Conclusioni dell'Avvocato Generale
MAURICE LAGRANGE
del 12 giugno 1956
Traduzione dal francese
SOMMARIO
Preambolo |
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I- I testi |
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II — Le decisioni impugnate |
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III — Le conclusioni delle ricorrenti |
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IV — I mezzi dei ricorsi |
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V — Ricevibilità dei ricorsi in relazione all'art. 33 |
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— se la parte della lettera 28 maggio 1955 che contiene la minaccia di sopprimere la perequazione, ha il carattere di una decisione (o di una raccomandazione) … |
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— se le due decisioni impugnate hanno il carattere di «decisioni individuali riguardanti» le ricorrenti . . |
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— se le decisioni impugnate sono inficiate da «sviamento di potere nei confronti» delle ricorrenti |
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— considerazioni generali |
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— applicazioni alla fattispecie |
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VI — Discussione del merito |
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— imposizione d'autorità dei prezzi |
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— imposizione di prezzi ribassati |
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— disgiunzione del listino dalla perequazione e la «selezione» |
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— la minaccia di sopprimere la perequazione |
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— determinazione dei prezzi del mercato comune, obiettivo dell'avvicinamento dei prezzi |
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— determinazione dei prezzi prevedibili al termine del periodo transitorio, limite dell'avvicinamento |
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— lo sviamento di potere |
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VII — Conclusioni finali |
Signor Presidente, signori Giudici.
Mi sia permesso in esordio di rendere un sincero omaggio non soltanto alla serietà, alla coscienza ed al talento — sui quali del resto facevamo assegnamento — degli avvocati che si sono avvicendati in questo dibattito, ma anche al modo veramente egregio in cui sono riusciti, nel discutere una causa così arida e vasta, e con ciò piuttosto difficile da seguire malgrado il valore delle memorie, a chiarire il litigio, a permettere di concentrare l'attenzione sui punti essenziali, a ridurre il numero dei punti controversi pur meglio sottolineandoli, ed infine, ed è questo a mio avviso il risultato più notevole, a raffrontare sempre le tesi giuridiche anche le più dotte con la realtà dei problemi e facendo della loro applicabilità a tale realtà il banco di prova delle tesi sostenute. Questo è, lo sappiamo tutti, il compito del Magistrato il quale non ha da costruire teorie ma da rendere giustizia. La denominazione forse un po' vieta di «ausiliari della giustizia» è stata di rado così ben meritata come dai patroni delle parti in questa difficile causa.
Questa «situazione» di cui io mi limito a dare atto, ciò che non mi impedisce di valutarla in modo adeguato, semplifica notevolmente il mio compito e, per cominciare, mi dispensa dall'esporre nel suo complesso il problema dell'integrazione delle miniere belghe nel mercato comune.
I - I TESTI
Quale introduzione al mio dire mi limiterò a ricordare schematicamente le principali disposizioni previste dalla Convenzione sulle Disposizioni transitorie per far fronte a questo problema e fra le quali vi è il paragrafo 26 - 2 a) la cui controversa interpretazione ha dato origine alla presente causa.
Tali norme sono:
1o |
quelle di portata generale contenute nel paragrafo 23 che riguardano il riadattamento e consentono di facilitare il finanziamento dei programmi di trasformazione per la creazione di nuove attività e di concedere sovvenzioni non rimborsabili per la riqualificazione professionale dei lavoratori con maggior larghezza di quanto il Trattato preveda nonch7 di concedere, in determinate condizioni, delle sovvenzioni non rimborsabili alle imprese costrette a cessare la loro attività a seguito dell'istituzione del mercato comune; |
2o |
le specifiche disposizioni per il carbone del paragrafo 24 che ampliano il campo d'applicazione delle norme sui modi di quotazione e consentono l'adozione di prezzi di zona in casi non previsti dal Trattato e che autorizzano inoltre a mantenere ed a istituire Casse e sistemi nazionali di compensazione alimentati da prelievi sulla produzione nazionale; |
3o |
infine le disposizioni, pure specifiche, per il carbone e particolari al Belgio ed all'Italia, previste nei paragrafo 25, 26 e 27. Esse si possono così riassumere:
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Voi sapete pure che dei due «compensi addizionali» previsti dal paragrafo 26-2 (e che sono denominati «perequazioni b e c») uno, la «perequazione b» destinata alla siderurgia belga per permetterle di affrontare la concorrenza del mercato comune senza risentire danno dal regime speciale del carbone belga, non è stato applicato; soltanto la «perequazione c», prevista a favore degli esportatori di carbone belga nel mercato comune è stata concessa ma ciò è stato fatto in vista di circostanze del tutto estranee all'attuale controversia. Rimane dunque la «perequazione a» cioè quella «… destinata dall'inizio del periodo transitorio: a) a permettere di avvicinare ai prezzi del mercato comune per l'insieme dei consumatori di carbone belga su detto mercato, i prezzi di tale carbone in una misura che li riduca all'incirca ai costi di produzione prevedibili alla fine del periodo transitorio. Il listino stabilito su tali basi non può essere variato senza il consenso dell'Alta Autorità.»
Ecco i testi.
