CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE JOSEPH GAND

del 23 OTTOBRE 1969 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

I

1.

Stiamo per celebrare il decennale di questa causa che oppone la Commissione delle Comunità europee, che ha ereditato la controversia dalla Commissione CEE, alla Repubblica italiana. Con legge 10 marzo 1955, poi con legge 5 luglio 1964 n. 639, l'Italia concedeva, a favore di taluni prodotti dell'industria meccanica esportati negli Stati membri e nei paesi terzi, il rimborso forfettario di determinati dazi e di determinate imposte. Dopo inutili e lunghe trattative sulla compatibilità della prassi, per quanto riguardava l'esportazione verso gli Stati membri, con l'articolo 96 del trattato, il 13 ottobre 1964 la Commissione CÉE adiva la Corte a. norma dell'articolo 169.

Con la sentenza 1o dicembre 1965 avete, risolto definitivamente un primo punto, dichiarando che costituiva infrazione del l'articolo 96 il rimborso di determinate imposte che avete elencato, cioè l'imposta di registro, di bollo e di ipoteca, nonché delle tasse sulle licenze e Sulle concessioni, sulle autovetture e sulla pubblicità. I ristorni delle imposte interne sono autorizzati purché non siano superiori alle imposte gravanti direttamente o indirettamente sul prodotto. Ora, secondo detto articolo, questi due termini si riferiscono alle imposte gravanti sul prodotto finito e, rispettivamente, a quelle gravanti sulle materie prime o sui semilavorati impiegati nella fabbricazione, a qualunque stadio della lavorazione. Le imposte e le tasse summenzionate gravano invece direttamente sull'impresa produttrice.

Quanto all'altro punto contestato dalla Commissione, non avete negato alla Repubblica italiana la possibilità di impiegare un metodo forfettario, purché beninteso non si andasse oltre i limiti tassativi dell'articolo 96. Inoltre le avete imposto di dimostrare entro tre mesi «che l'ammontare dei tributi interni che colpiscono effettivamente i prodotti dell'industria meccanica esportati negli altri Stati membri non è superiore all'ammontare di detti tributi», precisando che la fase orale su questo secondo aspetto della questione si sarebbe riaperta ad istanza della parte più diligente.

2.

Invece di tre mesi, sono trascorsi tre anni prima che la Commissione chiedesse la riapertura della discussione orale. Il tempo trascorso dimostra quali difficoltà implicasse la completa esecuzione della vostra sentenza interlocutoria, difficoltà che si rileveranno se si esaminano a fondo le ricerche svolte dalle parti prima di riassumere la causa dinanzi a voi.

L'iniziativa spettava alla Repubblica italiana; i prodotti che fruiscono di ristorni di tal fatto sono 473. L'Italia ne ha scelti 58, esportati negli altri Stati membri e ritenuti particolarmente significativi. Per ciascun prodotto prescelto è stata elaborata una tabella nella quale figura l'incidenza dei dazi doganali e delle imposte e tasse di consumo ai vari stadi, posta a raffronto col ristorno forfettario concesso il 1o gennaio 1966 all'esportazione dello stesso prodotto negli altri Stati membri. In ogni caso è stata assunta come base la contabilità industriale del 1965 (anno della vostra sentenza) dell'impresa più rappresentativa produttrice di prodotti finiti.

A tale scopo sono state specificate tutte le materie che entravano a far parte del prodotto o venivano impiegate e consumate nella sua fabbricazione. Per i prodotti acquistati all'estero si è tenuto conto dei dazi doganali gravanti su di essi e, per i prodotti acquistati all'interno, suddivisi per settori di provenienza (metalli non ferrosi, prodotti chimici, tessili, ecc.), si è tenuto conto dell'incidenza delle imposte di consumo nonché dei dazi doganali che, essendo stati pagati dal fornitore dell'impresa finale, sono stati inclusi nei costi. Si è ricavato così il totale degli oneri gravanti direttamente o indirettamente sul prodotto in questione e il raffronto di tali oneri coi ristorni concessi dimostra, a detta della Repubblica italiana, che i secondi sono sempre stati inferiori.

