Conclusioni dell'avvocato generale Karl Roemer

presentate il 27 aprile 1966 ( 1 )

Indice

 

Introduzione (gli antefatti, le conclusioni delle ricorrenti)

 

Valutazione giuridica

 

A — Questioni preliminari di carattere generale

 

I — Questioni formali sollevate dalla Consten

 

1. La definizione dell'atto impugnato

 

2. L'obbligo di motivazione

 

II — Questioni sollevate dalla Grundig (applicazione dell'articolo 85 anteriormente all'adozione di un regolamento relativo alle deroghe per categorie)

 

B — I vari articoli della decisione impugnata

 

I — Articolo 1

 

1. La natura dichiarativa dell'articolo 1

 

2. Se l'accordo Grundig-Consten ricada sotto l'articolo 85, paragrafo 1

 

a) Questioni interpretative generali

 

b) Problemi specifici del caso in esame

 

aa) Il criterio del pregiudizio per la concorrenza

 

bb) Il criterio del «pregiudizio per gli scambi fra Stati membri»

 

c) Portata della dichiarazione contenuta nell'articolo 1

 

d) La dichiarazione che il divieto d'esportazione imposto alla Consten ricade sotto l'articolo 85, paragrafo 1

 

3. L'accordo circa il marchio GINT

 

4. Conclusione

 

II — L'articolo 2 della decisione impugnata

 

1. Questioni preliminari di carattere generale

 

a) Violazione del principio di contraddizione

 

b) Se l'esclusiva assoluta risulti dall'accordo Grundig-Consten

 

2. I singoli criteri dell'articolo 85, paragrafo 3

 

a) Miglioramento della distribuzione e della produzione

 

b) Partecipazione ai vantaggi

 

c) Il criterio dell'indispensabilità

 

aa) Ordinazioni anticipate

 

bb) Il servizio garanzia e assistenza ai clienti

 

cc) La pubblicità, lo studio del mercato, l'apertura del mercato

 

d) Conclusione provvisoria

 

3. Se la Commissione avrebbe dovuto concedere un'esenzione parziale oppure un'esenzione condizionata

 

a) Difetto di motivazione

 

b) Esame del problema nel merito

 

III — L'articolo 3 della decisione impugnata

 

1. La portata dell'articolo 3 del regolamento n. 17-62

 

2. Se l'ingiunzione contenuta nell'articolo 3 della decisione rispetti i limiti posti dallo scopo cui mirano le norme sulle intese

 

C — Conclusioni finali

Signor Presidente, Signori Giudici,

La causa che mi accingo ad esaminare riguarda per la prima volta una decisione della Commissione con cui è stato applicato ad una fattispecie il diritto comunitario in materia di intese. Come vi è noto, si tratta del rifiuto di applicare l'esenzione prevista dall'articolo 85 del trattato ad un accordo stipulato dalle ricorrenti.

Gli antefatti sono i seguenti :

La ditta tedesca Grundig-Verkaufs GmbH di Norimberga (quindi la società distributrice della Grundig) stipulava il 1o aprile 1957 un contratto a tempo indeterminato con la ditta francese Consten di Parigi, in virtù del quale quest'ultima diveniva distributrice esclusiva dei radioricevitori, registratori, dittafoni, televisori di marca Grundig nonché dei relativi accessori e ricambi per la Francia, la Saar e la Corsica. La Consten s'impegnava a ritirare determinati quantitativi minimi, ad effettuare regolari prenotazioni, ad organizzare un laboratorio per l'assistenza tecnica ed un deposito di parti di ricambio, a far fronte alle esigenze del servizio di garanzia e post vendita, nonché rinunciava alla distribuzione di altri prodotti simili concorrenti ed alle vendite dirette od indirette su mercati di altri paesi. La concessione dell'esclusiva implicava per la Grundig la cessione alla Consten di ogni diritto relativo all'attività di distribuzione e l'astensione dalle vendite dirette od indirette a terzi nella zona prevista dal contratto. La Grundig aveva già imposto in precedenza ai grossisti tedeschi, come pure ai concessionari esteri, l'obbligo di astenersi dalle vendite fuori dalla propria zona.

Il 3 ottobre 1957 la Consten depositava in Francia a proprio nome il marchio GINT («Grundig International»). Tale marchio è stato depositato in tutti i paesi dalla Grundig e viene apposto a tutti gli apparecchi Grundig prodotti in Germania. La Consten, il 13 gennaio 1959, rilasciava una «dichiarazione» secondo cui il marchio «GINT» sarebbe stato usato solo per gli apparecchi Grundig; i diritti francesi relativi a detto marchio sarebbero stati trasferiti alla Grundig o si sarebbero estinti alla scadenza del contratto.

La Consten, allorché rilevò che un'altra impresa francese, la U.N.E.F. di Parigi, dall'aprile 1961 si riforniva presso grossisti tedeschi di apparecchi Grundig che importava in Francia, citò detta impresa per illecita concorrenza e violazione del marchio. In sede di appello, il giudizio venne sospeso fino all'adozione di una decisione da parte della C.E.E. poiché l'U.N.E.F., il 5 marzo 1962, aveva chiesto alla Commissione di dichiarare invalido l'accordo Consten-Grundig.

Nel 1961 la Consten citava altresì in giudizio dinanzi al tribunal de grande instance di Strasburgo una ditta locale (Leissner) che aveva importato in Francia dalla Germania apparecchi Grundig, con assoluta indifferenza per i diritti di esclusiva della Consten. Anche questa causa è stata sospesa (sebbene la Leissner non abbia presentato alcun reclamo alla Commissione).

In conformità al regolamento n. 17-62 che disciplina le intese, il 29 gennaio 1963 la Grundig sottoponeva al giudizio della Commissione gli accordi con la Consten, e con altri concessionari dei paesi della Comunità. Veniva avviata l'apposita procedura, con audizione delle imprese interessate e consultazione degli organismi nazionali. In esito a tale procedura, il 23 settembre 1964 veniva adottata una decisione relativa al contratto Grundig-Consten, decisione notificata poi alle imprese interessate e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dello stesso anno a pag. 2545. In essa si dichiarava che l'accordo di esclusiva del 1o aprile 1957, nonché l'accordo relativo al deposito e all'uso del marchio GINT, dovevano ritenersi in contrasto con l'articolo 85, paragrafo 1, del trattato C.E.E. ; che non poteva essere rilasciata una dichiarazione d'inapplicabilità a norma dell'articolo 85, paragrafo 3; e che inoltre la Grundig e la Consten erano tenute ad astenersi da ogni atto mirante ad impedire o rendere difficile ai terzi l'approvvigionamento (presso grossisti o dettaglianti della Comunità) di prodotti contemplati nel contratto e destinati ad essere distribuiti nella zona di cui trattasi.

La Consten e la Grundig hanno impugnato separatamente questa decisione, concludendo per il suo totale annullamento. Con ordinanza della Corte 29 giugno 1965, le cause sono state riunite ai fini dell'istruzione e della decisione ed ora dovrò occuparmi di tutti gli argomenti dedotti dalla Grundig e dalla Consten.

Nel corso del giudizio sono state inoltre accolte varie istanze d'intervento, con il risultato che le ditte U.N.E.F. e Leissner sono intervenute a sostegno della Commissione, mentre a favore delle ricorrenti (prevalentemente con argomenti giuridici generali) sono intervenuti il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica federale di Germania.

Accingendomi ad esaminare la materia in detto modo accumulatasi la quale, in considerazione dell'importanza economica e giuridica dei problemi sul tappeto e per il numero dei partecipanti al giudizio, ha assunto dimensioni insolite, mi pare opportuno esporre anzitutto il piano delle operazioni.

Non sono state sollevate questioni di ricevibilità, né è il caso di sollevarne d'ufficio. Dell'ammissibilità di singoli mezzi, sovente contestata dalla Commissione, tratterò di volta in volta.

Vanno affrontate subito tre questioni di carattere generale, che riguardano problemi formali relativi alla decisione nel suo complesso nonché l'applicabilità dell'articolo 85 anteriormente all'adozione di un regolamento sugli esoneri per categorie.

L'esame verterà poi sui singoli articoli del dispositivo della decisione; innanzitutto sull'interpretazione e sull'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1, (art. 1 della decisione); dovrà quindi essere esaminato l'esercizio della facoltà di esonero a norma dell'articolo 85, paragrafo 3, (art. 2 della decisione) ; infine dovrò trattare delle ingiunzioni fatte alla Grundig e alla Consten dall'articolo 3 della decisione.

Valutazione giuridica

A — Questioni preliminari di carattere generale

I — Questioni formali sollevate dalla Consten

Due delle questioni formali sollevate dalla Consten possono essere rapidamente risolte. Esse riguardano la definizione dell'atto impugnato e la portata dell'obbligo di motivazione.

1. La definizione dell'atto impugnato

La Consten rileva che l'atto impugnato, nell'edizione francese della Gazzetta ufficiale, è denominato «directive» : esso non sarebbe quindi applicabile nei confronti delle singole imprese.

La circostanza non ha peso poiché (come giustamente assicura la Commissione) si tratta di un evidente errore di stampa. Anche la Consten avrebbe dovuto rendersene conto, pure a prescindere dall'edizione tedesca (altrettanto ufficiale) ove l'atto è denominato correttamente «Entscheidung». La copia trasmessa alla ricorrente, copia autenticata dal segretario esecutivo della Commissione e che è in primo luogo vincolante per la destinataria, contiene il termine «Entscheidung». Inoltre il contenuto lascia chiaramente intendere che si tratta di una decisione.

L'errore contenuto nell'edizione francese della Gazzetta ufficiale e successivamente rettificato (anche se dopo l'introduzione del ricorso) non ha quindi alcun rilievo giuridico, nemmeno sotto il profilo delle spese.

2. L'obbligo di motivazione

La Consten si duole inoltre che la decisione impugnata non faccia menzione dei principali argomenti da essa svolti nonché della sua istanza di prosecuzione dell'istruttoria né faccia apparire i motivi per cui la Commissione non ha accolto detta istanza.

Nemmeno su questo punto (mi occuperò in seguito di altri aspetti del difetto di motivazione) posso condividere la tesi della ricorrente. Le decisioni in materia di intese, quale quella impugnata, sono il risultato di un procedimento amministrativo e non giurisdizionale ed hanno quindi indubbiamente il carattere di atti amministrativi. A questo proposito il diritto comunitario in materia di intese coincide con i regolamenti che disciplinano l'argomento nella maggior parte degli Stati membri, come ha esaurientemente dimostrato la Commissione. Quindi dette decisioni — per lo meno quando, come nella fattispecie, non infliggono sanzioni — vanno motivate come qualsiasi altro atto amministrativo. In altre parole (secondo la nostra costante giurisprudenza), la Commissione deve far menzione soltanto degli elementi giuridici e di fatto essenziali per chiarire il proprio iter logico. Essa non è invece tenuta a confutare eventuali opinioni contrarie, né a menzionare nella decisione dette opinioni o le istanze procedurali degli interessati. Il difetto di motivazione denunciato dalla Consten in realtà non sussiste.

II — Questioni sollevate dalla Grundig

Nella sua seconda memoria la Grundig ha sollevato con circospezione il problema (quindi non ha mosso tanto una critica al contenuto) del se l'articolo 85, paragrafo 1, potesse essere invocato ed applicato finché non esistevano regolamenti sulle esenzioni per gruppi. A suo avviso, applicando analogicamente i principi sanciti nella causa 1-58 a proposito dell'articolo 65 del trattato C.E.C.A., è possibile sostenere che solo con la costituzione di un completo apparato per l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 3, del quale fa parte l'adozione di un regolamento sulle esenzioni per gruppi, sarebbe stato possibile dare piena efficacia al divieto delle intese contemplato dall'articolo 85, paragrafo 1.

La Commissione oppone a questo argomento in primo luogo l'articolo 42 del nostro regolamento di procedura, secondo cui in corso di causa possono essere dedotti nuovi mezzi solo se questi si riferiscono ad argomenti svolti dalla controparte o se sono emersi fatti nuovi. Tali presupposti non sussistono nella fattispecie. Non ha importanza la data in cui fu emanato il regolamento 19-65 (2 marzo 1965), successiva rispetto a quella in cui venne, promosso il ricorso (11 dicembre 1964). È invece determinante il fatto che l'idea che la Commissione, per emanare regolamenti riguardanti le esenzioni per gruppi, avesse bisogno di un'ulteriore autorizzazione del Consiglio, era stata esplicitamente discussa già parecchio tempo prima che fosse presentato il ricorso ed infine aveva portato alla presentazione, da parte della Commissione, di una proposta al Consiglio in tal senso (pubblicata nel Bollettino C.E.E. dell'aprile 1964). Il mezzo dedotto nella replica avrebbe quindi potuto essere proposto già nell'atto introduttivo. Il ritardo non appare giustificato.

Pur prescindendo da queste considerazioni di ordine processuale, la ricorrente non svolge argomenti giuridici consistenti. La reiezione della sua tesi potrebbe essere innanzitutto giustificata con la sentenza Bosch (causa 13-61), nella quale si dichiara che dall'entrata in vigore del regolamento n. 17-62 l'articolo 85 è integralmente applicabile e che il rifiuto della Commissione di concedere l'esenzione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3, implica quindi la nullità di un accordo che rientri fra quelli contemplati dal paragrafo 1 dell'articolo 85. Ma la tesi della ricorrente va respinta anche qualora si ritenga che nella causa Bosch i problemi particolari dell'esonero per gruppi non erano ancora attuali e che quindi detta sentenza nella fattispecie non può costituire precedente. Ad un più attento esame appare cioè che i principi stabiliti nella causa 1 -58 circa l'articolo 65 del trattato C.E.C.A. si riferiscono ad una situazione notevolmente diversa dall'attuale. Come ha affermato la Corte in quell'occasione, non ha senso applicare il divieto di intese fino a quando non sia possibile, per motivi di tecnica amministrativa, procedere alle esenzioni previste nella stessa disposizione di divieto. Ove invece sussistano possibilità di esenzione, come ad esempio successivamente all'adozione del regolamento n. 17-62, la mancanza di speciali modalità di applicazione (adozione di regolamenti per l'esenzione di categorie) non può bloccare l'intero sistema. Finché non siano definite le modalità di applicazione (che io in altra occasione ho definito auspicabili), gli interessi delle singole imprese possono essere vagliati caso per caso. Le ricorrenti non possono dunque invocare la violazione dei loro legittimi interessi sulla scorta degli argomenti dedotti dalla Grundig. Tale constatazione non permette però ancora di decidere se il regolamento n. 19-65 non fornisca, ad altro proposito, alle ricorrenti validi argomenti giuridici. Mi riservo di tornare in argomento.