II — LE DECISIONI
Delle decisioni vorrei ricordare soltanto l'essenziale:
A.— |
Con decisione No 1-53 del 7 febbraio 1953 (Gazzetta Ufficiale della Comunità del 10 febbraio 1953) l'Alta Autorità stabilì le modalità di commisurazione e di riscossione del prelievo di perequazione previsto dal paragrafo 25 della Convenzione. Con lettera di pari data, pubblicata sullo stesso numero della Gazzetta Ufficiale l'Alta Autorità notificò ai Governi degli Stati [membri della Comunità l'istituzione del meccanismo di perequazione: si tratta di una formalità molto importante dato che in forza del paragrafo 8 della Convenzione è tale comunicazione che segna la data d'apertura del mercato comune per il carbone e di conseguenza l'inizio del periodo transitorio ai sensi del paragrafo 1-4 della citata Convenzione. |
B. — |
Nella Gazzetta Ufficiale della Comunità del 13 marzo 1953 veniva pubblicata tutta una serie di decisioni relative ai prezzi del carbone della Comunità con le quali si fissavano prezzi massimi ed in alcuni casi, prezzi di zona. Due di tali decisioni riguardano il carbone belga:
Tale è il regime col quale, salvo alcune modifiche di poco conto, il sistema di perequazione ha funzionato sino all'entrata in vigore delle decisioni del 28 maggio 1955 che lo hanno profondamente modificato. |
C. — |
Tali decisioni, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Comunità del 31 maggio 1955 sono pure due:
Il primo comma di tale lettera si richiama alla costituzione, d'accordo col Governo belga, di una «Commissione mista» incaricata di studiare nel suo complesso il problema dell'integrazione delle miniere belghe nel mercato comune al termine del periodo transitorio, alle posizione assunta dal Governo belga di fronte alle conclusioni della Commissione ed all'accordo raggiunto fra detto Governo e l'Alta Autorità sui provvedimenti atti a garantire l'integrazione nelle condizioni ed entro i termini previsti dalla Convenzione relativa alla Disposizioni transitorie. Nel secondo comma l'Alta Autorità dichiara: «si riconosce di conseguenza che l'aiuto concesso alle miniere belghe mediante la perequazione deve essere integrato da un complesso di provvedimenti che incombono al Governo belga. L'Alta Autorità ritiene in particolare che il riordinamento della perequazione deve essere subordinato ad un'azione di codesto Governo nel senso qui sotto indicato …» Segue l'enunciazione di quattro provvedimenti: i due primi d'ordine finanziario, il terzo riguarda la creazione e l'ampliamento di centrali termiche nelle miniere ed il quarto (lo cito perchè è uno dei punti controversi della causa): «sopprimere, d'accordo con l'Alta Autorità, i sussidi di perequazione alle imprese che non effettuino la riattrezzatura nella misura ritenuta possibile e necessaria nonchè a quelle che rifiutino di fare le cessioni e le permute di giacimenti ritenute necessarie per una migliore sistemazione dei campi di coltivazione». Il terzo comma ha tratto al nuovo ordinamento del sistema di perequazione. Frammischiando continuamente commenti e norme vere e proprie, il che è una caratteristica delle «decisioni» emanate in forma di lettera e pubblicate soltanto nella rubrica «informazioni», cosa molto in uso all'Alta Autorità, questa espone gli scopi della sua nuova politica: avvicinare vieppiù i prezzi del carbone belga a quelli del mercato comune e garantire un più efficace impiego dei fondi provenienti dai prelievi di perequazione il cui ammontare sarà ridotto d'anno in anno in applicazione del sistema decrescente previsto dal pragrafo 25 della Convenzione. L'Alta Autorità spiega perchè ha modificato il listino dei prezzi (modificazione attuata con la decisione No 22-55) poi perchè e come essa intende attuare la graduale esclusione dal beneficio della perequazione di talune pezzature (carboni ad uso domestico per i quali la domanda «sempre assai superiore all'offerta nel mercato comune assicura durevolmente lo smercio senza l'intervento di alcun aiuto di perequazione»), nonchè l'esclusione di talune imprese e precisamente quelle della Campine «cui la favorevole ubicazione e le riserve sfruttabili per lunghi anni, permettono di concentrare gli scavi ad un solo piano mediante un'unica sede» e queste miniere sono nominativamente indicate, dice l'Alta Autorità, in base alle segnalazioni di codesto Governo: trattasi delle tre imprese ricorrenti nella causa No 9-55. Infine, dopo alcune altre disposizioni di cui una relativa alla soppressione dell'assegnazione speciale di 200 milioni di sovvenzioni convenzionali, l'Alta Autorità (nel quarto comma della lettera) . richiamandosi alla decisione No 22-55 che stabilisce i prezzi di vendita, annuncia che fisserà una tabella dei tassi di perequazione, tabella che fu poi pubblicata in allegato alla lettera. Da tale tabella risulta che è stato abbandonato il precedente sistema in base al quale i versamenti di perequazione corrispondevano alla differenza fra il listino di vendita ed il listino di conto: la nuova tabella si limita a fissare il tasso di perequazione per tonnellata di ogni pezzatura e categoria. Per le pezzature il cui prezzo viene reso libero e per le imprese cui vengono soppressi i sussidi di perequazione non è indicato alcun tasso. Ecco le due decisioni che la Fédération Charbonnière de Belgique — FÉDÉCHAR (ricorso No 8-55) nonché le tre società di cui al comma 3 b) della lettera 28 maggio (ricorso No 9-55) hanno impugnate davanti a voi mediante un ricorso d'annullamento basato sull'art. 33 del Trattato. |
III — CONCLUSIONI DELLE RICORRENTI
A. — |
Nel ricorso No 8-55 della Fédération Charbonnière de Belgique, si conclude:
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B. — |
Nel ricorso delle tre società No 9-55 le conclusioni, in forma un po' diversa e che dà rilievo sopratutto a quella parte della decisione contenuta nella lettera e che riguarda direttamente le tre ricorrenti, hanno in realtà lo stesso oggetto di quelle formulate nel ricorso No 8-55. |
IV — MEZZI DEI RICORSI
Mi sembra superfluo richiamare dettagliatamente i mezzi fatti valere nei ricorsi e ciò tanto più che dovrò ritornarvi. Osservo soltanto che fra essi ve n'è uno il cui carattere lo fa nettamente distinguere dagli altri: si tratta del mezzo di sviamento di potere tratto dalla asserita circostanza che la decisione impugnata (la decision No 22-55) sarebbe stata adottata «su intervento del Governo belga al fine di giovare agli obiettivi specifici della politica economica di tale Governo». Tutti gli altri mezzi hanno tratto alla violazione di disposizioni del Trattato o della Convenzione, in ispecie dei paragrafi N' 24, 25 e 26 della Convenzione sui quali, come l'abbiamo visto, questa materia si l'onda, degli artt. 5 e 57 del Trattato ai sensi dei quali l'Alta Autorità adempie al suo compito con interventi limitati e ricorre di preferenza ai mezzi di azione indiretti di cui dispone e dell'art. 4 b del Trattato che vieta le discriminazioni. Questi altri mezzi del resto, sono pure fatti valere congiuntamente ad uno sviamento di potere ma che riguarda diretta mente il misconoscimento del testo richiamato.
Faccio tuttavia osservare che fra i mezzi enunciati nel ricorso No 8-55 ve ne sono due che non figurano nel ricorso No 9-55 e precisamente:
1o |
il mezzo tratto dalla circostanza che la decisione impugnata (trattasi della decisione No 22-55) ha fissato dei prezzi senza tener conto dei costi di produzione prevedibili al termine del periodo transitorio il che starebbe in contrasto con quanto dispone il paragrafo 26 - 2 a della Convenzione (ricorso No 8-55, I-3). |
2o |
il mezzo di sviamento di potere. |
Soltanto nella replica le società ricorrenti si allineano completamente sulla FÉDÉCHAR e sostengono per loro conto tali due mezzi. Ora, come la sapete, è nel ricorso, presentato entro un termine perentorio, che devono essere enunciati almeno sommariamente, i mezzi invocati e formulate le conclusioni (art. 22 dello Statuto della Corte).
Per il primo di questi due mezzi si potrebbe ammettere anche che le tre società, denunciando la violazione delle disposizioni del paragrafo 26, 2a, seppure in relazione ad altri punti, abbiano adempiuto alle formali esigenze dell'art. 22 (ciò è però molto discutibile) ma è certo impossibile fare un analogo sforzo interpretativo riguardo allo sviamento di potere. Io vi propongo pertanto di dichiarare irricevibile quest'ultimo mezzo per quanto riguarda il ricorso No 9-55. Ciò del resto non ha pratica importanza perchè dovrete esaminare questo stesso mezzo in relazione al ricorso No 8-55.
