposti per la perdita del diritto all'indennità di espatrio. Sotto questo aspetto la comunicazione costituiva un provvedimento preliminare. La nota del 28 ottobre costituisce invece il vero provvedimento, preannunciato alla ricorrente.

Per di più non è possibile considerare un reclamo ai sensi dell'art. 90 dello statuto la lettera del 22 dicembre in quanto:

non è indirizzata all'«autorità che ha il potere di nomina», come prescritto dall'articolo;

la ricorrente non chiedeva la revoca della decisione contenuta nella lettera del 28 ottobre, l'interessata osservava che il coniuge non poteva considerarsi stabilmente residente in Lussemburgo, giacché il permesso di lavoro poteva venir revocato ogni anno.

Pur ammettendo che questa lettera rappresenti un vero reclamo, il ricorso risulterebbe in ogni caso tardivo, poiché la nota del 14 gennaio 1972, a firma del capo della divisione del personale costituisce una reiezione esplicita del reclamo. Il provvedimento doveva quindi venir impugnato entro il 15 aprile 1972.

Però la lettera non è un reclamo a norma dell'art. 90 dello statuto. La nota con cui il capo della divisione del personale ha respinto gli argomenti svolti dalla ricorrente si limita a confermare la decisione iniziale del 28 ottobre 1971. Sotto il profilo decisorio essa non contiene alcun elemento nuovo.

Sotto l'aspetto giurisdizionale l'interessata avrebbe dovuto promuovere un ricorso entro tre mesi dal 28 ottobre 1971, data in cui le è stata notificata la decisione lesiva, oppure — negli stessi termini — presentare un reclamo amministrativo a norma dell'art. 90. In questo modo essa avrebbe potuto impugnare ogni reiezione, implicita o esplicita, del reclamo e chiedere l'annullamento della decisione primitiva.

Il reclamo è stato presentato però solo il 5 aprile 1972, quindi tardivamente rispetto alla notifica della decisione lesiva.

Non mi rimane che proporre:

la reiezione del ricorso 56-72 perché irricevibile ;

la condanna alle spese a norma dell'art. 70 del regolamento di procedura, cioè la ricorrente e la Commissione sopporteranno le spese giudiziali rispettivamente incontrate.


( 1 ) Traduzione dal francese.