Concluzioni dell'avvocato generale

MAURICE LAGRANGE

10 dicembre 1963

Traduzione dal francese

Signor Presidente, signori giudici,

È ancora un Foro olandese che vi sottopone una questione pregiudiziale a norma dell'articolo 177 del Trattato C.E.E. : si tratta del Centrale Raad van Beroep, organo giurisdizionale di ultima istanza in materia di previdenza sociale, le cui decisioni non sono impugnabili con alcun ricorso di diritto interno. Le questioni in merito alle quali è richiesta la pronuncia della Corte vertono sull'interpretazione di alcune disposizioni del Regolamento n. 3, relativo alla «sicurezza sociale dei lavoratori migranti», adottato a norma dell'articolo 51 del Trattato.

Sotto il profilo procedurale vi è qui una particolarità, che ritengo necessario porre in luce. La signora Unger, assicurata sociale, aveva interposto appello dinanzi al Centrale Raad van Beroep, contro una sentenza di primo grado che confermava il rifiuto di prestazioni, per malattia, oppostole dall'organo competente. Tale sentenza, molto ben motivata, aveva in particolare disatteso un'argomentazion della ricorrente fondata sugli articoli 4 e 19 del Regolamento n. 3. E il giudice di appello, con sentenza 21 maggio 1963, si è limitato a constatare che, essendo stata sollevata una questione relativa all'interpretazione di un Regolamento comunitario, s'imponeva il rinvio dinanzi alla Corte a norma dell'articolo 177, senza formulare alcuna questione specifica. Egli ha infatti semplicemente incaricato il proprio Presidente di trasmettere il fascicolo alla Corte, ed è stato il Presidente, nella sua lettera del 12 luglio 1963, indirizzata alla nostra Cancelleria, a esporre i dati di fatto e di diritto relativi alla controversia, e a formulare la questione che, come egli dice, «il Centrale Raad ritiene di dover sottoporre alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee».

Ora, il fatto che l'ultimo comma dell'articolo 177 imponga ai fori nazionali di «rivolgersi» alla Corte, quando nel corso del giudizio «viene sollevata» una delle questioni indicate nel primo comma, non esonera certamente il giudice nazionale dall'obbligo di formulare lui stesso le questioni da sottoporre alla Corte, dopo aver accertato, qualora sia una delle parti a richiedere espressamente il rinvio, se effettivamente sussiste una delle ipotesi previste al primo comma: interpretazione del Trattato, ecc.

Signori, a voi la conclusione. Da parte mia, ritengo che nella specie la Corte possa accogliere la richiesta e rispondere ai quesiti formulati dal Presidente a nome del Collegio, sebbene si tratti di quesiti non contenuti nella sentenza, e nonostante il carattere un pò insolito del procedimento: un rifiuto potrebbe far dire che la Corte si ingerisce nel funzionamento della giustizia nazionale.

Penso inoltre, sebbene il Governo tedesco sollevi dei dubbi in proposito, che la Corte non sia tenuta ad accertare se la questione sottopostale sia veramente utile per la decisione della controversia, decisione che sarebbe ugualmente favorevole alla Unger, anche se costei non potesse invocare il' Regolamento n. 3, e ciò in forza di una convenzione tedesco-olandese sulla previdenza sociale. Infatti, secondo la vostra giurisprudenza, la Corte non è tenuta a valutare le considerazioni in base alle quali il foro nazionale ha formulato il quesito e nemmeno l'importanza ad esso attribuita nell'ambito della controversia che il foro stesso deve decidere. La Corte giudica solo della propria competenza, ed è tenuta a rispondere ai quesiti sottopostile solo nei limiti in cui essi rientrino nell'ambito di applicazione dell'articolò 177, primo comma.

Signori, in questa causa, come del resto in tutte quelle relative all'articolo 177, la Corte deve dare un'interpretazione astratta delle norme che le sono sottoposte (Trattato, o atti delle Istituzioni comunitarie) : ed è proprio questo che hanno tentato di fare coloro che si sono avvalsi del diritto di presentare osservazioni dinanzi alla Corte (la Unger, che è una delle parti principali, la Commissione della C.E.E. e il Governo tedesco). Anzi, le loro osservazioni, molto esaurienti e di un alto livello scientifico, contengono tutti gli elementi necessari per rispondere in maniera pertinente alla questione deferita. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che il procedimento previsto dall'articolo 177 si svolge nell'ambito di una controversia e che, molto spesso, gli aspetti concreti di tale controversia contribuiscono a illuminare la questione di interpretazione astratta, come un esempio chiarisce una teoria; tanto più che in un giudizio l'esempio non è scelto dal teorico, ma è imposto al giudice come realtà. Potrà allora essere utile che io ricordi per prima cosa i fatti da cui è sorta la controversia nel diritto interno e che hanno finito col portare al rinvio dinanzi alla Corte.