Per esaurire questa questione dei mezzi d' impugnazione devo ancora dire brevi parole su un rilievo fatto dall'Alta Autorità nella comparsa di risposta al ricorso No 9-55 (paragrafo 9, pag 12); dice l'Alta Autorità: «la Corte constaterà che per quanto riguarda la decisione No 22-55, le ricorrenti si limitano a denunciare “l'illegittimità” della decisione — senza che se ne possa ricavare di quali dei mezzi enunciati nell'art. 33 si tratti —, nonchè a far richiamo ad un altro ricorso — quello presentato dalla Fédération Charbonnière de Belgique — contro la stessa decisione. È quindi dubbio se, tenuto conto di quanto prescrive l'art. 29 del Regolamento della Corte, questa parte del ricorso è ricevibile. Su ciò l'Alta Autorità si rimette alla saviezza della Corte».-
Signori, per quanto ha tratto al richiamo fatto al ricorso No 8-55 io penso che nella specie esso sia ammissibile. I due ricorsi infatti sono strettamente connessi; sono stati presentati lo stesso giorno, hanno lo stesso oggetto e, salvo per ciò che ho detto or ora, essi si basano sugli stessi mezzi; le società che han presentato il ricorso No9-55 fanno parte della Fédération Charbonnière de Belgique che ha introdotto il ricorso No 8-55. Voi stessi avete disposto l'unione delle due cause per la discussione orale e non è escluso che anche la vostra pronuncia si concreti in un'unica sentenza: trattasi in ogni caso d'una questione di mera opportunità e, come mi sembra evidente, nessuna norma giuridica si oppone alla mia tesi. Stando così le cose ritengo ammissibile che invece di esporre un mezzo si sia fatto espresso richiamo al ricorso di un altro ricorrente posto che il mezzo è ben chiaramente enunciato ned ricorso stesso. Quando invece il mezzo non è enunciato nel ricorso, quando questo non ne fa parola, la violazione dell'art. 22 dello Statuto e con ciò dell'art. 29 del Regolamento che gli è identico su questo punto è evidente. Come ho già detto, ciò riguarda soltanto il mezzo di sviamento di potere e forse anche, ma ho dei dubbi, il mezzo tratto dalla circostanza che la decisione No 22-55 non avrebbe tenuto conto dei costi di produzione prevedibili al termine del periodo transitorio.
V - RICEVIBILITÀ DEI RICORSI IN RELAZIONE ALL'ART. 33
Giungiamo così alle questioni più importanti sulla ricevibilità, quelle che sorgono in relazione all'art. 33 comma 2o del Trattato.
Riprendiamo il testo: «le imprese e le associazioni, previste dall'art. 48, possono presentare, nelle medesime circostanze, un ricorso contro le decisioni e le raccomandazioni singole che le riguardano o contro le decisioni e le raccomandazioni generali che esse ritengono inficiate da sviamento di potere nei loro confronti».
Le tre società ricorrenti nella causa N o9-55 sono delle impresenel senso indicato dall'art. 80 del Trattato; la Fédération Charbonnière de Belgique è un'associazione d'imprese secondo la definizione che ne dà l'art. 48. La qualità delle ricorrenti è quindi ben stabilita. Ma vanno esaminati tre quesiti che han tratto, almeno in parte, alla ricevibilità dei ricorsi. Si tratta dei seguenti quesiti:
1o |
La lettera del 28 maggio, nel passaggio che contiene la minaccia di sopprimere la perequazione, ha il carattere di una «decisione» o per lo meno di una «raccomandazione»? |
2o |
Le due decisioni impugnate hanno in tutto od in parte il carattere di «decisioni individuali che riguardano» le ricorrenti? |
3o |
Ove alle decisioni non fosse riconosciuto tale carattere, sono esse «inficiate da sviamento di potere nei loro confronti»? |
Se il primo di tali quesiti involge soltanto una questione di specie ben diverso è il caso per gli altri due che han tratto all'interpretazione dell'art. 33 su punti che la vostra giurisprudenza ha sinora solo in parte risolti.
La parte della lettera 28 maggio 1955 che contiene la minaccia di sopprimere la perequazione ha il carattere d'una decisione (o d'una raccomandazione)?
Può far meraviglia che la stessa Alta Autorità, la quale del resto ha sollevato la questione soltanto all'udienza, non sappia bene se ha inteso emanare in proposito una decisione o no. E' invece meno strano che i legali che rappresentano l'Alta Autorità davanti a voi abbiano avuto qualche scrupolo in proposito e ve l'abbiano esposto perchè si deve riconoscere che la questione è piuttosto dubbia.
Ritengo anzitutto non si tratti comunque di una «raccomandazione» nel senso che quest'espressione assume nell'art. 14 del Trattato cioè di una decisione sugli scopi da raggiungere ma che non si esprime sui mezzi idonei a conseguire tali scopi. Qui infatti i mezzi sono ben definiti. Ma trattasi di una decisione?
La forma in cui la lettera si esprime su questo punto indurrebbe a negarlo. La frase comincia, ve lo ricorderete, con queste parole: «L'Alta Autorità ritiene in particolare che la revisione della perequazione deve essere subordinata ad un'azione di codesto Governo nel senso definito qui di seguito …»: dunque da un lato si tratta di un'opinione e dall'altro di un'azione del Governo belga.
Tuttavia io penso che nella realtà dei fatti si tratti di una decisione cioè di un atto che ha o poteva avere effetti giuridici, di un atto che è o poteva essere pregiudizievole ad alcuno («faisant grief»).
Infatti, se pur si tratta di un'opinione essa è accompagnata, l'avete notato, dalla parola «deve» (dev'essere subordinata…). D'altronde, per quanto riguarda la quarta delle modalità indicate nella lettera, cioè quella di cui qui si discute, la sua attuazione non dipende, come per le altre, dal solo Governo belga bensì da un provvedimento la cui esecuzione spetterebbe a tale Governo ma che deve a tal effetto agire «d'accordo con l'Alta Autorità». E' detto infine più oltre che «l'Alta Autorità si riserva il diritto d'intervenire presso il Governo belga per vigilare sull'esecuzione dei programmi di riattrezzatura in corso nonchè sull'esecuzione di ogni provvedimento che riguardi la razionalizzazione ed il risanamento dell'industria carbonifera belga»: ciò mette bène in luce la manifesta volontà dell'Alta Autorità di partecipare al controllo dei provvedimenti che le imprese devono attuare e la cui corretta applicazione condiziona, a suo avviso, il versamento dei sussidi di perequazione a tali imprese. Se ad un dato momento l'Alta Autorità, in esito ad un siffatto controllo, ritenesse dover sopprimere i sussidi di perequazione e che ottenesse a tale effetto il consenso del Governo belga, non vi è dubbio che essa potrebbe trovare in tale brano della lettera la base legale di un provvedimento del genere. Così, se come penso, dobbiamo basarci sul criterio materiale e non formale, si tratta di una «decisione» nel senso voluto dall'art. 14 del Trattato, impugnabile in virtù dell'art. 33.
