Conclusioni dell'avvocato generale

MAURICE LAGRANGE

26 novembre 1959

Traduzione dal francese

Signor Presidente, Signori giudici,

L'esauriente trattazione scritta e le arringhe molto chiare che avete ascoltato la settimana scorsa mi permetteranno di condensare la mia argomentazione nel presente procedimento. Credo ad es. di poter omettere la cronistoria, sia pure per sommi capi, delle organizzazioni per la vendita in comune del carbone della Ruhr, dato che noi tutti cominciamo a conoscerla.

Ricorderò soltanto che l'assetto attuale si basa su convenzioni intervenute fra le imprese carbonifere, convenzioni che sono state approvate con quattro decisioni dell'Alta Autorità, 5, 6, 7 ed 8-56, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 13 marzo 1956; le prime tre concernono la vendita in comune da parte di tre uffici distinti e raggruppanti ciascuno un certo numero di imprese, mentre l'ultima riguarda determinati organismi comuni ai tre uffici suddetti. Le convenzioni erano state approvate per tre anni, dal 1o aprile 1956 al 31 marzo 1959. Durante tale periodo sono intervenute alcune modifiche dei termini dell'approvazione: le principali fra queste si riferiscono alla disciplina commerciale ed ai contratti di fornitura a lungo termine.

L'11 e il 12 dicembre 1958, le imprese minerarie raggruppate negli uffici di vendita hanno chiesto la proroga per un anno, cioè fino al 31 marzo 1960, delle approvazioni precedentemente concesse. L'Alta Autorità si è pronunziata su tali domande con la decisione 17-59 del 18 febbraio 1959, la quale è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 7 marzo ed è stata inoltre notificata per lettera a ciascuno dei tre uffici il 21 febbraio. Trattandosi infatti di una decisione individuale, la pubblicazione, necessaria di fronte ai terzi, non era sufficiente nei confronti dei destinatari: essa doveva essere inoltre notificata loro, a norma dell'art. 15, 2o comma, del Trattato.

Questa è la decisione impugnata, in alcune sue disposizioni, dai tre uffici e dalle imprese in essi raggruppate. Le conclusioni dei ricorsi sono dirette, come sapete, tanto contro determinate disposizioni della decisione, quanto contro determinate «prese di posizione» («constatations») contenute e nei considerandi della decisione e nelle lettere di notifica del 21 febbraio 1959.

Esaminiamo la decisione. Perfettamente ortodossa dal punto di vista formale, essa comprende un titolo e tre parti : «visti», considerandi e dispositivo. Il titolo è il seguente : «decisione… relativa alla proroga delle autorizzazioni concernenti le organizzazioni di vendita del bacino della Ruhr». I «visti» si riferiscono alle decisioni precedenti ed alle domande di proroga presentate l'11 e il 12 dicembre 1958.

Per quanto riguarda i considerandi, l'Alta Autorità inizia ricordando l'oggetto delle domande di autorizzazione. Segue un considerando di fondamentale importanza :

«considerando che le varie organizzazioni istituite in virtù delle decisioni dell'Alta Autorità per la vendita del carbone della Ruhr frequentemente non hanno osservato, nel loro effettivo funzionamento, le autorizzazioni; che le autorizzazioni non hanno dato i risultati sperati, in quanto i tre uffici di vendita non hanno in particolare sviluppato una politica di vendita indipendente; che è stato al contrario applicato un sistema di vendita uniforme incompatibile con le disposizioni del Trattato».

Quindi l'Alta Autorità espone i principi ai quali dovrà uniformarsi, a suo parere, la futura disciplina delle vendite del carbone della Ruhr :

primo principio :

«i modi di vendita del carbone della Ruhr destinati a sostituire le organizzazioni attuali dovranno risultare da decisioni indipendenti adottate dalle diverse società minerarie, mentre l'Alta Autorità provvederà a stabilire delle norme destinate ad evitare che, una volta di più, queste decisioni si risolvano in diritto o in fatto nella costituzione di un sistema uniforme fondato su organizzazioni omogenee»,

secondo principio :

«i modi di vendita dovranno presentare la massima efficacia possibile per migliorare il funzionamento del mercato comune del carbone e la situazione concorrenziale del carbone nel mercato dell'energia»,

terzo principio :

«nella misura necessaria alla continuità dell'impiego ed alla conservazion del reddito dei lavoratori, l'Alta Autorità autorizzerà le procedure e i meccanismi che le sembreranno opportuni; essa effettuerà all'uopo degli studi con i rappresentanti del governo, dei lavoratori e dei produttori».

