CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ALAIN DUTHEILLET DE LAMOTHE

DEL 21 GENNAIO 1971 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

È facile sintetizzare la controversia odierna: la ditta americana Mark Alien, specializzata in prodotti di profumeria, nel 1931 e nel 1933 aveva depositato e brevettato in Italia il marchio Prep, che corrispondeva ad una crema da barba. Nel 1937 la Mark Alien cedeva per contratto alla Sirena i diritti inerenti detto marchio in Italia. A quanto risulta dal fascicolo, nel contratto non era prevista alcuna cessione di diritti relativi al procedimento produttivo, alla tecnica o al «know how».

La Sirena fabbricava un prodotto messo in commercio in Italia con il marchio Prep. In seguito essa rinnovava il deposito del marchio a proprio nome e depositava inoltre due altri marchi con la sigla «Prep Good Morning» ed altri elementi figurativi.

Ad un certo momento (ignoro esattamente quando), la Mark Alien concedeva ad una ditta tedesca di avvalersi dello stesso marchio nella Germania federale, quindi la crema da barba Prep veniva messa in commercio su questo mercato tramite la ditta titolare del marchio in Germania. La Sirena non trovò nulla da obiettare contro questo sistema di distribuzione, finché esso si limitò alla Germania, ma allorché la Novimpex, società italiana di import-export cominciò a vendere in Italia la crema Prep proveniente dalla Germania, offrendola al pubblico ad un prezzo nettamente inferiore a quello praticato dalla Sirena, questa citò in giudizio l'importatore e i rivenditori, accusandoli di aver contraffatto tre marchi depositati.

I patroni della Novimpex eccepivano in giudizio dinanzi al tribunale di Milano che in forza degli artt. 85 e 86 del trattato CEE non si potevano esercitare i diritti che la Sirena intendeva far valere in quanto acquisiti grazie al contratto stipulato con la Mark Alien nel 1937 e riconosciutile più genericamente dalla legislazione italiana in materia di marchi. Il giudice italiano vi ha perciò deferito le seguenti questioni:

1)

Se gli artt. 85 e 86 del trattato CEE siano o meno applicabili in relazione agli effetti derivanti da un contratto di cessione di marchio, stipulato anteriormente all'entrata in vigore del trattato.

2)

Se gli artt. 85 e 86 predetti debbono o meno essere interpretati nel senso d'impedire che il titolare di un marchio legittimamente depositato in uno Stato membro possa far valere il corrispondente diritto assoluto per interdire a terzi l'importazione da altri paesi della Comunità di prodotti recanti lo stesso marchio legittimamente apposto all'origine.

Devo premettere un osservazione: la controversia si presenta difficile perchè almeno tre punti fondamentali del giudizio di merito sono rimasti in sospeso:

1)

non e certo se ì diritti sul marchio che la Sirena fa valere siano totalmente o parzialmente stati acquisiti a titolo derivativo oppure a titolo originario;

2)

non è certo se, in base alla legislazione e alla giurisprudenza italiane, costituisca contraffazione l'importazione di un prodotto contrassegnato con un marchio regolarmente depositato all'estero allorché lo stesso marchio è depositato anche in Italia e lor signori sanno se su questo punto vi sia divergenza tra i giudici nazionali, il cui orientamento appare talvolta persino fluttuante. La sentenza Radio Téléhall della corte di cassazione francese del 17 aprile 1969 è un esempio. Pare costituisca una svolta nella giurisprudenza francese in materia. Finora in Francia e in Italia gli indirizzi erano stati convergenti; molto diversi da quelli seguiti negli altri Stati membri;

3)

Per quando riguarda i diritti acquisiti a titolo derivativo dalla Sirena e che questa potrebbe far valere, si dovrebbe stabilire se il contratto Sirena-Mark Alien del 1937 — che non accenna ad alcuna cessione di knowhow — poteva legittimamente conferire alla controparte italiana dei diritti, tenuto conto della legge allora vigente in Italia. Le parti hanno molto discusso su questo punto.