Le due decisioni impugnate hanno il carattere di «decisioni individuali riguardanti» le ricorrenti?
Vi è noto che le parti concordano su due punti: da un lato l'Alta Autorità riconosce, con le ricorrenti, il carattere individuale della decisione contenuta nella lettera 28 maggio in quanto sopprime la perequazione o l'accorda in misura ridotta alle tre miniere della Campine nominativamente indicatevi; dall'altro lato le ricorrenti, almeno nelle arringhe dei loro patroni, si sono dichiarate d'accordo con l'Alta Autorità per riconoscere carattere generale alla decisione (se, come ritengo, decisione vi è) per quanto ha tratto alla minaccia di sopprimere la perequazione.
E' ovvio tuttavia che l'accordo delle parti su tali punti non impegna la Corte alla quale sola compete di dare la vera qualifica giuridica alle decisioni deferitele e che inoltre la questione deve essere esaminata nel suo complesso.
A questo riguardo, signori, troviamo già alcune interessanti indicazioni nella vostra recente sentenza del 23 aprile 1956«Groupement des industries sidérurgiques luxembourgeoises» e nelle conclusioni che il mio collega Roemer ha formulato in quella causa.
La sentenza è in parte una pronuncia di specie. Su un punto importante però ha il carattere di una decisione di massima e precisamente là ove statuisce che «ciò posto, affinchè un'impresa od un'associazione possa ricorrere contro una decisione od una raccomandazione, basta che tali provvedimenti non siano generali ma abbiano il carattere d'un provvedimento individuale anche se tale carattere non si manifesti rispetto al ricorrente stesso..» Si tratta in sostanza di un'interpretazione ampia dell'espressione «che le riguardano» e che non è sinonimo di «di cui sono destinatarie». Come lo fece osservare l'Avvocato Generale Roemer nelle sue conclusioni, l'interpretazione restrittiva che non teneva alcun conto dell'oggetto materiale della decisione, avrebbe condotto a dei risultati poco soddisfacenti: ad esempio, la soppressione di un onere speciale riguarda, dal punto di vista formale, colui che prima ne era gravato ma essa concerne in realtà chi in precedenza ne traeva vantaggio. In quella fattispecie vi era una situazione inversa: la decisione implicita impugnata rifiutava di sopprimere un onere che ad avviso del ricorrente, aveva il carattere di un onere speciale illegittimo e per il quale esso era uno dei principali contribuenti: è evidente che i veri interessati erano coloro su cui l'onere gravava e non quelli che ne traevano vantaggio. Questa è la ragione per cui avete ammesso che la decisione, la quale per la sua natura aveva carattere individuale, «riguardava» il ricorrente benchè egli non ne fosse il destinatario.
Così, signori, si è scartata l'interpretazione rigida è restrittiva del testo ed io penso che questa volta le ricorrenti non se ne dorranno. Essa è stata scartata per far posto ad un'interpretazione che cerca d'ispirarsi al concetto d'interesse il quale, come l'ho ricordato nelle mie conclusioni sulle causa N o3-54 e No4-54 (Raccolta I, pag. 176), è inerente al ricorso d'annullamento. Non si tratta senza dubbio di un interesse qualsiasi e, come l'ho pur detto, il Trattato anziché rimettere alla Corte la cura di elaborare una giurisprudenza adeguantesi ai vari casi di specie, ha preferito disciplinare lui stesso d'autorità tale questione. Come il mio collega Roemer, con una penetrante analisi, l'ha messo in luce nelle sue conclusioni già citate, il Trattato l'ha fatto sia enunciando la lista delle persone che hanno 'diritto di agire (art. 33, 1o comma, che riconosce diritto illimitato di ricorrere agli Stati membri ed al Consiglio), sia concretando l'interesse mediante una definizione (è il caso delle imprese ed associazioni di cui il 2o comma dello stesso articolo e per le quali l'interesse è riconosciuto a condizione che si tratti di «decisioni individuali che le riguardano»); il mio collega ha ricordato che quest'ultimo modo di procedere si ritrova in diversi ordinamenti nazionali, in ispecie nel diritto germanico (che giunge sino ad esigere la lesione d'un diritto).
Ma se il Trattato ha così disposto, mediante enumerazione o definizione, in un modo che lega il giudice, questo ha cionondimeno il diritto — io dico anche il dovere — d'ispirarsi al concetto che sta alla base della materia — cioè al concetto d'interesse — per interpretare il testo in tutti i casi in cui un margine d'incertezza permane. Io penso di mantenermi così entro i limiti di una sana dottrina interpretativa dei testi — anche internazionali — e sulla linea indicata dalla vostra sentenza del 26 aprile 1956.
Il problema è dunque quello di stabilire ciò che è una decisione individuale e ciò che è una decisione generale. Come l'ha fatto osservare il mio collega Roemer — di cui anche su questo punto condivido pienamente l'opinione — nelle sue conclusioni in merito alle cause lussemburghesi, ci possiamo qui richiamare agli ordinamenti nazionali soltanto con grande prudenza, ciò per la duplice ragione che essi generalmente, tengono conto di considerazioni diverse da quelle che il Trattato ha in vista, e che in quegli stessi ordinamenti la distinzione viene spesso fatta in base a criteri piuttosto oscuri.
Ciò che è relativamente chiaro è la distinzione fra il regolamento — cioè l'atto destinato a disciplinare una situazione generale ed impersonale mediante disposizioni normative e che dal punto di vista materiale almeno, ha carattere analogo a quello della legge che esso è spesso destinato ad integrare — e l'atto individuale il quale ha lo scopo di applicare la norma ad una persona determinata (ad esempio una sanzione, un'autorizzazione, od il rifiuto d'autorizzazione). Ma la difficoltà proviene dal fatto che fra i due estremi esiste tutta una serie di casi intermedi. Per alcuni la scelta è facile: ad esempio, le decisioni collettive sono in realtà soltanto la giustapposizione di varie decisioni individuali (così un quadro d'avanzamento per i funzionari). Ma in altre ipotesi la difficoltà è maggiore. Così, ad esempio, nei casi in cui la decisione si applichi ad una situazione concreta e che essa disciplina direttamente, senza tuttavia che le persone destinatarie del provvedimento siano nominativamente designate, e persino senza che sia possibile sapere, se non mediante uno speciale esame dei casi individuali, quali persone la decisione riguarda.