Vengono poi due considerandi sulla necessità di non porre fine immediatamente al regime in vigore :

«considerando tuttavia che le difficoltà di smercio attuali dell'industria carboniera non consentono di far cessare fin da ora il sistema di vendita attualmente in vigore,

considerando che è di conseguenza necessario un adeguato periodo transitorio; che per questo motivo debbono essere accolte per un anno le domande di proroga delle autorizzazioni; che l'Alta Autorità si riserva di prorogare di un anno supplementare questo periodo transitorio per quanto riflette gli uffici di vendita, qualora la situazione nel settore dello smercio e dell'occupazione lo renda necessario; che al contrario per quanto riguarda l'Ufficio comune, la Commissione delle norme e i meccanismi finanziari comuni, questo periodo di transizione non potrà essere prorogato».

A questi fanno seguito dei considerandi piuttosto diffusi nei quali viene esposta la necessità di modificare le autorizzazioni anche per il periodo transitorio, in ispecie per quanto riguarda i contratti di fornitura a lungo termine e la disciplina commerciale. Per finire, due considerandi sui controlli terminano così : «che è infine opportuno studiare le modalità d'applicazione dei principi sopra menzionati ai fini della riorganizzazione della vendita del carbone della Ruhr».

Quanto al dispositivo della decisione, esso corrisponde esattamente ai considerandi: gli artt. 1 e 12 prorogano al 31 marzo 1960 le disposizioni delle decisioni precedenti relative alla vendita in comune ed agli organismi comuni. Gli articoli da 2 ad 11 contengono le nuove condizioni, di immediata applicazione, alle quali è subordinata l'applicazione delle convenzioni in materia di contratti di fornitura a lungo termine e di disciplina commerciale. L'art. 14 riguarda i controlli e lo studio del futuro assetto. Infine, l'art. 15 stabilisce che «la presente decisione entrerà in vigore il 1o aprile 1959 e cesserà di aver vigore il 31 marzo 1960».

Questa è la struttura della decisione in causa: chiedo venia di averne parlato con tanti particolari; ciò mi è parso necessario in considerazione dell'oggetto della controversia, la quale verte essenzialmente sulla natura giuridica di determinate disposizioni contenute, sia nei considerandi, sia in alcuni articoli del dispositivo'.

Sgombro il campo dal capo delle domande diretto contro l'art. 11 relativo alla disciplina commerciale, che le parti, d'accordo, considerano divenuto privo di oggetto dal momento che, dopo la presentazione del ricorso, una nuova decisione (36-59 del 17 giugno 1959) ha sostituito detto articolo del provvedimento impugnato.

Veramente ci si potrebbe chiedere se, dal punto di vista giuridico, dette conclusioni del ricorso siano realmente «divenute prive di oggetto» posto che, per quanto riguarda la disciplina commerciale, la decisione impugnata non è stata «revocata» con effetto retroattivo, ma soltanto «abrogata», il che trae conferma dall'art. 3 il quale recita : «la presente decisione entrerà in vigore il 1o luglio 1959 e cesserà di avere vigore il 31 marzo 1960»; quindi, per il periodo dal 1o aprile al 30 giugno 1959 la decisione impugnata è rimasta in vigore. A mio parere sarebbe più corretto intendere le conclusioni delle ricorrenti a questo proposito come una desistenza della quale va dato loro atto.

Dobbiamo ora prendere in esame le due altre categorie di capi delle domande: 1) quelli attinenti a determinati passi dei considerandi della decisione 17-59 e della lettera del 21 febbraio 1959 (capi da 1 a 6); 2) quelli attinenti all'art. 14, 2o comma, 2o inciso, della decisione 17-59 (capo n. 7).

