Conclusioni dell'avvocato generale

MAURICE LAGRANGE

28 ottobre 1963

Traduzione dal francese

Signor Presidente, signori giudici,

La Società «Forges de Clabecq» non ha incluso nell'imponibile dei contributi di perequazione 20.682 tonnellate di rottame ricevute dopo il 1o aprile 1954, ossia dopo l'entrata in vigore del sistema obbligatorio istituito dalla decisione 22-54, ma acquistate, secondo quanto afferma, in data anteriore. E ciò in quanto l'articolo 3 della citata decisione dice testualmente «i contributi di perequazione sono calcolati in ragione della quantità di rottame acquistata durante il periodo in cui la presente decisione rimarrà in vigore da ciascuna impresa…» ed in quanto l'articolo 10 fissa al 1o aprile 1954 il termine iniziale di tale periodo.

Con lettera del 23 gennaio 1963 la Direzione generale «Acciaio» dell'Alta Autorità comunicava alla Società «Forges de Clabecq» che «nella riunione del 5 dicembre 1962 l'Alta Autorità, basandosi sulla giurisprudenza della Corte, ha deciso, che le 20.682 tonnellate in contestazione devono essere incluse nell'imponibile dell'impresa».

Ed è di tale decisione che vi si chiede l'annullamento.

A — Sulla ricevibilità

Vi sono anzitutto varie questioni che attengono alla ricevibilità del ricorso; intendo però esaminarle sommariamente.

Per prima cosa si tratta di vedere se oggetto del ricorso sia una decisione dell'Alta Autorità, impugnabile a norma dell'articolo 33 del Trattato.

La lettera del 23 gennaio 1963, che è stata prodotta e porta la firma di un direttore generale, non è certo una decisione dell'Alta Autorità, né del resto si pretende lo sia. Però, come abbiamo visto, essa fa espresso riferimento a una decisione, presa dall'Alta Autorità nella riunione del 5 dicembre 1962, con cui si respingeva il reclamo della ricorrente. Ciò è sufficiente per considerare la lettera come una notifica di tale decisione.

Mancano indubbiamente i requisiti, di forma di cui alla decisione 22-60 del 7 settembre 1960, relativa all'applicazione dell'articola 15 del Trattato; ma. ciò non significa, a mio parere, che la decisione debba essere ritenuta giuridicamente inesistente, e che per tale motivo il ricorso debba essere respinto come irricevibile. Sotto questo profilo, la situazione infatti è ben diversa da quella relativa ad alcuni ricorsi contro lettere firmate, a nome dell'Alta Autorità, da funzionari della stessa. Nella presente fattispecie la lettera inviata alla ricorrente menziona espressamente l'esistenza di una decisione dell'Alta Autorità, riporta la data della riunione in cui tale decisione è stata adottata e l'oggetto della decisione stessa. Né questa può dirsi inesistente per l'assenza dei requisiti formali richiesti dalla decisione 22-60; tutt'al più si potrebbe negare alla lettera del 23 gennaio 1963 il carattere di una regolare notifica, tale cioè da far decorrere il termine per il ricorso, dal momento che, a dire il vero, una notifica deve riprodurre integralmente la decisione che si tratta di portare a conoscenza dell'interessato. D'altra parte la Corte potrebbe benissimo chiedere la produzione di un estratto del verbale della riunione nel corso della quale la decisione, a quanto ci è stato detto, fu presa, come si è fatto nelle cause relative alle tariffe applicabili ai trasporti (3-58 ed altre, sentenza del 10 maggio 1960). Ciò tuttavia non mi sembra necessario, dato che le parti concordano nel riconoscere l'esistenza della decisione, e che non sussiste alcuna circostanza simile a quella che aveva allora indotto la Corte a chiedere una precisazione nel caso citato si trattava di stabilire se la decisione era stata presa prima della mezzanotte del 9 febbraio 1958, in quanto a partire da tale momento cessavano i poteri attribuiti all'Alta Autorità dalla Convenzione sulle disposizioni transitorie).

La seconda questione attiene alla pretesa insufficiente esposizione dei motivi del ricorso, il quale, secondo l'Alta Autorità, non conterrebbe l'adeguata «indicazione dei fatti e dei mezzi» che è richiesta a pena di irricevibilità.

Ma, signori, basta leggere il ricorso per convincersi che vi sono contenuti sia le conclusioni sia i motivi sui quali esso si fonda, e che questi, pur esposti sinteticamente, sono indicati con perfetta chiarezza e precisione; tant'è vero che non riesco a capire come l'Alta Autorità abbia potuto nutrire dubbi in proposito.