Pur ammettendo la necessità di limitare l'analisi ad una parte dei prodotti che fruivano del ristorno, la Commissione ha contestato il riferimento all'impresa produttrice di prodotti finiti più rappresentativa, nonché il valore probatorio della documentazione relativa all'incidenza degli oneri fiscali sui materiali dei vari settori d'attività industriale. La Commissione ha suggerito un esame approfondito della situazione economica e fiscale di sette prodotti — cioè due tipi di casalinghi, due tipi di frigoriferi, due tipi di autovetture — e di effettuare nuovamente i calcoli presso imprese da essa indicate. Sulla scorta dei risultati ottenuti, grazie anche alla cooperazione dello Stato italiano, la Commissione ha chiesto ed ottenuto la riapertura della discussione orale.

II

Una prima questione è già stata lungamente discussa tra le parti e deve essere chiarita: l'onere della prova.

Contrariamente a quello che richiedeva la Commissione — e a quello che vi proponevo — la vostra sentenza del 1965 non ha escluso il principio dell'applicazione di aliquote forfettarie, ma vi ha posto limiti così angusti da far apparire illusoria la facoltà di avvalersene. Poiché l'articolo 96 prescrive che l'importo del ristorno sia inferiore o al massimo pari all'importo dei tributi, avete affermato che l'applicazione di un'aliquota forfettaria presuppone che si dimostri la sussistenza dei necessari requisiti. Spetta ora alla Repubblica italiana, che ha scelto in piena libertà il metodo forfettario, dimostrare che mai vengono trasgrediti i limiti imperativi stabiliti dall'articolo 96. L'ultimo vostro considerando aggiunge pure che queste precisazioni vanno fornite, cifre alla mano, per i vari prodotti di cui trattasi. È logico che la Commissione neghi quindi di dover fornire la prova contraria, debba cioè provare che i ristorni sono di entità superiore ai tributi versati. La Commissione sostiene che il suo compito si deve limitare ad un'analisi critica dei documenti prodotti dalla controparte. Ammettiamo pure che un'inchiesta limitata a sette prodotti non sia sufficiente a provare la legittimità del ristorno per tutti gli altri, resta tuttavia il fatto che, dal momento che l'Italia ha fornito le tabelle, la discussione si è necessariamente cristallizzata sui sette prodotti scelti dalla Commissione ed accettati dalla controparte. I prodotti risultano tanto più indicativi in quanto sono stati scelti dopo che la convenuta, fornendo indicazioni su 58 prodotti, si era dichiarata disposta a dare tutti gli altri chiarimenti ed ogni altra informazione eventualmente richiesta dalla controparte.

III

Veniamo ora al nocciolo della questione, cioè alle tabelle fornite dalla Repubblica italiana (58 prodotti) e dalla Commissione (7 prodotti, per uno dei quali è stata fatta una tabella particolareggiata a titolo esemplificativo). Non è il caso — e ritengo non sia compito del giudice — di fare un esame tecnico di ogni tabella; sarà sufficiente analizzarne la struttura, desumerne gli elementi specifici e trarne delle conclusioni.

1.

Anzitutto in ogni tabella, accanto all'incidenza dell'imposta di consumo e di fabbricazione, è riportata quella dei dazi doganali applicati sia ai prodotti acquistati all'estero, sia ai prodotti forniti all'impresa dai fornitori abituali. Si tiene conto dell'onere dei dazi doganali, che generalmente supera la somma delle imposte di consumo, onde valutare la regolarità della restituzione.