Sono tutti problemi di stretta competenza del giudice italiano, ma se volete fornire elementi validi al giudice a quo, questa incertezza su alcuni punti del giudizio di merito dovrà indurvi a formulare una risposta che possa veramente illuminare il giudice proponente sulla portata del diritto comunitario, indipendentemente dalle soluzioni che esso adotterà per i problemi di merito che ho testé elencato.

Ciò premesso, senza attenermi all'ordine seguito dal giudice proponente, propongo di articolare la risposta su tre punti: Anzitutto si dovrà informare il giudice italiano che in materia di marchi si possono applicare i principi già sanciti dalla vostra giurisprudenza in materia di brevetti, nella quale si afferma che, pur se l'entrata in vigore del trattato di Roma non ha minimamente scalfito i diritti attributi dalla legge nazionale al titolare di un marchio, l'esercizio di detti diritti può venir limitato dalle disposizioni degli artt. 85 e 86 del trattato. Il secondo e il terzo punto dovrebbero meglio precisare questa indicazione, illustrando i casi più importanti in cui gli articoli di cui sopra limitano la facoltà d'esercizio dei diritti in materia di marchio.

Riesaminiamo singolarmente questi punti.

I

Per il primo punto penso che il principio sancito nella vostra sentenza Parke Davis in materia di brevetti d'invenzione debba estendersi alla disciplina dei marchi. Secondo questo principio i diritti acquistati in virtù dell'ordinamento nazionale rimangono impregiudicati, anche se il loro esercizio può venir limitato in forza delle disposizioni del trattato di Roma. Certo i motivi economici e — perché no? — quasi etici o comunque umani che potevano far propendere per questa soluzione in materia di brevetti d'invenzione non sono più così cogenti per quanto riguarda i marchi e per questo ero perplesso se provorvi di applicare ai marchi la soluzione prescelta per i brevetti.

La tutela concessa dalle norme interne ai marchi e ai brevetti ha le sue radici nella stessa nozione di territorialità, quindi si deve superare una certa riluttanza per conciliarla con i principi fondamentali e gli scopi del mercato comune in materia di libera circolazione delle merci. La conciliazione comunque riesce più facile per i brevetti che per i marchi. Infatti la tutela del brevetto d'invenzione mira a salvaguardare interessi economicamente e umanamente più elevati che la tutela del marchio. Il brevetto d'invenzione si giustifica con l'interesse della collettività ad agevolare e a poteggere coloro che si adoperano a favore dell'evoluzione scientifica e tecnica, è la logica ricompensa per anni di ricerche, per investimenti talvolta considerevoli; il mezzo per promuovere una costante attività intellettuale.

È evidente che nel caso dei marchi queste considerazioni perdono molto del loro mordente. In un primo tempo la tutela del marchio aveva la funzione di garantire al consumatore la qualità di un prodotto, ma attualmente, come' attesta l'evoluzione delle legislazioni nazionali, la tutela del marchio si trasforma sempre più in un sostegno alla pubblicità. Sul piano umano, il debito della collettività nei confronti dell' «inventore» del nome Prep Good Morning, non è della stessa natura — è il meno che si possa dire — del debito contratto nei confronti dell'inventore della penicillina. Sul piano economico le cose cambiano: l'elaborazione di un marchio non richiede, salvo casi eccezionali, gli investimenti e il tempo necessari per l'ottenimento di un prodotto brevettabile. Tuttavia non bisogna dimenticare un aspetto: il costo della pubblicità. Alcuni recenti studi condotti negli Stati Uniti dimostrano che nel caso di alcuni prodotti di largo consumo, l'incidenza delle spese pubblicitarie può essere pari al 50 % del costo del prodotto.

Questa constatazione non è motivo né di pianto né di allegrezza, comunque è il caso di chiedersi se la disciplina dei marchi non abbia la funzione di impedire questo genere di «sviamento di investimenti», cioè di impedire che un commerciante tragga profitto dagli sforzi pubblicitari di un concorrente che ha lanciato un determinato prodotto acquistato dal pubblico solo per il prestigio della marca che contrassegna la merce in questione.

