Conclusioni dell'avvocato generale
KARL ROEMER
13 ottobre 1964
Traduzione dal tedesco
SOMMARIO
|
Introduzione (antefatti, conclusioni delle parti) |
|
|
Valutazione giuridica |
|
|
I — Sulla ricevibilità dei ricorsi |
|
|
1. Il significato delle risposte dei convenuti al parere della Commissione |
|
|
2. Se l'imminente instaurazione dell'organizzazione comune per il mercato lattiero-caseario determini una mancanza d'interesse a ricorrere |
|
|
3. L'influenza della mancata attuazione della risoluzione adottata dal Consiglio il 4 aprile 1962 sulla ricevibilità dei ricorsi |
|
|
II — Nel merito |
|
|
1. Sul concetto di organizzazione di mercato e sulla sua applicazione alle caratteristiche del mercato lattiero-caseario belga e lussemburghese |
|
|
2. Se gli Stati membri siano liberi di modificare le modalità di applicazione di una organizzazione di mercato |
|
|
3. Altri tentativi di giustificare i provvedimenti impugnati |
|
|
III — Riassunto e conclusioni |
Signor Presidente, signori giudici,
La Commissione della C.E.E., attraverso un procedimento promosso a norma dell'articolo 169 del Trattato, chiede alla Corte di Giustizia di dichiarare che il Regno del Belgio e il Granducato del Lussemburgo, hanno violato un obbligo imposto loro dal Trattato, e precisamente l'obbligo di «standstill», di cui all'articolo 12. La violazione sarebbe avvenuta con l'istituzione di una nuova tassa speciale da riscuotersi all'atto del rilascio delle licenze di importazione per determinati prodotti lattiero-caseari (latte in polvere, latte concentrato e alcuni tipi di formaggio) provenienti dagli altri Stati membri, dal momento che, all'entrata in vigore del Trattato, tali tasse speciali non esistevano e l'importazione di quelle merci era stata liberalizzata.
Nell'esposizione dei fatti posso omettere di illustrare minutamente i provvedimenti legislativi impugnati. Basterà ricordare quanto segue: essi traggono origine da un regio decreto del 3 novembre 1958 e da un decreto granducale del 17 novembre 1958, che istituivano le tasse in questione e ne fissavano l'importo massimo. Nei decreti ministeriali di esecuzione fu stabilito l'importo da applicarsi effettivamente. Negli anni successivi la disciplina della materia subí delle modifiche, ma procedette cronologicamente e riguardo al suo contenuto in modo sostanzialmente parallelo per il Belgio e per il Lussemburgo, poiché entrambi gli Stati, nell'ambito dell'unione economica belgo-lussemburghese e in applicazione della Convenzione del 23 maggio 1935 sull'instaurazione di un regime comune per la disciplina delle importazioni, delle esportazioni e del traffico di transito, perseguono, attraverso organizzazioni di mercato di analoga struttura, un'eguale politica per i prodotti in questione.
Come previsto dall'articolo 169 del Trattato, la Commissione, con lettere dell'8 novembre 1961, fece conoscere al Governo belga e a quello lussemburghese, il suo parere sui provvedimenti in esame, e chiese le venissero sottoposte le relative osservazioni. Queste furono presentate, il 9 febbraio 1962 dal Governo belga, e il 20 febbraio 1962 dal Governo lussemburghese. Ulteriori dichiarazioni sul punto controverso sono contenute in una nota del Governo belga alla Commissione, in data 17 ottobre 1962. Successivamente vi furono ancora dei contatti tra i funzionari ' della Commissione e quelli dei due governi, al fine di regolarizzare la situazione controversa, eventualmente — come dichiarò la Commissione — in vista dell'applicazione di una clausola di salvaguardia del Trattato.
Una soluzione, tuttavia, non fu trovata, cosicché la Commissione si vide costretta ad emanare — a norma dell'articolo 169 — un parere formale in data 3 aprile 1963, parere che fu notificato ai due governi con lettere del 10 aprile 1963. Il Governo belga rispose con una lettera dell'8 maggio 1963, nella quale si dichiarava pronto ad abrogare le tasse contestate non appena si fosse raggiunto un accordo con la Commissione per una soddisfacente soluzione alternativa. Il Governo lussemburghese si associò all'atteggiamento di quello belga con lettera del 9 maggio 1963.
Poiché le tasse di importazione rimasero in vigore in forma immutata, la Commissione, il 15 ottobre 1963, introdusse i ricorsi davanti alla Corte di Giustizia. Le sue conclusioni corrispondono a quelle del parere del 3 aprile 1963.