In questa sede si discute della compatibilità della legislazione e della prassi italiana con l'articolo 96 del trattato, che prevede soltanto il ristorno delle imposizioni interne e l'unica cosa certa è che i dazi doganali non sono imposizioni interne ai sensi del trattato e non possono venire rimborsati in forza di questo articolo. Ciò non significa che sia vietato il rimborso — anche solo parziale — in forza dell'articolo 10. Ricorderete che la Commissione, nelle sue osservazioni scritte e orali, ha messo in discussione il quantum determinato dalla Repubblica italiana, però non ha formalmente contestato il principio della restituzione, né nel parere motivato, né nel ricorso, mentre le due leggi litigiose lo menzionavano espressamente nel loro titolo.

In sostanza pare che durante le trattative condotte dal 1960, le parti abbiano riconosciuto che il dazio doganale non era contemplato dall'articolo 96, senza però trarne tutte le necessarie conseg enze. La deduzione si fonda su due elementi del fascicolo. In una lettera del 14 aprile 1962 al ministro dell'industria della Repubblica italiana, la Commissione prende atto di un decreto che, traendo spunto da una riduzione conseguente all'applicazione dell'articolo 10 del trattato, aveva forfettariamente ridotto del 35 % l'aliquota del ristorno allora vigente; l'organo comunitario credeva di poter concluderne che la parte di ristorno conservata coincideva con l'importo dei tributi indiretti, la cui regolarità doveva essere controllata «in virtù delle prescrizioni delle disposizioni fiscali del trattato ed in special modo dell'articolo 96». Dal canto suo il governo italiano, in una nota del 4 marzo 1963, riteneva che i ristorni d'indole fiscale e i ristorni di dazi doganali gravanti sui prodotti che facevano parte della composizione dei prodotti esportati andassero valutati alla luce delle disposizioni specifiche del trattato, cioè degli articoli 10 e 96.

Ad ogni modo la questione non è stata sollevata in questa sede e la motivazione della vostra sentenza non fa alcun accenno ai dazi doganali. L'ingiunzione rivolta alla Repubblica italiana si riferiva indubbiamente al ristorno delle imposizioni interne.

Ci troviamo allora di fronte a questo problema: per stabilire se tale ristorno non sia superiore al complesso delle imposte effettivamente riscosse, condizione necessaria affinché l'applicazione di un'aliquota forfettaria sia legittima sotto il profilo dell'articolo 96, è lecito annoverare i dazi doganali tra le imposte di cui si può tener conto? Anche se questo punto non è mai stato posto sul tappeto, ritengo che la risposta debba essere negativa, visto l'o ientamento della vostra sentenza del 1965. Infatti, includere questi tributi tra le basi di calcolo dell'equivalenza tra imposizione e ristorno, ed affermare che la prassi è con o a all'articolo 96, mentre l'articolo contempla solo il ristorno delle imposte interne, significa fraintendere appieno il tenore dell'articolo.

Ripeto che non è escluso automaticamente ogni ristorno dei dazi doganali; comunque il ristorno non è consentito a norma dell'articolo 96, contrariamente a quanto ritiene la Repubblica italiana, la quale commette l'errore di ricorrere ad un solo articolo e ad un forfait globale per rimborsare oneri di varia natura. Tale prassi, comprensibile sul piano nazionale, non è più ammissibile perché contrasta col trattato.