L'interessata, signora Unger, in Hoekstra, aveva una assicurazione obbligatoria contro le malattie, in forza di un contratto di lavoro. Alla cessazione di tale contratto, ella richiese e ottenne la prosecuzione volontaria di tale assicurazione, conformemente alla legge che permette tale prosecuzione «quando si tratta di persone che esercitano o si accingono a esercitare una professione o un'attività indipendente, o quando è ragionevole suppore che esse stipuleranno, se ne avranno l'occasione, un nuovo contratto di lavoro»; nel caso di specie, la prosecuzione dell'assicurazione su base volontaria venne concessa in riferimento alla seconda alternativa.

Passato un mese la Unger, che si trovava in Germania presso i propri genitori, cadde ammalata e dovette farsi curare. Rientrata nei Paesi Bassi, chiese il rimborso delle spese di cura sostenute, ma tale rimborso le fu negato in base a una disposizione di carattere regolamentare secondo cui gli assicurati volontari non hanno diritto alle spese di malattia sostenute durante soggiorni all'estero «a meno che non sia loro permesso, alle condizioni stabilite nelle prescrizioni di controllo, di soggiornare all'estero per ristabilirsi» (e il caso di specie non rientrava in tale ipotesi).

L'interessata allora presentò ricorso contro tale provvedimento dinanzi al competente tribunale di prima istanza, invocando, in particolare, le disposizioni dell'articolo 19, n. 1, del Regolamento n. 3 del Consiglio della C.E.E., relativo alla «sicurezza sociale dei lavoratori migranti» ; di cui vi ripeto il testo :

«Un lavoratore subordinato o assimilato, iscritto a una Istituzione di uno Stato membro e residente nel territorio di tale Stato, beneficia delle prestazioni, in caso di temporanea dimora in un altro Stato membro, se le sue condizioni di salute richiedono cure mediche immediate, ivi compreso il ricovero ospeda liero. Tale disposizione è applicabile anche a un lavoratore non iscritto all'Istituzione in questione, ma che abbia diritto alle prestazioni da parte di tale Istituzione o avrebbe tale diritto se si trovasse nel territorio del primo Stato.»

Questa norma, come vedete, non distingue tra assicurazione obbligatoria e assicurazione volontaria, e in caso di assicurazione volontaria, non richiede un'autorizzazione speciale per farsi curare all'estero. Bisogna però che il beneficiario sia un «lavoratore subordinato o assimilato iscritto a un istituto o cassa di uno Stato membro». Si tratta allora di stabilire chi, ai sensi della disposizione citata, sia un «lavoratore assimilato» a un lavoratore subordinato, e a tal fine è necessario far riferimento all'articolo 4, n. 1, del Regolamento, ai termini del quale

«Le disposizioni del presente Regolamento sono applicabili ai lavoratori subordinati o assimilati che sono o sono stati soggetti alla legislazione di una o di più Stati membri, e che sono cittadini di uno Stato membro, ovvero apolidi o rifugiati residenti nel territorio di uno Stato membro, come pure ai. loro familiari e superstiti».

E allora, avvalendosi del diritto di procedere lui stesso all'interpretazione, diritto implicitamente riconosciuto dall'articolo 177, secondo comma, il tribunale ha respinto il ricorso con sentenza 24 ottobre 1962 (allegato I alla lettera di rinvio), che costituisce indubbiamente il documento fondamentale del fascicolo, e della quale ritengo opportuno citare il passaggio principale, in una traduzione di cui mi assumo la responsabilità :

«Per le disposizioni del Trattato sopra menzionate, l'applicazione delle disposizioni del Regolamento C.E.E. e di una qualsiasi disposizione del Trattato concluso fra il Regno del Paesi Bassi e la Repubblica federale di Germania è condizionata al fatto che la persona di cui si tratta sia un lavoratore subordinato o una persona assimilata ai sensi dell'articolo 4 del Regolamento sopra citato ;

Sebbene il Regolamento C.E.E. non precisi quali sono le persone che per l'applicazione e l'esecuzione del Regolamento devono essere considerate come assimilate ai lavoratori subordinati, per il tribunale è chiaro che tale disposizione concerne le persone che partecipano attivamente al processo economico e i cui rapporti di lavoro, pur trattandosi di persone che non svolgono la propria attività nell'ambito di un rapporto contrattuale di lavoro subordinato sono espressamente assimilati, con interpretazione autentica, da parte della legge nazionale dello Stato membro interessato, a quelli dei lavoratori subordinati, per quanto riguarda l'applicazione di una o più leggi sulle assicurazioni sociali.