Entrambi gli Stati convenuti ritengono i ricorsi irricevibili e in ogni caso infondati e ne chiedono, quindi il rigetto.
Il Governo lussemburghese nel corso del procedimento si è sostanzialmente limitato a far proprie le dichiarazioni di quello belga.
Stante l'identità delle fattispecie, la Corte di Giustizia, a norma del regolamento di procedura, dispose la riunione delle due cause ai fini del procedimento e della sentenza (ordinanza del 28 novembre 1963).
Pertanto anche le mie odierne conclusioni valgono in egual misura per entrambi i casi, salvo che qualche diversità non sia espressamente indicata.
Valutazione giuridica
I — SULLA RICEVIBILITÀ DEI RICORSI
In corrispondenza alle argomentazioni dei convenuti, l'esame della materia del contendere deve iniziare con alcune osservazioni relative alla ricevibilità dei ricorsi. Quest'ultima, infatti, viene posta in dubbio, o addirittura contestata sotto diversi profili.
|
1. |
Dalle memorie presentate in corso di causa ricaviamo anzitutto che gli Stati membri convenuti, nelle loro risposte al parere della Commissione, si sono dichiarati pronti a revocare i provvedimenti contestati non appena si fosse riusciti ad elaborare, d'accordo con la Commissione, delle soluzioni alternative al regime esistente. È però evidente che simili dichiarazioni non possono da sole escludere il diritto di ricorrere. A questo proposito mi richiamo alla sentenza pronunciata dalla Corte nella causa 7/61. In quella sede fu stabilito che il comportamento di uno Stato membro produce conseguenze giuridiche in relazione all'ammissibilità di un procedimento giudiziale, solo se detto Stato abbia iniziato dei passi diretti ad eliminare la situazione lamentata dalla Commissione; e che una richiesta di applicazione delle clausole di salvaguardia previste dal Trattato non ha tale effetto. Nel caso di specie, simile richiesta, in forma sufficientemente concreta e motivata, non esisteva neppure, e, pertanto, la Commissione, nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 169, ben a ragione non si accontentò della dichiarazione sopra ricordata. La ricevibilità dei suoi ricorsi non può quindi essere contestata per tale motivo. |
|
2. |
I convenuti invocano, inoltre, il fatto che, al momento della presentazione dei ricorsi, alle parti in causa era noto che entro un periodo di tempo determinabile, in seguito a una proposta della stessa ricorrente, ci si doveva attendere l'instaurazione di un'organizzazione comune per il mercato dei prodotti lattierocaseari, organizzazione che doveva corrispondere sostanzialmente a quella nazionale belga e lussemburghese qui criticata. Non sarebbe quindi esistito un interesse della ricorrente a sollevare la controversia giudiziaria. E ciò anche perché si doveva in ogni caso riconoscere che tale controversia non si sarebbe conclusa prima della instaurazione dell'organizzazione comune per il mercato dei prodotti lattiero-caseari. A norma del Trattato si può anzitutto ribattere a questa obiezione che rilevanti sono soltanto i fatti accaduti prima che scada il termine fissato dalla Commissione. Allo scadere di tale termine (10 maggio 1963) la Comunità era assai lungi dall'aver stabilito un'organizzazione comune per il mercato dei prodotti lattiero-caseari. Questa venne instaurata dal Consiglio dei Ministri soltanto il 5 febbraio 1964. Del resto, per quanto riguarda l'ammissibilità di un procedimento giudiziale, si può certo sostenere che essa sussiste solo se, al momento dell'emanazione della sentenza, vi sia ancora, per il ricorrente, un interesse degno di tutela. Ritengo, tuttavia, che anche l'instaurazione, anteriore alla fine del processo, di un'organizzazione comune per il mercato dei prodotti lattiero-caseari, non diminuisca l'interesse della Commissione a ottenere la pronuncia richiesta. Da un lato, infatti, i convenuti non sembrano pensare a una abrogazione con effetto retroattivo dei provvedimenti impugnati e, dall'altro, non si può negare che in questo processo si trovino in discussione problemi di fondamentale importanza, al cui chiarimento la Commissione è incontestabilmente interessata in quanto, in mancanza di organizzazioni generali dei mercati agricoli, è prevedibile che possano ripresentarsi delle fattispecie analoghe. Neanche la seconda obiezione è quindi idonea a dimostrare l'irricevibilità dei ricorsi. |
|
3. |