Terza questione : genericità delle «offerte di prova» e mancanza del fascicolo previsto dall'articolo 37, paragrafo 4 del Regolamento di procedura. Si tratta di quella parte del ricorso in cui la ricorrente si dichiara disposta a provare «se ve ne sarà bisogno» che i contratti relativi al tonnellaggio in contestazione erano stati effettivamente stipulati anteriormente al 1o aprile 1954.

La ricorrente ha giustamente replicato che essa non era tenuta a una maggior precisazione, dal momento che non era ancora sorta alcuna contestazione sui fatti, e che la controversia verteva su una questione di puro diritto. E sebbene nel corso del procedimento la controversia abbia finito con l'estendersi anche ai fatti, io non scorgo, sotto il profilo qui considerato, alcuna irregolarità suscettibile di incidere sulla ricevibilità del ricorso.

La quarta questione riguarda la mancanza dell'interesse ad agire, deducibile, secondo la convenuta, dalle conseguenze più o meno gravi che un annullamento implicherebbe per la ricorrente : «Tutto fa pensare» infatti, per usare la frase del difensore dell'Alta Autorità nell'udienza orale, che la revisione dei calcoli di perequazione, con il conseguente obbligo, per l'Alta Autorità, di applicare la stessa regola alle imprese che, pur trovandosi nella stessa situazione della ricorrente, finora non hanno presentato reclamo, non solo eliminerebbe i vantaggi derivanti dall'esenzione relativa al tonnellaggio in contestazione, ma si risolverebbe in un onere contributivo supplementare.

Signori, la determinazione delle conseguenze giuridiche dell'annullamento chiesto dalla ricorrente rappresenta un problema delicato, che spetterà eventualmente all'Alta Autorità risolvere in base all'articolo 34 del Trattato. Ma anche se in ultima analisi esse finiranno con l'essere sfavorevoli alla ricorrente (e su ciò, in questo momento, io non posso certo pronunciarmi), non è su tale circostanza che si può far leva per escludere, ora, l'interesse ad agire. Come ha ricordato il patrono della ricorrente, l'interesse a presentare un ricorso d'annullamento dev'essere valutato nel momento in cui il ricorso è proposto, e in riferimento all'oggetto del ricorso stesso. Solo una revoca della decisione impugnata potrebbe privare il ricorso del suo oggetto: ma anche in tal caso si avrebbe un non luogo a provvedere, e non un rigetto per mancanza di interesse.

B — Sul merito

Come sapete, la ricorrente fonda la propria tesi quasi esclusivamente sui termini, che essa ritiene perfettamente chiari, dell'articolo 3 della decisione 22-54. Permettetemi di citarne ancora una volta il testo :

«I contributi sono calcolati in ragione della quantità di rottame acquistata' durante il periodo in cui la presente decisione rimarrà in vigore da ciascuna impresa, sia all'interno della Comunità, sia mediante importazione dai paesi terzi.»

Per la ricorrente il termine «acquistati» non può riferirsi che all'atto giuridico dell'acquisto, e non alla consegna o alla recezione. E il fatto che le decisioni successive abbiano parlato, con diversa terminologia, di «quantità di rottame d'acquisto ricevute durante il periodo» considerato (art. 3 della decisione 14-55), o di «ricevimento di rottame d'acquisto» (art. 4 della decisione 2-57) implica una modifica della regola, non un semplice miglioramento della sua formulazione originaria, tanto più che si tratta di decisioni autonome, che trovano in se stesse la fonte della loro efficacia, e non hanno assolutamente un carattere interpretativo (come, per esempio, la decisione 14-58, relativa alla «rettifica e interpretazione di alcuni articoli della decisione n, 2-57,» pubblicata nella G. U. del 30 luglio 1958).

L'Alta Autorità replica che lo stesso scopo e le necessità del sistema di perequazione rendono necessaria l'interpretazione di un testo che si deve riconoscere mal redatto. L'espressione «quantità di rottame acquistata» si riferirebbe esclusivamente alla nozione di rottame d'acquisto, soggetto ai contributi, in contrapposizione alle «risorse proprie», che ne sono esenti, distinzione che è stata in seguito più chiaramente posta in rilievo. Nella specie, aggiunge l'Alta Autorità, l'elemento rilevante è il fatto economico costituito dal ricevimento, da parte dell'impresa, del rottame destinato al consumo, e non l'operazione giuridica di vendita, effettuata con un contratto più o meno difficile a provarsi, disciplinato inoltre da leggi e sistemi giuridici diversi e che, oltretutto, può anche non venire eseguito dopo la sua conclusione. Senza contare il fatto che la tesi della ricorrente sancirebbe una rottura della necessaria correlazione tra il pagamento dei contributi e il versamento dei sussidi di perequazione agli importatori, dal momento che il sussidio è accordato «per le importazioni effettuate durante il periodo in cui la decisione rimarrà in vigore», anche se esse conseguono a un contratto di acquisto anteriore; e una simile mancanza di correlazione sarebbe in contrasto con il principio stesso su cui si basa il sistema di perequazione.