Esaminate queste tre prime questioni preliminari di carattere generale, prenderò in considerazione i singoli articoli della decisione impugnata.

B — I vari articoli della decisione impugnata

I — Articolo 1

Ho ben presente il contenuto dell'articolo 1, ove si afferma che il contratto di concessione esclusiva stipulato tra la Grundig e la Consten, come pure quello relativo al deposito e all'utilizzazione del marchio GINT, costituiscono violazione del divieto sancito dall'articolo 85, paragrafo 1, del trattato. È perciò opportuno esaminare prima l'accordo di esclusiva e quindi l'accordo sul marchio.

Premetto ancora un'osservazione di carattere generale suggeritami da una censura mossa dall'interveniente governo tedesco.

1. La natura dichiarativa dell'articolo 1

Se non vado errato, il governo federale ritiene inammissibile o quanto meno deplorevole che nel dispositivo della decisione impugnata compaia un articolo di contenuto dichiarativo. Una simile dichiarazione sarebbe fuori luogo nell'ordinamento giuridico comunitario in materia di intese, poiché a norma dell'articolo 1 del regolamento 17-62 il divieto di cui al paragrafo 1 dell'articolo 85 ha efficacia senza previa decisione e poiché in virtù dell'articolo 3 dello stesso regolamento la Commissione è chiamata soltanto ad intervenire mediante decisioni onde stroncare le infrazioni all'articolo 85, paragrafo 1. Una dichiarazione contenuta nel dispositivo della decisione potrebbe quindi indurre in errore gli interessati.

In sostanza non condivido questo punto di vista. La Commissione, se ha motivo di agire per l'applicazione dell'articolo 85, deve in precedenza avere idee chiare circa il sussistere dei presupposti contemplati dall'articolo 85, paragrafo 1. Nel caso in cui, esaminata la situazione, la Commissione giunga ad una conclusione affermativa, non le si dovrebbe impedire di esprimere la sua opinione, in forma dichiarativa, nel dispositivo della decisione. In linea di principio, la situazione giuridica delle imprese destinatarie non ne risulta peggiore di quanto non sarebbe se il dispositivo imponesse semplicemente di por termine alle infrazioni, e la dichiarazione circa la sussistenza dei presupposti dell'articolo 85, paragrafo 1, fosse relegata nella motivazione.

Con ciò la questione è risolta solo in via generale. Ad altro proposito dirò ancora qualcosa sul problema del se la dichiarazione di cui trattasi possa essere considerata come del tutto legittima.

2. Se l'accordo Grundig-Consten ricada sotto l'articolo 85, paragrafo 1

a) Questioni interpretative generali

Ho già espresso la mia opinione, circa i presupposti per l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1, in generale, in occasione della causa governo italiano contro Consiglio di Ministri C.E.E. (causa 32-65) e della domanda di pronunzia pregiudiziale presentata dalla Corte d'appello di Parigi (causa 56-65). Vorrei ora rifarmi a quanto ho detto allora, soprattutto perché mi ero sforzato di tener conto, oltre che delle questioni sollevate dalle parti, anche di altre fondamentali da esaminarsi d'ufficio. Vorrei ricordare alcune delle conclusioni cui ero giunto :

L'articolo 85 è applicabile anche ai cosiddetti accordi verticali, soprattutto quando implicano divieti di esportazione. In proposito si veda la sentenza Bosch (causa 13-61) nella quale si afferma l'impossibilità di formulare un giudizio generale circa l'applicabilità dell'articolo 85, paragrafo 1, ai divieti di esportazione, con la conseguente necessità di esaminare di volta in volta le singole fattispecie. (Sia detto per inciso a questo proposito che, contrariamente a quanto ritiene la Consten, non ci si può attendere dalla Commissione una motivazione teorica. L'obbligo di motivare non implica l'esposizione di teorie; la Commissione deve semplicemente dimostrare che nella fattispecie ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1).

I contratti di esclusiva che implichino obblighi esclusivi di fornitura e di approvvigionamento possono avere come conseguenza una limitazione della concorrenza, specie quando il diritto di esclusiva è assoluto, il che nel caso in esame è incontestabile (le ricorrenti contestano soltanto che l'esclusiva assoluta sia conseguenza diretta dello stesso contratto). Per contro, non ritengo esatto in generale l'assunto secondo cui senza esclusiva non vi è possibilità di accesso al mercato (il che limiterebbe la concorrenza) e nessun concessionario accetterebbe l'esclusiva di vendita se questa non fosse assoluta. Nemmeno mi pare del tutto convincente la tesi della Grundig secondo cui la concessione dell'esclusiva per determinati prodotti non muta affatto le condizioni del mercato, poiché senza concessione il produttore sarebbe l'unico offerente. Proprio la Grundig ha rilevato l'impossibilità per i produttori di vendere direttamente su tutti i mercati. Si deve inoltre considerare che, se non vi è esclusiva assoluta, si possono avere importazioni parallele, il che dimostra che anche il concessionario esclusivo ha concorrenti potenziali di pari livello. Infine abbiamo visto in altre cause che non è possibile trattare nello stesso modo i concessionari esclusivi, che operano a proprio rischio e per proprio conto, e gli agenti dei produttori (quanto meno nei casi in cui essi hanno solo funzioni ausiliarie). In linea generale gli ordinamenti giuridici nazionali fanno una netta distinzione tra le due categorie. La sentenza citata dalla ricorrente Grundig (pronunciata dal Bundesgerichtshof nel 1958 ( 2 ) non offre argomenti decisivi in contrario poiché stabilisce che l'applicazione analogica a commercianti indipendenti di determinate disposizioni destinate ai rappresentanti di commercio è giustificata solo qualora i primi si trovino in situazione economica debole e non indipendente e necessitino quindi di protezione nei confronti dei loro partners.

I contratti di esclusiva possono apparire pregiudizievoli per il commercio fra Stati in quanto ne deviano le correnti. Nemmeno qui è possibile sostenere in generale che solo i contratti di esclusiva rendono possibili gli scambi fra Stati e che la loro mancanza li pregiudicherebbe.

b) Problemi specifici del caso in esame

È evidente che, in materia di intese, il caso singolo non può essere esaurientemente esaminato sulla base delle considerazioni di carattere generale testé esposte. Ho già espresso questo parere nel procedimento pregiudiziale Maschinenbau Ulm contro Société technique minière. Dobbiamo quindi stabilire se la Commissione, tenuto conto delle particolarità del caso in esame, abbia applicato correttamente l'articolo 85.

aa) Il criterio del pregiudizio per la concorrenza

Dalla motivazione e dalle osservazioni presentate nel procedimento rilevo che la Commissione si è accontentata di constatare che l'accordo stipulato ha lo scopo di pregiudicare la concorrenza, poiché mira a sopprimere la concorrenza di altri grossisti nei confronti della Consten per quanto riguarda la distribuzione di apparecchi Grundig. La constatazione di un simile scopo sarebbe sufficiente a giustificare l'applicazione dell'articolo 85, senza che si debba tener conto delle concrete conseguenze sul mercato.

Questo atteggiamento mi sembra inammissibile per varie ragioni.

In primo luogo la Commissione non si comporta qui in modo del tutto logico, poiché in altri casi ha quanto meno dato a divedere di prescindere dalla pura teoria oggettiva (che considera soltanto lo scopo di un accordo), esigendo un «tangibile» pregiudizio per la concorrenza. Questa nozione a mio parere implica l'esame delle conseguenze sul mercato e non riesco a capire come la Commissione possa contemporaneamente affermare di non essere tenuta ad effettuare esami quantitativi (ad esempio sulla percentuale delle vendite complessive) né a tener conto della concreta situazione di mercato.

In un'altra causa ho sottolineato che, secondo il diritto americano (White Motor Case ( 3 ), nelle controversie analoghe alla nostra si richiede un ampio esame delle conseguenze economiche. Non voglio dire con ciò che noi dobbiamo conformarci ai principi giuridici americani, il che sarebbe da escludersi in considerazione delle sostanziali differenze fra i due ordinamenti (divieto assoluto nel diritto americano; possibilità di esenzione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3, del trattato C.E.E.). Il mio richiamo ha però una certa utilità in quanto chiarisce che anche per l'articolo 85, paragrafo 1, non si può prescindere da concreti studi di mercato. L'esigerli solo in caso di applicazione dell'articolo 85, paragrafo 3, non mi sembra giustificato, giacché detto paragrafo implica un esame sotto profili di tutt'altra natura e assolutamente particolari. Come indica il caso Maschinenbau Ulm contro Société technique minière, si deve soprattutto evitare l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1, — in base a considerazioni puramente teoriche — a casi che ad un esame più attento si rivelano pregiudizievoli per la concorrenza in misura trascurabile, e per i quali viene poi concessa l'esenzione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3.

A ben vedere, l'articolo 85, paragrafo 1, prescrive il raffronto tra due situazioni di mercato: la situazione quale si presenta dopo la stipulazione dell'accordo e la situazione che potrebbe esistere se l'accordo non fosse intervenuto. Da questo esame concreto può emergere l'impossibilità per un produttore di vendere in un determinato mercato altrimenti che concentrando l'offerta nelle mani di un concessionario. Ciò significa che i contratti di esclusiva, in determinate situazioni, possono solo stimolare la concorrenza. Questo può verificarsi particolarmente nell'ipotesi in cui sia necessario aprire nuovi mercati o forzare le vendite. La Commissione non ha evidentemente fatto tali considerazioni per quanto riguarda il rapporto Grundig-Consten, benché esse s'imponessero sotto il profilo dell'apertura del mercato, tenuto conto del fatto che provvedimenti di liberalizzazione delle importazioni in Francia furono adottati solo nel 1960-61. Non è affatto da escludersi che un tale esame rivelasse che l'abolizione dell'esclusiva nel caso Grundig-Consten avrebbe implicato una diminuzione dell'offerta di prodotti Grundig sul mercato francese ed influito quindi negativamente sulle condizioni locali di concorrenza.

Ma c'è un secondo aspetto ancor più importante. Sappiamo che particolarmente il governo federale si è energicamente opposto alla tesi secondo cui l'articolo 85, paragrafo 1, poteva essere applicato in base alla semplice constatazione che l'accordo escludeva la concorrenza tra i vari importatori di prodotti Grundig, e per i successivi operatori commerciali sarebbe esistita «un'effettiva facoltà di scelta» solo se nella zona di concessione vi fosse stata una concorrenza «interna» tra venditori di prodotti Grundig. Il governo federale ritiene per contro che si debba considerare il complesso dei rapporti di mercato e tener presente anche la concorrenza di prodotti analoghi di altri fabbricanti.

Questa tesi va senz'altro accolta ( 4 ). È innegabile che in una determinata situazione di mercato anche la concorrenza tra più venditori dello stesso prodotto possa avere grande importanza e sia indispensabile per il normale funzionamento del mercato. Non è però ammissibile che la Commissione tenga conto fin dall'inizio esclusivamente della testé menzionata concorrenza interna, e trascuri completamente la concorrenza di prodotti analoghi. È infatti possibile che tra vari prodotti o, meglio, tra vari produttori, la concorrenza sia così viva da non lasciare spazio per la concorrenza «interna» (ad esempio sotto l'aspetto del prezzo e del servizio). La concreta osservazione dei fenomeni economici rivela che non vi è ragione di tener conto della concorrenza tra produttori solo nel caso di semplici prodotti di massa (come invece vorrebbe la Commissione). Anche nel caso di apparecchi molto complessi come quelli radiofonici, che sono venduti con un marchio e che si contraddistinguono per le loro caratteristiche tecniche, è perfettamente possibile una concorrenza effettiva e tangibile ( 5 ). L'obiezione che i compratori in questo caso non potrebbero disporre di elementi di giudizio e di raffronto per difetto di adeguate cognizioni, nella fattispecie non ha alcun valore, già per il fatto che l'esame della concorrenza va effettuato al livello dei grossisti, i quali si trovano di fronte dettaglianti tecnicamente preparati. Vi sarebbe quindi stato motivo di esigere dalla Commissione un esame della situazione concorrenziale nel suo complesso, come del resto prescrive in via generale la legge tedesca contro le restrizioni della concorrenza al paragrafo 18, relativo ai contratti di esclusiva, nel caso in cui si profili la possibilità di un grave pregiudizio per la concorrenza sul mercato di questi o di altri prodotti. Un esame del genere (che pero, contrariamente a quanto ritiene la Consten, a norma del diritto comunitario non avrebbe dovuto necessariamente essere affidato ad una commissione di esperti indipendente) avrebbe potuto dare un risultato favorevole alle ricorrenti. Ciò ad esempio in base alle vendite relativamente modeste di dittafoni e registratori Grundig sul mercato francese (17 % delle vendite complessive) — per altri prodotti, come sappiamo, la Commissione non ha condotto alcuna indagine — oppure all'affermazione delle ricorrenti che sui mercati dei televisori (ove per motivi tecnici si dovevano escludere le importazioni parallele di apparecchi Grundig) nonché degli apparecchi a transistore vi era una concorrenza così vivace tra i vari produttori della Comunità — alcuni dei quali molto forti — e dei paesi terzi, che i prezzi dei prodotti Grundig avevano dovuto essere ripetutamente ridotti in misura rilevante.

Poiché gli stretti limiti posti dalla Commissione al concetto di «restrizione della concorrenza» hanno impedito tale esame del mercato, e poiché la Corte non è tenuta a supplire essa stessa a tale manchevolezza, non mi resta che rilevare che i risultati ottenuti dalla Commissione nel suo esame del concetto di «pregiudizio alla concorrenza» non sono sufficientemente fondati e non possono quindi venire accolti.

bb) Il criterio del «pregiudizio per gli scambi fra Stati membri»

I considerandi della decisione (II, 2, paragrafo 6) rivelano come la Commissione abbia inteso ed applicato in sostanza il criterio del «pregiudizio per gli scambi fra Stati membri». A suo parere, è sufficiente che detti scambi, in seguito ad un accordo, si svolgano in condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute senza accordo. All'obiezione delle ricorrenti secondo cui ciò significa in pratica identificare il «pregiudizio per la concorrenza» con il «pregiudizio per gli scambi» qualora gli accordi abbiano carattere internazionale (quindi i loro effetti non si limitino al mercato di uno Stato membro o a mercati extracomunitari), la Commissione ribatte che in realtà il criterio in esame è puramente un criterio di competenza, vale a dire: non appena risulti che determinati accordi riguardano più Stati membri, se ne deve stabilire la legittimità secondo il diritto comunitario.