Infine i convenuti si richiamano alla risoluzione del Consiglio del 4 aprile 1962 (Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 1962), in cui fu accertata la necessità di istituire, entro il 31 luglio 1962, a norma dell'articolo 43 del Trattato, un'organizzazione comune per il mercato dei prodotti lattiero-caseari con un sistema di tasse compensative, e di farla entrare in vigore al più tardi entro il 1o novembre 1962. Secondo l'opinione dei convenuti, non vi sarebbe stato nessun motivo per la Commissione di introdurre un procedimento giudiziario qualora fosse stata attuata la risoluzione del Consiglio, perché, assai prima dell'emanazione del parere di cui all'articolo 169, l'organizzazione comune di mercato sarebbe subentrata alla disciplina belga e lussemburghese. Dobbiamo invero constatare che la risoluzione del Consiglio non fu attuata nel termine fissato, e dobbiamo ammettere che questo fatto potrebbe costitoire inosservanza di un obbligo nascente dal Trattato. Tuttavia, mi sembra errato dedurre da ciò l'irricevibilità dei ricorsi, attraverso un richiamo al principio del «tu quoque» riconosciuto dal diritto internazionale e da quello civile. Da un lato, infatti, l'eccezione dei convenuti trova il suo fondamento logico nel presupposto che effettivamente i provvedimenti belga e lussemburghese sarebbero divenuti inoperanti con la tempestiva attuazione della risoluzione del Consiglio. Questo però, per lo meno se ci riportiamo al momento della presentazione dei ricorsi, è un assunto meramente ipotetico e, come tale, non sufficientemente sicuro in considerazione del tenore letterale della decisione del Consiglio, cosi indeterminato e generico per quanto riguarda le particolarità dell'organizzazione di mercato. D'altro lato, si deve sottolineare che la pretesa violazione del Trattato, compiuta dalla ricorrente, risale a molto tempo prima della risoluzione del Consiglio, Pertanto, anche se l'inosservanza dell'obbligo di quest'ultima potesse essere considerata quale causa del persistere della violazione del Trattato da parte dei convenuti, la Commissione avrebbe interesse a far accertare le violazioni del Trattato risalenti al passato, in quanto non sono ravvisabili indizi dell'intento di abrogare retroattivamente i provvedimenti in questione, cosi come l'articolo 169 consente eventualmente di esigere. In realtà, l'eccezione dei convenuti non riguarda sostanzialmente la ricevibilità, bensì la fondatezza dei ricorsi. A mio parere, in base a tutte le loro argomentazioni, si può al massimo porre il problema se una eventuale formale violazione del Trattato, che nel caso in esame rappresenterebbe una fattispecie puramente oggettiva, possa essere giustificata da circostanze da individuare nel comportamento del Consiglio o nella necessità di ovviare alle conseguenze del ritardo di quest'ultimo. Simili problemi devono, però, essere riservati alla trattazione del merito. Ne consegue che non sussistono validi argomenti contro la ricevibilità dei ricorsi. |
II — NEL MERITO
Per quanto riguarda il merito, cioè l'oggetto sostanziale del processo, è fuori discussione che l'introduzione della tassa speciale belga e lussemburghese abbia l'effetto di cui parla l'articolo 12;
lo ha dimostrato in maniera irrefutabile la Commissione attraverso
il richiamo ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte (cause 2 e 3/62).
È, invece, controverso se l'articolo 12 trovi in genere applicazione o, in altre parole, se l'effetto indicato come inammissibile da quell'articolo sia invece ammissibile nel campo dell'economia agricola.
Se ho bene inteso, la discussione orale ha portato a una ulteriore delimitazione della materia controversa. Dalle deduzioni scritte dei convenuti si ricaverebbe infatti l'impressione che essi, fondandosi sull'articolo 38 comma 4, ritenessero inammissibile, in linea di principio, l'applicazione delle norme generali del Trattato all'agricoltura finché non fosse stata stabilita una politica agricola comune. Questa tesi, a mio avviso, non può essere ritenuta valida, tenuto conto dell'articolo 38 comma 2 e della prassi effettiva degli Stati membri. Tuttavia non è necessario che io mi addentri ulteriormente nella questione perché, nella discussione orale, i convenuti hanno in ogni caso chiarito che essi non considerano necessaria una «assoluta» sincronizzazione dell'applicazione dell'articolo 38 comma 4 (instaurazione di una politica agricola comune) e dell'applicazione delle norme generali del Trattato.
Essi, anzi, vogliono solo affermare che, sussistendo una organizzazione del mercato agricolo, le norme generali del Trattato, compresa quella sullo «standstill», dovrebbero perdere la loro efficacia.