Queste, sinteticamente esposte, le due tesi.

Siamo in presenza di un problema di divergenza tra la lettera di una norma chiara, e lo «spirito» della norma stessa, che porterebbe ad attribuirle un significato diverso da quello apparente? È questo un problema che i giudici non affrontano volentieri, perché richiede una scelta che essi cercano per quanto è possibile di evitare: infatti, pur essendo vero che, in linea di massima, è necessario procedere a una «interpretazione» solo qualora la lettera della legge sia oscura, è altrettanto vero che allo spirito di giustizia ripugna applicare alla lettera una norma il cui tenore è manifestamente contrario a quella che si dice la «ratio legis», in base alla configurazione dell'attività legislativa come attività razionale.

Signori, la norma di cui si discute è, di per sé, estremamente chiara e pienamente convincente mi sembra l'esegesi che ne ha fatto la ricorrente: ritengo quindi impossibile attribuire il preteso vizio di formulazione a una specie di lapsus calami, di cui il contesto imporrebbe la correzione. Non si deve inoltre dimenticare che essa riguarda una materia quasi-fiscale, o para-fiscale disciplinata da norme che, secondo i principi generali, sono di stretta interpretazione.

D'altra parte l'interpretazione letterale, che penso qui s'imponga data la formulazione chiara e precisa della norma, non appare, secondo me, indiscutibilmente contraria alla ratio legis; ritengo quindi che la Corte non si trovi alle prese con il dilemma cui poc'anzi accennavo.

Intanto, la tesi dell'Alta Autorità, secondo la quale nella materia di cui trattasi importa esclusivamente il fatto economico, non è esatta; La giurisprudenza della Corte, che ha ritenuto legalmente giustificati sia l'assoggettamento a contributo del c.d. rottame di gruppo sia l'esenzione delle «risorse proprie», si fonda, come ben sapete, su una nozione d'impresa che fa perno sul concetto di personalità giuridica e sul criterio della ragione sociale, d'accordo in ciò con la stessa Alta Autorità. Ne consegue che, in base a tale giurisprudenza, i movimenti di rottame da un'impresa del gruppo all'altra, che siano oggetto di una «cessione» operata mediante pagamento di Un «prezzo», qualificano il rottame così cèduto come «rottame d'acquisto» ai sensi delle decisioni di base. È vero che, secondo la Corte, non è necessario che le dette cessioni presentino .«tutti gli elementi alla cui presenza il diritto interno applicabile condiziona la validità e l'efficacia del contratto di compravendita» ( 1 ); e del resto io stesso ho fatto notare, nelle mie conclusioni relative alle cause 32 e 33-58 (prima causa S.N.U.P.A.T.), che le cessioni di rottame tra la Regie Renault e la S.N.U.P.A.T. presentavano i requisiti, più semplici, previsti dal codice di commercio per la vendita commerciale. Ma se la Corte non ha ritenuto necessario esigere l'applicazione delle norme del diritto civile, ciò è dovuto al fatto che nella specie si trattava di rottame di gruppo i cui movimenti avvengono in base a direttive generali da parte dei dirigenti del gruppo, il che escludeva, stabilito una volta per tutte il principio della cessione, la necessità di esigere, per provare l'esistenza del contratto, una proposta e un'accettazione per ogni lotto ceduto. Tale impostazione liberale, ispirata alla preoccupazione di rispettare le esigenze della vita commerciale, non impedisce affatto di ravvisare proprio nel trasferimento di proprietà, inteso nel senso più squisitamente giuridico, la giustificazione legale dell'assoggettamento a contributo: ed è esattamente quello che la Corte ha riaffermato nella seconda sentenza S.N.U.P.A.T., (Raccolta vol. Vll, p.150), in base a un ragionamento di cui riporto le frasi conclusive : «si deve perciò considerare come “rottame d'acquisto” tutto il rottame per. il quale vi è trasferimento di proprietà con determinazione di un prezzo, sia che il trasferimento avvenga in forza di un contralto di compravendita vero e proprio, sia che si tratti di un contratto equiparabile…»(Raccolta Vol. VII, p. 152).