Ora, né la legge sull'assicurazione contro le malattie, né la disciplina dell'assicurazione volontaria contro le malattie che sulla legge citata si fonda, hanno fatto ricorso, per riconoscere la qualità di assicurato volontario, alla finzione giuridica di considerare l'assicurato volontario come un lavoratore subordinato ai sensi della legge sull'assicurazione contro le malattie o come una persona assimilata: la ricorrente non può quindi ad esse richiamarsi per fondare la propria tesi, secondo la quale, in tema di assicurazione contro le malattie, lei dovrebbe essere assimilata a un lavoratore subordinato.

Inoltre, ad avviso del tribunale, la ricorrente non può invocare nemmeno il Regolamento C.E.E. Questo infatti, a quanto risulta dal suo preambolo, mira a favorire la libera circolazione dei lavoratori subordinati negli Stati membri; e tale obiettivo non riguarda minimamente il diritto della ricorrente al pagamento dell'assicurazione contro le malattie, in quanto assicurata volontaria che si trovava all'estero e fruiva di tale assicurazione perché aveva temporaneamente perduto la qualità di lavoratrice subordinata.»

Insomma, il ragionamento del tribunale può essere così schematizzato :

In primo luogo, un'interpretazione dell'articolo 4, che assume la forma del seguente sillogismo :

1o

Il criterio dell'«assimilazione» a un lavoratore subordinato va cercato nella legge nazionale :

2o

La legge olandese non conosce alcuna «finzione giuridica» che assimili l'assicurato volontario al lavoratore subordinato, ai fini della previdenza sociale;

3o

Ne consegue che può essere considerato «assimilato» solo chi si trova nelle particolari condizioni alla cui presenza è subordinata, in tema di applicazione di una o più leggi di previdenza sociale, la concessione di alcune prestazioni a favore di un lavoratore non subordinato.

Poi, la seconda parte dell'argomentazione: il Regolamento n. 3 ha lo scopo di promuovere la libera circolazione dei lavoratori subordinati nell'ambito degli Stati membri; e la ricorrente ha temporaneamente perso la qualità di lavoratrice subordinata. Per quanto riguarda infine le prestazioni dovute in base all'assicurazione volontaria, la loro concessione è condizionata ai presupposti richiesti dalla legge nazionale.

È a questo punto che il Centrale Raad, per mezzo del proprio Presidente, vi ha posto il seguente quesito :

«Sorge così la necessità di stabilire come devono essere interpretati il Trattato e gli atti che ne costituiscono esecuzione, e specialmente il Regolamento sopra citato; in particolare, si tratta di vedere se la nozione di “lavoratore assimilato” deve essere definita dalla legge nazionale, o se invece essa ha un significato sovrannazionale; e, in quest'ultimo caso, si tratta di stabilire quale sia questo significato, dato che la sua conoscenza è condizione imprescindibile per decidere se l'articolo 19, primo comma, citato sia tale da escludere il pagamento delle spese di malattia a coloro che si trovino nella stessa situazione di fatto in cui, come si è visto, è venuta a trovarsi la ricorrente.»

Come rispondere a tale quesito, se pure è possibile rispondere in maniera pertinente ai termini nei quali è stato formulato?

È certo, intanto, che il Regolamento n. 3, pure essendo, come ricorda la motivazione, la semplice riproduzione di una convenzione sulla previdenza sociale già firmata ma non ancora entrata in vigore, ha tuttavia, sul piano giuridico, natura di un «Regolamento», ai sensi dell'articolo 189 del Trattato, «obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ognuno degli Stati membri». Ciò vuol dire che le disposizioni in esso contenute sono, di pieno diritto, norme comunitarie e che il diritto nazionale rimane in vigore in due casi solamente: quando il Regolamento ad esso rinvia espressamente o implicitamente (purché, in quest'ultima ipotesi, in maniera univoca) ; oppure nei limiti in cui il Regolamento lo lascia sussistere, il che è ovvio.