A mio parere, lo stesso tenore dell'articolo 85, paragrafo 1, mostra l'infondatezza di tale assunto. Come ho già sottolineato in altra occasione, il «pregiudizio per gli scambi» è distinto dal «pregiudizio per la concorrenza» in modo così netto che non può non avere un significato autonomo. Soprattutto mi pare insostenibile che sia sufficiente l'incidenza, anche minima, di un accordo sugli scambi fra Stati, giacché ciò implicherebbe l'inosservanza del chiaro tenore dell'articolo 85, nei testi olandese, italiano e tedesco, il quale richiede un'influenza negativa, significato che del resto è quello abituale del termine francese «affecter».

Non ci si può quindi limitare — come ritiene, a torto, la Commissione — a constatare che gli scambi fra Stati hanno ricevuto un certo assetto, che le correnti commerciali sono state influenzate in un dato modo, rinunziando, qualora siano state stipulate esclusive assolute, alla prova specifica del pregiudizio per gli scambi stessi. Anche ai fini del criterio in esame, si deve tener conto dei possibili e logicamente prevedibili effetti sul mercato (e ciò pur ammettendo la tesi della Commissione secondo cui l'aumento degli scambi non è sufficiente ad escludere il pregiudizio).

Come ho già detto ad altro proposito, è concepibile che un'impresa sia costretta ad affidare la sua offerta ad un solo operatore, pena il fallimento della sua penetrazione su un determinato mercato esterno. Offerte concorrenti per lo stesso prodotto possono avere come conseguenza una notevole diminuzione delle vendite e, in determinati casi, addirittura il loro arresto e sarebbe certo assurdo tener conto di questo stato di cose solo in relazione all'esenzione di cui all'articolo 85, paragrafo 3. È pure concepibile che la dispersione dell'offerta danneggi i piani di produzione e quindi impedisca di diminuire i prezzi, con conseguente pregiudizio per gli scambi internazionali. Infine l'integrazione dei vari mercati nazionali può essere ostacolata proprio dall'eliminazione dei distributori esclusivi, poiché in certi casi essa impedisce che la presenza sui mercati esteri sia intensa ed estesa (ad esempio la rete di assistenza) come sul mercato interno più vicino al produttore.

Nella fattispecie non si può controbattere alle considerazioni di cui sopra richiamandosi semplicemente all'entità delle vendite effettuate dalla Consten, in quanto il loro volume assoluto non dà alcuna indicazione circa il loro rapporto con le vendite complessivamente effettuate sul mercato francese. Nemmeno dà risultati apprezzabili il raffronto (che a questo proposito ha del resto solo scopo illustrativo) tra i prezzi praticati in Francia e, rispettivamente, in Germania dall'organizzazione Grundig, poiché nell'attuale stadio d'integrazione le condizioni di prezzo differiscono ancora notevolmente sui due mercati.

Anche sotto il profilo del secondo criterio dell'articolo 85, paragrafo 1, si deve quindi far carico alla Commissione di aver effettuato un esame incompleto della situazione economica, né la Commissione può sottrarsi a tale critica affermando che le ricorrenti non hanno dimostrato che il collocamento del prodotto in Francia avrebbe dato risultati meno soddisfacenti ove non fosse esistita l'esclusiva, poiché tale esame dev'essere effettuato d'ufficio dalla Commissione.

Queste considerazioni sarebbero nel loro complesso sufficienti a far annullare l'articolo 1 della decisione impugnata, non solo per quanto riguarda l'accordo di esclusiva di cui ivi si tratta, ma anche rispetto all'accordo relativo al marchio GINT che ha in realtà il solo scopo di garantire il diritto assoluto di esclusiva già considerato nelle osservazioni che precedono.

Vorrei tuttavia continuare l'esame relativo all'articolo 1 della decisione, occupandomi di alcuni altri argomenti giuridici dedotti in corso di causa e che mi paiono particolarmente importanti.

c) Portata della dichiarazione contenuta nell'articolo 1

L'articolo 1 della decisione impugnata dichiara che il contratto di esclusiva del 1o aprile 1957 (mi occuperò in seguito dell'accordo sul marchio GINT) è incompatibile nel suo complesso con l'articolo 85, paragrafo 1; benché la Commissione abbia esaminato e trovato in contrasto con il trattato soltanto alcune clausole dell'accordo, vale a dire l'impegno di fornitura esclusiva alla Consten, ivi compresa l'esclusiva assoluta, nonché il divieto di esportazione imposto alla predetta. La motivazione non si esprime circa l'obbligo della Consten di ritirare le merci e circa varie altre clausole riguardanti le condizioni di vendita, di consegna e di pagamento; la riserva di proprietà; la garanzia; il rischio; il diritto da applicarsi ed il foro competente.

La Commissione, a giustificazione del proprio comportamento, ha dichiarato che l'articolo 85 contempla gli accordi e non le clausole degli accordi (distinzione che si riscontra nel regolamento 19-65). Qualora risulti che determinati elementi di un accordo ricadono sotto l'articolo 85, paragrafo 1, la Commissione può dichiarare l'accordo incompatibile col trattato. Sovente è anche molto difficile distinguere le clausole rilevanti per la concorrenza da quelle irrilevanti, ad esempio nel caso in cui il pregiudizio per la concorrenza risulta dal concorso di più clausole. Se la Commissione dovesse esaminare a fondo ogni accordo, si produrrebbero notevoli ritardi. Infine la dichiarazione amministrativa d'incompatibilità di un accordo con l'articolo 85, paragrafo 1, non incide sulla validità o nullità di diritto privato delle clausole sulle quali la Commissione non si è pronunziata.

Le ricorrenti e il governo federale ritengono errata questa tesi in quanto essa manterrebbe gl'interessati in un inammissibile stato di incertezza. L'articolo 1 della decisione, formulato in modo generico e riassuntivo, dovrebbe quindi venir annullato per violazione del principio della proporzionalità (limitazione degli interventi d'autorità allo strettamente necessario), principio cui deve conformarsi anche la procedura comunitaria in materia d'intese.

Si pone con ciò un'importante questione giuridica, questione che non è possibile risolvere in modo soddisfacente in base alla sola interpretazione letterale del trattato. Agli argomenti di carattere letterale dedotti dalla Commissione si può obiettare che nel primo paragrafo dell'articolo 85 figura il medesimo concetto di «accordo» che compare nel secondo paragrafo dello stesso articolo, il quale tratta della nullità ipso iure degli accordi concorrenziali. È quindi ovvio considerare vietate a norma dell'articolo 85, paragrafo 1, solo le clausole che hanno rilevanza per la concorrenza, poiché solo per tali clausole — e su ciò la Commissione è d'accordo — si può parlare di nullità assoluta a norma del paragrafo 2. Comunque la Commissione non è stata in grado di fornire una soluzione soddisfacente del problema creato dal suo atteggiamento: il divieto di diritto pubblico colpisce l'intero accordo, mentre la nullità di diritto privato colpirebbe soltanto le clausole rilevanti per la concorrenza. Non riesco a capire quale efficacia possano avere le clausole di un accordo vietate, ma non nulle a norma del diritto privato.

Prescindendo da ciò s'impongono le seguenti considerazioni :

Qualora la Commissione dichiari un accordo incompatibile nel suo complesso con l'articolo 85, paragrafo 1, sebbene la motivazione della decisione prenda in esame solo alcune clausole, per le imprese interessate sorge il problema di cosa si debba pensare delle restanti clausole. La questione può sorgere in sede civile dinanzi al giudice nazionale il quale, accogliendo la tesi della Commissione, non deve considerare l'accordo totalmente nullo. Egli può cercare di formarsi un convincimento sull'applicabilità dell'articolo 85, paragrafo 1, relativamente alle clausole non prese in considerazione, il che implica non solo il rischio che vengano a crearsi giurisprudenze divergenti, ma anche quello che venga considerata come ricadente sotto l'articolo 85, paragrafo 1, una clausola per la quale, a norma dell'articolo 6 del regolamento 17-62, il giudice nazionale non può concedere l'esenzione. Il giudice nazionale può anche disporre la sospensione del procedimento e presentare domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, il che serve a chiarire in una certa misura le questioni dubbie (anche se, per necessità di cose, non con la stessa precisione che si ha in caso di applicazione diretta delle norme). La presentazione della domanda di pronuncia pregiudiziale implica però quel ritardo che la Commissione intendeva evitare esaminando in modo non esauriente tutte le clausole di un accordo rilevante per la concorrenza.

Un'altra possibilità e rappresentata delle soluzioni che le imprese interessate possono trovare onde modificare un accordo che a giudizio della Commissione è incompatibile con l'articolo 85, e renderlo conforme alle norme vigenti. In questo caso, in base all'atteggiamento assunto dalla Commissione, le imprese, onde evitare ogni rischio, sarebbero obbligate a notificare l'accordo una seconda volta. Ciò però non implica solo un ritardo (indipendentemente dal fatto che nella fattispecie la retroattività dell'esenzione sarebbe limitata) ; gl'interessati infatti, ove rimanga immutata l'attuale prassi della Commissione, non potrebbero inoltre attendersi una completa chiarificazione di tutti i punti dei loro accordi sotto il profilo dell'articolo 85, paragrafo 1.

Tutte queste considerazioni dimostrano che la tesi sostenuta dalla Commissione implica un'inammissibile incertezza del diritto e l'inosservanza di rilevanti interessi degli operatori economici. Proprio all'inizio dello sviluppo di un diritto comunitario in materia d'intese, ritengo sia opportuno risolvere al più presto il maggior numero possibile di questioni. Si dovrebbe quindi considerare inammissibile che la Commissione dichiari che un accordo, nel suo complesso, ricade sotto l'articolo 85, paragrafo 1, senza specificare esattamente quali clausole abbiano rilievo agli effetti delle norme del trattato relative alla concorrenza e quali invece siano irrilevanti. Ciò almeno quando non sia certo che le clausole espressamente esaminate sono considerate essenziali dai contraenti. Non appare eccessivo pretendere dalla Commissione una precisazione del genere, nemmeno nel caso in cui il pregiudizio per la concorrenza derivi unicamente dalla concomitanza di varie clausole. La Commissione deve in ogni caso indicare quali clausole siano rilevanti ai fini della concorrenza. Il far ciò non dovrebbe costituire per essa una difficoltà insormontabile.

Si dovrà quindi esigere dalla Commissione che essa motivi chiaramente il suo giudizio, al qual fine sarà in certi casi sufficiente che la decisione nel suo complesso faccia comprendere il suo punto di vista (purché determinate clausole di un accordo non esigano una speciale motivazione in considerazione della loro autonomia).

Di conseguenza, l'articolo 1 della decisione impugnata dovrà ritenersi giuridicamente viziato (e viziato in modo tale che la Corte non può emendarlo), indipendentemente dall'errore d'interpretazione in cui la Commissione è incorsa a proposito dei criteri «pregiudizio per la concorrenza» e «pregiudizio per gli scambi».

d) La dichiarazione che il divieto d'esportazione imposto alla Consten ricade sotto l'articolo 85, paragrafo 1

Appare poi opportuna qualche osservazione sul giudizio dato dalla Commissione circa il divieto di esportazione imposto alla Consten, divieto dichiarato espressamente incompatibile con l'articolo 85, paragrafo 1, nella motivazione della decisione.

È necessario a questo proposito tenere distinti i vari aspetti della questione. Non mi occuperò del problema del se la Commissione avesse ragione di intendere il divieto nel senso che la Consten fosse anche tenuta a vigilare a che i suoi acquirenti non esportassero verso altre zone. Analogamente non mi soffermarò sul fatto che l'articolo 3 della decisione non contiene disposizioni particolari circa il divieto d'esportazione, malgrado ciò possa implicare incertezze per l'interessata.

Anche qui devo constatare anzitutto che la Commissione ha formato il suo convincimento fondandosi semplicemente sullo scopo astratto del divieto d'esportazione, senza esaminarne le concrete ripercussioni sul mercato. Non mi pare questa una corretta applicazione dell'articolo 85, paragrafo 1, come ho ampiamente spiegato. Proprio a questo proposito la ricorrente Consten invoca giustamente la sentenza Bosch, da cui si può desumere l'inadeguatezza di considerazioni puramente teoriche ed astratte sulla compatibilità con l'articolo 85, paragrafo 1, di un divieto d'esportazione.

La Commissione ha poi dichiarato illegittimo tale divieto nel suo complesso (anche per quanto riguarda la protezione di mercati extracomunitari). Ciò appare ingiustificato poiche la Commissione non è in linea di massima competente a pronunciarsi su questioni che riguardano i mercati extracomunitari, a meno che non sia provato ch'esse hanno ripercussioni sulle condizioni della concorrenza nell'ambito comunitario. La Commissione avrebbe dovuto quanto meno limitare la portata della sua dichiarazione (aggiungendovi ad esempio il termine «per quanto»). Un tale modo di procedere non costituisce affatto un'illecita scissione della clausola contrattuale; anzi esso corrisponderebbe molto meglio all'atteggiamento assunto dalla Commissione e reso manifesto dall'articolo 3 della decisione, atteggiamento che trova riscontro negli ordinamenti nazionali in materia d'intese (vedi paragrafo 1 della legge tedesca contro le limitazioni della concorrenza).

Posto che la dichiarazione della Commissione circa l'illegittimità del divieto di esportare incide sui mercati degli Stati membri, è stata infine criticata l'omessa audizione dei commercianti protetti dal divieto stesso.

Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, questa censura può essere presa in esame, anche se non si tratta dell'interrogatorio in giudizio delle ricorrenti. Pur ammettendo che per far valere determinate censure può esser richiesta la dimostrazione di un particolare interesse, ciò non vale per il mezzo di violazione di forme essenziali, che la Corte esamina d'ufficio. Aggiungasi che anche l'interveniente governo federale ha elevato questa censura.

La sua fondatezza appare certo problematica. In base alle sole disposizioni di esecuzione comunitarie in materia d'intese, la risposta è facile, in quanto vi si parla unicamente dell'audizione dei partecipanti ad un accordo. Sono però d'avviso che non siamo tenuti a limitare in tal modo l'esame, ma piuttosto dobbiamo stabilire quali siano i principi da applicarsi, in materia d'intese, per quanto riguarda l'obbligo dell'audizione.