Per sostenere un'interpretazione restrittiva del concetto di decisione individuale si potrebbe essere indotti a far richiamo all'art. 15 del Trattato secondo il quale «le decisioni e raccomandazioni, quando hanno carattere individuale, obbligano l'interessato in forza della notifica che gliene è fatta», mentre negli altri casi esse divengono applicabili per il solo fatto della loro pubblicazione. Ma io penso col mio collega Roemer, il quale ha pure esaminato questo punto, che queste disposizioni hanno essenzialmente lo scopo di far sapere quando è sufficiente la pubblicazione perchè la decisione assuma efficacia obbligatoria e ciò interessa sopratutto rispetto ai termini per ricorrere.
Io penso, signori, che per risolvere le difficoltà in ciò che ho denominato «i casi intermedi», sarebbe opportuno ricorrere, almeno sussidiariamente, ad un criterio soggettivo di relatività voglio con ciò dire che una decisione la quale, per ipotesi, non abbia carattere normativo e sia destinata a disciplinare direttamente una situazione concreta potrà essere considerata una decisione individuale nei confronti delle persone, imprese o associazioni su cui essa, considerata nel suo insieme, immediatamente e direttamente incide. Il carattere individuale dovrà invece non riconoscersi alla stessa decisione nei confronti delle persone sulle quali essa non incide diretta-mente o cui solo parzialmente si riferisce. Deve trattarsi di una correlazione non già matematica ma abbastanza stretta fra il campo d'applicazione della decisione e la sfera degli interessi della persona che contro tale decisione ricorre.
Questo sforzo interpretativo, signori, mi sembra giustificato da due ragioni. Anzitutto esso permette di dare all'art. 33 un'interpretazione basata essenzialmente sul concetto d'interesse il quale, come ho detto, domina tutto l'art. 33 e che ha di tutta evidenza ispirato anche la vostra sentenza del 23 aprile 1956. Orbene il concetto d'interesse è essenzialmente relativo.
D'altra parte questo stesso sforzo porta al risultato di dare largo accesso al vostro foro alle associazioni di produttori di cui l'art. 48 ed anche questo mi sembra necessario. Infatti, le associazioni rappresentano degli interessi collettivi ed a restringere troppo il concetto di decisione individuale si porrebbero, nella maggior parte dei casi, le associazioni nell'impossibilità di valersi del diritto di ricorrere che l'art. 33 prevede: esse potrebbero impugnare le decisioni generali soltanto nel caso di «sviamento di potere nei loro confronti» e non potrebbero impugnare le decisioni individuali in senso stretto (per esempio una sanzione, un'autorizzazione) perchè vi è il principio, credo unanimamente ammesso, che una persona giuridica, quale è un'associazione o un sindacato, non possa sostituirsi ad uno dei suoi membri in un'azione che ad esso appartiene in proprio: le resterebbe tutta'al più un diritto d'intervento in appoggio ad un'azione del genere. A questo proposito mi posso richiamare ad esempio, alla giurisprudenza costante del Consiglio di Stato francese (citata da Odent, Contentieux administratif, 1953-54 III, pagg. 542 e 543).
Orbene, le associazioni d'imprese di cui l'art. 48 hanno nel Trattato delle funzioni importanti che lo stesso art. 48 definisce. Mi sembra indispensabile che esse possano esplicarle anche nella difesa in giudizio degli interessi collettivi che son loro affidati e ciò a maggior ragione perchè — l'esperienza ce lo prova — certe decisioni dell'Alta Autorità possono ledere questi interessi senza che alcuno Stato membro ritenga utile ricorrere. Si può anche dire che in materia di carbone questa situazione è quasi normale perchè di solito, e specialmente quando si tratta di prezzi, gli interessi delle imprese carbonifere stanno in contrasto sia con l'Alta Autorità la cui missione è di «aver cura che i prezzi si stabiliscano al livello più basso» (art. 30) sia con tutti gli utilizzatori ed in ispecie i siderurgici, nonchè con i Governi la cui politica economica generale tende anch'essa, il più spesso, a comprimere il prezzo di questo prodotto basilare.
Vediamo ora di applicare queste idee al caso di specie.
Io ritengo anzitutto che la decisione No 22-55 e la lettera formino un tutto inscindibile anche giuridicamente, non potendosi concepire l'una senza l'altra: entrambe hanno un unico obbiettivo: garantire l'applicazione del paragrafo 26 - 2 a relativo alla perequazione; e la fissazione dei prezzi di vendita, che forma oggetto della decisione No 22-55, non ha senso se essa non è accompagnata dalla determinazione dei tassi di perequazione che risulta dalla tabella annessa alla lettera.
D'altronde, non si tratta di una decisione di carattere normativo. Un perfetto esempio di decisione che non è un regolamento ma che ha tuttavia carattere generale perchè fissa i principi sui quali le decisioni d'applicazione dovranno poi basarsi, mi sembra offerto dalla decisione No 6-53 del 5 marzo 1953 relativa ai principi per la fissazione dei prezzi massimi del carbone all'interno del mercato comune: tale decisione non è un regolamento posto che il suo scopo essenziale è quello di disporre «nelle presenti circostanze» la fissazione dei prezzi massimi per il carbone, ma si tratta tuttavia di una decisione generale di carattere normativo la quale, in via generica ed impersonale, definisce le modalità di funzionamento del regime dei prezzi massimi che viene istituito e la quale serve di base a tutta una serie di decisioni d'applicazione per i vari bacini ed anche per singole imprese entro lo stesso bacino. Per questo motivo essa non potrebbe quindi venire impugnata da alcuna associazione anche ove esistesse una federazione che raggruppi tutte le imprese minerarie della Comunità.
Qui la situazione è ben diversa. Le norme applicabili si trovano nella Convenzione come del resto i principi stessi dell'operazione che si deve realizzare. Si tratta unicamente di applicare tali norme ad un caso concreto e ben definito sia nello spazio che nel tempo. La decisione che ha questo oggetto (uso intenzionalmente il singolare perchè a mio avviso, vi è in realtà una sola decisione) ha certo carattere individuale nei confronti delle miniere belghe cumulativamente considerate ed a tale titolo essa riguarda la federazione che raggruppa precisamente tutte le imprese che gestiscono miniere ed i cui interessi detta federazione ha il compito di tutelare. Vi propongo dunque di considerare le due decisioni come delle «decisioni individuali che riguardano» la Fédération charbonnière de Belgique.