Se accogliete la mia tesi, nell'esaminare le 7 schede dei prodotti presi in esame terrete conto, per il rimborso forfettario, solo delle imposte interne ai sensi dell'articolo 96. Mi sia consentito di sorvolare sui particolari dei calcoli ed esaminare immediatamente il risultato ed anche, per venire incontro ai desideri del governo italiano, di tacere le marche dei prodotti presi in esame. Le conclusioni sono molto semplici: la Commissione ha criticato più o meno vivacemente taluni elementi dei tributi interni riportati sulle schede; anche trascurando tali critiche, se si ammette che si tenga conto dell'importo totale delle imposizioni interne, il risultato è il seguente: l'aliquota del rimborso forfettario (X lire per Kg) resta inferiore alla somma dei tributi interni gravanti sui due tipi di autovetture (cioè 9 lire al Kg contro 12,03 e 10,22) ; è invece superiore per i frigoriferi (ristorno di 9 lire al Kg contro 5,40 e 5,75) ; è anche superiore per i casalinghi (44 lire al Kg contro 24,57 e 26,36 di tributi interni rimborsabili). La conclusione mi pare si debba trarre dalla vostra sentenza del 1o dicembre 1965 : la Repubblica italiana non ha prodotto la prova che le incombeva, cioè che il metodo forfettario da essa prescelto resta comunque nei limiti imperativi dell'articolo 96, quindi l'impiego di tale metodo costituisce un'infrazione.

Per tale infrazione vi possono essere delle attenuanti e il vostro rilievo non sacrà certo quello che pone fine alla discussione. L'agente della convenuta aveva i suoi motivi per affermare in udienza che l'articolo 96 non stabilisce alcun sistema per il calcolo dei ristorni e che la Commissione, la quale nega alla Repubblica italiana il diritto di ricorrere ad un sistema forfettario, non ha fatto alcunché per stabilire il sistema da adottare: né regolamenti né direttive (ad esempio come quella proposta al Consiglio, in forza dell'articolo 112, per i ristorni concessi dalla stessa legge all'esportazione verso paesi terzi). Spetterà alle parti riunirsi per trarre le conseguenze dalla vostra sentenza ed accordarsi su un metodo che concili esigenze dell'articolo 96 e necessità pratiche.

2.

La soluzione testè tratteggiata è la logica conseguenza della sentenza 1o dicembre 1965, ma non mi nascondc ch'essa presta il fianco alla critica in quanto fonda la constatazione di un'infrazione su un elemento che non è stato chiaramente sottolineato né nel parere motivato, né nel ricorso giurisdizionale. La Commissione contesta il principio dell'applicazione del metodo forfettario e desidererebbe che non si tenesse conto di alcune tasse, ma sorvola sui dazi doganali la cui posizione a questo proposito le era ben nota e in merito ai quali essa non ha mai diffidato la Repubblica italiana. Per contro, quando la sentenza del 1965 ha costretto le parti ad effettuare calcoli, essa, nell'esaminare taluni dati forniti dalla controparte, ha criticato alcuni elementi dei dazi doganali da questa presi in considerazione, alla stessa stregua degli elementi delle imposizioni interne.

Se ritenete di non poter rilevare un infrazione fondandovi su un punto che non è stato discusso tra le parti, a questo stadio del procedimento non vi resta che ammettere almeno implicitamente, con la ricorrente, il principio che i dazi doganali vanno presi in considerazione, salvo stabilire l'importo massimo di cui si può tener conto. La soluzione mi pare goffa sul piano dei principi, ma più vicina a quanto è stato sostenuto per iscritto e oralmente. Da questo punto di vista ricorderò brevemente le critiche della Commissione e le conclusioni che se ne possono trarre. — Le critiche (voce 111) vertono anzitutto sull'integrale inclusione, nel calcolo dei ristorni, del complesso dei dazi doganali versati all'importazione, da paesi terzi, dei semilavorati e delle materie prime impiegate per la fabbricazione dei prodotti esportati. Ora, secondo la disciplina istituita a norma dell'articolo 10 del trattato circa il «traffico di perfezionamento», il rimborso di tali dazi è ammesso solo se non supera la differenza tra l'importo dell'imposta e quello del prelievo di conguaglio. Nel 1966, anno in cui potevano venire esportati i prodotti fabbricati nell'esercizio 1965, il prelievo era pari al 75 % delle aliquote della tariffa doganale comune; gli importi di cui alla voce 111 delle tabelle vanno quindi ridotti, per quanto riguarda tutte le importazioni da paesi terzi, della quota eccedente tale differenza.