Pertanto, allo stato degli atti restano da trattare solo i seguenti problemi :
|
— |
Che cosa intende il Trattato per organizzazione di mercato? |
|
— |
Al momento dell'entrata in vigore del Trattato esistevano nel Belgio e nel Lussemburgo delle organizzazioni di mercato relative a prodotti per i quali era prevista l'introduzione della tassa speciale? |
|
— |
Supposta l'esistenza di un'organizzazione di mercato, gli Stati membri sono liberi di modificarne le possibilità di applicazione, in relazione alle necessità economiche, o vale anche in questo caso il principio dello «standstill»? |
1. Sul concetto di organizzazione di mercato e sulla sua applicazione alle caratteristiche del mercato lattiero-caseario belga e lussemburghese
Per quanto riguarda l'interpretazione del concetto di organizzazione di mercato, le tesi delle parti sono ovviamente molto diverse. La Commissione ritiene esatta questa definizione :
«Una organizzazione di mercato è costituita da un insieme di norme relative allo smercio di un determinato prodotto in uno Stato membro, norme dirette ad assicurare ai produttori interessati la piena occupazione e un tenore di vita conveniente. Tale presupposto sussiste solo se lo smercio della produzione nazionale e la stabilità del livello dei prezzi sono protetti e garantiti non soltanto contro gli effetti delle importazioni, ma anche contro le conseguenze derivanti dalle oscillazioni della domanda e della produzione nazionale.»
I convenuti, invece, si orientano sostanzialmente verso una definizione del tipo di quella indicata nel Rapporto Spaak, relativo alla preparazione del Trattato C.E.E., ove si parla di organizzazione di mercato come contrapposto alla libera concorrenza.
In verità, non è facile precisare il concetto di organizzazione di mercato valido per il Trattato C.E.E., poiché in quest'ultimo manca una univoca definizione ed è inoltre sicuro che i suoi autori, quando concepirono le norme relative alle organizzazioni dei mercati agricoli, avevano in mente una molteplicità di istituti nazionali.
Una cosa mi sembra certa a priori: argomenti relativi a questo problema, i quali non poggino direttamente sul Trattato, non possono avere alcun peso decisivo nella discussione. Ciò vale in particolare per il richiamo fatto dai convenuti ai rapporti O.E.C.E. che, per avere rilievo, presupporrebbero la dimostrazione che in quella sede vale un concetto analogo di organizzazione di mercato. Lo stesso si deve dire in relazione al Rapporto Spaak, nei lavori preparatori al Trattato, il quale in effetti non contiene niente più di un primo vago progetto. Ciò vale, infine, per il richiamo alle precedenti dichiarazioni della Commissione concernenti l'organizzazione belga e lussemburghese del mercato lattiero-caseario (dichiarazioni contenute in diverse relazioni generali, in una lettera del Presidente della Commissione e nella motivazione di una decisione della Commissione relativa all'introduzione di una tassa compensativa a favore della Repubblica federale di Germania), poiché la Corte di Giustizia è tenuta ad un esame obiettivo; essa cioè si deve basare direttamente sul Trattato e non già su una interpretazione che ad esso la Commissione può aver dato una volta.
Per quanto riguarda l'ultimo punto mi sembra, inoltre, che, da quanto la Commissione ha dichiarato in corso di causa, non risulti dimostrata una sua condotta contraddittoria. Anzitutto la ricordata decisione, relativa all'introduzione di una tassa compensativa, non può giustificare la censura dei convenuti, poiché l'applicazione dell'articolo 46 all'importazione di determinati prodotti (in questo caso, latte in polvere intero) non significa necessariamente il riconoscimento dell'esistenza, nello Stato esportatore, di un'organizzazione di mercato per tali prodotti. Per l'articolo 46 è anzi sufficiente che nello Stato esportatore esista un'organizzazione di mercato per i prodotti dello stesso tipo (com'è nel caso del latte) o una disciplina di eguale effetto per il prodotto esportato (il che si deve parimenti ammettere in relazione al sistema di sovvenzioni adottato dal Belgio e dal Lussemburgo per il latte in polvere).
Se si cerca di ricavare dal Trattato una definizione di organizzazione di mercato, necessariamente ci si imbatte, come giustamente ha osservato la Commissione, negli articoli 43 e 45. Nell'articolo 43, per quanto riguarda la sostituzione delle organizzazioni nazionali di mercato con un'organizzazione comune, è stabilito che quest'ultima debba offrire agli Stati membri, che si sono pronunciati contro la sostituzione e possiedono una propria organizzazione di mercato, garanzie equivalenti per la occupazione e il tenore di vita dei produttori interessati alla produzione di cui trattasi. Nell'articolo 45 è stabilito che, in attesa della sostituzione delle singole organizzazioni nazionali di mercato con una forma di organizzazione comune, relativamente ai prodotti per i quali esistono in taluni Stati membri norme dirette a garantire ai produttori lo smercio della loro produzione, lo sviluppo degli scambi sia perseguito mediante la conclusione di contratti a lungo termine.