Dagli ordinamenti nazionali non ricaviamo su questo punto alcuna precisa indicazione. In linea di massima è prescritta l'audizione soltanto delle imprese destinatarie di una decisione, e si deve rilevare che, per quanto riguarda la possibilità di essere sentiti a richiesta (possibilità ammessa anche dal diritto comunitario) predomina la tendenza a limitare il numero delle persone da sentire (vedi il commento di Müller-Henneberg-Schwartz alla legge tedesca contro le limitazioni della concorrenza, 2a ed., pag. 950).

Nel nostro caso mi sembra in ultima analisi decisiva la considerazione che — contrariamente a quanto sostiene la Commissione — il divieto d'esportazione di cui trattasi non determina solo una protezione di fatto per gli altri concessionari, ma li pone in una vera e propria posizione giuridica. Non bisogna dimenticare che stiamo esaminando un sistema internazionale di contratti d'esclusiva con divieti reciproci d'esportazione ed altri obblighi, sistema dal quale non è possibile togliere una parte essenziale senza che si producano conseguenze sul piano giuridico.

Sono quindi propenso a considerare la dichiarazione della Commissione circa il divieto d'esportazione imposto alla Consten come un attacco diretto alle posizioni giuridiche di altri concessionari, attacco inammissibile senza una loro previa audizione. Una siffatta interpretazione dell'obbligo di audizione, tenuto conto dell'esiguo numero d'interessati, non si risolve in un'eccessiva complicazione dell'istruttoria amministrativa. Meglio accettare l'irrilevante mora che vi è connessa piuttosto che trascurare gli interessi degli operatori economici.

Posto che l'audizione non ha avuto luogo, la dichiarazione della Commissione relativa al divieto d'esportazione della Consten si rileva viziata anche per questo motivo.

3. L'accordo circa il marchio GINT

Mentre l'esame condotto finora verteva unicamente sull'accordo di esclusiva, vorrei aggiungere qualche osservazione in merito all'accordo sul marchio GINT, anch'esso contemplato nell'articolo 1, e ciò benché — come ho già rilevato — per detto occordo (inteso soltanto a garantire l'esclusiva assoluta) valgano le osservazioni relative all'errato impiego dei concetti «pregiudizio per la concorrenza» e «pregiudizio per gli scambi». Data l'importanza degli argomenti relativi al marchio, ritengo giusto non sorvolare sui problemi che si pongono a questo proposito.

Ricordo che nel dispositivo della decisione impugnata figura la constatazione che l'accordo Grundig-Consten circa la registrazione e l'uso del marchio GINT costituisce una violazione dell'articolo 85, paragrafo 1. In proposito le ricorrenti hanno innanzitutto sollevato la questione di quale sia l'accordo cui si riferisce la Commissione. Nel caso si trattasse semplicemente della dichiarazione Consten del 13 gennaio 1959 menzionata negli antefatti, la constatazione avrebbe poco senso — come del resto sostengono le ricorrenti — in quanto la Consten si è semplicemente impegnata a trasferire alla Grundig oppure a lasciar decadere il marchio GINT alla scadenza del contratto di esclusiva. Una dichiarazione del genere non può evidentemente incidere in alcun modo sulla situazione concorrenziale esistente nel mercato francese.

Da un esame più attento risulta però che questa interpretazione della decisione, possibile a prima vista, dev'essere modificata. Dagli atti si desume che la registrazione del marchio GINT è fondata su un accordo, parzialmente scritto, del 13 gennaio 1959, il che lascia intendere che oltre alla dichiarazione in tale data vi sono state altre intese, verbali o anche puramente tacite. L'impressione è confermata dall'accenno, contenuto nella motivazione della decisione, alla genesi del marchio GINT. La Commissione pensa quindi ad un accordo per cui la Grundig, che ha registrato internazionalmente il marchio GINT, rinuncia ai suoi diritti in Francia e non si oppone alla registrazione del marchio a favore della Consten e all'esercizio dei relativi diritti da parte di quest'ultima. Un siffatto accordo può indubbiamente avere rilevanza sotto il profilo della concorrenza. Se non erro, non è stato nemmeno seriamente contestato che fra le due ricorrenti sia intervenuto un accordo del genere, in quanto solo un tal presupposto può conferire un senso alla dichiarazione della Consten del 13 gennaio 1959 riguardante il trasferimento o l'estinzione del marchio.

La seconda questione si può così formulare: se l'accordo ricada sotto l'articolo 85, paragrafo 1. Le ricorrenti lo contestano, affermando che l'accordo non limita in alcun modo la libertà d'azione dei contraenti ed inoltre non costituisce il fondamento del pregiudizio per la concorrenza, che invece va eventualmente ricercato nella registrazione in Francia del marchio, registrazione che costituisce un diritto originario di marchio, il cui titolare, per il diritto nazionale, gode di una protezione assoluta.

Questa tesi non mi pare convincente. Anzitutto è certo che per l'articolo 85, paragrafo 1, non ha esclusivamente rilevanza la limitazione della libertà di agire dei contraenti, bensì ne hanno anche le ripercussioni di un accordo sulla situazione di mercato dei terzi. È poi innegabile che la Grundig e la Consten dovevano inevitabilmente procedere di conserva alla costituzione del diritto di marchio poiché il marchio GINT, essendo stato internazionalmente registrato dalla Grundig, poteva essere registrato in Francia dalla Consten solo previo esplicito consenso della stessa Grundig. Come giustamente osserva la Commissione, per l'articolo 85 hanno rilevanza, oltre agli intralci alla concorrenza voluti, anche quelli provocati di fatto. Analogamente non si devono considerare solo gli effetti immediati di un accordo, essendo sufficiente che le sue conseguenze logicamente prevedibili possano risolversi in un pregiudizio per la concorrenza. Non vi dovrebbero quindi essere obiezioni di principio a che accordi in materia di marchio vengano giudicati in base all'articolo 85.

L'altro assunto delle ricorrenti è il seguente: l'acquisizione del marchio GINT da parte della Consten è avvenuta grazie ad un accordo simile alla concessione di una licenza; dal punto di vista della concorrenza, il fatto può avere rilevanza giuridica solo qualora in connessione con esso si siano costituiti vincoli che oltrepassano i limiti del diritto di brevetto. La Commissione però non può opporsi al semplice uso di un diritto di brevetto nazionale senza intromettersi nella disciplina nazionale del diritto di proprietà. Ciò costituirebbe violazione dell'articolo 222 (il quale stabilisce che il regime della proprietà negli Stati membri resta impregiudicato), dell'articolo 36 (che garantisce la tutela della proprietà industriale e commerciale), nonché dell'articolo 234 del trattato (a norma del quale il trattato non pregiudica i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente all'entrata in vigore del trattato stesso, tra uno o più Stati membri da un lato, e uno o più Stati terzi dall'altro).

Analizziamo questo assunto.

Il richiamo all'articolo 234 del trattato, che d'altro canto non compare più nella replica, è nella fattispecie assolutamente fuori luogo. Come giustamente rileva la Commissione, l'articolo 234 ha unicamente lo scopo di garantire i diritti degli Stati terzi, dei quali qui però non è evidentemente questione. Inoltre, né la convenzione di Parigi, né quella di Madrid relativa ai marchi, cui le ricorrenti evidentemente si richiamano, stabiliscono alcunché circa il contenuto dei diritti di propriétà industriale, lasciando agli ordinamenti nazionali il compito di disciplinare la materia.

L'articolo 36 del trattato ammette — in deroga agli articoli 30-34, che prescrivono l'abolizione delle restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione — divieti d'importazione, di esportazione e di transito a tutela della proprietà industriale. E tuttavia lecito chiedersi se per questa via sia stata introdotta nel trattato una garanzia assoluta e generale a tutela della proprietà industriale oppure l'articolo 36 abbia rilevanza solo nell'ambito delle disposizioni di liberalizzazione contenute nel trattato. Alla tesi della garanzia assoluta si può comunque opporre che anche l'articolo 36 formula una riserva per il caso di possibili abusi.

Per quanto riguarda l'articolo 222, già ad altro proposito ho sottolineato che lo scopo di esso è evidentemente quello di garantire in generale la libertà degli Stati membri nel disciplinare il diritto di proprietà, non già quello di garantire che gli organi comunitari non pregiudicheranno in alcun caso i diritti soggettivi di proprietà. Data la straordinaria ampiezza della nozione di proprietà negli ordinamenti nazionali, qualunque altra interpretazione si risolverebbe nella paralisi di qualsiasi attività comunitaria. Ce lo ha dimostrato la Commissione richiamandosi all'applicazione dell'articolo 92 (revoca delle promesse di aiuto), alle clausole di salvaguardia contenute nei regolamenti per i mercati agricoli, nonché all'articolo 86, la cui applicazione in materia di proprietà industriale è del resto ritenuta ammissibile anche dalla ricorrente Consten e dall'interveniente governo italiano. È quindi certo che il trattato non esclude determinati interventi nella sfera dei diritti soggettivi di brevetto nazionali.

A parte ciò, nella fattispecie pare da escludersi qualsiasi intervento nella sfera dei diritti. Vi sono validi motivi di ritenere che la Commissione, nell'elaborare la decisione, ha preso le mosse da una corretta interpretazione ed applicazione delle norme nazionali in materia di proprietà industriale. Richiamandosi al fatto che le licenze in materia di marchio rappresentano di per sé un'eccezione ( 6 ), la Commissione si adopra a dimostrare che nella fattispecie è stato commesso un abuso dei diritti di brevetto nazionali inteso ad eludere le disposizioni vigenti in materia d'intese. Essa ci ha mostrato, a mio parere in modo convincente, che il marchio GINT secondo il diritto francese non ha alcuna funzione autonoma, vale a dire non viene impiegato come contras-segno d'origine. Quale contrassegno dell'origine degli apparecchi, servirebbe già il marchio «Grundig» che compare su tutti i prodotti. Nel caso della Consten, il marchio GINT non potrebbe nemmeno essere considerato come un marchio commerciale, poiché tali contrassegni hanno la funzione di dimostrare che il commerciante ha effettuato una certa scelta. È quindi illogico parlare di marchio commerciale quando si distribuiscono soltanto i prodotti di un unico fabbricante. Infine, il marchio GINT non può nemmeno servire a contraddistinguere i canali di distribuzione, vale a dire a dimostrare che i prodotti che recano detto marchio non sono giunti in Francia attraverso altri operatori, giacché in effetti con esso si mira ad eliminare le importazioni parallele, cosicché viene a cessare qualsiasi funzione distintiva sul mercato.

Essendo con ciò dimostrato che l'unico scopo del marchio GINT è quello di eludere le disposizioni vigenti in materia d'intese (il che d'altro canto è comprovato dalla genesi del marchio, in connessione con una sentenza dello Hoge Raad del 14 dicembre 1956), la Commissione può certo tenerne conto senza commettere un'intrusione illecita nella sfera dei diritti di marchio. La Commissione si attiene con ciò alla linea da essa individuata, sulla scorta del Fikentscher (Die Warenzeichenlizenz, pagg. 422, 423, 453) per il diritto tedesco, linea che trova riscontro nel diritto francese, come risulta dalla sentenza 13 lugio 1961 della Corte di Cassazione francese ( 7 ), citata dalla Leissner.

È chiaro, dopo quanto precede, che la Commissione non aveva motivo di valersi delle disposizioni di armonizzazione dell'articolo 100 e seguenti del trattato C.E.E., che per le ricorrenti rappresentano la giusta via. Queste possono infatti essere prese in considerazione solo nel caso in cui la Commissione non disponga di poteri che le permettano di disciplinare direttamente una materia.

Per la Commissione non dovrebbe nemmeno essere decisiva la considerazione che probabilmente nulla muterebbe, sotto il profilo del diritto sul marchio, qualora la stessa Grundig risultasse titolare del marchio GINT in Francia. Per l'articolo 85 ha rilievo la constatazione di un'azione concordata nonché l'intento di rafforzare la garanzia dell'esclusiva mediante scissione del diritto sul marchio (scopo che, secondo la giurisprudenza italiana e olandese ( 8 ) non appare irraggiungibile a priori).

È infine indifferente il fatto che la Commissione non abbia ritenuto necessario il ritrasferimento alla Grundig del diritto di marchio, ma si sia limitata a vietare alla Consten di servirsene onde impedire od ostacolare le importazioni parallele: sotto il profilo del diritto delle intese, non era infatti necessario fare di più.

In linea di massima, non intendo quindi criticare il comportamento della Commissione per quanto riguarda i diritti sul marchio. Devo però ricordare che la dichiarazione della commissione relativa all'accordo sul marchio, contenuta nell'articolo 1 della decisione, non può rimanere in vigore per gli altri motivi già menzionati. Che per di più essa presti il fianco alla critica, poiché anche in questo caso l'accordo è considerato nel suo complesso, ivi compresa la dichiarazione del gennaio 1959 che sotto il profilo della concorrenza è assolutamente irrilevante, lo aggiungo solo per amore di completezza.

4. Conclusione

In conclusione, l'articolo 1 della decisione impugnata dev'essere annullato per gravi errori di diritto. Posto che le restanti disposizioni della decisione sono fondate sull'articolo 1, a rigore si potrebbe fare a meno di procedere al loro esame. Non voglio tuttavia giungere a questa conclusione e in subordine mi occuperò anche degli articoli 2 e 3 della decisione.

II — L'articolo 2 della decisione impugnata

L'articolo 2 contiene il rifiuto di concedere, per gli accordi di cui all'articolo 1, la dichiarazione d'inapplicabilità prevista dall'articolo 85, paragrafo 3. Pur ammettendo che gli accordi contribuiscono a migliorare la produzione e la distribuzione (anche se con certe limitazioni), non vi sarebbe tuttavia un adeguato vantaggio per i consumatori (in proposito la Commissione pone a raffronto i prezzi francesi e quelli tedeschi) e soprattutto non sarebbe stato dimostrato che l'esclusiva assoluta riservata alla Consten sia indispensabile onde ottenere i miglioramenti di cui sopra.

Le ricorrenti hanno impugnato sotto vari aspetti anche questa disposizione. Sorgono quindi numerose questioni di fatto che non giovano certo a facilitare il mio esame.

Intenderei suddividere come segue il presente capitolo :

Innanzitutto mi occuperò di alcune questioni preliminari.