In realtà non si deve esagerare il valore del fattore economico. Infatti lo «sviamento di investimenti» che può verificarsi non giustifica, ma è piuttosto conseguenza di una certa concezione della tutela dei marchi. Se la Sirena potesse e volesse esportare in Germania, potrebbe giovarsi della pubblicità fatta al Prep dall'organizzazione tedesca, mentre l'inverso avverrebbe in Italia.

D'altro canto, l'estrema mobilità della clientela nell'Europa odierna modifica i dati del problema. La massaia tedesca o olandese in vacanza in Italia o in Spagna ha tendenza a richiedere il detersivo reclamizzato nel proprio paese e automaticamente il rappresentante italiano o spagnolo trae beneficio dalla pubblicità fatta dal collega olandese o tedesco. È inevitabile.

Sono in sostanza queste considerazioni giuridiche che rendono difficile una discriminazione — sotto il profilo comunitario — tra brevetto e marchio.

Infatti

1.

Il diritto sul marchio, come il diritto sul brevetto, è un diritto di proprietà, cioè le disposizioni degli artt. 36 e 222 del trattato che voi avevate già preso in considerazione nella vostra giurisprudenza in materia di brevetti, possono venir applicate anche nel settore dei marchi.

2.

Nella vostra sentenza Grundig del 13 luglio 1966, avete già stabilito che, se l'esercizio dei diritti attribuiti dalle leggi nazionali sui marchi poteva venir limitato per effetto degli artt. 85 e 86 del trattato, l'esistenza dei diritti stessi non poteva venir pregiudicata dall'instaurazione del mercato comune.

Credo quindi che i principi debbano essere identici sia per quanto riguarda i brevetti che per quanto riguarda i marchi, salvo poi applicarli in modo leggermente diverso.

Per questi motivi, sacrificando ì sentimenti personali alla certezza di una corretta soluzione giuridica, propongo che al tribunale italiano si risponda — circa il primo punto — che l'entrata in vigore del mercato comune può avere conseguenze sull'esercizio dei diritti di marchio spettanti al titolare in virtù della legge nazionale, ma i diritti stessi rimangono impregiudicati.

II

Nel secondo punto della vostra risposta dovreste precisare in quali casi l'esercizio di tali diritti può essere condizionato dalle disposizioni dell'art. 85, n. 1 del trattato.

Si devono distinguere tre ipotesi:

a)

i diritti invocati derivano soltanto dalla legislazione nazionale,

b)

i diritti invocati derivano, almeno parzialmente, da un contratto che ha l'unico scopo o il solo effetto di consentire all'acquirente del marchio di godere della tutela offerta dal diritto interno al titolare del marchio a giusto titolo,

c)

i diritti invocati derivano da un contratto che implica diritti o obblighi diversi da quelli imposti ope legis dal diritto interno sui marchi, oppure integrano quelli sorti in virtù di altri contratti stipulati tra le stesse parti, oppure in virtù di contratti simili stipulati tra il titolare originale del marchio ed altri beneficiari o cessionari.

Rivediamo 1 tre casi nei particolari. Nel primo caso sarà sufficiente constatare, come avete fatto per i brevetti d'invenzione nella vostra sentenza Parke Davis:

a)

che il diritto di marchio di per sé e indipendentemente da ogni considerazione stipulata in merito non è assimilabile ad alcuna categoria di intese contemplate dall'art. 85, n. 1, del trattato, ma è un diritto risultante da uno status attribuito dall'ordinamento giuridico di uno Stato membro ed è quindi privo degli elementi contrattuali o di concerto richiesti dalla norma summenzionata.

b)

Tuttavia non è escluso che le disposizioni di questo articolo possano venir applicate qualora lo sfruttamento di uno o più brevetti sia stato concertato tra le imprese e crei una situazione assimilabile all'accordo tra imprese, all'associazione tra imprese o alla pratica concertata contemplata dall'art. 85, n. 1.

Nel secondo caso, cioè se ì diritti invocati derivano unicamente da un contratto che ha soltanto lo scopo e l'effetto di assicurare al titolare del brevetto o della licenza la tutela concessa dalla legge nazionale al titolare del marchio a titolo originario, la situazione mi pare molto simile o addirittura identica a quella del primo caso testè illustrato.