Da queste norme si deve dedurre che, secondo il Trattato, per il concetto di organizzazione di mercato è essenziale il requisito della garanzia per l'occupazione e il tenore di vita dei produttori interessati, dal momento che l'organizzazione comune deve rispondere a tale requisito per potersi sostituire a quelle nazionali. Deve inoltre sussistere una garanzia per lo smercio, ai sensi dell'articolo 45, poiché una disciplina economica diretta ad assicurare l'occupazione e il tenore di vita dei produttori raggiunge, in generale, lo scopo auspicato attraverso provvedimenti diretti ad assicurare la vendita dei prodotti in questione a determinati prezzi.
Contro queste argomentazioni, a mio parere, non sussistono validi argomenti.
In particolare non si può ricavare dall'articolo 40 che ciascuna delle misure indicate nel 3o comma sia da sola sufficiente per affermare l'esistenza di un'organizzazione di mercato. L'articolo 40 tratta in generale dell'organizzazione comune dei mercati agricoli, la quale — cosi dice il 2o comma — può consistere non soltanto nel coordinamento delle diverse organizzazioni nazionali di mercato, ma anche nella determinazione di regole comuni in materia di concorrenza. La forma menzionata per ultimo non merita però la qualifica di organizzazione di mercato, perché essa non tiene conto evidentemente degli influssi del mercato mondiale. Condivido l'opinione della Commissione secondo la quale una organizzazione di mercato, che voglia offrire ai produttori una garanzia efficace, non è concepibile senza provvedimenti di tutela verso l'esterno. Non intendo neppure sostenere che simile concetto di organizzazione di mercato si riferisce soltanto alla situazione dei paesi caratterizzati da sovrapproduzione. Nemmeno paesi con produzione adeguata o insufficiente, in rapporto alla domanda, possono offrire un'efficace tutela ai propri produttori solo attraverso un calmiere dei prezzi, poiché lo smercio non dipende solo dal prezzo, ma anche dalla qualità di una merce.
In conformità a questi criteri si deve concludere che, al momento dell'entrata in vigore del Trattato, non esisteva nel Belgio e nel Lussemburgo una organizzazione di mercato, per i prodotti lattiero-caseari in questione. Legislativamente erano previste semplicemente delle sovvenzioni per i produttori interessati, sovvenzioni che non sono caratterizzate da quell'effetto di garanzia di cui agli articoli 43 e 45 del Trattato.
Con ciò l'esame della fattispecie non è però terminato.
In particolare i convenuti affermano che non è possibile fermarsi soltanto sul ricordato sistema di sovvenzioni e che anzi si dovrebbe riconoscere che il regime belga e lussemburghese, relativo ai prodotti derivati dal latte, consente in linea di principio l'adozione di provvedimenti supplementari diretti a limitare le importazioni. A questo proposito essi si richiamano all'istituzione nel 1950 di determinate tasse sulle importazioni (testualmente nella memoria francese : «…, car dans ce cas l'établissement momentané de cette taxe à l'importation variable par nature atteste que l'organisation de marché existant au 1er janvier 1958 comportait le principe de pareille taxe, même si celle-ci n'avait à cette date qu'une existence virtuelle»). Inoltre, sostengono i convenuti, non sarebbe possibile pretendere la dimostrazione dell'esistenza di una particolare organizzazione di mercato per il latte in polvere, il latte concentrato e il formaggio, poiché queste merci, come prodotti derivati dal latte, rientrano eo ipso nella organizzazione di mercato prevista per il latte, la cui esistenza non si può contestare. Se è legittimo tutelare la produzione del latte con provvedimenti diretti dovrebbe anche essere permessa l'adozione di provvedimenti indiretti miranti allo stesso fine, i quali abbiano per oggetto immediato i prodotti derivati, purché da tali provvedimenti non derivi un rafforzamento delle garanzie concesse ai produttori.
Anche questi argomenti non mi sembrano tuttavia persuasivi. Va anzitutto sottolineato che nell'anno 1950 sono state istituite tasse sull'importazione solo per alcuni e non per tutti i prodotti oggi in questione. Il richiamo alla disciplina del 1950 non potrebbe quindi,, già per questo fatto, costituire una giustificazione totale dei provvedimenti adottati nel 1958.