Diversa si presenta la situazione per le tre imprese ricorrenti nella causa No 9-55 e qui è necessario distinguere/Il carattere individuale delle decisioni nei confronti delle tre imprese mi sembra incontestabile per quanto ha tratto alla soppressione e riduzione della perequazione che vi viene disposta dato che esse sono nominativamente indicate quali destinatarie della decisione contenuta nella lettera del 28 maggio e nella tabella allegatavi; l'Alta Autorità lo ammette del resto. E' altrettanto certo però che alle disposizioni che riguardano la minaccia di sopprimere la perequazione non può riconoscersi carattere individuale nei confronti delle tre imprese: in fatti, soltanto un'ulteriore decisione con cui tale minaccia sia posta in applicazione per l'una o per l'altra impresa avrebbe nei di lei confronti siffatto carattere.
Per ciò che riguarda la fissazione dei prezzi che risulta dalla decisione No 22-55 sorge qualche dubbio. Ritengo tuttavia che questa decisione il cui oggetto è di fissare per determinate pezzature e categorie prezzi applicabili indistintamente da tutte le miniere belghe, non può avere carattere individuale nei confronti di un'impresa determinata.
Arriviamo ora alla terza ed ultima questione sulla ricevibilità:
Ove non si riconosca che le decisioni impugnate hanno carattere individuale, sono esse inficiate da «sviamento di potere nei confronti» delle ricorrenti?
Tale questione riguarda a dir vero piuttosto il merito ma essa incide in parte anche sulla ricevibilità per lo meno secondo l'opinione che ho espressa nelle mie conclusioni relativamente alle cause No 3-54 e No 4-54, opinione cui come ho avuto il piacere di constatarlo, le parti hanno aderito:
(i) Considerazioni generali
Signori, su ciò che dobbiamo intendere per «sviamento di potere» ai sensi dell'art. 33 e per «sviamento di potere nei loro confronti» ai sensi del secondo comma di detto articolo, mi permetto di richiamare le mie conclusioni nelle cause No 3-54 e No 4-54, ASSIDER e ISA (Raccolta pag. 151 e segg.). Infatti, lo confesso francamente, malgrado le più serie riflessioni su questo punto e che non datano da questo processo, malgrado le molto interessanti osservazioni lette ed udite nelle presenti cause, le opinioni cui ero giunto concludendo nei ricorsi No 3-54 e No 4-54 non sono per nulla mutate. Constato soltanto che, a seconda dei casi, le parti citano or l'uno or l'altro passaggio di quelle conclusioni per ciò che esse evidentemente considerano come favorevole alla loro tesi ma fino ad ora, per quanto mi consti, nessuno ne ha mai fatto una critica sistematica. Quanto all'autocritica sebbene accurata, come ve l'ho detto or ora, essa non ha dato alcun risultato.
Mi limiterò quindi ad alcune osservazioni complementari:
1o |
Non posso lasciare senza risposta le osservazioni fatte da uno degli eminenti avvocati delle ricorrenti in merito ad un passaggio contenuto nella motivazione della legge lussemburghese di ratifica. E' vero che la motivazione di una legge o più esattamente di un progetto di legge come gli altri documenti che si sogliono comprendere sotto la denominazione di lavori preparatori, non hanno alcun valore obbligatorio per l'interpretazione del testo della legge ed in particolare non possono mai essere opposti al testo stesso quando esso sia chiaro e non ambiguo. E' universalmente ammesso però che i Giudici possano ricorrervi a titolo informativo, estrarvi elementi atti, se del caso, a chiarire il pensiero del legislatore. È altresì vero che per fare ciò i Giudici hanno piena libertà di valutazione. Senza dubbio quando trattisi di un Trattato i documenti di ordine interno relativi al procedimento di ratifica possono riguardare soltanto l'intenzione od il pensiero di uno dei Governi firmatari. Ma non si deve tuttavia presumere che nel presentare il Trattato al parlamento per la ratifica, un Governo si permetta di esprimere opinioni che egli sa non condivise dai Governi degli altri Stati firmatari e che non siano, almeno secondo il suo pensiero, il riflesso del loro comune accordo. Per quanto riguarda il Trattato del 18 aprile 1951 non esistono praticamente lavori preparatori — o se esistono sono segreti (ciò che fa lo stesso); è per questa ragione che i motivi esposti in ogni paese hanno un'importanza maggiore e ciò tanto più che vi è stato un certo coordinamento in questa esposizione di motivi al fine di evitare delle contraddizioni fra di essi — ciò che sarebbe stato spiacevole. Ciò detto, osservo che ho parlato di questo argomento unicamente perchè esso conforta un'opinione basata essenzialmente sul testo stesso dell'art. 33, ma il commento di cui trattasi rispecchia con tanta evidenza e sicurezza l'intenzione dei compilatori del Trattato sul punto di cui qui si discute che mi è sembrato impossibile non riconoscergli un certo valore. |
2o |
In contrasto con quanto sostiene l'Alta Autorità io penso che non si possa dare al termine «sviamento di potere» un certo significato nel primo comma dell'art. 33 ed un diverso significato nel secondo comma di detto articolo. Il secondo comma pone soltanto un'esigenza supplementare : è necessario che lo sviamento di potere denunciato sia stato commesso nei confronti del ricorrente. Questa tesi conduce senza dubbio ad ampliare il campo d'applicazione del secondo comma al di là di quell'ipotesi di sviamento di potere che consiste nel «mascherare» una decisione individuale sotto la veste di una decisione generale ma, come l'avevo rilevato nelle mie precedenti conclusioni (Raccolta pag. 174), la tesi della decisione individuale mascherata, pur essendo a mio avviso la sola plausibile, non può impedire che il testo sia applicato quale esso è posto che l'interpretazione restrittiva conduce a togliere praticamente ogni portata al diritto delle associazioni di impugnare delle decisioni generali. E' vero che se aderirete alla mia tesi su quanto attiene al carattere delle decisioni individuali che riguardano le associazioni tale inconveniente verrà in pratica molto attenuato dal fatto che ne risulterà ridotto il numero delle decisioni che hanno carattere generale nei confronti delle associazioni; l'obbiezione tuttavia resta valida. |
3o |
Le brevi osservazioni che intendo ancora fare han tratto al concetto stesso di sviamento di potere nell'art. 33.
|
Signori, a mio avviso, questa obbiezione è totalmente errata.
Essa significa anzitutto dimenticare che i più grandi possono talvolta avere grandi debolezze …
Ma ciò lignifica soprattutto dimenticare due cose: la prima, che il concetto classico dello sviamento di potere non è affatto circo-scritto ai soli casi «sordidi» direi piuttosto, per evitare questa espressione forse un po' eccessiva, ai casi in cui un. interesse privato o personale ha preso il posto dell'interesse generale. Nella sua forma tradizionale lo sviamento di potere si ritrova anche in casi in cui lo scopo perseguito è perfettamente onesto, persino perfettamente legittimo, ma non è quello che doveva essere: l'esempio classico in proposito è quello dell'uso dei poteri di polizia per un interesse finanziario. Vi è anche il così detto «sviamento di procedura» che consiste nel ricorrere ad una procedura più semplice per sottrarsi alle formalità imposte dalla procedura realmente applicabile, ritenute più gravose o complesse.