Infatti, se il titolare a titolo derivativo della licenza o del brevetto, grazie al contratto, ottiene la tutela che spetterebbe al titolare del marchio a titolo originario in virtù della legge nazionale e se tale contratto può solo esser considerato come a sé stante, la posizione dell'acquirente è assimilabile a quella del titolare a titolo originario. In questo caso, il contratto stipulato non può di per sé rientrare tra le ipotesi contemplate dall'art. 85, n. 1 e solo se da un confronto con altri contratti venisse in luce un'azione concertata sarebbe il caso di chiedersi se tale azione possa aver conseguenze sul commercio tra Stati membri ed alteri il sistema della concorrenza.

Il terzo caso solleva problemi molto più delicati; essi sorgono se il contratto di cessione definitiva o di concessione del diritto di marchio — sia di per sé, sia in connessione con altri contratti stipulati tra le stesse parti o con contratti paralleli stipulati tra il titolare del marchio a titolo originario e altri cessionari o acquirenti della licenza — ha uno scopo o un effetto che supera il semplice trasferimento all'avente causa dei diritti ed obblighi riconosciuti dalla legislazione nazionale. A questo proposito esistono già nella vostra giurisprudenza alcune indicazioni che forse riterrete opportuno sostituire o integrare con la sentenza che pronuncerete.

Avete già sancito nella sentenza Grundig che se un contratto relativo alla licenza di un marchio (e lo stesso ragionamento vale «mutatis mutandis» per un contratto di cessione), si ricollega strettamente a un contratto di rappresentanza esclusiva, la validità del contratto circa il marchio dipende dalla validità del contratto di esclusiva sotto il profilo dell'art. 85, n. 1.

Non è però opportuno, nella fattispecie, andare un po' oltre?

È stato affermato che la situazione contrattuale che invoca o che potrebbe invocare la Sirena sarebbe colpita dalle disposizioni dell'art. 85. La Novimpex infatti afferma che questa situazione contrattuale, sia considerata isolatamente che in rapporto ai contratti paralleli stipulati dalla Mark Alien con ditte francesi, belghe, olandesi e tedesche, metterebbe a nudo accordi, decisioni o quanto meno pratiche concertate colpite dalla disposzione del trattato di cui sopra.

A questo proposito si ra richiamo ad una lettera dell'11 luglio 1969 inviata dalla Mark Alien al titolare del marchio Prep nella Repubblica federale di Germania. Da questa lettera si desumerebbe che la Mark Alien ritiene di aver ceduto a ditte francesi, belghe, olandesi, tedesche ed italiane, «exclusive distribution rights» e che — cito — «the rights for the sale and distribution of Prep under Prep trade mark in Italy is (sic) the exclusive right and licence of Sirena» (cioè l'esclusiva di vendita dei prodotti Prep in Italia, sotto il marchio Prep è quella costituita dai diritti esclusivi e dalla licenza della Sirena), dichiarazione che, messa in raffronto con altri passi della lettera indicherebbe, afferma la Novimpex, che le cessioni del marchio effettuate dalla Mark Alien implicano il divieto di esportare verso un paese nel quale il marchio è pure stato ceduto, pur se questo paese fa parte del mercato comune.

Se siete investiti della causa in via pregiudiziale a norma dell'art. 177 del trattato e tenuto conto di come sono state formulate le questioni deferite, credo che non possiate pronunciarvi sul merito dell'argomento.

Non vorreste tuttavia fornire al giudice italiano alcune indicazioni circa il modo in cui dovrebbe interpretare il diritto comunitario onde risolvere questo aspetto della controversia dinanzi ad esso pendente?

Penso di sì, specie dal momento che — in occasione di una precedente causa pendente dinanzi allo stesso tribunale — la Commissione ha dovuto prendere posizione su una questione molto simile a quella di cui vi occupate oggi. Si trattava di un'importazione di rasoi elettrici contrassegnati «Remington» ad opera di una società d'importazione. La «Remington Rand Italia», che fabbricava lo stesso prodotto su licenza, ed era titolare del marchio in Italia, aveva ritenuto illegittima quest'operazione.