Ancora più significativa è però la seguente considerazione. Se ci si dovesse accontentare, per quanto riguarda il concetto di organizzazione di mercato, di una «existence virtuelle» di determinati provvedimenti, la conseguenza sarebbe un pericoloso svuotamento di tale concetto. Un'organizzazione di mercato finirebbe allora per abbracciare tutto ciò che è necessario, in un certo momento, dal punto di vista della politica economica. Una sicura delimitazione diverrebbe impossibile perché non si potrebbe dire fino a che punto sia ammissibile il rifarsi a discipline precedentemente praticate.
Diviene quindi indispensabile, per il concetto di organizzazione di mercato accolto nel Trattato, basarsi unicamente sull'esistenza di norme e cioè di un complesso di comandi legislativi, norme che devono anzi esistere al momento dell'entrata in vigore del Trattato. È fuori dubbio che, sotto questo profilo, l'organizzazione belga e lussemburghese non ci fornisce alcun elemento, poiché non è stata dimostrata l'esistenza di leggi o regolamenti contenenti l'autorizzazione generale a fare sempre tutto quanto era necessario per garantire lo smercio della produzione di latte, a prescindere dal livello da essa raggiunto.
In modo analogo si deve rispondere al secondo argomento riguardante il problema in esame. A questo proposito può restare impregiudicata la questione se la necessità di un'integrazione legislativa dell'organizzazione del mercato del latte non escluda, di per sé, il suo riconoscimento quale organizzazione di mercato ai sensi del Trattato. Si tratta di una osservazione che la Commissione ha fatto in relazione agli effetti di garanzia richiesti dall'articolo 43. Anche qui è decisivo il fatto che l'estensione ai prodotti derivati dell'organizzazione di mercato prevista per i prodotti di base, estensione dovuta a necessità economiche, non basta per dimostrare che i primi sono compresi sin dall'inizio in tale organizzazione. A questo proposito ci si può soprattutto richiamare all'organizzazione comune per il mercato lattiero-caseario, in cui è detto esattamente quali provvedimenti siano ammissibili e per quali prodotti, compresi quelli derivati. Qualsiasi altro criterio porterebbe a sacrificare la certezza del diritto, perché non si potrebbe indicare il punto in cui si trova il necessario limite all'estensione ai prodotti derivati di una organizzazione di mercato. A mio avviso, è infatti fuori di ogni dubbio che nel divieto di accrescere complessivamente la garanzia concessa ai produttori non è possibile ravvisare un criterio utilizzabile.
Gli effetti dei diversi provvedimenti relativi a un'organizzazione di mercato sono, se pure lo sono, quanto mai difficili da determinare e da confrontare. Nel nostro caso non si potrebbe, a mio parere, accontentarsi della dimostrazione che le sovvenzioni assicurate ai produttori dei prodotti derivati furono diminuite nella misura corrispondente all'ammontare delle tasse compensative, poiché, per quanto riguarda la garanzia per il tenore di vita e per l'occupazione dei produttori, non ha rilievo soltanto il prezzo dei beni prodotti, ma anche il volume della produzione che nel nostro caso, proprio in seguito al suo accrescimento, ha dato causa all'adozione dei provvedimenti impugnati.
Con ciò resta accertato che nel Belgio e nel Lussemburgo, al momento dell'entrata in vigore del Trattato, non esisteva un'organizzazione di mercato relativa ai prodotti che qui interessano. Poiché, anche secondo l'opinione dei convenuti, non è ammissibile l'instaurazione di nuove organizzazioni, non si può trarre dalle norme del Trattato riguardanti le organizzazioni dei mercati agricoli una giustificazione per le tasse speciali in contestazione.