Ma la linea di demarcazione, così formulata, tra Regolamento e diritto nazionale, se è facile a concepirsi in teoria, può essere a volte diffìcile a riscontrarsi in pratica. Abbiamo però, a tale fine, una guida: le disposizioni del Trattato e in particolare l'articolo 51, a norma del quale il Regolamento è stato emanato.

Concedetemi di rileggerne il testo :

«Il Consiglio, con deliberazione unanime su proposta della Commissione, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto :

a)

il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste,

b)

il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.»

Ne risulta che il Consiglio non era autorizzato a stabilire una legge comunitaria sulla previdenza sociale, sostituendosi alle varie legislazioni nazionali, né esso ha inteso farlo, Non siamo nemmeno in presenza di un'opera di ravvicinamento o di armonizzazione delle disposizioni indicate nell'articolo 100, la quale del resto non potrebbe essere effettuata per mezzo di un Regolamento. Le leggi nazionali e i vari regimi di assicurazione da esse previsti continuano a sussistere, solo che le condizioni di applicazione di tali leggi risultano modificate di pieno diritto, nella misura in cui il Regolamento ha dettato disposizioni particolari intese ad assicurare che tale applicazione avvenga in conformità allo scopo perseguito dal Trattato, che è quello di permettere, nell'ambito della previdenza sociale, la libera circolazione dei lavoratori nella Comunità.

Partendo da simili presupposti, l'interpretazione degli articoli 4 e 19 del Regolamento (la cui legittimità non è in questione) dovrebbe essere effettuata senza eccessiva difficoltà.

Rileggiamo l'inizio dell'articolo 4 :

«Le disposizioni del presente Regolamento sono applicabili ai lavoratori subordinati o assimilati che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri…»

Si tratta qui di individuare l'ambito generale di applicazione del Regolamento in riferimento a coloro che ne sono i beneficiari, e di vedere se per definire questi ultimi bisogna far riferimento a una nozione «comunitaria» o alle regole nazionali.

Secondo me, signori, non è possibile accontentarsi di una nozione puramente comunitaria, di una nozione cioè che trovi la sua fonte esclusivamente nelle disposizioni del Trattato: né all'articolo 51, né altrove, possiamo infatti trovare definito il concetto di «lavoratore» o di «lavoratore subordinato», e tanto meno di «assimilato». E mancano anche disposizioni sufficientemente precise che permettano di supplire a questa deficienza di definizioni, mediante una costruzione giuridica tale da potersi reggere; nemmeno l'eminente patrono della signora Unger ci ha fornito gli elementi per una costruzione del genere. Tutt'al più possiamo ammettere, d'accordo con la Commissione, che la nozione di «lavoratori subordinati o assimilati» si oppone a quella di «attività non subordinate» di cui al capo 2 del Titolo III, relativo al diritto di stabilimento (art. 52, secondo comma). Il che sembra voler dire che i «lavoratori» presi in considerazione dal capo primo dello stesso Titolo III sono, per il Trattato, lavoratori subordinati, salvo il caso in cui alcuni lavoratori non subordinati siano «assimilati» a quelli subordinati, sicché, risultando loro applicabili di fatto le disposizioni del capo primo, non operano nei loro confronti le norme del capo 2.

Così pure penso si debba concordare con la Commissione nell'ammettere che i termini «lavoratori subordinati o assimilati» escludano il ricorso alle rare leggi di previdenza sociale che si applicano a tutta la popolazione, perlomeno nei limiti in cui esse comprendono, di pieno diritto, categorie diverse da quella dei lavoratori subordinati.

A parte queste due riserve, ritengo che il criterio debba in realtà essere cercato nel seguito del testo : «… che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o di più Stati membri». Abbiamo visto che la legge nazionale rimane in vigore, e quindi è a tale legge che molto semplicemente bisogna far riferimento per sapere quali sono le persone «assimilate» a un lavoratore subordinato per quanto riguarda la previdenza sociale: intellettuali, artigiani, ecc. E non è necessario, a tal fine, che la legge nazionale contenga una definizione generale dell'assimilazione, o che crei, sotto questo profilo, una «finzione giuridica», cosa che non avviene, oltre che nei Paesi Bassi, come sappiamo, nemmeno negli altri paesi della Comunità. Quindi, a mio parere, è sufficiente che la legge nazionale applicabile all'interessato preveda un sistema di previdenza sociale a vantaggio di lavoratori non subordinati perché i beneficiari di tale sistema possano essere considerati come «assimilati» a lavoratori subordinati a norma dell'articolo 4 del Regolamento n. 3. E questo è proprio il caso di un sistema di assicurazione volontaria che sia per ipotesi organizzato a favore di ex lavoratori subordinati suscettibili di ridiventarlo: lo conferma, del resto, l'articolo 9 del Regolamento.