Il che dimostra che è proprio a una nozione giuridica che la Corte ha fatto riferimento per individuare l'acquisto, come a una nozione giuridica l'Alta Autorità si era riferita per definire il concetto di «risorse proprie» secondo «il significato semantico del termine», nella sua lettera del 18 dicembre 1957; e del resto il ricorso a nozioni giuridiche del genere era il solo idoneo a giustificare l'assoggettamento al contributo di perequazione del rottame di gruppo.

Stando così le cose, non è assolutamente possibile considerare assurdo ed escludere a priori qualsiasi ricorso a un concetto giuridico dell'acquisto e nemmeno ritenerlo in contrasto con l'essenza stessa del sistema di perequazione.

Tanto più che l'Alta Autorità, come il patrono della ricorrente ha fatto con ragione notare, ha più volte utilizzato, proprio nelle sue decisioni, il termine «acquisto» in contrapposizione a quello di «ricevimento», e ciò in maniera tale da rendere evidente che le due nozioni, invece di equivalersi fino a confondersi, sono fra loro ben distinte. Basta ricordare, per esempio, l'articolo 2 a) della decisione 14-55 («l'obbligo di effettuare la perequazione del rottame importato dai paesi terzi o assimilato riguarda le quantità acquistale durante il periodo di validità della presente decisione»), e confrontarlo con l'articolo 3 («i contributi sono calcolati in ragione delle quantità di rottame d'acquisto ricevute durante il periodo in cui la presente decisione rimarrà in vigore») ; oppure le disposizioni particolarmente precise dell'articolo 17 della stessa decisione, e quelle dell'articolo 19 della decisione 2-57, dove si distingue, per lo stesso tonnellaggio, la data dell'acquisto e quella del ricevimento, il che fra l'altro dimostra che l'Alta Autorità ritiene possibile determinare la data dell'acquisto senza troppa difficoltà.

Finora mi sono limitato a svolgere un'analisi comparativa dei testi, diretta a dimostrare che i termini «acquisto» o «acquistato» sono stati di regola usati nelle varie decisioni normative nel loro significato giuridico, e che di conseguenza è quasi impossibile pensare ad un errore di formulazione, tale da equivalere a un vero e proprio lapsus, nella norma di cui si discute.

Ma vi è un altro motivo, di carattere più positivo, o addirittura determinante, che a mio parere possiamo, invocare per giustificare giuridicamente la conclusione fondata sull'interpretazione letterale: mi riferisco al principio dell'irretroattività.

Non dobbiamo infatti dimenticare che la decisione 22-54 costituisce il punto di partenza del sistema obbligatorio, che ha sostituito quello facoltativo, anteriormente autorizzato dall'Alta Autorità a norma dell'articolo 53 a) del Trattato, il quale cessava il 31 marzo 1954 (art. 4 della decisione 33-53 del 19 marzo 1953, modificato dalla decisione dell'11 dicembre 1953), con la conseguente sua liquidazione. Si sarebbe potuto stabilire, è vero, che le imprese già affiliate al sistema facoltativo continuassero a sopportare, nel nuovo sistema, contributi inerenti ad acquisti effettuati anteriormente all'entrata in funzione di quest'ultimo; ma la fondatezza e forse anche la legittimità di una soluzione del genere sarebbero state troppo esposte a contestazioni nei confronti dei «nuovi venuti», affiliati d'ufficio. Infatti, trattandosi di un sistema para-fiscale, il principio dell'irretroattività della legge fiscale, principio indubbiamente comune ai nostri sei paesi, avrebbe potuto legittimare la pretesa che i contributi gravassero solo sulle quantità di rottame che fossero oggetto di operazioni concluse a partire dall'entrata in vigore della decisione.

Né ha gran valore l'obiezione della convenuta, secondo cui la tesi della ricorrente porterebbe a una duplice infrazione per quanto riguarda il rottame acquistato prima del 1o aprile 1954, ma ricevuto dopo tale data. E questo il classico problema dell'applicazione della legge nel tempo che, a mio parere, dovrebbe nel presente caso essere risolto così: l'articolo 11 della decisione 14-55 stabilisce che «la presente decisione entrerà in vigore all'interno della Comunità il 1o aprile 1955», il che vuol dire che solo a partire da tale momento essa sostituisce la decisione precedente (salvo disposizioni in contrario, come, per esempio, quelle contenute nel 2o comma dell'articolo 11 per le importazioni); di conseguenza, l'assoggettamento a contributo del rottame acquistato all'interno della Comunità anteriormente al 1o aprile 1955, ma a tale data non ancora ricevuto, sarà regolato dalla nuova decisione (e precisamente dall'articolo 3 della decisione 14-55), tranne naturalmente il caso, del resto poco probabile, che il contributo sia stato già versato a norma della decisione 22-54.

