Conclusioni dell'avvocato generale
MAURICE LAGRANGE
17 ottobre 1963
Traduzione dal francese
Signor Presidente, signori giudici,
I — Sugli antefatti e sulle ricevibilità
Troppo noti vi sono i fatti, esposti nella relazione d'udienza e richiamati alla vostra memoria dalle eccellenti arringhe ascoltate la settimana scorsa, perché io me ne occupi a lungo.
Mi. limiterò quindi a ricordare che il Sig. Leroy, dipendente temporaneo dell'Alta Autorità dal 1o luglio 1959 in forza di un contratto della durata di un anno che è stato rinnovato due volte, di cui l'ultima fino al 30 giugno 1962, chiede l'annullamento:
| 1o | di una decisione del Presidente dell'Alta Autorità, che il ricorrente afferma notificatagli con lettera 5 settembre 1962 del Direttore generale dell'Amministrazione e delle Finanze, che respingeva la sua richiesta di passaggio in ruolo a norma dell'articolo 93 dello Statuto del personale della Comunità (ricorso 35-62); | 
| 2o | di una decisione del Presidente dell'Alta Autorità, dell'11 ottobre 1962, avente lo stesso contenuto. Chiede inoltre il risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimità delle decisioni impugnate. I due ricorsi, avendo il medesimo oggetto, sono stati riuniti; l'Alta Autorità ha però sollevato un'eccezione in merito al primo di essi, e sebbene si tratti di una questione che interessa esclusivamente la decisione sulle spese, ritengo necessario esaminarla in via preliminate. La convenuta sostiene che la lettera del 5 settembre 1962 non è una decisione, ma una semplice notifica della decisione del Presidente dell'Alta Autorità che è stata formalmente presa solo l'11 ottobre. Tale lettera è stata inviata al ricorrente nel suo stesso interesse: era infatti necessario avvertirlo immediatamente che si era deciso di non passarlo in ruolo; è vero che in quel momento la relativa decisione non era stata ancora formalmente adottata, ma è altrettanto vero che essa era ormai inevitabile, dato il parere negativo della Commissione; inoltre, il contratto del ricorrente sarebbe scaduto il 1o luglio 1962, e bisognava provvedere a determinare la sua nuova posizione dopo tale termine. Signori, può ben darsi che la lettera sia stata inviata prima che la decisione fosse presa, proprio nell'interesse del ricorrente; ma ciò non toglie che, dati i termini in cui essa era redatta («Sono spiacente di doverLa informare che il Presidente ha deciso: a) di non passarLa in ruolo a norma dell'articolo 93 dello Statuto»), il destinatario aveva legittimo motivo di ritenere che il Presidente dell'Alta Autorità, competente nel caso specifico, avesse già deciso, e che la lettera in questione servisse da notifica: è infatti illogico notificare una decisione non ancora avvenuta. Ora, non dimentichiamolo, il termine per il ricorso decorre dalla notifica, ed è normale che ci si preoccupi di non incorrere nella relativa decadenza. Per me la situazione è, sotto tale profilo, identica a quella su cui vi siete pronunciati con la sentenza 15-59, Société Métallurgique de Knutange,, 12 febbraio 1960 (Raccolta VI, p. 23 e 27) affermando che in circostanze del genere «il ricorso non poteva essere dichiarato irricevibile per i motivi indicati» e decidendo, per quanto riguardava le spese, che quelle afferenti al ricorso stesso dovevano essere sopportate dall'Alta Autorità, nonostante questa non fosse soccombente nel merito, perché la ricorrente era stata indotta a presentare due ricorsi invece di uno solo, con la conseguenza che le spese relative al primo di essi erano superflue. E perciò suggerisco di adottare anche qui lo stesso criterio, ponendo a carico della convenuta, qualunque sia la decisione di merito, le spese relative al ricorso 35-62. | 
II — Sul merito
Esaminiamo ora le quattro censure sollevate dal ricorrente:
