Conclusioni dell'avvocato generale Joseph Gand del 27 maggio 1968 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

Prima di esaminare nel merito la domanda del Danvin — funzionario elogiato, ma non soddisfatto dall'istituzione cui appartiene — ricorderò brevemente come è sorta la controversia.

Allorché nel 1958 fu creato il fondo di sviluppo per i paesi e territori d'oltremare, il regolamento provvisorio n. 6 del Consiglio, del 3 dicembre 1958, aveva previsto che il presidente della Commissione designasse un ragioniere. Al fine di garantire il regolare svolgimento delle mansioni di tale dipendente, con decreto del presidente in data 5 giugno 1959, veniva deciso che il ragioniere capo fosse assistito da un vice-capo, nominato con la stessa procedura, incaricato di sostituirlo a tutti gli effetti in caso di assenza o d'impedimento. Con decreto di pari data, il Danvin veniva nominato vice-capo ragioniere.

L'istituzione del secondo fondo europeo di sviluppo, risultato della convenzione di Yaoundé, entrata in vigore il 1o giugno 1964, rese necessarie profonde modifiche nell'organizzazione amministrativa del fondo, ed in particolare si dovette creare un servizio indipendente di controllo finanziario, riducendo entro certi termini competenze e responsabilità del ragioniere capo. La realizzazione della riforma fu lunga e attraversò le seguenti fasi: il 25 febbraio 1965 il signor Heusghem, fino ad allora ragioniere capo, diveniva responsabile del controllo finanziario; con decisione della Commissione 20 dicembre 1965, il signor Bering, amministratore principale, diventava ragioniere capo del fondo, ma entrava in servizio effettivo solo nel giugno successivo, mentre il Danvin aveva l'incarico di sostituirlo in caso di assenza o di impedimento. Tra il 25 febbraio 1965 e il 1o giugno 1966 il Danvin, assistente principale (B/1) e vice capo ragioniere, sostituiva successivamente l'Heusghem ed il Bering.

Il 12 gennaio 1966 il Danvin rivendicava l'indennità differenziale spettante, a norma dell'articolo 7, n. 2, dello statuto, al funzionario che occupa un impiego ad interim, indennità che però gli veniva rifiutata per ragioni che esaminerò in seguito. Egli vi chiede di condannare la Commissione a corrispondergli un'indennità in base ai principi sanciti dall'articolo 7, n. 2, che provvisoriamente è stimata in 100000 FB. Devo analizzare la fondatezza di questa pretesa.

A —

Il primo — ed unico, in pratica — mezzo di ricorso è quello di violazione dello statuto del personale.

Il Danvin ritiene di essere effettivamente stato chiamato a coprire un posto ad interim ai sensi dell'articolo 7, e anche se non sono state rigorosamente rispettate le forme previste dallo statuto, egli doveva comunque attenersi agli ordini dei superiori. In questa ipotesi l'irregolarità rappresenterebbe un illecito, commesso direttamente dalla Commissione, indirettamente dai capi servizio, illecito che comunque implicherebbe la responsabilità della Comunità.

A questo assunto la convenuta ribatte che il Danvin non ha mai svolto mansioni di incaricato ad interim, ma vi è stata semplicemente applicazione del decreto del presidente 5 giugno 1959 nonché della decisione della Commissione 20 dicembre 1965, che regolano la supplenza del ragioniere capo da parte del vice capo; tali norme non prevedono alcuna indennità e questa non può venire quindi concessa.

Data la situazione, vediamo i problemi che ne scaturiscono :

1.

Bisogna innazitutto definire le due nozioni d'incarico ad interim e di supplenza, e distinguerle nei limiti del possibile. La prima nozione ci è nota in virtù dell'articolo 7, n. 2, dello statuto, che determina i presupposti dell'incarico ad interim. Le due decisioni del 1959 e del 1965, che interessano il Danvin, si riferivano però alla seconda nozione, senza menzionarla espressamente. Comunque l'articolo 26 del regolamento interno del 9 gennaio 1963, adottato dalla Commissione per organizzare i suoi servizi in esecuzione dell'articolo 162 del trattato, si riferisce a questa seconda nozione (G.U. 31 gennaio 1963, pag. 181) «salvo contraria decisione della Commissione, il superiore gerarchico è sostituito, in caso d'impedimento, dal funzionario subordinato presente che abbia la maggiore anzianità di servizio e, a parità di quest'ultima, dal più anziano di età della categoria e del grado più elevato.»