La seconda osservazione da fare è che ove si consideri lo sviamento di potere sotto questo profilo ci si può render conto che l'Alta Autorità può molto facilmente incorrervi. Non può ad esempio facilmente accaderle di valersi dei suoi poteri (o di ricusare di valersene) a vantaggio della politica economica generale di uno Stato membro, trascurando gli interessi che le sono affidati? E non è proprio questo che le si rimprovera nella presente causa? Ed in un'altra causa che pure riguarda il carbone non si fa un appunto esattamente analogo all'Alta Autorità? Vi si è già fatta allusione davanti a questa Corte e perciò mi son permesso di alludervi anch'io. Il valersi dei propri poteri a danno dei produttori di carbone ed a vantaggio della politica, anche perfettamente onesta ed ispirata alle più alte considerazioni di interesse generale, d'un ministro dell'economia dinamico sia egli belga o tedesco, non rappresenterebbe forse uno sviamento di potere degno della statura dell'Alta Autorità se mi è consentita questa espressione?
Che poi tale sviamento possa essere provato è un'altra questione. Ma ciò che ho voluto dimostrare è l'infondatezza dell'assunto secondo cui il concetto classico dello sviamento di potere sarebbe quasi inconcepibile nel Trattato: mi sembra perfettamente vero il contrario.
(ii) Applicazione alla fattispecie
Dobbiamo ora applicare questi principi alla fattispecie esaminando il vero carattere di ciascuno dei mezzi denunciati.
Per farlo, riprenderò l'enumerazione dei mezzi d'impugnazione che figura a pag. 12 della replica delle tre società della Campine perchè quella è la più completa e perchè la questione interessa soprattutto le tre società anzi unicamente le società se voi accoglierete il mio punto di vista su quanto riguarda il carattere individuale delle decisioni nei confronti della FÉDÉCHAR.
Primo mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere od ha fors'anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato imponendo d'autorità un listino.»
Signori, tutta la discussione sorta in proposito ha tratto unicamente alla questione volta a stabilire se i testi ed in ispecie il paragrafo 26 della Convenzione, permettano o non all'Alta Autorità di fissare «d'autorità» un listino di prezzi senza l'assenso dei produttori. E' una questione di mera legittimità totalmente estranea allo sviamento di potere. Essa d'altronde riguarda la decisione No 22-55 la quale non ha, a mio avviso, carattere individuale nei confronti delle tre imprese. Questo mezzo non poteva venir denunciato nel ricorso No 9-55.
Secondo mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere od ha fors'anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato' fissando prezzi ribassati.»
A questo proposito le ricorrenti assumono anzitutto che non si può realizzare una riforma di struttura per mezzo di un artificiale ribasso dei prezzi di vendita posto che il loro ribasso deve essere ottenuto mediante la riduzione dei prezzi di costo che deve risultare dagli investimenti, dalle razionalizzazioni e dagli ammodernamenti dell'apparato produttivo ed è perciò che si devono lasciare le imprese libere di trar profitto dalla congiuntura favorevole quando, come nella specie era il caso, essa si presenti.
Si tratta quindi signori, di sapere se l'Alta Autorità ha o non ha il diritto di fissare prezzi ribassati senza tener conto della congiuntura: ma si tratta di una questione estranea all'oggetto della norma che è quello di ottenere l'avvicinamento dei prezzi; non si contesta che l'Alta Autorità si sia preoccupata di tale avvicinamento ed allora non può dunque trattarsi di sviamento di potere.
In merito a questo stesso mezzo le ricorrenti assumono che l'Alta Autorità ha assimilato a torto i prezzi del mercato comune a quelli della Ruhr.
Con ciò si denuncia un errore di fatto su ciò che ai sensi del paragrafo 26 - 2a deve essere inteso come «prezzo del mercato comune» e non già uno sviamento di potere.
Nemmeno questo mezzo può essere fatto valere dalle tre imprese ricorrenti.
Terzo mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere o ha forse anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato imponendo prezzi ribassati non tenendo conto dei prezzi di costo prevedibili al termine del periodo transitorio.»
Ho già espresso i miei seri dubbi sulla ricevibilità formale di questo mezzo che è stato enunciato, per lo meno in modo esplicito, soltanto nella replica delle tre società della Campine.
A questo mezzo si dovrebbe comunque ribattere come ai due primi: il non aver tenuto conto dei prezzi di costo prevedibili al termine del periodo transitorio non implica uno sviamento di potere ma una violazione del paragrafo 26 - 2a in cui è formalmente sancito l'obbligo di tenerne conto.
Quarto mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere per avere agito a seguito di pressioni del Governo belga al fine di conseguire, obbiettivi particolari della politica di detto Governo ed estranei al Trattato.»
Questo mezzo ha il tipico carattere dello sviamento di potere. Se voi condividerete il mio modo di vedere sull'interpretazione del secondo comma dell'art. 33, dovrete riconoscere che questo sviamento di potere, ammesso che sussista, sarebbe stato realmente commesso «nei confronti» delle tre società ricorrenti che sono le vere vittime del sistema selettivo. Ciò vale, a mio avviso, cumulativamente per le due decisioni in quanto esse sono inscindibili in fatto ed in diritto; ne discenderebbe che le tre società sarebbero legittimate a denunciare tutti gli altri mezzi oltre a quello di sviamento di potere semprechè venga accolta la tesi che ho sostenuta nelle mie conclusioni sui ricorsi No3-54 e No4-54 (Raccolta pag. 150), tesi cui le parti in causa hanno aderito. Rilevo che da ciò conseguirebbe un vantaggio, forse non soltanto accademico, almeno per quanto riguarda gli effetti che avrà la sentenza se non per quelli del suo dispositivo col quale di certo potrà essere soltanto pronunciato l'annullamento ma, e devo ricordarlo, questo mezzo nettamente distinto da tutti gli altri non è tato enunciato nemmeno indirettamente nel ricorso No 9-55. Esso quindi potrà essere esaminato solo in relazione al ricorso No 8-55.
Quinto mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere o ha fors'anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato minacciando di sopprimere la perequazione alle imprese che rifiutino di fare gli investimenti ritenuti necessari o di procedere a permute di giacimenti.»
Come ho detto, su questo punto la lettera del 28 maggio non ha, carattere individuale nei confronti delle tre società ciò che del resto le stesse riconoscono. D'altronde, il problema che si pone è quello di sapere se l'Alta Autorità detiene il potere di prendere un provvedimento del genere e non già quello di sapere se nel prenderlo essa ha perseguito un obbiettivo diverso dall'avvicinamento dei prezzi, il che mi sembra innegabile: non si tratta quindi di sviamento di potere.
Sesto mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere od ha fors'anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato col dissociare il listino e la perequazione ed imponendo un listino pur negando i sussidi di perequazione.»