La questione invece è importante, sì da richiedere una regolamentazione precisa, all'inizio e alla fine del sistema, e ciò sia per i contributi, sia per il versamento dei sussidi. E ciò è stato fatto per quanto riguarda la cessazione del sistema, dall'articolo 19 della decisione 2-57, cui è seguito, a causa della ulteriore proroga del regime in vigore, l'articolo 16 della decisione 16-58 del 24 luglio 1958. Per quanto riguarda invece la messa in opera del sistema, la questione è regolata dalla decisione 22-54: e precisamente, dall'articolo 2 che stabilisce il punto di partenza della concessione dei sussidi di perequazione agli importatori, e dall'articolo 3 che stabilisce il punto di partenza del versamento dei contributi. Quest'ultima norma, come abbiamo visto, è chiara, precisa e legalmente giustificata: i contributi sono dovuti solo per il rottame «acquistato» a partire dal 1o aprile 1954, si tratti di acquisti effettuati all'interno della Comunità o mediante importazione dai paesi terzi. A sua volta l'articolo 2 prevede che i sussidi di perequazione saranno attribuiti in ragione delle «importazioni effettuate» a partire dalla stessa data, e cioè dal 1o aprile 1954.

Quali sono le «importazioni effettuate»? Forse sarebbe più equo versare i sussidi di perequazione solo per le importazioni avvenute in seguito ad acquisti successivi al 31 marzo 1954; in tal modo infatti non si farebbe sopportare ai «nuovi venuti» parte di un onere relativo ad operazioni effettuate prima dell'entrata in vigore di un sistema che è loro imposto, onere che dovrebbe logicamente gravare soltanto su coloro, che avevano aderito al sistema volontario. Tanto più che una soluzione del genere sarebbe coerente con quanto è stato previsto per la fine del sistema obbligatorio (art. 19 della decisione 2-57 e art. 16 della decisione 16-58), e cioè con l'applicazione della perequazione anche alle importazioni di rottame ricevute dopo la data di cessazione del sistema, a condizione che si tratti di rottame acquistato prima di tale data.

Ma non sono sicuro che l'articolo 2 della decisione 22-54 consenta tale interpretazione forzata, sebbene i termini «importazioni. effettuate» siano più elastici dell'espressione «quantità di rottame acquistata» che ricorre nell'articolo 3 e che a mio parere esclude qualsiasi problema interpretativo. Ad ogni modo, siccome non è questo il problema che voi oggi dovete risolvere, è più che sufficiente constatare che, se non risultasse possibile forzare la lettera della norma nel senso sopra indicato, si dovrà semplicemente concludere che è necessario procedere a una revisione dei contributi dovuti in base alla decisione 22-54; ciò potrà anche risolversi, come sostiene l'Alta Autorità, in uno svantaggio per le imprese simili alle Forges de Clabecq, ma non certo nell'impraticabilità del sistema.

Sussistono poi altre questioni da risolvere, prima fra tutte quella relativa alla determinazione della data in cui possiamo ritenere avvenuti gli acquisti di rottame. Sorgono in proposito due problemi di carattere giuridico: quali sono le condizioni perché il contratto di vendita possa dirsi stipulato? è necessaria un'ordinazione effettuata secondo una determinata forma? basta un accordo orale, successivamente confermato? e così via. Su ciò, avete udito le discussioni avvenute nel corso del dibattimento orale. Si tratterà poi di applicare al caso di specie i principi che avrete stabilito e di accertare se le 20.682 tonnellate in contesto corrispondano effettivamente, e in quale misura,; ad acquisti anteriori al 1o aprile 1954. A questo proposito il «liberalismo» proprio alla vostra giurisprudenza, che si ispira agli usi e alle necessità del commercio, dovrebbe fornire utili indicazioni alle parti.

Ma, Signori, nel decidere d'un ricorso d'annullamento vertente su una questione di puro diritto e che riteniate di dover accogliere, voi non siete affatto obbligati di stabilire la quantità di rottame che in base alla vostra sentenza dovrà essere dichiarata esente dal contributo. Questo compito spetta infatti all'Alta Autorità, a norma dell'articolo 34 del Trattato.

Ed è proprio in conformità alle disposizioni di tale articolo che io concludo, chiedendo

che la decisione impugnata sia annullata;

che la pratica venga rinviata all'Alta Autorità, affinché questa adotti i provvedimenti richiesti dall'esecuzione della sentenza di annullamento;

e che le spese siano poste a carico dell'Alta Autorità.


( 1 ) Raccolta Vol. VIII, p. 625.