Esaminerò quindi in diritto e in fatto i criteri dell'articolo 85, paragrafo 3, nello stesso ordine seguito dalla Commissione (benché questa abbia dichiarato che per il rifiuto dell'esenzione è stato determinante solo il criterio dell' «indispensabilità»).

Dovrò infine occuparmi della questione del se, ammettendo il punto di vista della Commissione circa l'esclusiva assoluta, si sarebbe dovuta concedere un'esenzione almeno parziale o condizionata per la rimanente parte dell'accordo.

1. Questioni preliminari di carattere generale

a) Violazione del principio di contraddizione

La ricorrente Consten, anche a proposito dell'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 3, si duole della violazione del principio di contraddizione poiché alle ricorrenti non sarebbero stati comunicati tutti i documenti relativi alle numerose questioni sollevate, documenti che la Commissione aveva ricevuto da organi nazionali ed altri interessati.

È evidente che ciò corrisponde alla realtà, come si desume dalle ammissioni della Commissione.

Non mi sembra però che la violazione in esame sia con ciò definitivamente provata. Ho già sottolineato all'inizio che l'istruttoria in materia d'intese non è un procedimento giurisdizionale, ma sostanzialmente, specie quando si risolve in decisioni quale quella che stiamo esaminando, ha la natura di un procedimento amministrativo. Nei procedimenti amministrativi (come ha ampiamente dimostrato la Commissione, richiamandosi ai diritti nazionali) vige però solo il principio per cui si possono ritenere a carico di un amministrato unicamente i fatti sui quali egli ha potuto prendere posizione, entro un termine ragionevole. A questo scopo non è necessaria la trasmissione materiale o la comunicazione integrale di tutti i documenti relativi alla pratica, essendo sufficiente un chiaro compendio del loro contenuto, che permetta all'amministrato di conoscere i punti essenziali delle tesi dei terzi interessati. Grosso modo, anche la procedura dinanzi all'ufficio federale per i cartelli è così organizzata (vedi il già citato Kommentar zum Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen di Müller — Henneberg — Schwartz, seconda edizione, pag. 959). È superfluo sottolineare che a detto ufficio è prescritto di procedere con la massima diligenza e di fare un uso estremamente coscienzioso dei poteri discrezionali.

Per quanto riguarda la procedura in esame, nella quale la Commissione si è in sostanza limitata a comunicare il contenuto essenziale dei documenti sottopostile da terzi, non ho avuto l'impressione (non voglio entrare nei particolari) che le ricorrenti siano state informate in modo nettamente insufficiente. Non è quindi possibile far carico alla Commissione di aver violato il principio di contraddizione per i motivi invocati dalla Consten.

b) Se l'esclusiva assoluta risulti dall'accordo Grundig-Consten

Una seconda questione preliminare sorge dal fatto che l'esenzione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3, è stata rifiutata anzitutto in considerazione dell'esclusiva assoluta conferita alla Consten. A questo proposito la Grundig sostiene che l'esclusiva assoluta in realtà non deriva dall'accordo d'esclusiva, bensì dalle convenzioni con concessionari Grundig in altri paesi della Comunità, cui è stato imposto il divieto di esportare. Tali convenzioni non rientrano nella presente controversia; la Commissione non ne ha fatto oggetto di dichiarazioni a norma dell'articolo 85, paragrafo 1. Quindi il contratto di esclusiva, contro il quale la Commissione non pare sollevi obiezioni agli effetti dell'articolo 85, paragrafo 3, avrebbe dovuto ottenere di per sé l'esenzione.

Questa tesi e estremamente seducente; non credo pero sia possibile sostenerla con validi argomenti.

Non avrò bisogno di dilungarmi, avendo già mostrato in altra occasione che anche l'accordo — menzionato nell'articolo 1 della decisione — relativo al marchio GINT e mirante a garantire l'esclusiva assoluta costituisce parte dell'intesa Consten-Grundig e vi sono quindi plausibili ragioni per considerarlo rilevante per il diritto sulle intese.

La tesi della Grundig dà però adito ad altri rilievi.

A mio avviso, il complesso delle disposizioni del contratto di esclusiva, in relazione alle circostanze in atto al momento della sua stipulazione e considerate allora come essenziali, ci obbliga a ritenere che la Grundig è tenuta a garantire alla Consten l'esclusiva assoluta. Ciò si può desumere dagli articoli I, 1 e IV, 1, dell'accordo in cui si sottolinea il carattere esclusivo dell'attività della Consten nella zona di sua competenza e in questo senso, tenuto conto di tutte le circostanze, si deve intendere l'impegno della Grundig di non effettuare forniture indirette nella zona riservata alla Consten. La stessa Grundig non si è comunque opposta a tale interpretazione nella memoria presentata alla Commissione e solo in sede giurisdizionale ha sostenuto che il divieto di cui trattasi colpiva unicamente le forniture effettuate attraversò prestanomi o società collegate. A ciò non si può opporre che l'esclusiva prendeva consistenza solo col divieto di esportare imposto agli altri concessionari: agli effetti dell'articolo 85, paragrafo 1, è infatti sufficiente che un accordo abbia un determinato scopo, come pure basta che il pregiudizio alla concorrenza sia indiretto. Nemmeno può essere determinante il fatto che il divieto di esportazione fosse stato imposto agli altri concessionari già nel 1953 (quindi prima che venisse stipulato l'accordo di esclusiva in esame) nell'ambito di un sistema di prezzi vincolati, e ciò proprio perché è verosimile che le ricorrenti l'abbiano considerato in seguito come presupposto essenziale dell'accordo di esclusiva.

A questo proposito infine ci si potrebbe richiamare al principio, elaborato dalla giurisprudenza francese, dell' «opposabilité aux tiers», principio che, contrariamente a quanto ritiene la Grundig, non è applicabile solo come eccezione all'addebito di «refus de vente» del diritto commerciale francese ( 9 ), ma può costituire altresì un motivo autonomo d'impugnazione in materia di concorrenza sleale. Evidentemente il diritto francese, quale risulta dalla giurisprudenza della cassazione, a differenza di altri ordinamenti giuridici si spinge qui molto lontano, in quanto dà azione per concorrenza sleale contro i terzi che, pur conoscendo l'esistenza di un'esclusiva, ritirano merci, per distribuirle in una determinata zona, da chi non è concessionario. Secondo il diritto francese quindi, il contratto di esclusiva, ove abbia avuto un'adeguata pubblicità, è sufficiente a garantire l'esclusiva assoluta e le attuali ricorrenti hanno infatti più volte tratto partito da questo fatto.

Va quindi disatteso l'assunto secondo cui la garanzia dell'esclusiva assoluta non deriverebbe dal contratto di esclusiva intervenuto fra Grundig e Consten.

2. I singoli criteri dell'articolo 85, paragrafo 3

Esaminate tali questioni preliminari, posso dedicarmi agli argomenti che riguardano in modo speciale l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 3. Si dovranno tenere in particolare considerazione i rilievi di principio esposti qui appresso sia nell'interpretare, sia nell'applicare questa disposizione.

Ad altro proposito ho già sottolineato che i contratti di esclusiva stipulati dal produttore, per loro natura sono relativamente poco pregiudizievoli per la concorrenza. Per questo motivo essi sono ammessi in linea di massima da uno dei più rigidi ordinamenti europei in materia d'intese (vale a dire, in connessione con precedenti norme sulla decartellizzazione ( 10 ), dalla legge tedesca contro le limitazioni della concorrenza, paragrafo 18), e la loro invalidità può essere dichiarata dall'ufficio federale competente solo qualora essi limitino ingiustamente l'accesso al mercato di altre imprese oppure costituiscano un rilevante pregiudizio per la concorrenza. Anche il mio collega Lagrange, nelle sue conclusioni per la causa Bosch ( 11 ), ha rilevato che per casi del genere appare giustificata una speciale valutazione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3. Dovremmo quindi partire dal principio che, nel valutare i complessi criteri di cui all'articolo 85, paragrafo 3, e nell'applicarli ai contratti di esclusiva, si deve in generale procedere con una certa larghezza d'idee ( 12 ), proprio in quanto di regola la concorrenza tra prodotti similari di vari fabbricanti costituisce un adeguato equilibratore del mercato.

Un secondo rilievo riguarda l'atteggiamento di principio della Commissione, quale risulta da varie memorie. In base ad esso, sarebbe essenziale il fatto che, per il diritto comunitario, l'articolo 85, paragrafo 1, rappresenta la regola, mentre il terzo paragrafo costituisce l'eccezione, da cui deriva in ispecie che, agli effetti del secondo, l'onere della prova incombe all'impresa che domanda l'esenzione. Questo atteggiamento appare criticabile nel caso in cui ne risulti che la Commissione, nell'applicare l'articolo 85, paragrafo 3, si comporta in modo più o meno passivo nei confronti degli argomenti delle imprese interessate. Non s'insisterà mai abbastanza sul fatto che alla Commissione, anche nell'applicare l'articolo 85, paragrafo 3, spetta un compito notevolmente più attivo e pervaso di responsabilità, specie nel caso in cui rilevi che determinati accordi implicano migliorie auspicabili da un punto di vista economico generale. In tal caso le incombe un ampio dovere di accertamento, che tra l'altro implica l'esame d'ufficio delle questioni rilevanti ed approfondite indagini da effettuarsi in collaborazione con le imprese interessate. Proprio all'inizio dello sviluppo di un nuovo diritto in materia d'intese, finché mancano una prassi consolidata e principi adeguatamente chiariti, la Commissione dovrebbe fare anche più del suo stretto dovere e ciò pure in considerazione del controllo giurisdizionale, che altrimenti risulterebbe più difficile o addirittura impossibile, con la deprecabile conseguenza di un rinvio alla Commissione che procrastinerebbe la definizione della controversia.

Esaminerò in seguito se la Commissione nella fattispecie abbia bene assolto il compito che ho sopra indicato oppure abbia ingiustamente limitato le sue indagini, con la scusa che le imprese interessate non avrebbero adeguatamente comprovato gli effetti positivi della loro intesa.

a) Miglioramento della distribuzione e della produzione

Circa il primo criterio dell'articolo 85, paragrafo 3, la Commissione ammette la possibilità che l'accordo Grundig-Consten migliori la distribuzione e la produzione. Non sarebbero necessari commenti in proposito, se la Commissione non avesse posto una limitazione che assume importanza anche per l'esame del criterio della «indispensabilità». La Commissione afferma essere evidente l'effetto favorevole del servizio assistenza e garanzia che la Consten s'impegna a prestare nonché dell'obbligo di effettuare anticipatamente ordinazioni per il mercato francese. A tale proposito sarebbe invece irrilevante l'obbligo assunto dalla Consten di fare della pubblicità.

Se con ciò s'intende (come pare ritenere la Consten) che l'effetto favorevole non deriva dal fatto che essa fa la pubblicità sul mercato francese, giacché la pubblicità potrebbe essere fatta con lo stesso risultato dalla Grundig o da agenzie specializzate, la tesi — com'è senz'altro evidente — andrebbe disattesa perché non pertinente. Non è però questo l'atteggiamento della Commissione. In realtà ha rilievo solo la questione del se sia giusto ritenere che nessun particolare miglioramento ai sensi dell'articolo 85 deriverà dal fatto che la Consten sopporta le spese di pubblicità.

Sotto questo profilo il giudizio della Commissione non pare del resto sufficientemente fondato.

A ragione le ricorrenti assumono che avrebbe dovuto essere appurato se la Grundig fosse in grado di provvedere alle spese di pubblicità, questione che naturalmente avrebbe dovuto esser risolta con riguardo, non già soltanto al mercato francese, ma altresì a tutti i mercati esteri della Grundig. Sotto questo aspetto appaiono giustificati dei dubbi. È cioè possibile che, nell'ipotesi contemplata dalla Commissione (vale a dire nel caso che la Grundig sopporti le spese di pubblicità), l'intensità della pubblicità diminuisca, con conseguenti ripercussioni sulle vendite (e quindi sul miglioramento della produzione e della distribuzione). A queste obiezioni non si può opporre semplicemente che la pubblicità in Germania è per intero finanziata dalla Grundig, in quanto il finanziamento della pubblicità da parte della Consten ha evidentemente come parziale contropartita il fatto che non si è tenuto conto delle modifiche tecniche necessarie per gli apparecchi Grundig destinati al mercato francese. Nemmeno è possibile opporre l'argomento (basato unicamente sullo sviluppo delle vendite della Consten) secondo cui la penetrazione nel mercato francese è già cosa fatta, e ciò giustificherebbe l'assunzione delle spese pubblicitarie da parte del produttore. Cifre di vendita globali e isolate non sono a mio parere sufficienti per risolvere in modo adeguato il problema della penetrazione nel mercato. Sarebbe stato invece necessario specificare le singole voci e porle a raffronto con le cifre delle imprese concorrenti. Sarebbero inoltre state opportune indagini dirette a stabilire la fondatezza dell'assunto della Consten secondo cui almeno in alcune zone periferiche la penetrazione nel mercato non poteva ancora considerarsi compiuta. Credo quindi che non occorrano altre considerazioni per far apparire errato il giudizio della Commissione su questo punto, con la conseguenza che l'effetto positivo che la Consten attribuisce alla pubblicità non può essere senz'altro trascurato nell'applicare l'articolo 85, paragrafo 3.

b) Partecipazione ai vantaggi

Il secondo criterio preso in esame dalla Commissione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3 — cioè la questione della congrua partecipazione dei consumatori ai vantaggi ottenuti — non sarebbe soddisfatto poiché fra i prezzi di vendita al pubblico dei prodotti Grundig in Francia e gli stessi in Germania vi sarebbe una differenza tale da superare largamente, pur tenendo conto degli oneri fiscali francesi, gli oneri particolari imposti alla Consten. La Commissione comunque sottolinea di aver preso in esame questo criterio solo in via precauzionale; la decisione negativa sarebbe infatti basata in primo luogo sulla constatazione che il pregiudizio per la concorrenza inerente all'accordo non era indispensabile per ottenere l'auspicato miglioramento. Ciò però non deve impedirci di affrontare già ora il problema della partecipazione ai vantaggi.