I

Capi da 1 a 6 — Occorre considerare i capi 1 e 2 separatamente da quelli da 3 a 6. Nei primi viene fatto carico all'Alta Autorità di aver stabilito anticipatamente, senza che le fossero state presentate delle domande di autorizzazione ed inoltre senza che sia stato concluso alcun accordo in proposito, che gli organismi comuni degli uffici di vendita non potranno essere autorizzati al di là del 31 marzo 1960 e gli uffici di vendita stessi oltre il 31 marzo 1961. Quanto ai capi da 3 a 6, essi sono diretti contro le disposizioni le quali stabiliscono, del pari anticipatamente e senza che sia intervenuto alcun accordo, le condizioni che dovrà soddisfare, per poter essere autorizzata, qualsiasi futura organizzazione delle vendite di carbone della Ruhr: ciò riguarda il 5o considerando della decisione 17-59, che inizia in fondo alla pag. 280, ed i punti 2, a), b) e c) della lettera del 21 febbraio 1959.

Tutto il problema consiste nello stabilire se si debba ravvisare nelle disposizioni impugnate una decisione (od una raccomandazione) impugnabile mediante ricorso di legittimità a norma dell'art. 33.

Osservo, innanzitutto, che sull'impostazione giuridica le parti sembrano concordi. L'impostazione è la seguente: l'Alta Autorità può pronunziarsi mediante un provvedimento produttivo di effetti giuridici soltanto in forza dei poteri che le sono attribuiti dall'art. 65, n. 2, del Trattato ed inoltre secondo le modalità ivi prescritte. È perfettamente chiaro, e l'Alta Autorità lo ammette, che essa può statuire in proposito unicamente qualora le venga presentata una richiesta di approvazione di accordi per i quali tale autorizzazione sia necessaria. Essa ammette del pari di essere obbligata a pronunziarsi in ogni caso tenendo conto delle circostanze e della situazione in atto nel momento in cui gli accordi devono entrare in vigore e non già con un anno di anticipo.

Ciò riduce notevolmente l'ambito della controversia. Infatti se ne deduce che, se si deve ravvisare nelle disposizioni impugnate una decisione, questa è palesemente illegittima.

1.

In primo luogo e soprattutto essa sarebbe illegittima perchè inficiata da incompetenza : l'Alta Autorità non può pronunziarsi su una richiesta che non le è stata presentata ovvero, il che è lo stesso, essa non può, a proposito di una richiesta concernente un accordo concluso per un determinato periodo, stabilire anticipatamente le condizioni per l'eventuale approvazione di accordi non ancora conclusi e che riguarderebbero un periodo successivo. Così pure essa non può, mediante un provvedimento produttivo di effetti giuridici e vincolante per lei stessa, stabilire, sotto forma di enunciazioni di principio, i limiti delle future autorizzazioni. Il solo potere regolamentare che essa possiede in materia di autorizzazioni è quello enunciato nel . 3 dell'art. 65 concernente la natura degli accordi, delibere o pratiche che le devono essere comunicati: si tratta di un potere puramente formale il quale non le consente d'introdurre una specie di legislazione secondaria relativa alle condizioni materiali delle approvazioni.

2.

La decisione — qualora sussista — sarebbe inoltre illegittima perchè insufficientemente motivata. Infatti, la vera ragione di tale «rifiuto anticipato» di autorizzare in futuro il mantenimento dell'attuale organizzazione si concreta nel considerando che ho già citato (il 4o della pag. 280, 1a colonna) nel quale è detto che le organizzazioni, frequentemente non hanno osservato, nel loro effettivo funzionamento, le autorizzazioni; che le autorizzazioni non hanno dato i risultati sperati, in quanto i tre uffici di vendita non hanno in particolare sviluppato una politica di vendita indipendente; che è stato al contrario applicato un sistema di vendita uniforme incompatibile con le disposizioni del Trattato ».