È vero che in tal modo si opera un rinvio al diritto nazionale, ma tale rinvio è in se stesso una norma di diritto comunitario.

Queste osservazioni non sono però ancora sufficienti per risolvere il problema in esame. Infatti, non basta accertare che una persona presenti i requisiti richiesti dall'articolo 4 e possa di conseguenza avvalersi delle disposizioni del Regolamento. È necessario inoltre verificare se le siano effettivamente applicabili le disposizioni da essa invocate. Ed è qui che interviene l'articolo 19, e trova fondamento la seconda questione posta dal Presidente del Centrale Raad; è ancora qui che viene in rilievo il ragionamento fatto dal giudice di primo grado nell'ultima parte della sua motivazione.

Tuttavia, non penso che possano su tale punto sorgere delle difficoltà: una volta ammesso che ci si trova in presenza di un «lavoratora subordinato o assimilato», ai sensi dell'articolo 4, l'articolo 19 gli riconosce il diritto alle prestazioni previdenziali senza richiedere ulteriori requisiti, «quando, durante una dimora temporanea nel territorio di un altro Stato membro, le sue condizioni di salute richiedano immediate cure mediche, compreso il ricovero espedaliero». Una volta riconosciuto che l'assicurato volontario, che abbia provvisoriamente perso la qualità di lavoratore subordinato, deve essere considerato «assimilato» a un lavoratore subordinato ai sensi dell'articolo 4, e ciò argomentando dalla legge nazionale, il beneficio dell'assimilazione gli deve essere egualmente riconosciuto quando si tratta di applicare altre disposizioni del Trattato in cui ricorra, e nella misura in cui ricorre, l'espressione «lavoratore subordinato o assimilato» — come nell'articolo 19.

Inoltre, contrariamente a quanto sembra aver ritenuto il giudice di primo grado, questa interpretazione dell'articolo 19 è del tutto coerente con le finalità che l'articolo 51 del Trattato tende a realizzare. Si tratta infatti di prendere «nell'ambito della sicurezza sociale, le misure necessarie per assicurare la libera circolazione dei lavoratori» ; ed è evidente che qualsiasi misura che assimili i territori dei diversi Stati membri al territorio dello Stato d'origine, per quanto riguarda il conseguimento delle varie prestazioni, è del tutto conforme a questo scopo. Aggiungo inoltre che le disposizioni di cui alla lettera a) e alla lettera b) dell'articolo 51 non hanno carattere eccezionale, come risulta dal fatto che sono precedute da «in particolare».

Ci troviamo quindi in una delle ipotesi in cui la norma di diritto interno (nella specie, il carattere eccezionale del fatto che un assicurato volontario abbia diritto alle prestazioni di malattia qualora si trovi all'estero) è modificata da una norma di diritto comunitario. Tuttavia si tratta di una modifica che non riguarda il sistema dell'assicurazione sociale in questione, ma che ha per scopo, e per effetto, solamente quello consistente nell'adattarne il funzionamento alle necessità inerenti alle finalità perseguite dal Trattato.

Per ultimo, non ritengo necessario esprimermi sulle questioni sollevate dalla Commissione a pagina 27, sub b), che non mi sembra rientrino fra quèlle a voi poste. Penso invece che si debba fornire l'interpretazione dell'articolo 19, che è stata espressamente richiesta.

Propongo quindi che le risposte ai quesiti posti alla Corte siano le seguenti (riprendo quasi testualmente la prima risposta alla Commissione, che ritengo ottima) :

1o

Sono «assimilate ai lavoratori subordinati», a norma dell'articolo 4, n. 1o, del Regolamento n. 3, le persone che, per quanto riguarda la previdenza sociale, e in virtù di disposizioni di diritto nazionale, protette contro uno o più rischi dell'esistenza nel quadro dei sistemi organizzati a beneficio dei lavoratori subordinati, qualunque siano la forma giuridica, e i termini usati dal legislatore nazionale per assicurare tale estensione, e sia la loro iscrizione obbligatoria o facoltativa.

2o

Le disposizioni dell'articolo 19, n. 1, del Regolamento n. 3 si applicano ai «lavoratori subordinati o assimilati» di cui all'articolo 4, n. 1, e secondo lo stesso significato.

Per quanto riguarda le spese, propongo, in conformità alla vostra giurisprudenza, che provveda il Centrale Raad van Beroep.