Com'è evidente, si tratta di un criterio particolarmente complesso e alquanto indeterminato, giacché una congrua partecipazione ai vantaggi non può essere ravvisata già nel fatto che i consumatori partecipano al miglioramento come tale (nella forma di maggiori possibilità di scelta o di facilitazioni nell'acquisto) ; in tal caso, infatti, il criterio non avrebbe più alcun autonomo significato. Non si dovrà quindi escludere del tutto un esame dei prezzi. Nemmeno ritengo sostenibile la tesi della Consten, secondo cui l'esame dei problemi connessi con l'accordo d'esclusiva potrà essere con profitto effettuato solo al termine del periodo transitorio, in quanto solo allora vi sarà una perfetta parità di condizioni economiche nei vari Stati membri. È certo però che la diversità delle condizioni economiche in atto allo stadio attuale dell'integrazione non consente ancora di parlare di un mercato comune uniforme, caratterizzato da aspetti all'incirca uguali, e quindi un raffronto tra i prezzi praticati in due Stati membri diversi appare straordinariamente problematico.

Mi sembra perciò particolarmente degno di considerazione l'atteggiamento del governo federale su questo punto. Esso ritiene che si debba soltanto appurare se su un determinato mercato, malgrado l'esistenza di un'intesa, sussista una viva concorrenza fra i prodotti di vari fabbricanti. In caso affermativo, sarebbe automaticamente garantita una congrua partecipazione dei consumatori ai vantaggi, poiché questi ultimi dovrebbero semplicemente pagare il prezzo determinatosi sul mercato sotto l'influenza di un'efficace concorrenza. Secondo il trattato, sarebbe questa l'ideale partecipazione dei consumatori ai vantaggi. A questo proposito si dovrebbe inoltre appurare quali stimoli alla concorrenza derivino da un accordo di esclusiva, in quanto da esso può derivare una diminuzione di prezzo di altri prodotti similari e quindi una partecipazione dei consumatori ai vantaggi. La Commissione evidentemente non si è preoccupata di effettuare tali indagini, specie l'ultima (benché abbia sottolineato, a proposito dell'articolo 85, paragrafo 1, che per l'articolo 85, paragrafo 3, si doveva tener conto degli stimoli alla concorrenza derivanti da un accordo). Si potrebbe quindi sostenere che le considerazioni fatte dalla Commissione sul criterio in esame mancano di pertinenza e di fondatezza.

Qualora poi, malgrado le difficoltà suaccennate, si ritenesse necessario un raffronto tra i prezzi, l'atteggiamento assunto dalla Commissione apparirebbe del pari ingiustificato.

Anzitutto è dubbio se sia giusto raffrontare i prezzi di vendita al pubblico o sia meglio contrapporre il margine di utile della Consten con quello medio dei grossisti tedeschi. In proposito è naturalmente indifferente l'atteggiamento assunto dalle ricorrenti nel corso del procedimento amministrativo, mentre hanno grande importanza le necessità oggettive. Confesso che su questo punto non condivido l'opinione della Commissione. Poiché dobbiamo giudicare una limitazione della concorrenza sul piano del commercio all'ingrosso, è opportuno raffrontare i margini normali in questo settore, tanto più che, a detta della ricorrente Consten, essa non ha alcuna influenza sulla determinazione dei prezzi al pubblico, in mancanza di prezzi imposti. Ora, il raffronto tra i margini, in base ai dati forniti dalle ricorrenti e tenuto conto degli oneri gravanti sulla Consten quale importatrice, dà come risultato una percentuale uguale (e non eccessiva) sia per la Francia che per la Germania (42 %). Dunque, seguendo il metodo adottato dalla Commissione, beninteso limitatamente ai margini di utile, non si potrebbe negare nel caso in esame una congrua partecipazione ai vantaggi ovvero (poiché la Commissione contesta l'esattezza dei dati forniti dalle ricorrenti circa detti margini) si dovrebbe almeno ritenere che sotto questo aspetto sono necessarie ulteriori indagini.

Ove per contro si ritenga necessario un raffronto tra i prezzi di vendita al pubblico, la situazione per la Commissione non è molto più favorevole.

Ciò non tanto riguardo alla censura di difetto di motivazione, che si può ritenere senz'altro infondata malgrado i dati della decisione siano soltanto percentuali, quanto rispetto agli elementi materiali necessari per detto raffronto. Mi rendo conto che le parti contrastano su quasi tutti i fattori, siano essi i prezzi forniti dalla Leissner, ovvero i calcoli effettuati dalla Commissione. Sono controverse le cifre relative ai salari, l'incidenza delle spese di finanziamento, pubblicitarie, di garanzia, di magazzinaggio e di trasporto (tutte gravanti sulla Consten) ed inoltre la questione del se e in quale misura, per i prezzi praticati in Germania, si debba tener conto degli sconti che, malgrado le asserzioni in contrario della Grundig, vengono probabilmente concessi dal dettagliante, ad esempio su un determinato tipo di registratore. I dati in mio possesso non mi permettono di risolvere in modo soddisfacente questo complesso di questioni controverse, cosicché si renderebbe necessaria una perizia, ove non fosse possibile — come invece ritengo — trovare una soluzione per altra via.

Pare incontestato che i prezzi di vendita al pubblico degli apparecchi Grundig in Francia sono uguali, indipendentemente dal fatto che essi siano distribuiti dalla Consten o da importatori paralleli. Le importazioni parallele, che la Commissione ha ritenuto necessarie, non determinano quindi una riduzione dei prezzi al pubblico, ma hanno quale effetto un servizio più scadente nei confronti del consumatore, ove risulti esatta l'affermazione della Consten (che dovrebbe eventualmente essere controllata) secondo cui le proprie prestazioni in fatto di assistenza, garanzia, ampio assortimento e approvvigionamento di tutto il mercato francese, hanno grande valore. Si può addirittura pensare che, in caso di ulteriore aumento delle importazioni parallele, quindi di meno intensa e meno pianificata opera di penetrazione nel mercato, il volume delle vendite diminuirebbe, il che non mancherebbe di avere ripercussioni sulla produzione e sui relativi costi.

Ma pur presciendendo da ciò, ritengo fondate due altre censure delle ricorrenti. Esse fanno carico alla Commissione di aver basato il proprio ragionamento circa la partecipazione ai vantaggi, principalmente su indagini relative a un determinato modello di registratore (TK 14), cui corrisponde una percentuale minima (1,9 % nel 1963) della cifra totale di affari della Consten. Le indagini della Commissione si fonderebbero essenzialmente su una nota non molto particolareggiata del Bundeskartellamt (ufficio tedesco per le intese), nonché su un memorandum del Ministero francese dell'economia nel quale si sottolineavano la fretta e la conseguente lacunosità delle notizie fornite. Inoltre, nel corso del procedimento si sarebbe tenuto conto soltanto di alcuni dati forniti dalla Consten circa un diverso modello di registratore (TK 46), una radio a batteria e un radiogrammofono a mobile, dati sui quali non è stata sentita la ricorrente Grundig.

Effettivamente una tale base d'indagini appare troppo limitata. Quindi le ricorrenti hanno giustamente richiesto nel corso del procedimento davanti alla Commissione un'indagine più approfondita, richiamandosi alla situazione di mercato dei televisori e delle radio a batteria, situazione caratterizzata da una vivacissima concorrenza. Il non aver accolto tale richiesta costituisce un errore, del quale la Commissione non può scusarsi affermando che la Grundig stessa ha definito il registratore TK 14 uno strepitoso successo di vendita e che, secondo le informazioni ricevute dal Bundeskartellamt, questo sarebbe il modello più venduto; con ciò essa pone infatti in rilievo la particolarissima situazione di detto apparecchio. La Commissione non può nemmeno richiamarsi alle informazioni fornite dal Ministero francese dell'economia, poiché la frase «il va de soi que les pourcentages dégagés sont valables pour tous les types d'appareils» non permette di concludere che l'apparecchio preso in esame può essere considerato come rappresentativo di tutta la produzione Grundig.

A questa critica giustificata si aggiunge un'altra censura. Appare in effetti strano che la Commissione fondi la sua decisione su dati anteriori di due anni alla decisione stessa. Non si. deve dimenticare che la Commissione, in materia d'intese, deve pronunciarsi anche per il futuro, tentare quindi di formulare un pronostico, e nel far ciò dovrebbe sforzarsi di seguire l'effettivo andamento economico del settore di cui trattasi fino ad una data più prossima, al momento in cui viene adottata la decisione, di quella cui risalgono i dati considerati nella fattispecie. A ciò la Commissione non può opporre che il suo giudizio aveva un'influenza decisiva per la soluzione di due controversie pendenti dinanzi a giudici francesi, nelle quali aveva importanza fondamentale la situazione al momento della presentazione della domanda giudiziale, giacché non è compito principale della Commissione collaborare all'amministrazione della giustizia nazionale. Quanto meno, nel far ciò la Commissione non può trascurare i legittimi interessi di due imprese che hanno stipulato un accordo, il che deve indurla ad attenuare, ove necessario, il rigore dei suoi giudizi.

La censura delle ricorrenti non può nemmeno essere efficacemente controbattuta affermando che la situazione economica generale e la struttura del settore in esame non avrebbero subito mutamenti nel periodo posteriore all'indagine. Sta di fatto che, nell'ambito di una generale tendenza al ribasso, i prezzi Grundig sono costantemente calati, il che avrebbe forse potuto far apparire sotto una luce diversa la questione della congrua partecipazione ai vantaggi (anche dal punto di vista della Commissione) e ciò pure se la Commissione ritiene di poter affermare che ancora nel 1964 — questa volta del resto per il modello TK 46 — sussistevano notevoli differenze rispetto ai prezzi in Germania.

L'assunto della Commissione secondo cui la riduzione dei prezzi non avrebbe alcun rapporto col contratto di esclusiva e con l'attività della Consten, non può essere accolto in forma così assoluta. È perfettamente possibile che la concentrazione dell'offerta in un solo operatore nonché l'intensa attività della Consten, unitamente alle ordinazioni anticipate previste dal contratto di esclusiva, abbiano influito sulla produzione e quindi sui costi della Grundig. In caso di dubbio, la Commissione avrebbe dovuto quanto meno accogliere la richiesta delle ricorrenti mirante ad ottenere un'indagine economica. Essa non poteva rifiutare adducendo che l'andamento dei prezzi doveva essere prevalentemente ascritto all'influenza delle importazioni parallele dell'UNEF, giacché riduzioni di prezzo si erano già avute in Francia prima che l'UNEF iniziasse la propria attività e, quel che più conta, esse riguardano anche apparecchi (televisori) che per le loro caratteristiche tecniche sono venduti solo dalla Consten. A prescindere da ciò, l'influenza dell'UNEF sui prezzi non può essere stata rilevante, come risulta chiaramente dal confronto tra le vendite rispettive. Infine la Commissione non poteva dichiarare irrilevante, in quanto puramente provvisorio, il menzionato andamento dei prezzi e ciò per il motivo che le parti avrebbero avuto l'intenzione di comportarsi correttamente soltanto finché durava il procedimento amministrativo in materia d'intese. Un giudizio del genere dovrebbe potersi fondate su un'esatta valutazione della situazione di mercato. Le norme vigenti in materia permettevano inoltre alla Commissione di tutelarsi efficacemente contro temute eventualità.

Di conseguenza, anche agli effetti del criterio «partecipazione ai vantaggi» si devono rilevare numerosi errori od omissioni, di cui non si può non tener conto nel valutare la decisione impugnata (se pure si giungerà ad esaminare l'applicazione dell'articolo 85, paragrafo 3).

c) Il criterio dell'indispensabilità

La Commissione ha negato l'esenzione a norma dell'articolo 85, paragrafo 3, in primo luogo perché le restrizioni connesse al contratto di esclusiva, e più precisamente la garanzia dell'esclusiva assoluta, non sarebbero indispensabili per ottenere i miglioramenti che potevano scaturire dall'accordo. Esaminiamo più da vicino questo assunto e gli argomenti su cui esso poggia.

Anzitutto — come ha rilevato il governo federale — si deve ritenere che la Commissione ha male impostato il problema, cioè ha interpretato erroneamente il criterio dell'«indispensabilità». Nella motivazione è detto che si deve stabilire se la Consten, anche senza esclusiva assoluta, sarebbe in grado di svolgere un'intensa attività sul mercato francese. Se ne trae l'impressione che la Commissione si sia accontentata di constatare che senza esclusiva assoluta sarebbe stato possibile ottenere almeno alcuni migioramenti nella distribuzione e nella produzione. In opposizione a ciò, bisogna convenire con il governo federale che l'unico aspetto decisivo è se proprio i miglioramenti ottenibili con l'accordo in esame, i quali sono stati riconosciuti utili e degni di tutela, siano realizzabili in ugual modo, nella stessa misura e con la stessa intensità senza la convenzione riguardante la garanzia di esclusiva assoluta. In base al tenore della decisione, si potrebbe quindi far carico alla Commissione di aver erroneamente applicato l'articolo 85, paragrafo 3, il che sarebbe di per sé sufficiente ad inficiare anche questa parte della decisione.

Non intendo però arrestarmi qui; esaminerò invece tutte le considerazioni della Commissione, dalle quali in conclusione deve risultare se la sua valutazione sia esatta.

Quali fattori che possono contribuire a migliorare la distribuzione e la produzione, la Commissione riconosce l'obbligo della Consten di effettuare ordinazioni anticipate, il servizio di garanzia e l'assistenza ai clienti. Si deve quindi accertare se tali fattori possano produrre effetti favorevoli anche senza l'esclusiva assoluta.

aa) Ordinazioni anticipate

Indubbiamente le ordinazioni anticipate, vale a dire gli ordini fermi di determinate quantità con un certo anticipo sulla consegna, sono atti a migliorare la produzione, in quanto rendono possibile una razionale pianificazione e un proficuo impiego dei mezzi di produzione. Esse influiscono quindi favorevolmente sui costi. Che tali ordinazioni, senza esclusiva assoluta, siano possibili nella stessa misura e con la stessa efficacia è una tesi della cui esattezza è lecito, per varie ragioni, dubitare.

Premetto che a questo proposito il raffronto fatto dalla Commissione con la situazione di altri paesi non può essere accolto senza riserve. Per quanto riguarda il mercato tedesco, le ricorrenti contrastano recisamente l'assunto secondo cui ivi le ordinazioni anticipate hanno luogo senza esclusiva assoluta. Secondo loro, nella Repubblica federale solo le filiali della Grundig sono tenute ad effettuare ordinazioni anticipate in senso stretto.