Una simile condanna, la cui sola conseguenza logica potrebbe essere il rifiuto di concedere l'autorizzazione, sarebbe senza dubbio insufficiente, sia in diritto, sia in fatto, per giustificare giuridicamente tale rifiuto. È vero che l'illustre patrono dell'Alta Autorità ha fatto giustamente rilevare nella sua arringa che, poichè il principio posto dall'art. 65 è la nullità di diritto delle intese mentre l'approvazione delle stesse va considerata come l'eccezione, l'Alta Autorità doveva soprattutto preoccuparsi, nel motivare una decisione adottata in forza dell'art. 65, n. 2., di giustificare l'autorizzazione — dal momento che riteneva di doverla concedere — piuttosto che il rifiuto di concederla o le condizioni restrittive imposte per l'eventuale concessione. Questo vale soprattutto nel caso di un accordo concluso per la prima volta in un settore nel quale non ne esistevano prima di quel momento. Viceversa nell'ipotesi che, come nella fattispecie, esista un'organizzazione la quale funziona da parecchio tempo ed è sempre stata autorizzata, anche se a condizioni diverse, e si tratti soltanto di una richiesta di proroga, va da sè che il rifiuto di concederla — basato, non già su nuove circostanze, ma sull'affermata violazione delle condizioni precedentemente fissate, come pure su un certo mutamento di opinione da parte dell'Alta Autorità in merito ai principi fino a quel momento accolti (insomma su di un insuccesso del regime precedente) — deve essere adeguatamente motivato in fatto. Non va perso di vista che la concessione di una autorizzazione a norma dell'art. 65 n. 2, non è facoltativa. «Tuttavia l'Alta Autorità autorizza» gli accordi che soddisfano le tre condizioni enunciate: questo indicativo presente, usato intenzionalmente, manifesta il diritto alla concessione dell'autorizzazione nei casi in cui (a parere dell'Alta Autorità, evidentemente soggetto però al sindacato di legittimità della Corte) ne ricorrono i presupposti. Senza dubbio l'Alta Autorità può in ogni momento revocare un'autorizzazione o modificarne le condizioni, ma in tal caso essa deve dare atto che «in conseguenza di un mutamento delle circostanze l'accordo non soddisfa più le condizioni» prescritte, oppure che «le conseguenze reali di detto accordo o della sua attuazione sono contrarie alle condizioni imposte per la sua approvazione» : in tali casi essa deve del pari motivare la propria decisione.

Voi sapete del resto quanto diffusamente siano motivate d'ordinario le decisioni dell'Alta Autorità in materia, sia che si tratti di giustificare la concessione delle autorizzazioni, sia che queste vengano rifiutate, sia che, infine, vengano imposte condizioni restrittive.

3.

La decisione — sempre nell'ipotesi che essa sussista — sarebbe inoltre inficiata da violazione del Trattato? Questo mezzo è stato esplicitamente proposto.

Su questo punto era stato dedotto nei ricorsi, a sostegno del mezzo, qualche argomento o meglio, qualche affermazione. L'Alta Autorità ha ribattuto esponendo, in modo sommario e tuttavia abbastanza preciso, le ragioni per le quali essa riteneva che gli attuali organismi della Ruhr non avessero soddisfatto le condizioni contenute nelle autorizzazioni precedenti e non aderissero alle previsioni dell'art. 65. Orbene, nella replica le ricorrenti non insistono su questo punto e nemmeno se ne è fatto cenno nelle arringhe; si può dire che esse si rifiutano di discutere tale argomento. Dobbiamo considerare ciò come una confessione? Sono piuttosto del parere che le ricorrenti vogliano tenere in serbo degli argomenti per i ricorsi che si propongono d'introdurre in futuro contro ulteriori decisioni che non accolgano le loro richieste, il che confermerebbe l'opinione che la presente controversia ha carattere puramente procedurale, posto che le parti sono d'accordo sull'impostazione giuridica del problema, cioè sui limiti e presupposti degli interventi dell'Alta Autorità a norma dell'art. 65, 2o comma.