È indiscusso — e la convenuta lo ammette — che interim e supplenza hanno entrambi lo scopo di consentire al servizio pubblico la regolarità di funzionamento, anche in assenza di un dipendente. Quello che è meno certo è la possibilità di distinguere nettamente, come intende fare la Commissione, i poteri conferiti al funzionario incaricato ad interim ed al supplente, in quanto il primo può modificare l'orientamento generale dato dal titolare all'attività di servizio e il secondo non ha tale competenza. La vera differenza — in base alle norme comunitarie, allo statuto del personale, al decreto del presidente, al regolamento interno della Commissione, che si conformano alla prassi di alcuni ordinamenti nazionali — va ravvisata nel sistema con cui vengono conferite la supplenza o l'interim: la prima è conferita a priori in virtù di una decisione dell'autorità responsabile dell'organizzazione del servizio, onde far fronte ad ogni eventuale impedimento; il supplente può essere designato, sia individualmente, sia in base alle sue caratteristiche («funzionario subordinato presente che abbia la maggiore anzianità di servizio», recita l'art. 26 del regolamento interno). Dal momento in cui si verifica l'impedimento, ed ogni volta che esso si verifica, il supplente entra automaticamente in carica senza che sia necessario alcun provvedimento dell'autorità superiore; al massimo si può constatare che sussistono i presupposti della supplenza.

Al contrario, se lo statuto stabilisce che il funzionario può esser chiamato ad occupare ad interim un impiego di una carriera della propria categoria o del proprio ruolo di grado superiore della carriera alla quale egli appartiene, ciò implica automaticamante che l'interim è conferito con decisione posteriore all'evento che lo ha originato e tale decisione, in virtù del combinato disposto dei nn. 1 e 2 dell'articolo 7, dovrebbe essere adottata dall'autorità che ha il potere di nomina.

Pare evidente d'altro canto che i presupposti della supplenza abbiano carattere più precario di quelli dell'interim. Le varie norme che disciplinano la supplenza prevedono sempre l'impedimento del titolare del posto, costituito evidentemente da tutti i casi fortuiti, malattia, imprevisti che possono impedire un funzionario il quale, venute meno le cause dell'impedimento, riprenderà il lavoro momentaneamente abbandonato. Non può esservi supplenza nel caso di nomina ad altro impiego, poiché in questo caso il funzionario non è più titolare del posto precedentemente occupato, che diviene vacante.

Nulla invece osta a che un dipendente occupi ad interim un posto vacante finché non verrà nominato un titolare. Contrariamente a quanto ha esposto in udienza l'avvocato del ricorrente, questa non è però l'unica ipotesi possibile di interim. Basterà ricordare che l'articolo 7, n. 2, prevede la sostituzione del dipendente distaccato nell'interesse del servizio, che, in virtù dell'articolo 38, mantiene il suo posto. Tale esempio — come gli altri alencati dallo stesso comma, per i quali l'interim può durare oltre un anno — dimostra che la sfera d'applicazione dell'interim è più ampia di quella della supplenza e che l'interim può durare più a lungo della supplenza.

2.

Esaminando ora la posizione del Danvin tra il 1965 e il 1966, pare certo che l'articolo 7 dello statuto non è stato applicato e non era applicabile al suo caso. Il ricorrente assume di essser stato nominato con atto del direttore generale della sviluppo dell'oltremare, atto che egli non ha prodotto. Si può immaginare che questo alto funzionario — suo superiore gerarchico, ma non autorità che ha il potere di nomina — si sia limitato a constatare che, in virtù di disposizioni precedenti, il Danvin doveva sostituire il ragioniere capo. D'altro canto, poiché quest'ultimo aveva un posto di categoria A, il ricorrente, di categoria B, non poteva essere incaricato ad interim delle stesse funzioni. Ricorderete che in udienza la questione è stata vivamente dibattuta: ci si è basati sui termini dell'articolo 7 «impiego di una carriera della sua categoria o del ruolo superiore alla carriera alla quale appartiene» e si è affermato che l'interim poteva dunque essere ricoperto senza distinzione di categoria nell'ambito del «quadro amministrativo» cui appartiene il Danvin. L'errore è indubbio. L'articolo 5-1 dello statuto stabilisce il principio che gli impieghi sono suddivisi in quattro categorie; al capoverso 6 si aggiunge che : «in deroga alle disposizioni che precedono, gli impieghi che richiedono una stessa specializzazione professionale possono costituire quadri comprendenti un certo numero di gradi di una o più delle categorie sopra indicate.» Gli unici sono il ruolo linguistico — tutto compreso nella categoria L/A — e i ruoli scientifici o tecnici del Centro comune di ricerche nucleari, contemplati dall'articolo 92 e dall'allegato I B dello statuto. Non vi sono «ruoli amministrativi», ma impieghi suddivisi in categorie e l'interim può essere affidato solo nell'ambito della stessa categoria.