Ad ognuna di dette filiali è assegnata una zona, dalla quale non possono sconfinare. La protezione contro gli interventi esterni è garantita dai divieti di esportazione imposti ai concessionari esteri. Dalla lettera 23 aprile 1964, inviata dalla Grundig alla Commissione, non si può trarre alcun argomento in senso contrario in quanto in essa, a proposito dell'attività commerciale dei grossisti tedeschi, si parla soltanto di ordinazioni correnti nella loro normale accezione commerciale. Non è quindi possibile considerare il richiamo fatto dalla Commissione alla situazione tedesca come un argomento senz'altro decisivo.

Lo stesso può dirsi, a mio avviso, del vago accenno alle esperienze fatte in altri paesi comunitari. Esso non è stato precisato ed inoltre non è stata dimostrata la comparabilità delle situazioni di mercato.

Se, indipendentemente da queste notevoli riserve, ci si chiede quale sarà l'andamento delle ordinazioni anticipate nel caso in cui siano ammesse importazioni parallele (la cui entità può anche superare l'attuale), non nutro alcun dubbio che l'esclusivista si vedrà costretto ad una grande cautela. Le previsioni di mercato, in considerazione della concorrenza dei prodotti similari e delle variazioni delle preferenze del pubblico, sono già per esso molto difficili; lo diventeranno anche di più qualora entrino in scena importatori paralleli, e ciò anche nel caso che fra di essi non vi siano avventurieri pronti a passare da una marca all'altra. Ora, l'incertezza e la cautela nelle ordinazioni influiscono indubbiamente sulla pianificazione della produzione e per conseguenza sui prezzi e sulla distribuzione.

Evidentemente tali svantaggi per i produttori non vengono totalmente compensati dalle ordinazioni di altri grossisti presso i quali si riforniscono gli importatori paralleli; simili relazioni commerciali sono infatti contrassegnate da una certa instabilità, che impedisce al grossista di volta in volta interessato di effettuare ordinazioni costanti. Nemmeno comprendo come l'esclusivista potrebbe essere indotto a mantenere costante il volume delle ordinazioni anticipate mediante uno sconto concesso dal produttore (sconto che appare poco probabile, ove si consideri che non si è tenuto conto delle spese di adattamento degli apparecchi destinati al mercato francese) ; il volume delle ordinazioni anticipate è infatti unicamente funzione della situazione di mercato la quale, anche nell'ipotesi di uno sconto, rimane caratterizzata dall'instabilità derivante dalle importazioni parallele. Analogamente non è possibile minimizzare i rischi delle ordinazioni anticipate asserendo che l'esclusivista, qualora si sia ingannato per una stagione — circa un anno di vendite — può ridurre gli ordini fermi per la stagione successiva, giacché simile ripiego non costituisce la regola; esso può essere reso impossibile dalle migliorie o modifiche apportate ai prodotti, le quali fanno apparire superati i modelli precedenti. Non si può infine pensare seriamente di stornare il pericolo delle importazioni parallele mediante riduzioni di prezzo effettuate dall'esclusivista, giacché i fattori di perturbazione rimarranno, qualunque sia il prezzo della merce. Non è poi chiaro fino a che punto ci si possa spingere con le riduzioni di prezzo, senza pregiudicare altre prestazioni (garanzia e assistenza ai clienti) comprese nei prezzi della Consten, prestazioni le quali — a giudizio della Commissione — sono anch'esse atte a produrre un miglioramento.

Le considerazioni della Commissione relative al problema delle ordinazioni anticipate non mi paiono quindi concludenti o quanto meno mi sembra necessitino, su alcuni punti, di ulteriori chiarimenti.

bb) Il servizio garanzia e assistenza ai clienti

Anche riguardo al servizio garanzia e assistenza, la Commissione ritiene ch'esso si possa svolgere in modo soddisfacente pure ove siano ammesse le importazioni parallele; non ne soffrirebbero cioè il prestigio della marca né le vendite dei relativi prodotti.

Circa il servizio assistenza e garanzia di un importatore parallelo che già svolge la propria attività, in realtà non solo è controverso se il servizio valga quello della Consten (le ricorrenti lo contestano recisamente), ma inoltre dagli scritti provenienti dal Ministero francese si può desumere che detto importatore parallelo, il quale distribuisce anche articoli di altri produttori, non offre le stesse prestazioni quanto ad ampiezza della garanzia, centri di assistenza e servizio ricambi, il che non può non influire negativamente sul buon nome della marca Grundig. Ciò vale a maggior ragione per gli importatori paralleli di minori dimensioni che si occupano di varie marche.

La questione può quindi essere posta solo in questi termini: se, nell'interesse della marca, si possa pretendere che l'esclusivista provveda ad un efficace servizio garanzia e assistenza per gli apparecchi che non sono stati venduti per suo tramite. La Commissione è evidentemente per l'affermativa, a condizione che la Grundig si assuma le spese per il servizio garanzia, mentre l'assistenza remunerata costituirebbe un'ordinaria attività commerciale dalla quale non va escluso alcun apparecchio.

La fondatezza della tesi mi pare dubbia. Anche qui sorge anzitutto la questione del se sia obiettivamente possibile per la Grundig assumersi ulteriori oneri finanziari, non solo nei confronti dei suoi clienti francesi, ma anche nei confronti dei suoi clienti stranieri in genere. Le considerazioni puramente teoriche della Commissione, non fondate su calcoli economici, non possono sostituirsi alla disciplina dei rapporti tra le ricorrenti, che è invece basata su considerazioni di politica produttiva. Altra questione è quella del se la Grundig possa essere tenuta a prestare gratuitamente il servizio garanzia per prodotti venduti tramite canali ch'essa non può affatto controllare e che quindi possono esser stati danneggiati dall'inesperienza di operatori non qualificati.

Quanto infine all'assistenza remunerata, che la Commissione definisce semplicisticamente «ordinaria attività commerciale», sarebbe necessario stabilire non solo se essa esista già nell'intero territorio (quindi anche nelle zone periferiche del mercato francese), ma anche se l'esclusivista, in caso di crescenti importazioni parallele e quindi di riduzione del suo volume di vendite, sarà disposto a continuare l'attività poco rimunerativa di riparare gli apparecchi che non ha venduto.

Anche riguardo all'indispensabilità dell'esclusiva assoluta, sono quindi leciti seri dubbi già a proposito degli aspetti presi in esame dalla Commissione.

A ciò si deve aggiungere che l'esame della Commissione e incompleto.

cc) La pubblicità, lo studio del mercato, l'apertura del mercato

Ho già rilevato che il fatto che la Consten si sia assunta le spese di pubblicità ha probabilmente importanza anche sotto il profilo in esame. Appare infatti indubbio che l'interesse dell'esclusivista ad una pubblicità efficace si smorzerà di fronte alla constatazione che i suoi sforzi favoriscono pure gli importatori paralleli, senza che questi debbano muovere un dito.

Dovremo poi esaminare i problemi dello studio del mercato e della penetrazione nel mercato anche se essi non sono stati sollevati dalle ricorrenti durante il procedimento amministrativo, in quanto si tratta di questioni economiche dalle quali non si può prescindere.

Lo studio del mercato (dal punto di vista tecnico) influisce indubbiamente sull'impostazione della produzione, ed esercita quindi un effetto positivo nel senso dell'articolo 85, paragrafo 3. Rivolgendosi ad uffici specializzati è quasi impossibile ottenere dati altrettanto attendibili (e altrettanto poco costosi) di quelli che può raccogliere l'organizzazione di vendita di un esclusivista. Non è verosimile che la situazione resti la stessa nel caso che siano ammesse importazioni parallele. Un importatore parallelo infatti non è in grado di adempiere questo compito in modo altrettanto soddisfacente, mentre appare dubbio che l'esclusivista vi si applichi con la stessa buona volontà malgrado la diminuzione delle vendite.

Quanto infine alla penetrazione nel mercato, come ho già detto si dovrebbe chiarire anzitutto se essa è già stata raggiunta in tutto il territorio riservato al concessionario. Non bisogna dimenticare che la Consten ha ottenuto un notevole aumento delle vendite solo dopo la liberalizzazione delle importazioni negli anni 1961-1962 e, a quanto risulta dagli atti, la pubblicità più intensiva e più costosa ha avuto inizio dopo questo periodo. Indubbiamente il produttore stesso non può di regola sottrarsi a tale compito ove si tratti di un mercato importante. L'esclusivista quindi acconsentirà ad assumersi le notevoli spese che esso implica solo se prevede di poterne trarre un utile adeguato (concetto espresso chiaramente ad esempio nell'articolo 3, f), del trattato C.E.C.A.). Almeno per un periodo transitorio (e non sempre, come mostra d'intendere la Commissione) sarebbe quindi giustificata un'efficace tutela dell'esclusivista. Il fascicolo non contiene dettagli in merito e mi è quindi impossibile fare altre considerazioni. Non escludo però che la critica della ricorrente sia giustificata anche per quanto riguarda il problema in esame.

d) Conclusione provvisoria

In conclusione, quindi, non è possibile condividere interamente l'atteggiamento della Commissione su alcuno dei criteri dell'articolo 85, paragrafo 3, presi in considerazione nella decisione. Ciò significa che, già sulla scorta dei risultati cui siamo pervenuti sinora, risulta evidente l'invalidità dell'articolo 2 della decisione impugnata.

3. Se la Commissione avrebbe dovuto concedere un'esenzione parziale oppure un'esenzione condizionata

Presupponendo (e tengo a sottolineare che sto facendo un'ipotesi) che si dovesse negare l'esenzione relativamente all'esclusiva assoluta prevista nell'accordo, sorge il problema del se l'esenzione avrebbe invece dovuto essere concessa per la restante parte dell'accordo — beninteso nei limiti in cui la Commissione avesse ritenuto sussistere i presupposti di cui all'articolo 85, paragrafo 1, — sia sotto forma di esenzione parziale, sia sotto forma di esenzione condizionata o subordinata a determinati adempimenti (cfr. l'articolo 8 del regolamento 17-62).

In proposito constato che la decisione non menziona, sotto il profilo dell'articolo 85, paragrafo 3, né l'impegno di ritirare e vendere determinati quantitativi minimi contenuto nel contratto di esclusiva, né il divieto di esportare imposto alla Consten, il che potrebbe giustificare la conclusione che la Commissione non ha avuto nulla da obiettare in merito (almeno per quanto riguarda l'impegno di ritirare e vendere).

a) Difetto di motivazione

In primo luogo, ci dobbiamo chiedere se la decisione non sia inficiata da un vizio di forma, giacché non vi si dice nulla circa l'esenzione parziale. Propenderei per l'affermativa, sia che la Commissione dovesse, sia che semplicemente potesse, a sua discrezione, concedere l'esenzione parziale. Proprio nella seconda ipotesi, vi è interesse a conoscere quali siano state le considerazioni decisive per la Commissione, onde poter controllare se il potere discrezionale sia stato correttamente esercitato.

b) Esame del problema nel merito

È certo molto più importante l'aspetto sostanziale del problema che non il suo aspetto formale.

Quanto al divieto di esportazione imposto alla Consten, la Commissione ha semplicemente dichiarato che non le risultava sussistessero negli altri Stati membri, ai mercati dei quali il divieto è destinato, circostanze tali da giustificare un giudizio diverso sulla situazione francese. L'assunto va certo disatteso, poiché non era lecito alla Commissione presupporre, senza un fondamento statistico positivo, che tutti i mercati europei si trovassero in situazione comparabile.

Così pure dovreste disattendere la tesi secondo cui la Commissione — tenuto conto delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali nazionali e per le quali il suo atteggiamento ha rilevanza — non avrebbe avuto alcun motivo di concedere un'esenzione parziale. Indubbiamente essa doveva tenere conto del fatto che i procedimenti pendenti dinanzi ai giudici nazionali sarebbero stati sospesi in attesa della sua decisione. Ciò avrebbe tuttavia giustificato un'eventuale attenuazione del suo giudizio, non già il sacrificio totale dei legittimi interessi delle imprese partecipanti al contratto d'esclusiva.

Che tali interessi sussistessero lo si deve certo ancora dimostrare. La Commissione rileva in proposito che le interessate, nel procedimento amministrativo, non hanno adeguatamente comprovato di aver interesse alla conservazione parziale del contratto di esclusiva; esse avrebbero per contro insistito sul loro interesse fondamentale al mantenimento di tutti gli elementi dell'accordo, in ispecie dell'esclusiva assoluta.

Questa constatazione non ha però importanza decisiva. In particolare, è irrilevante il fatto che le attuali ricorrenti non abbiano chiesto in subordine l'esenzione parziale. Ci troviamo ancora all'inizio in fatto di diritto delle intese e le formalità procedurali devono essere ulteriormente precisate. Allorché si sarà sufficientemente sviluppata la prassi amministrativa, sussisterà eventualmente il diritto di trarre conclusioni vincolanti dalla mancanza di richieste in subordine. Inoltre la Commissione non poteva trarre conclusioni sfavorevoli alle attuali ricorrenti dal fatto che, nella fase amministrativa, esse si sono richiamate vigorosamente alla necessità dell'esclusiva assoluta, difendendo quindi l'accordo nel suo complesso. Un tale impegno per l'integrale osservazione di un accordo si spiega facilmente col fatto che l'articolo 85, paragrafo 3, prescrive che le restrizioni alla concorrenza devono essere indispensabili per ottenere determinati miglioramenti. Il comportamento delle attuali ricorrenti nel procedimento amministrativo non implicava necessariamente che esse non volessero o non potessero assolutamente mantenere in vita un accordo modificato. Questa presunzione è fra l'altro smentita dall'articolo IX, 2, dell'accordo stesso, nel quale le contraenti si dichiarano risolute a mantenerlo in vigore anche in caso di nullità di talune parti di esso.

Quindi la Commissione non poteva, richiamandosi all'atteggiamento delle attuali ricorrenti, ritenere inutile il prendere in considerazione la possibilità di concedere l'esenzione in forma attenuata.