La conclusione è che la decisione, qualora sussista, dovrà essere annullata per incompetenza e per soprappiù, ove apparisse opportuno, per difetto di motivazione, ma non per violazione del Trattato, dato che la Corte, allo stato degli atti, non dispone degli elementi occorrenti per pronunziarsi su un problema a quanto pare molto difficile, se l'Alta Autorità non è ancora riuscita a risolverlo dopo sette anni di sforzi…

Perciò, delle due l'una: o, come l'Alta Autorità afferma, i passi impugnati dei considerandi della decisione e della lettera del 21 febbraio non hanno natura di «norme», sono privi di effetti giuridici e non ledono le ricorrenti, ed in tal caso queste non hanno alcun interesse ad agire e non hanno perciò veste per chiederne l'annullamento; oppure, come affermano le ricorrenti, le disposizioni di cui trattasi hanno natura di norme che producono una lesione ed in tal caso devono essere annullate. In ambedue le ipotesi, però, la situazione giuridica è la stessa: l'Alta Autorità rimane libera nelle sue future decisioni, anche se queste dovessero essere in contrasto con le prese di posizione enunziate nei considerandi e nella lettera, e, dal canto loro, le ricorrenti conservano il diritto d'impugnare, se del caso, senza restrizioni tali decisioni future quand'anche esse fossero in armonia con le attuali prese di posizione dell'Alta Autorità, le quali verrebbero in tal caso ripetute e sénza dubbio rese più esplicite, mentre gl'interessati avrebbero la più ampia facoltà di criticarle.

Ciò premesso, occorre tuttavia prendere partito. Da parte mia ritengo che non vi siano motivi che impongano di ravvisare nei passi impugnati delle decisioni (o raccomandazioni) ai sensi dell'art. 14 del Trattato. Motivi cosìfatti sarebbero in realtà necessari, posto che, dal punto di vista formale, le apparenze sono a favore dell'Alta Autorità: la decisione 17-59 è un provvedimento irreprensibile nella sua struttura, composto — come abbiamo visto — di un titolo, di «visti», di considerandi e di un dispositivo diviso in articoli. I considerandi costituiscono indiscutibilmente la motivazione. Quanto alla lettera del 21 febbraio 1959, si tratta — come ho detto — della notifica della decisione.

Orbene, qual'è l'oggetto di detta decisione? Statuire, a norma dell'art. 65, n. 2, in merito alle richieste di proroga per un anno presentate dalle ricorrenti. In quale senso si è pronunziata l'Alta Autorità? La risposta è contenuta negli artt. 1 e 12: le decisioni di autorizzazione precedenti, riguardanti la vendita in comune (art. 1) e gli organismi comuni (art. 12) vengono prorogate al 31 marzo 1960 il che significa, in termini precisi, che le domande di proroga non solo sono state accolte, ma anche per tutta la durata richiesta. Cionondimeno le condizioni dell'autorizzazione vengono modificate in determinati punti: i contratti di fornitura a lungo termine e la disciplina commerciale. A tale proposito, gli articoli da 2 a 10 fissano in modo preciso le nuove condizioni, le quali vanno applicate immediatamente ed alle quali gli accordi dovranno immediatamente uniformarsi.

Quanto ai considerandi, essi si dividono in due categorie chiaramente distinte: la prima ha lo scopo di giustificare la proroga concessa per un anno, in conformità alle richieste, e la seconda di giustificare le modifiche introdotte nelle condizioni dell'autorizzazione. Nella presente controversia dobbiamo occuparci della prima categoria. Qual'è il filo del ragionamento dell'Alta. Autorità in proposito? Essa inizia condannando il regime attuale e fa ciò, come abbiamo visto, in termini tali che ci si aspetterebbe un puro e semplice rifiuto di concedere l'autorizzazione. Indi, dopo aver indicato, in modo' molto generico, i principi ai quali dovrebbe a suo parere uniformarsi la futura disciplina (che a quanto pare essa non intende sopprimere completamente), essa aggiunge che, date le attuali difficoltà di smercio nell'industria carbonifera non è possibile porre termine già fin d'ora al sistema di vendita in vigore ed è perciò necessario un «adeguato periodo transitorio» durante il quale il sistema deve continuare ad essere applicato. Quale durata deve avere tale periodo? Di un anno, con eventuali proroghe, per gli uffici di vendita; di un anno, senza proroghe, per gli organismi comuni.