| A — | La prima riguarda l'irregolarità del procedimento d'integrazione, e precisamente il fatto che non si sia sufficientemente rispettato il principio del contradittorio da esso richiesto. In effetti, al ricorrente non è stato concesso il confronto, dinanzi la Commissione, con il suo diretto superiore gerarchico, il cui r'apporto sfavorevole è stato l'elemento determinante del parere negativo della Commissione stessa, e ciò sebbene egli lo avesse chiesto; inoltre non gli è stato comunicato il verbale da cui risultano le osservazioni fatte e le delucidazioni fornite alla Commissione dal Direttore generale della divisione Economia-Energia. È questa la prima volta che la Corte deve decidere una questione relativa a un rifiuto di passaggio in ruolo, in base all'articolo 93 dello Statuto; è necessario quindi che io esamini con particolare cura il primo motivo del ricorso. Lo Statuto nulla dice in merito al procedimento dinanzi alla Commissione; afferma solamente, come ben sapete, che i pareri positivi della Commissione, e cioè quelli favorevoli all'integrazione, non vincolano l'autorità cui spetta procedere alla nomina, che invece deve conformarsi a un parere sfavorevole: è chiaro che in tal modo si attribuisce alla Commissione, nei confronti degli interessati, un ruolo decisivo, e che è nella fase del procedimento che si svolge dinanzi alla Commissione devono sussistere le garanzie normalmente richieste per decisioni del genere. Ma tali garanzie non sono espressamente previste, e devono quindi essere individuate. A tal fine, è necessario far riferimento all'oggetto della decisione. Il ricorrente ha con ragione posto in rilievo, nelle sue memorie, che siamo in presenza di un procedimento di assunzione, il cui scopo principale è quello di assicurare all'Amministrazione dei dipendenti di ruolo idonei ad espletare le funzioni che devono essere loro attribuite. Tuttavia, se si tratta di dipendenti già in servizio, che rispondono a certi requisiti, è naturale riconoscer loro una certa «legittima aspettativa» (per usare il termine della sentenza Kergall, che si adatta perfettamente alla presente situazione, anche se a volte si è cercato di forzarne il senso) d'assumere in qualità di dipendenti di ruolo gli impieghi già occupati, o altri impieghi dello stesso ramo amministrativo. Ecco quindi la necessità di garanzie che escludano decisioni arbitrarie. Ma tali garanzie non sono certo quelle di cui si sente l'esigenza in materia disciplinare (e, a maggior ragione, in materia penale): qui infatti non si tratta di garantire la possibilità di difendersi a un dipendente che ha uno Statuto, e al quale si fa carico di un atto suscettibile di privarlo dei diritti che gliene derivano, ma semplicemente di valutare, tenendo conto delle precedenti attività di servizio, la sua idoneità a svolgere, a titolo permanente, le funzioni corrispondenti al grado cui egli può aspirare. Il che implica un giudizio di valore, a carattere necessariamente soggettivo, che per sua natura rientra nell'esercizio del potere discrezionale. Tuttavia, per l'importanza di una simile decisione, e al fine di assicurare una certa coesione nel lavoro d'insieme richiesto da un meccanismo di integrazione, invece di far decidere all'autorità competente, su proposta del capo servizio, si è attribuito il compito di formulare tale giudizio a una' Commissione la cui stessa composizione è tale da offrire tutte le garanzie auspicabili all'Amministrazione e agli interessati. Stando così le cose, ritengo eccessivo, data la materia, voler condizionare la legalità di un rifiuto di integrazione al previo svolgimento di un procedimento interamente contradittorio, come avviene in materia giudiziaria o anche disciplinare. Per me è necessario, ma anche sufficiente, che la Commissione, prima di decidere negativamente, abbia esaminato l'intero fascicolo ed ottenuto eventualmente dal capo servizio, dall'interessato stesso, o in qualsiasi altro modo ritenuto idoneo, ogni altro supplementare elemento di valutazione che contribuisce alla formazione di un'opinione scevra di dubbi e di perplessità. E nella fattispecie ciò è indubbiamente avvenuto. La Commissione infatti non si è limitata a far proprio il giudizio nettamente sfavorevole e chiaramente motivato del capo servizio, superiore diretto del ricorrente, ma ha sentito il Direttore generale e anche lo stesso interessato che, informato delle osservazioni fatte dal Direttore generale, è stato invitato a fornire la propria versione. Si può quindi affermare che la Commissione, quando ha deciso, era veramente in possesso di tutti i necessari elementi di giudizio. È vero che essa ha creduto inutile procedere a un confronto diretto tra il ricorrente e il Direttore generale, ritenendo sufficienti le spiegazioni rispettivamente fornite, ma, dato il tipo di procedimento che, lo