Se ora, partendo da questo presupposto, cerchiamo di stabilire cosa avrebbe potuto indurre la Commissione a concedere un'esenzione parziale o condizionata, dobbiamo in primo luogo menzionare la necessità di procedere per quanto possibile con cautela e moderazione nel periodo iniziale di formazione e di applicazione del diritto delle intese. Per quanto riguarda il trattato C.E.E., questa necessità appare ancora più urgente in vista della possibilità di esenzione con effetto retroattivo in caso di tempestiva denuncia. Per le cosiddette vecchie intese, l'effetto retroattivo può spingersi anche oltre la data della denuncia. Per contro, in caso di rifiuto dell'esenzione e di presentazione dell'accordo modificato per un nuovo esame, l'effetto retroattivo non può essere così ampio. Nella fattispecie, si aggiunga che si tratta di un accordo di esclusiva, cioè di un tipo d'intesa per il quale il nuovo regolamento 19-65 prevede in generale l'esenzione dall'articolo 85, paragrafo 1, qualora sussistano determinati presupposti. In caso di tempestiva denuncia, può essere concessa anche per esso l'esenzione retroattiva. L'esenzione per gruppi può applicarsi persino agli accordi che non possiedono tutti i requisiti prescritti, purché essi soddisfino, entro un certo termine, le condizioni poste dalla Commissione (cfr. articolo 4, n. 1, del regolamento n. 19-65). Tenuto conto di questa situazione di diritto e di fatto, si deve ritenere ingiusto il rifiuto categorico di concedere un'esenzione particolare per l'accordo di cui trattasi.

La Commissione non può opporre di non aver voluto imporre agli interessati una modifica dell'accordo. Il problema non si pone, almeno in caso di esenzione condizionata, che lascia liberi gli interessati di applicare o meno l'accordo modificato. La Commissione non può nemmeno giustificarsi affermando che gli interessati, nel corso del procedimento amministrativo, avevano potuto chiaramente comprendere che per l'esclusiva assoluta l'esenzione non poteva in alcun caso essere concessa. Le dichiarazioni cui essa fa riferimento provenivano da funzionari e non potevano quindi essere considerate come dichiarazioni della Commissione. Non mi pare ammissibile il passar oltre un complesso di accordi giudicato utile e necessario ed applicato in molti paesi con un semplice richiamo del genere. Come ha rilevato il governo federale, il risultato di questo atteggiamento sarebbe una riduzione dei diritti degli amministrati, giacché a questi rimarrebbe solo l'alternativa fra il seguire i suggerimenti dei servizi della Commissione (e quindi rinunciare al chiarimento della questione del se il contratto in forma immutata ricada sotto l'articolo 85) e l'insistere per ottenere una decisione della Commissione, assumendosi il rischio di un rifiuto per l'intero accordo, anche se soltanto alcune clausole sono in contrasto con le norme vigenti.

A questo proposito la Commissione non può infine richiamarsi ad altre sue prese di posizione di carattere generale (comunicazione relativa ai contratti di esclusiva del 9 novembre 1962; progetto del regolamento 19-65) dalle quali si desume che essa da parecchio tempo considera incompatibili con il trattato gli accordi di esclusiva assoluta nell'ambito di contratti di esclusiva. Si tratta di prese di posizione generali e in parte non vincolanti, sulle quali le singole imprese non potevano promuovere il controllo giurisdizionale. Inoltre non è escluso che la Commissione, nel formare il proprio convincimento in un caso concreto, avrebbe potuto derogare ai suoi orientamenti di principio.

Insisto quindi sul fatto che, anche presupponendo che non sussistesse comunque l'obbligo di concedere un'esenzione parziale o condizionata, il comportamento della Commissione non appare corretto, poiché essa non si è nemmeno chiesta se il contratto di esclusiva in esame potesse essere mantenuto in vita almeno parzialmente.

Questa critica si aggiunge a quelle già formulate nei confronti dell'articolo 2 della decisione e mi conferma nella convinzione che anche questa disposizione debba essere annullata.

III — L'articolo 3 della decisione impugnata

Infine debbo occuparmi, del pari in subordine (cioè per l'ipotesi che il caso in esame ricada sotto l'articolo 85, paragrafo 1), dell'articolo 3 della decisione impugnata, nel quale la Commissione impartisce direttive per il futuro comportamento delle ricorrenti. Esse dovranno cioè astenersi «da qualsiasi misura che possa ostacolare od impedire ad imprese terze di acquistare, a loro scelta, presso grossisti o dettaglianti residenti nella Comunità Economica Europea, i prodotti oggetto del contratto, ai fini della rivendita nella zona stabilita dal contratto».

Anche a questo proposito sia le ricorrenti che le intervenienti hanno formulato critiche sotto vari aspetti.

1.

Esse sollevano anzitutto la questione di quale sia il contenuto della facoltà, attribuita alla Commissione dall'articolo 3 del regolamento 17-62, di far cessare le infrazioni dell'articolo 85 ch'essa abbia constatato. Le ricorrenti partono evidentemente dal presupposto che l'infrazione è costituita dalla stipulazione dell'accordo e quindi la cessazione della stessa consiste nel ristabilimento della libertà d'azione dei contraenti. Questa interpretazione appare però troppo restrittiva, in quanto priverebbe la disposizione in esame di qualsiasi autonomo significato: il ristabilimento della libertà d'azione consegue infatti già alla constatazione dell'infrazione dell'articolo 85, paragrafo 1, la quale implica (a norma dell'articolo 85, paragrafo 2) la nullità assoluta. Che l'articolo 3 del regolamento n. 17 abbia portata più ampia lo dimostra ad esempio il caso delle pratiche concordate, in cui non sussiste alcun vincolo giuridico e non è quindi possibile ristabilire la libertà d'azione. Anche i problemi relativi al diritto di marchio, sollevati nel caso in esame, mettono in luce che la soppressione del vincolo non è sufficiente ai fini delle norme sulle intese.

Si deve quindi ritenere che l'articolo 3 del regolamento n. 17 consente d'ingiungere di astenersi da tutto ciò che possa servire all'esecuzione di un accordo incompatibile con l'articolo 85, poiché in caso contrario il diritto delle intese presenterebbe una lacuna. Analogamente, la disposizione penale dell'articolo 15 del regolamento n. 17 va intesa nel senso che si deve considerare come violazione dell'articolo 85, paragrafo 1, non solo la stipulazione di un accordo, ma anche ogni altra attività svolta, in contrasto con l'ingiunzione della Commissione, allo scopo di dare esecuzione ad un accordo dichiarato illegittimo.

2.

In base a tale interpretazione, ci dobbiamo chiedere se l'ingiunzione contenuta nell'articolo 3 della decisione rispetti i limiti posti dallo scopo cui mirano le norme vigenti. Le ricorrenti sono per la negativa: la Commissione avrebbe ecceduto, in quanto si sarebbe basata esclusivamente sull'effetto e sulle conseguenze di determinati atti e quindi — come un legislatore — avrebbe posto norme applicabili al futuro comportamento individuale sul mercato delle interessate. Se ci si deve astenere da ogni atto che possa impedire, o anche solo ostacolare, l'importazione in Francia da parte di imprese terze, appare fondato il timore che ciò si applichi anche a comportamenti delle interessate che nulla hanno a che vedere con gli scopi perseguiti dagli accordi di cui trattasi. Il governo federale ci ha fornito esempi di comportamenti che potrebbero ricadere nell'ambito dell'ingiunzione (regolamentazione delle vendite al termine dell'accordo; trasferimento delle vendite a filiali o rappresentanti della Grundig; atti esecutivi compiuti per ragioni esclusivamente finanziarie; azioni della Grundig a tutela del marchio Grundig; riduzioni di prezzo onde far cessare le importazioni parallele; trasformazione del sistema distributivo con ammissione esclusiva di commercianti qualificati, ecc.). La Commissione però avrebbe il diritto di impedire tali comportamenti solo in virtù dell'articolo 86, ove sussistesse una posizione di predominio sul mercato.

È innegabile che il tenore del dispositivo della decisione rende possibile un'interpretazione così estensiva. Nemmeno si può contestare che l'articolo 85 non attribuisce alla Commissione poteri di disposizione così ampi relativamente al comportamento individuale delle imprese sul mercato (e la stessa Commissione lo ammette). Essa dichiara espressamente di aver voluto unicamente impedire attività intraprese in base all'accordo in esame e dirette alla sua esecuzione. Così dovrebbe essere intesa la motivazione in cui vengono criticati soltanto l'accordo di esclusiva assoluta e le misure intese a garantirla. Non vi è certo motivo di dubitare dell'esattezza di tali affermazioni e delle intenzioni che esse rivelano. Rimane comunque il fatto che, di fronte al testo tassativo dell'articolo 3 del dispositivo, è malagevole trarre dalla motivazione l'interpretazione che alla Commissione pare così chiara. In ogni caso, le imprese interessate navigano in un tal mare d'incertezze che non si può fare a meno di criticare la formula prescelta. Tenuto conto delle sanzioni comminate dall'articolo 15 del regolamento n. 17-62, applicabili anche in caso di inosservanza delle ingiunzioni della Commissione, non si tratta qui solo di obiezioni che, dopo i chiarimenti dati dalla Commissione, si possano considerare come superate; in vista del principio della certezza del diritto, alla cui osservanza hanno interesse tutti coloro che sono soggetti alle norme sulle intese, mi sento quindi costretto a chiedere l'annullamento, per i motivi di cui sopra, dell'articolo 3 della decisione.

A questo proposito vorrei fare ancora le seguenti considerazioni.

L'articolo 3 della decisione vieta alla Grundig di agire per ottenere l'osservanza dei divieti d'esportazione imposti ai suoi concessionari in altri paesi membri e nei paesi terzi. La ricorrente assume a questo riguardo che non si può pretendere che essa rinunci all'adempimento di convenzioni che non hanno costituito oggetto del procedimento e per le quali la Commissione non ha stabilito che esse costituissero violazione dell'articolo 85 del trattato.

Se la ricorrente su questo punto invocasse soltanto la violazione del suo diritto di essere sentita, la sua tesi non potrebbe essere accolta, in quanto l'esclusiva assoluta, alla quale si riferivano i divieti di esportazione, ha chiaramente costituito oggetto del procedimento e quindi essa è stata sentita in proposito. La sua critica appare per contro non infondata quando essa afferma essere stati violati i diritti sostanziali e il diritto di essere sentiti di altri interessati, in ispecie dei grossisti tedeschi che in pratica sono gli unici che vengano in considerazione. In realtà è inammissibile che la Commissione ometta di esaminare la compatibilità di determinati accordi con l'articolo 85, e cionondimeno ingiunga di astenersi dalla loro esecuzione, intervenendo così nella sostanza degli accordi stessi. Mi pare che un tal modo di procedere implichi almeno la partecipazione al procedimento e l'audizione nel corso dello stesso dei concessionari interessati. A ciò la Commissione non può opporre che la proibizione di dare esecuzione ai divieti di esportazione significa per i concessionari dei paesi membri semplicemente la liberazione da un onere e quindi non costituisce violazione dei loro diritti. Come ho già rilevato ad altro proposito, non bisogna dimenticare che gli accordi relativi al divieto di esportare fanno parte di un complesso sistema di distribuzione e che l'eliminazione di uno degli elementi essenziali di questo può avere conseguenze per l'esistenza giuridica dell'intero complesso di accordi. Poiché la Commissione nel caso in esame non ha proceduto all'audizione degli interessati — circostanza questa che non deve essere presa in esame solo ad istanza di parte, ma può essere rilevata d'ufficio — l'articolo 3 della decisione impugnata è inficiato pure da un notevole vizio di prodecura. A questa critica se ne ricollega un'altra, l'ultima: la Consten lamenta un'illecita discriminazione in quanto, mentre le veniva imposto di non ostacolare le importazioni in Francia di altre imprese, altri concessionari che godevano dello stesso regime di esclusiva assoluta in altri paesi non erano soggetti a tale obbligo e conservavano quindi la possibilità d'impedire alla Consten d'esportare nelle loro rispettive zone. Il principio del libero scambio fra Stati membri sarebbe stato quindi unilateralmente applicato a danno della Consten. In effetti è possibile che i concessionari di altri peasi membri, i cui accordi con la Grundig sono stati notificati ma non ancora esaminati dalla Commissione, impediscano alla Consten — in forza di detti accordi — di vendere in altri Stati membri. Il trattamento separato del contratto di esclusiva Grundig-Consten può quindi avere effetti discriminatori. Ciò dimostra che la Commissione, nell'esaminare un sistema di accordi di esclusiva, non può procedere per gradi, ma deve prendere in considerazione l'intero complesso, almeno per la parte applicabile negli Stati membri della Comunità. Il ritardo che può derivarne dev'essere accettato nell'interesse del principio della parità di trattamento; è inoltre dubbio che esso sia molto rilevante.

Anche l'articolo 3 della decisione impugnata rivela quindi vizi formali e sostanziali, che ne implicano l'annullamento.

C — Conclusioni finali

Le mie conclusioni sono quindi le seguenti: i ricorsi delle società Grundig e Consten avverso la Commissione della Comunità Economica Europea sono ricevibili e fondati. La decisione impugnata dev'essere annullata in ogni sua parte per i motivi sopra esposti, e la pratica va rinviata alla Commissione per un nuovo esame.

Dato che le conclusioni delle ricorrenti sono state in sostanza accolte, le spese da esse sostenute vanno poste a carico della Commissione. Le spese causate alle ricorrenti dall'intervento, a sostegno della Commissione, delle società UNEF e Leissner vanno poste a carico di queste. In base al modo in cui il procedimento si è svolto, appare opportuno ripartire tra la Commissione e dette intervenute le spese sostenute dalle ricorrenti nel rapporto di otto a due.

Le spese sostenute dagli intervenuti governi della Repubblica italiana e della Repubblica federale tedesca vanno, a mio giudizio, poste interamente a carico della Commissione, in quanto non vi è stata una discussione diretta fra detti governi e le società UNEF e Leissner, intervenute a sostegno della Commissione.


( 1 ) Traduzione dal tedesco

( 2 ) B.G.H.Z. 29, 83 e segg

( 3 ) Cfr. Beier in GewerblìcherRechtsschutz und Urheberrecht, 1964, pag. 87

( 4 ) In questo senso: Schapira in Journal du droit international, 1964, pag. 512 e segg

( 5 ) Vedi paragrafo 16 della legge tedesca contro le restrizioni della concorrenza (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen)

( 6 ) Vedi Fikentscher, Die Warenzeichenlizenz, 1963, pagg. 417 e 454

( 7 ) Dalloz, 1961, pag. 525

( 8 ) Se ne veda la dimostrazione nella controreplica della causa 58-64, pag. 32 del testo tedesco

( 9 ) Articolo 37 dell'ordonnance n. 45-1483 del 30 giugno 1945

( 10 ) Legge americana n. 56; regolamento inglese n. 78

( 11 ) Raccolta vol. VIII, pag. 127

( 12 ) Vedi anche Beier in Gewerblicher Rechtsschutz und Urheberrecht, 1964, pag. 87; Schapira in Journal du droit international, 1964, pag. 507