Conclusione: è opportuno accogliere le richieste di proroga nei termini in cui sono state formulate; questa conclusione si trova però soltanto nel dispositivo, agli artt. 1 e 12.

Senza dubbio, qualcuno potrebbe rilevare che se le richieste delle imprese minerarie e dei loro uffici sono state accolte, ciò è avvenuto per motivi molto diversi da quelli che devono averli indotti a concludere gli accordi ed a presentare le domande di autorizzazione. Orbene, l'illegittimità della motivazione può essere dedotta in un ricorso di legittimità introdotto contro un atto amministrativo; nella specie, però, le ricorrenti non chiedono l'annullamento degli artt. 1 e 12 della decisione 17-59, cosa questa che, a mio parere, esse avrebbero avuto il diritto di fare, dal momento che potevano avere grande interesse ad ottenere immediatamente una pronunzia sulla legittimità dei motivi esposti dall'Alta Autorità, senza dover attendere il momento in cui, dopo un anno, tali motivi sarebbero stati nuovamente posti a base di una decisione la quale avrebbe anche potuto avere effetto immediato. Se detto ricorso fosse stato accolto, l'Alta Autorità sarebbe stata obbligata ad adottare, con effetto retroattivo, una decisione d'autorizzazione conforme alle pronunzie della Corte. Ma, ripeto, le ricorrenti non hanno concluso nel senso sopra accennato ed hanno rinunziato, come abbiamo visto, a discutere la legittimità di merito dei motivi esposti: non è però questa una ragione per ravvisare nei motivi, in modo più o meno artificioso, una vera e propria «decisione» la quale, ove sussistesse, sarebbe per ciò stesso palesemente illegittima.

I precedenti invocati dalle ricorrenti, in ispecie la sentenza 8-55, non sono affatto pertinenti. È fuori di dubbio che la Corte ha più volte affermato che la natura «decisoria» di un atto, ai sensi dell'art. 14, non può essere determinata unicamente in base a criteri formali: tuttavia occorre anche che la presunta decisione produca, o possa produrre, effetti giuridici. La Corte, nella causa 8-55, ha — è vero — ravvisato una decisione in un brano di una lettera dell'Alta Autorità, ma ciò per il fatto che, in tale brano, l'Alta Autorità aveva stabilito una norma che avrebbe potuto trovare applicazione qualora se ne fosse presentata l'occasione: detta norma era compresa in una decisione d'insieme nella quale la Corte ha ravvisato una decisione generale, atta a produrre effetti giuridici e, conseguentemente, a servire da fondamento ad atti esecutivi.

Come abbiamo visto, la situazione nella fattispecie non è affatto la stessa: la decisione 17-59 è una semplice decisione individuale d'autorizzazione.

Signori, la verità è che l'Alta Autorità, nella fattispecie si è valsa contemporaneamente di due potestà diverse: in primo luogo essa, come era suo dovere, ha esercitato la potestà di provvedere, attribuitale dall'art. 65, n. 2, statuendo sulle richieste di autorizzazione che le erano state presentate e motivando tale decisione (favorevole sul punto di cui ci occupiamo) nel modo prescritto. Ma inoltre essa ha voluto adempiere ad un'altro compito — questa volta di natura non giuridica — cioè il dovere di agire «in stretta collaborazione con gli interessati», come dice l'art. 5, ultima parte, del Trattato, o ancora di «illuminare e facilitare la loro azione», come dice lo stesso art. 5 nel 2o comma. Orbene, un'azione in questo senso appariva particolarmente consigliabile nella specie. L'Alta Autorità non può certo pretendere di risolvere il difficile problema delle organizzazioni di vendita della Ruhr, di cui abbiamo parlato, mediante il puro e semplice esame in sede amministrativa e giuridica delle domande che le vengono volta a volta presentate. Sono necessari — ed è stato sempre così, fin dall'inizio — un'azione costante ed il mantenimento di stretti rapporti, sia con gl'interessati sia, con i governi.