|
2. |
Per ogni evenienza esaminerò anche il problema relativo alla conclusione cui si dovrebbe giungere se la disciplina belga e lussemburghese rappresentasse effettivamente una organizzazione di mercato per i prodotti derivati dal latte. In tal caso si pone la questione se i due Stati membri fossero liberi di modificare, a loro beneplacito, le modalità di attuazione di tale organizzazione, al fine di mantenerne l'efficienza e di ovviare al pericolo che avvenimenti naturali, come le oscillazioni della produzione, la rendessero vana. Condivido i seri dubbi della Commissione sulla ammissibilità di simile procedimento, benché il Trattato non prescriva espressamente un assoluto e rigido ancoramento alle caratteristiche di un'organizzazione di mercato esistente al momento della sua entrata in vigore. In linea di principio deve, a questo proposito, valere quanto la Corte (sentenza sul panforte) ha detto riguardo al rapporto tra norme generali e norme particolari concernenti l'agricoltura: queste ultime, in considerazione del loro carattere eccezionale, devono essere restrittivamente interpretate. In ogni punto in cui il Trattato autorizza una deroga ai principi generali in favore dell'agricoltura, gli effetti di tale deroga devono essere contenuti nei limiti strettamente necessari. Con questo principio non si può certamente conciliare una indulgente applicazione delle norme relative all'organizzazione dei mercati agricoli. Non è, tuttavia, mia intenzione limitarmi a queste considerazioni di principio; voglio anzi vedere quali altri argomenti si possano trarre, per la soluzione del nostro problema, da norme particolari del Trattato. La tesi della Commissione trova un appoggio anzitutto nel tenore letterale dell'articolo 38 comma 2. Se questo dispone che le norme sulla instaurazione del mercato comune si applicano ai prodotti agricoli, in quanto non sia diversamente disposto dagli articoli 39-46, si può senz'altro sostenere che le norme sullo «standstill» (articolo 12) non rientrano nella previsione dell'articolo 38, 2o comma u.p. «Instaurare» è un concetto dinamico, che si riferisce a un comportamento attivo, a un agire. Lo «standstill», invece, come dice la stessa espressione, comanda solo uno star fermi, un'astensione che, come tale, non può mai portare alla «instaurazione» del mercato comune. E non mi sembra persuasivo quanto sostengono i convenuti, cioè che lo «standstill», in quanto misura preparatoria per la creazione del mercato comune, non possa essere separato dalle norme relative alla eliminazione degli ostacoli al commercio. In ogni caso non scorgo alcun impedimento logico e pratico. A questo argomento, di per sé non molto forte, se ne aggiungono altri. Nelle norme eccezionali relative all'agricoltura si trovano infatti tanti riferimenti allo «standstill» che sembra possibile parlare di un «standstill» immanente a queste norme particolari. Mi riferisco alla disposizione dell'articolo 44 sulla disciplina dei prezzi minimi che, nel secondo comma, stabilisce : «I prezzi minimi non devono avere per effetto una riduzione degli scambi esistenti fra gli Stati membri al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato, né ostacolare un progressivo estendersi di questi scambi». Mi riferisco all'articolo 45, che prescrive agli Stati membri, in cui esistono organizzazioni di mercato, la conclusione di contratti a lungo termine, e a questo proposito stabilisce : «Per quanto riguarda i quantitativi, tali accordi o contratti prendono come base il volume medio degli scambi fra gli Stati membri per i prodotti in questione durante i tre anni precedenti all'entrata in vigore del presente Trattato, e prevedono un incremento di tale volume nei limiti dei bisogni esistenti, avuto riguardo alle correnti commerciali tradizionali». Anche la decisione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti nel Consiglio, relativa alla accelerazione dei tempi di realizzazione delle finalità del Trattato (12 maggio 1950, G.U. 1960, p. 1217 ss.) deve essere ricordata a questo proposito, perché essa prevede che, per quanto riguarda i prodotti per i quali non esiste ancora un contratto o un accordo a lungo termine, gli Stati membri debbano garantire la possibilità di una importazione complessiva, corrispondente alla media degli ultimi tre anni precedenti all'entrata in vigore del Trattato, più un tasso annuale di incremento del 10 % per gli anni 1959-1960 e per quelli successivi fino alla fine del primo periodo. Soprattutto non si può però trascurare il fatto che la libertà di modificare l'organizzazione di mercato pretesa dai convenuti, la quale, sia detto tra parentesi, ha portato a un considerevole regresso delle importazioni di alcuni prodotti, renderebbe straordinariamente difficile, se non addirittura impossibile, il raggiungimento di uno degli scopi principali del Trattato relativi all'agricoltura, cioè l'instaurazione di organizzazioni comuni dei mercati agricoli. Queste devono notoriamente offrire eguali garanzie per il tenore di vita e l'occupazione dei produttori interessati, cioè si devono formare delle organizzazioni di mercato effettivamente esistenti nei singoli Stati membri. Con tale finalità è inconciliabile un potere di quest'ultimi di modificare in precedenza le proprie