Interpellata nel corso della causa, la Commissione, secondo il bollettino delle Comunità n. 8 del 1969, pag. 40-42, ha indicato alle ditte interessate che «L'accord de licence de marque, tel qu'il avait été interprété et applique par les parties, légitimait certaines réserves quant à sa compatibilité avec les dispositions de l'article 85 du traité. En effet, l'utilisation qui en avait été faite à l'encontre de l'importateur parallèle ne relevait pas de la poursuite des contrefaçons, les rasoirs électriques qu'il avait importés en Italie portant légitimement une marque Remington authentique, mais visait à empêcher celui-ci d'importer des rasoirs en Italie en provenance d'autres pays du marché commun. L'accord ainsi appliqué assurant une protection territoriale absolue à la société Remington Rand Italia affectait le commerce entre États membres et retreignait la concurrence portant sur les produits en cause en poursuivant des objectifs étrangers à la fonction propre de la marque».

Certo il caso attuale è un po' diverso, giacché la «Remington Rand Italia» era la filiale della società americana, mentre diversa è la posizione della Sirena. Il tribunale di Milano, che certo non ignora questa decisione, pur se dopo la presa di posizione della Commissione la controversia è stata composta con una transazione, potrebbe stupirsi del fatto che non gli forniate alcuna indicazione atta ad informarlo se i principi interpretativi del diritto comunitario cui s'ispirava la Commissione in quell'occasione vi paiono o meno fondati sul piano giuridico.

Vi proporrò quindi di fornire alcuni lumi, anche in modo sommario, circa la portata delle disposizioni comunitarie di cui il giudice proponente potrebbe tener conto nella valutazione della validità dell'argomento svolto dalla Novimpex. A questo proposito potreste limitarvi a quattro considerazioni, alcune delle quali sono riprese da precedenti sentenze:

1.

Accordi o pratiche concertate miranti a limitare i mercati all'interno della Comunità, se hanno ripercussioni sul commercio tra gli Stati membri e se hanno lo scopo o l'effetto di restringere la concorrenza per quanto riguarda i prodotti in questione, hanno funzioni che esulano dalla tipica finalità del marchio e quindi privano il titolare di quest'ultimo della tutela di cui godrebbe, sia in forza dei contratti stipulati sia in virtù della legislazione nazionale. È in fondo il principo sancito nella sentenza Grundig.

2.

Onde valutare l'oggetto e gli effetti degli accordi contrattuali o delle pratiche concertate sotto il profilo dell'art. 85, n. 1, del trattato, il giudice non deve soltanto apprezzarli isolatamente, ma deve giudicarli nell'ambito di altri contratti o di qualsiasi altro vincolo tra le parti contraenti, nonché nell'ambito di contratti analoghi, qualora il complesso di tali contratti o di tali pratiche possa limitare la concorrenza.

Un parere in merito è stato dato nella vostra sentenza «Société des Brasseries de Haecht», del 12 dicembre 1967, Raccolta XIII-1967, pag. 479.

3.

Onde stabilire se accordi o pratiche concertate implicanti una protezione territoriale si ripercuotano o meno sugli scambi tra Stati membri ed abbiano o meno come oggetto o come effetto di limitare o falsare la concorrenza, il giudice deve tener conto della situazione reale nella quale s'inseriscono detti accordi o queste pratiche ed in particolare della posizione degli utilizzatori sul mercato dei prodotti di cui trattasi nella zona territorialmente protetta.

Sono i principi stabiliti nella vostra sentenza Völk, del 9 luglio 1969, Raccolta XV-1969, pag. 295.

4.

La risposta alla prima questione deferita dal tribunale di Milano dovrebbe essere completata dalla statuizione che l'art. 85, come l'art. 86 del trattato, può venir applicato anche se i contratti che hanno originato le situazioni litigiose sono anteriori all'entrata in vigore del trattato o della disciplina comunitaria, semprechè questi contratti protraggano i loro effetti anche nel periodo successivo all'entrata in vigore del sistema comunitario.

Il limite temporale posto dall'entrata in vigore del trattato o della disciplina comunitaria agli accordi che possono essere colpiti dagli artt. 85 o 86 del trattato, credo influisca soltanto sugli obblighi assunti dalle parti contraenti nei confronti della Commissione e sulle facoltà di cui quest'ultima gode nei confronti dei contratti.