ripeto, è privo di qualsiasi carattere penale, poteva certamente farlo. Senza contare che nel verbale della riunione della Commissione del 20 giugno 1962 è detto testualmente: «Per quanto riguarda la richiesta di essere posto a confronto con i propri superiori gerarchici, il Sig. Leroy si dichiara soddisfatto delle informazioni avute dal Dott. Signorini, presidente della Commissione». Altrettanto irrilevante è il fatto che al ricorrente non sia stato comunicato, prima della decisione impugnata, il verbale contenente le informazioni date alla Commissione dal Direttore generale. E ciò non solo perché la Commissione, come sappiamo, gliene ha fatto oralmente un resoconto, ma anche perché, dopo la presentazione del ricorso, egli ne ha preso conoscenza; il verbale infatti è stato inserito nel suo fascicolo personale, e questo è stato prodotto in causa dall'Alta Autorità col numero 48-1. Ciò basta ad escludere che il resoconto orale, secondo l'Alta Autorità addirittura ancora più ampio e circostanziato del verbale stesso, avesse in realtà omesso di riferire su alcuni punti. È chiaro infatti che, se ciò fosse avvenuto, il ricorrente lo avrebbe senz'altro fatto notare nel ricorso. Ritengo quindi che il mezzo tratto dall'irregolarità del procedimento dinanzi alla Commissione debba essere respinto. | 
| B — | Il secondo mezzo riguarda l'insufficienza della motivazione della decisione impugnata, o meglio del parere della Commissione: è infatti tale parere, in quanto sfavorevole, che costituisce in realtà la vera decisione (ipotesi di competenza vincolata). Il ricorrente, basandosi sulla sentenza Lachmüller e altri, del 15 luglio 1960, relativa alla funzione della motivazione e ai requisiti che essa deve necessariamente avere, sostiene che il parere della Commissione è troppo genericamente motivato per consentirgli un'efficace difesa. Ed anche ammettendo che la Commissione abbia inteso far propria, entro certi limiti, la motivazione del rapporto del capo servizio diretto, non si ovvierebbe all'insufficienza della motivazione del parere, dato il carattere vago e del tutto soggettivo di tale rapporto. Nell'esaminare la fondatezza di tali affermazioni ritengo opportuno richiamare il contenuto e il tenore della motivazione della Commissione,. quale risulta dal verbale della riunione del 2 luglio 1962 e dalla nota del 16 luglio 1962, inviata dalla Commissione al Presidente dell'Alta Autorità, e che vi si riferisce; nel primo documento si rileva che «il Sig. Leroy non svolge in maniera soddisfacente le funzioni assegnategli ad interim», e nel secondo è detto che «la Commissione d'integrazione ha ritenuto, all'unanimità, di dover dare parere sfavorevole, in base al rapporto relativo al passaggio in ruolo steso dal superiore gerarchico dell'interessato, alle osservazioni di quest'ultimo in merito a detto rapporto, all'esame del suo fascicolo personale, e dopo aver sentito sia il Sig. Leroy che i suoi superiori gerarchici». E se confrontiamo il parere della Commissione con i documenti in esso richiamati, specialmente con i «dettagliati apprezzamenti» del rapporto concernente il passaggio in ruolo per quanto riguarda lo spirito d'iniziativa, l'attività e lo zelo, le qualità d'ordine, di metodo e di precisione, la puntualità, dobbiamo ammettere senza ombra di dubbio che la motivazione di tale parere è del tutto sufficiente. Inutilmente il ricorrente fa leva sul carattere soggettivo di tali apprezzamenti: solo in tal modo è infatti possibile valutare il comportamento complessivo di un soggetto, al fine di giudicare, sotto i vari punti di vista, la sua idoneità a svolgere determinate funzioni. | 
| C — | Il terzo mezzo, fondato sulla materiale inesattezza dei fatti posti dalla Commissione a fondamento del suo giudizio, è strettamente connesso al precedente. La censura del ricorrente riguarda i fatti che nel rapporto relativo al suo passaggio in ruolo hanno determinato la nota di «insufficienza»; a quanto egli dice sarebbe falso: 1o che il Leroy non ha mai avanzato proposte dirette a intraprendere nuovi studi; 2o che egli di regola non riusciva ad adempiere da solo ai compiti affidatigli; 3o che terminava i suoi lavori in ritardo. A dire il vero, solo un'approfondita indagine potrebbe accertare la fondatezza delle osservazioni critiche contenute nel rapporto