organizzazioni nazionali di mercato, sia pure con il limite di non accrescerne gli effetti, poiché l'osservanza di tale limite è, a mio avviso, difficile o impossibile da controllare. Ritengo quindi che lo «standstill» debba valere anche in relazione alle organizzazioni dei mercati agricoli, per lo meno se una modifica delle loro modalità di applicazione, come la chiamano i convenuti, consista nella introduzione di limiti completamente nuovi alle importazioni, i quali producano addirittura un mutamento nella natura della organizzazione di mercato in parola. Non credo che questa limitazione della libertà di agire per i singoli Stati debba condurre alla scomparsa delle organizzazioni nazionali di mercato. Per lo meno nel nostro caso mi sembra mancare, sotto questo profilo, una dimostrazione in fatto; come del resto non si potrebbe dimostrare, per quanto riguarda una parte dei prodotti in questione, la necessità di estendere l'organizzazione di mercato, a causa di una persistente sovrapproduzione. Del pari, il richiamo dei convenuti alla disciplina concernente la conclusione dei contratti a lungo termine non può persuadere, poiché è difficile immaginare che uno «standstill» nella struttura delle organizzazioni di mercato debba creare serie difficoltà all'esecuzione di tali contratti. Pertanto, non può sussistere una giustificazione del provvedimento impugnato, anche se venisse riconosciuta l'esistenza di organizzazioni nazionali di mercato nei due Stati membri in questione. Questa conclusione vale sia per il Belgio sia per il Lussemburgo, e ciò indipendentemente dal punto se nel Lussemburgo, al momento dell'entrata in vigore del Trattato, esistessero limitazioni quantitative delle importazioni, o se la loro introduzione fosse ammissibile a norma del Protocollo particolare per il Lussemburgo (il che del resto non vale per tutti i prodotti). È rilevante, invece, che tasse sulle importazioni del tipo considerato non venissero percepite al momento dell'entrata in vigore del Trattato. Una sostituzione delle misure dirette a limitare le importazioni non si può certamente conciliare con lo «standstill», qualora i loro effetti, com'è nel nostro caso, non abbiano la stessa natura. |
|
3. |
Resta infine da esaminare il problema se sia possibile ricavare una giustificazione delle tasse in contestazione in altro modo, per esempio in base a principi giuridici generali. Due considerazioni si prospettano a questo proposito: da un lato si potrebbe dire che la disciplina belga e lussemburghese si limita semplicemente a realizzare prima ciò che successivamente avrebbe realizzato l'organizzazione comune del mercato lattierocaseario. Tale giustificazione sarebbe però errata. Gli effetti della disciplina nazionale non sono, infatti, identici a quelli dell'organizzazione comune, com'è stato dimostrato dalla Commissione. Inoltre, in base allo spirito del Trattato, l'adozione unilaterale, da parte di uno Stato membro, di certi provvedimenti, non può essere, in linea di principio, giustificata con la considerazione che vi è piena corrispondenza con una disciplina comunitaria, realizzata molto tempo dopo, poiché per il rispetto delle norme del Trattato non sono rilevanti soltanto gli effetti sostanziali di un provvedimento, ma anche l'osservanza delle norme sulla competenza. D'altro lato, dobbiamo ancora una volta ritornare su un problema già toccato nell'esame della ricevibilità dei ricorsi, e considerare se gli Stati membri della Comunità possano unilateralmente prendere i necessari provvedimenti qualora risulti che la Comunità è in mora rispetto all'attuazione dei propri compiti (nel nostro caso rispetto all'esecuzione della decisione del Consiglio del 1962). Anche questa tesi non mi sembra, tuttavia, sostenibile. L'istituto dell'autotutela può rappresentare, nel diritto internazionale, l'estrema ratio, qualora non esistano altre procedure per la tutela degli interessi legittimi. Ora, nel diritto delle Comunità, esistono anche altre vie, conformi alla natura di quest'ultime, per risolvere le difficoltà che si vengano manifestando: per esempio, nelle norme riguardanti l'agricoltura, l'applicazione del sistema dei prezzi minimi, a norma dell'articolo 44, o infine il ricorso alle clausole generali di salvaguardia previste dal Trattato. Tali vie assicurano alla Comunità il controllo dei fenomeni economici che si producono al suo interno e presentano la garanzia che i provvedimenti in questione non vadano oltre i limiti strettamente necessari. Poiché non mi sembra dimostrato che il ricorso ai mezzi comunitari di tutela avrebbe reso impossibile una soddisfacente soluzione per le situazioni belga e lussemburghese, non si può, a mio giudizio, ravvisare neppure nel ritardo del Consiglio una giustificazione della condotta dei due Stati membri. |
III — IN CONCLUSIONE
La censura della Commissione appare fondata. Il Regno del Belgio e il Granducato del Lussemburgo, introducendo una tassa speciale, inesistente al momento dell'entrata in vigore del Trattato, da riscuotersi all'atto del rilascio della licenza di importazione per determinati prodotti lattiero-caseari, hanno violato le norme del Trattato, e in particolare l'articolo 12.
Il ricorso va quindi accolto e i convenuti debbono sopportare le spese del processo.