Il fatto è invece irrilevante nei confronti dell'applicazione dell'art. 85, n. 1 e del l'art. 86 per quanto riguarda gli effetti di detti contratti posteriori all'entrata in vigore del trattato o della disciplina comunitaria che da esso trae origine.

III

Resta ora il terzo punto della risposta che propongo e che, ritengo, dovrebbe fornire al giudice italiano alcune indicazioni sui modi in cui l'art. 86 del trattato potrebbe influire sull'esercizio del diritto sul marchio.

Sarebbe auspicabile non abbandonare la laconicità della sentenza Parke Davis, che esamina la stessa questione, ma sotto la prospettiva del diritto di brevetto.

Certo avrete un giorno occasione di dare una risposta più esauriente, particolarmente potrete pronunciarvi, per quanto riguarda la nozione di posizione dominante, sulla consistenza di quello che nella terminologia contemporanea del diritto delle intese si definisce «the relevant market».

Nella fattispecie penso che questa pronuncia sia superflua per due motivi: il giudice italiano non lo chiede e, pur se nella questione deferita si fa richiamo all'art. 86, il tenore della questione dimostra che il giudice si riferisce soprattutto all'art. 85; inoltre il deferimento a norma dell'art. 177 del trattato, cosi com'è stato effettuato, non vi consentirebbe in pratica di definire le varie questione connesse con la definizione del «relevant market».

Traendo spunto dalle vostre sentenze Grundig e Parke Davis, propongo di fornire soltanto queste indicazioni:

il divieto dell'art. 86 del trattato scatta se: vi è una posizione di predominio, che viene sfruttata abusivamente con pregiudizio per gli scambi tra gli Stati membri.

Il diritto sul marchio conferisce al suo titolare una tutela speciale nell'ambito di uno Stato, ma ciò non implica che i diritti cosi conferiti possano venir esercitati solo se sussistono contemporaneamente i tre presupposti di cui sopra.

L'ipotesi contraria è concepibile solo se l'utilizzazione del brevetto dovesse risolversi in uno sfruttamento abusivo di detta tutela.

Poiché quindi la sussistenza del diritto di brevetto dipende unicamente dalla legislazione nazionale, il diritto comunitario ne potrebbe disciplinare lo sfruttamento solo se, tramite detto sfruttamento, si venisse a creare una posizione dominante il cui abusivo sfruttamento potesse ripercuotersi sul commercio tra gli Stati membri.

Concludo proponendovi di affermare per diritto che:

1.

I diritti che le legislazioni degli Stati membri attribuiscono ai titolari dei marchi non possono venir scalfiti dai divieti contemplati dagli artt. 85, n. 1 e 86 del trattato. Tuttavia l'esercizio abusivo di tali diritti, che vada oltre lo scopo per cui essi sono stati creati, non può paralizzare gli effetti delle disposizioni di diritto comunitario in materia di concorrenza.

2.

Le convenzioni con cui un'impresa cede a titolo definitivo o per un periodo determinato il diritto all'uso di un marchio in uno Stato membro, non sono di per sé incompatibili con i principi fondamentali sanciti dall'art. 85, n. 1, del trattato. Fatte salve le disposizioni dell'art. 85, n. 3, tali convenzioni tuttavia — indipendentemente dalla data della loro stipulazione — possono essere vietate ai sensi dell'art. 85, n. 1 se, sia considerate di per sé che in relazione ad altri accordi, si presentano — per un complesso di elementi oggettivi di diritto e di fatto — come atte ad avere effetti pregiudizievoli sul commercio tra gli Stati membri e risulta che abbiano come oggetto o come effetto l'impedimento, la limitazione o l'alterazione della concorrenza.

3.

L'esercizio dei diritti riconosciuti dalla legislazione nazionale ai titolari di un marchio non può di per sé dipendere dall'art. 85 del trattato, a meno che esercitando detti diritti si sfrutti abusivamente una posizione dominante.


( 1 ) Traduzione dal francese.