su questi tre punti; e tale indagine è richiesta dall'interessato. Ma io concordo con l'Alta Autorità nel ritenere che, così facendo, si finirebbe col sostituire più o meno completamente il giudizio della Corte a quello dell'autorità competente. E ciò significherebbe estendere eccessivamente — e, per me, anche abusivamente — la portata della sentenza Mirossevich; nel caso allora deciso a favore dell'interessata, costei non era stata messa in grado di dimostrare le proprie capacità, dal momento che per tutta la durata del periodo di prova non le era stato affidato alcun lavoro, o tuttalpiù lavori assolutamente irrilevanti, mentre il ricorrente ha avuto ampiamente modo di mostrare le proprie capacità. Quindi l'unica constatazione possibile, sul punto che ci interessa, è che l'inesattezza materiale dei fatti posti a fondamento del parere della Commissione non risulta provata. | 
| D — | Ed eccoci al quarto mezzo, tratto dallo sviamento di potere, sul quale il patrono del ricorrente ha particolarmente insistito nella discussione orale. È questa una censura che, per sua natura, ha carattere soggettivo; ciononostante, la prova dello sviamento di potere deve risultare da elementi oggettivi, i quali, nella specie, attengono all'animosità personale dimostrata, nei confronti del ricorrente, dal suo superiore gerarchico, e cioè da colui che ha steso il rapporto relativo al passaggio in ruolo. La fondatezza di affermazioni del genere è sempre difficilmente accertabile. Nel caso in esame è certo che tra i due uomini esisteva un'effettiva incompatibilità, probabilmente dovuta a differenze di formazione e di carattere; purtroppo sono cose che accadono nei rapporti tra superiore e subordinato. Ma, ai fini del ricorso, ciò non basta; è necessario infatti dimostrare qualcosa di più, e precisamente che l'incompatibilità è degenerata in una animosità personale, e che il motivo determinante della decisione è da riscontrarsi proprio in tale animosità, e non invece in un comportamento dell'interessato atto a giustificare obiettivamente la constatazione della sua incapacità. E una prova del genere non è stata fornita. Nei primi tempi il comportamento e il lavoro del ricorrente sono stati considerati soddisfacenti; poi, egli ha presentato la propria candidatura al posto n. 31, istituito al fine di «completare» il posto n. 30 che egli ricopriva, dal momento che questo non era stato messo a concorso — e io mi domando il perché — : data la situazione, era più che naturale che il ricorrente chiedesse di ricoprire il nuovo posto, visto che il suo non era stato messo a concorso e che egli l'aveva occupato ad interim per più di un anno, il che, oltre tutto, era in contrasto con le norme vigenti. Ebbene, da quel momento le cose sono andate peggiorando. Come sapete, il posto n. 31 è stato assegnato a un funzionario olandese, di grado inferiore a quello del ricorrente, mentre il posto n. 30 è stato messo a concorso, dopo la cessazione del contratto del ricorrente (e precisamente il 18 aprile 1963). Come non pensare, in presenza di questi fatti, che l'Amministrazione cercasse di evitare, con vari accorgimenti, la nomina in ruolo del Leroy? Ma la presente controversia non verte sulle decisioni sopra menzionate, bensì sul rifiuto di integrazione a norma dell'articolo 93 dello Statuto; e in proposito dobbiamo semplicemente accertare se la decisione è stata effettivamente determinata dalla constatazione dell'incapacità del candidato. Ora non vi è alcun motivo per affermare il contrario. Anzi, sembra che la Commissione abbia tenuto conto anche delle circostanze su cui mi sonò ora soffermato, e che proprio per questo sia scesa ad un esame particolarmente accurato della situazione disponendo, ad esempio, di sentire il Direttore generale, e poi lo stesso interessato, invece di ritenere sufficiente il rapporto nettamente sfavorevole del capo servizio; sicché solo dopo essersi convinta che il ricorrente era inidoneo a svolgere le mansioni assegnategli, dopo la loro parziale modifica dovuta alla riorganizzazione del servizio, essa ha negato la nomina in ruolo. Manca insomma, a mio parere, la prova di uno sviamento di potere. | 
Concludo quindi chiedendo che i ricorsi siano respinti e che, ciononostante, le spese relative al ricorso 35-62 siano poste a carico dell'Alta Autorità.