Prendendo come esempio il prodotto esaminato più a fondo nella sua memoria del 28 maggio 1969 — e che non indicherò in modo più preciso — la Commissione ha effettuato le modifiche che ha ritenuto necessarie, aggiungendo che l'elemento più importante tra i materiali acquistati all'estero (voce 111) si riferisce a prodotti importati in regime di temporanea importazione e poi incorporati nel prodotto esportato. In questo caso va escluso qualsiasi rimborso.

Nonostante le obiezioni della convenuta, questa critica mi pare nel complesso fondata: non è sufficiente affermare che i ristorni sono molto inferiori all'incidenza dei dazi e che quindi il prelievo di conguaglio è assorbito dalla differenza; resta il fatto che il rimborso indicato nelle tabelle corrisponde agli interi dazi doganali.

Aggiungerò che dal 1o luglio 1968 tutta la voce 111 non ha più ragion d'essere, giacché non vi sono più dazi doganali negli scambi intercomunitari e il prelievo di conguaglio è ora uguale al dazio doganale per le importazioni da paesi terzi. Questa situazione è posteriore a quella esaminata in contraddittorio dalle parti; sembra però che il meccanismo dei risto.ni sia rimasto immutato.

Altra critica vertente sui dazi doganali (voce 112) : gli importi di cui a questa voce si riferiscono a beni strumentali durevoli, come macchinari per la fabbricazione dei prodotti o beni ausiliari.

A me, e alla Commissione, pare che tali tributi non siano rimborsabili poiché non gravano sul prodotto finito, né sulle materie prime o sui semilavorati impiegati nella fabbricazione dei prodotti.

Non mi dilungherò sulle critiche mosse alla presa in considerazione delle imposte pagate dai fornitori delle imprese che producono prodotti finiti (voci 121 - 128), né sulla presa in considerazione delle imposte di fabbricazione e di consumo versate allo Stato dalle imprese che producono prodotti finiti (voce 129). Più che di critiche, si tratta di riserve di principio miranti a sottolineare che tali elementi non sono controllabili presso l'impresa produttrice di prodotti finiti e che la loro incidenza può variare a seconda degli usi cui i materiali vengono destinati.

Pur tenendo conto soltanto delle riduzioni dei dazi doganali operate dalla Commissione — che ritengo giustificate — mi pare che, nel caso del prodotto esaminato nei particolari, l'incidenza fiscale rimborsabile e adeguatamente documentata è inferiore alle 9 lire per Kg concesse dal governo italiano.

Il prodotto è uno solo, ma è quello studiato a fondo. D'altro canto, e soprattutto, vorrei concludere ricordando, come si è fatto in udienza, la singolarità di un sistema nel quale imposte, la cui incidenza varia da 16 a 50 almeno secondo i prodotti, sono tutte rimborsate in ragione di 4 lire il Kg. I motivi di politica economica o fiscale non spiegano tutto. Anche sotto il secondo aspetto da me esaminato, non esiterei a proporvi di statuire che la convenuta non ha fornito la prova che le incombe e quindi l'infrazione sussiste. Tuttavia propongo che il rilievo venga fatto sulla scorta dei motivi che ho esposto in precedenza.

Si deve riconoscere — e con ciò termino — che questo procedimento è piuttosto deludente: iniziato circa dieci anni fa sul piano amministrativo, oggetto di una sentenza nel 1965, ha richiesto ancora quattro anni di laboriosi studi per arrivare ad una soluzione che non porrà certo termine ad ogni discussione. Trovo deplorevole questo stato di cose e concludo proponendovi di statuire che, istituendo un sistema di ristorni a forfait per il rimborso delle imposte interne di cui all'articolo 96 del trattato, la Repubblica italiana è venuta meno ad uno degli obblighi impostile dal trattato e che le spese vanno poste a suo carico.


( 1 ) Traduzione dal francese.