3.

È dunque in virtù del decreto del presidente della Commissione del 5 giugno 1959 che il Danvin ha sostituito l'Heusghem dal 25 febbraio 1965. Lo statuto del personale del 1962, istituendo il sistema dell'interim, non ha implicitamente abrogato il decreto di cui trattasi? È la tesi del ricorrente, che io però non accetto. Bisognerebbe infatti distinguere ciò che stabilisce lo statuto dei dipendenti, i loro diritti e i loro obblighi derivanti dal regolamento del Consiglio in virtù dell'articolo 212 del trattato, e ciò che rientra nella semplice organizzazione del servizio, e può essere disposto dal capo dell'amministrazione. Il decreto del presidente della Commissione fa evidentemente parte della seconda categoria. Il provvedimento era tanto più necessario in quanto le mansioni della ragioneria sono quelle che richiedono la massima continuità: ricorderò che, in virtù del regolamento n. 6, gli ordini di pagamento diventano esecutivi solo se muniti del preventivo visto del ragioniere, che conferma l'esistenza del credito, l'esattezza dell'imputazione e la regolarità dei documenti giustificativi allegati; quindi è necessario che vi sia sempre un funzionario competente ad apporre il visto. Il decreto del 1959, che fa parte di una disciplina diversa rispetto allo statuto del 1962, non mi pare quindi incompatibile con lo statuto, né da questo implicitamente abrogato. Se cosi non fosse, si dovrebbero nutrire forti dubbi sulla validità della successiva decisione della Commissione in data 20 dicembre 1965, nonché sulla validità del regime generale di supplenza istituito nel 1963 dal regolamento interno della Commissione.

4.

Se la norma che disciplina la supplenza del ragioniere-capo mi pare non presti il fianco alla critica, è invece meno chiara l'applicazione che ne è stata fatta nella fattispecie. La supplenza ha lo scopo di far fronte alle difficoltà impreviste, di ovviarvi nei termini più brevi, consentendo al supplente di prendere le decisioni indispensabili cui non si può soprassedere; ed è prettamente temporanea. La supplenza in questione è durata invece più di 15 mesi, durante i quali il Danvin ha avuto la piena responsabilità del servizio ed ha sostituito successivamente due titolari, uno che non prestava più servizio e l'altro che non lo prestava ancora. È paradossale che un dipendente di categoria B abbia svolto per 15 mesi un compito molto simile a quello che egli avrebbe potuto svolgere al massimo per un anno se fosse stato di categoria A e che, per di più, abbia dovuto lavorare senza il compenso finanziario che gli sarebbe spettato in virtù dell'articolo 7 dello statuto.

Mi limiterò a dire che, per ragioni che non tocca a me esaminare, ma che comprendo molto bene, il sistema di supplenza ha avuto un'applicazione sui generis e il Danvin si è visto attribuire una maggiore responsabilità ed un aumento di lavoro per cui, onestamente, gli spetterebbe un compenso. La sua situazione, anche se non vi era una decisione esplicita, che per di più non poteva venir presa nei suoi confronti, è stata analoga a quella dell'incaricato ad interim, quindi ritengo che nella fattispecie reclami a buon diritto un'indennità; ma come calcolarla?

I 100000 FB chiesti dal ricorrente non si fondano su alcuna base plausibile: il metodo più semplice consiste nel fondarsi su quanto prevede l'articolo 7 dello statuto in merito all'indennità degli incaricati ad interim: tale calcolo, già fatto dalla convenuta e che solo più tardi il ricorrente ha contestato, dà una somma di 16783 FB: proporrò quindi di prendere come base questa somma o una somma analoga, se non si vuole fare confusione tra la situazione specifica del Danvin e quella di un incaricato ad interim.

B —

■ Quanto esposto mi dispenserà dal dilungarmi su un mezzo dedotto in subordine e tratto dall'arricchimento senza causa. Innanzitutto non mi pare certo che tale azione possa rientrare nei rapporti di servizio tra l'istituzione e il dipendente, disciplinati dallo statuto. D'altra parte, in questo caso, in che consisterebbe l'arricchimento dell'amministrazione? Quale sarebbe il danno emergente subito dal Danvin? Ritengo che non vi sia alcun vantaggio a trasporre nozioni di diritto privato in un ambito al quale tali concetti sono completamente estranei.

Comunque decida la Corte, concludo :

per l'annullamento del silenzio-rifiuto opposto dalla Commissione della Comunità economica europea al ricorso gerarchico del Danvin;

per la condanna dell'istituzione a corrispondere al ricorrente la somma di 16783 FB;

e per la sua ulteriore condanna alle spese di causa.


( 1 ) Traduzione dal francese.