È perciò naturale che — vista l'opinione che essa aveva finito per farsi della situazione, opinione in base alla quale il sistema autorizzato fino a quel momento avrebbe dovuto essere radicalmente mutato — essa ne desse notizia agli interessati con sufficiente anticipo. Se non avesse fatto ciò in quel momento e, un anno dopo, avesse deciso di rifiutare, puramente e semplicemente, qualsiasi proroga, essa si sarebbe esposta a critiche violente e pienamente giustificate. La linea seguita ha invece avuto l'effetto di porre gl'interessati di fronte alle loro responsabilità. Una volta adottata la decisione 17-59, essi potevano dichiararsi d'accordo ed accingersi a preparare nuove convenzioni, conformi ai principi stabiliti, oppure accettare il rischio di veder negata ogni ulteriore proroga — salvo il ricorso davanti alla Corte a tempo debito — oppure ancora mettersi immediatamente in contatto con l'Alta Autorità onde discutere con essa le modalità del futuro assetto: il periodo transitorio di un anno, nelle intenzioni dell'Alta Autorità, doveva servire unicamente a questo.

Indubbiamente sarebbe stato molto meglio, dal punto di vista giuridico, se le due potestà testè menzionate, così diverse fra loro, fossero state esercitate in concreto in modo distinto. Tuttavia ritengo sia compito del giudice il mettere le cose al loro posto e distinguere, nei considerandi della decisione 17-59, tra quelli che costituiscono la motivazione di una decisione adottata dall'Alta Autorità nell'esercizio di una determinata potestà e quelli che si riferiscono all'esposizione di una linea politica la conoscenza della quale è cionondimeno particolarmente utile agli interessati.

Per questo motivo, pur ammettendo che si può benissimo sostenere il contrario, Vi propongo di affermare che nessuno dei passi impugnati dei considerandi della decisione 17-59 costituisce un provvedimento impugnabile e che le domande, nei capi diretti contro detti passi, non sono ricevibili.

Quanto ho detto a proposito dei considerandi vale anche per la lettera del 21 febbraio 1959.

II

Le mie argomentazioni, per quanto riguarda il capo delle domande (n. 7) diretto contro l'art. 14, 2o comma, 2o inciso, della decisione, saranno molto più succinte.

Infatti, non riesco a comprendere, ad onta di tutto quello che è stato esposto per iscritto ed oralmente a questo proposito, in qual modo la disposizione impugnata potrebbe ledere le ricorrenti.

Ve ne rileggo il testo :

«L'Alta Autorità esaminerà d'altra parte se, ed in quale misura, sia necessaria una revoca od una modifica delle autorizzazioni prorogate dalla presente decisione».

Questo primo inciso non è stato impugnato. Quindi le ricorrenti stesse ammettono che l'Alta Autorità ha il diritto di prendere in esame il problema della revoca o modifica delle autorizzazioni in atto, il che in realtà rientra perfettamente nell'ambito dei suoi poteri. Ed in qual modo essa procederà a tale esame? Il secondo inciso ce lo dice :

«L'Alta Autorità incaricherà alcuni funzionari di riferire su questo punto e di studiare gli aspetti particolari che devono essere presi in considerazione in occasione di una riorganizzazione della vendita del carbone della Ruhr».

Cosa vi è di illegittimo nel dare incarico a detti funzionari di «studiare gli aspetti particolari» della progettata riorganizzazione? Le ricorrenti stesse non pretendono forse (ed a ragione) che l'Alta Autorità deve tener conto di tutte le circostanze di fatto e non limitarsi a delle opinioni astratte?

Mi sembra inutile, nel presente giudizio, esaminare quali siano i limiti ed i presupposti per l'esercizio dei poteri attribuiti all'Alta Autorità, in ispecie in forza degli artt. 47 ed 86. Basti constatare — cosa che mi pare evidente — che la disposizione impugnata non stabilisce alcuna norma atta a produrre effetti giuridici, vuoi sul piano normativo, vuoi nel caso concreto: si tratta di una semplice norma interna che è stata portata a conoscenza del pubblico.

Concludo :

che venga dato atto della desistenza delle ricorrenti per quanto concerne il capo delle domande diretto contro l'art. 11 della decisione impugnata,

che i restanti capi delle domande vengano respinti

e che le spese siano poste a carico delle ricorrenti.