Mi sembra che questa censura non possa venir staccata da quella enunciata nel settimo ed ultimo mezzo con la quale costituisce un mezzo unico che si può così formulare:
Settimo mezzo. — «L'Alta Autorità è incorsa in uno sviamento di potere od ha fors'anche esorbitato dalla sua competenza e violato il Trattato negando la perequazione o concedendo una perequazione ridotta alle tre ricorrenti pur imponendo loro per le stesse pezzature di carbone un listino identico a quello imposto agli altri produttori.»
Si tratta qui, o signori, di quel passaggio della lettera del 28 maggio che, ad avviso di tutti, ha il carattere di una decisione individuale nei confronti delle ricorrenti. Su questo punto la rice-vibilità del ricorso non è dubbia e tutti i mezzi di cui l'art. 33 pos-sono venir denunciati.
Riassumendo, ritengo che il ricorso No 9-55 è ricevibile soltanto per quello che ha tratto alla decisione che priva le tre società ricorrenti della perequazione o la riduce nei loro confronti, pur imponendo ad esse un listino di prezzi. E' del resto a questo punto che le ricorrenti annettono il più grande interesse. Per quanto riguarda il ricorso No 8-55 esso è ricevibile, a mio avviso, su tutti i punti e riguardo a tutti i mezzi fatti valere in virtù dell'art. 33.
Prima di terminare con queste questioni di procedura vorrei fare un'ultima osservazione.
L'esame dei mezzi enunciati nel ricorso No 9-55 cui ora ho proceduto, dimostra in modo evidente che ove si voglia troppo ampliare il concetto di sviamento di potere, questo viene in pratica a confondersi con la violazione di legge o l'incompetenza, per modo che le imprese e le loro associazioni finirebbero col avere, per via traversa, gli stessi diritti degli Stati e del Consiglio per quanto attiene all'impugnazione delle decisioni generali. Tale conseguenza che in modo così evidente e diretto contrasta con l'art. 33 è sufficiente a mio avviso, per far scartare l'interpretazione estensiva.
Penso invece che l'interpretazione che io vi propongo di dare al concetto di decisione individuale, interpretazione ampia ma che tiene pure conto della relatività, non contravviene all'art. 33 e rimane nello spirito di detta disposizione perchè poggia sul concetto essenzialmente relativo d'interesse il quale sta alla base del ricorso d'annullamento. Mi sembra che in questa direzione devono essere volti gli sforzi, perfettamente leciti, per aprire nel modo più ampio possibile ai ricorrenti l'accesso alla nostra Corte e non già verso quella specie di «disintegrazione» del concetto di sviamento di potere il quale è già di delicato maneggio e, a prescindere dalla sua importanza, ha sempre avuto una funzione più o meno marginale nella tecnica del ricorso d'annullamento.
VI — DISCUSSIONE DEL MERITO
Possiamo finalmente passare all'esame del merito. Mi propongo di esaminare i mezzi che comportano un controllo di legittimità e poi il mezzo di sviamento di potere raggruppando però i primi in modo un po' diverso da come han fatto le parti nei ricorsi e nelle repliche (cui mi sono richiamato poc'anzi) nonchè nelle loro difese orali. E' del resto meglio parlare di «censure» anziché di mezzi.
Ecco dunque l'ordine che intendo seguire:
1o |
Imposizione d'autorità dei prezzi: è la censura No 1 delle repliche che poggia essenzialmente sull'asserita violazione del paragrafo 26 - 2a della Convenzione; |
2o |
Imposizione di prezzi ribassati senza tener conto della congiuntura. È la prima parte della censura No 2 delle repliche; |
3o |
Disgiunzione del listino dalla perequazione. Non si può imporre un listino e negare nel contempo la perequazione né imporre per le stesse pezzature un unico listino a tutte le imprese negando ad alcune di esse i sussidi di perequazione od accordando loro sussidi ridotti. Sono le censure No 6 e 7 delle repliche; |
4o |
La minaccia di sopprimere la perequazione. È la censura No 5 delle repliche; |
5o |
Errore commesso dall'Alta Autorità nel determinare i prezzi del mercato comune, prezzi che non s'identificano con quelli della Ruhr. È la seconda parte della censura No 2 delle repliche; |
6o |
Errore commesso nella determinazione dei prezzi di costo prevedibili al termine del periodo transitorio. È la censura No 3 delle repliche; |
7o |
Lo sviamento di potere. È la censura No4 delle repliche. |
Prima censura. — Imposizione d'autorità dei prezzi
Si assume che nè il paragrafo 26 - 2a nè alcun'altra norma con-tenuta nel Trattato o nella Convenzione consentono all'Alta Autorità di fissare da sola, autoritariamente e senza accordi con i produttori i prezzi del carbone belga per l'applicazione della perequazione.
Anzitutto un argomento tratto dal testo e precisamente dall'ultima frase del comma a) citato: «Il listino stabilito su tali basi non può essere variato senza il consenso dell'Alta Autorità»; si dice: tale disposizione può avere un senso soltanto se il listino non è stabilito dall'Alta Autorità. E chi può dunque stabilirlo? In mancanza di contraria indicazione, i produttori stessi.
Infatti, e qui si fa un esegesi del Trattato, il regime da esso istituito è un regime di mercato e di economia di mercato nel quale i prezzi, in linea di principio, sono liberamente stabiliti dai produttori, per cui il compito della pubblica autorità deve limitarsi a vigilare che il gioco della concorrenza si svolga normalmente ed in particolare, senza discriminazioni. Gli obbiettivi che il Trattato assegna alla Comunità devono essere raggiunti in modo naturale mediante questo libero gioco ed il potere d'intervento va esercitato soltanto in caso di necessità e con le garanzie formali espressamente stabilite a tale effetto. Il paragrafo 26 non fa alcuna deroga a tali principi per cui non si può ad essi derogare per via analogica; a maggior ragione non lo si può fare in quanto il paragrafo 1 No 5 della Convenzione dispone esplicitamente che le norme del Trattato sono applicabili sin dalla sua entrata in vigore «con. riserva delle deroghe e senza pregiudizio delle disposizioni complementari previste dalla presente Convenzione…». La Convenzione va dunque interpretata in modo particolarmente restrittivo ed ove essa non conferisce esplicitamente speciali poteri all'Alta Autorità, questa, durante il periodo transitorio, detiene soltanto quei poteri che il Trattato le attribuisce; orbene, in materia di prezzi, tali poteri son previsti nell'art. 61 e non altrove: vi è il diritto di fissare prezzi massimi o prezzi minima ma non già prezzi fissi ed anche in tal caso vanno previamente adempiute determinate formalità.
Infine il metodo interpretativo restrittivo così preconizzato dovrebbe sempre prevalere quando si tratti di Trattati internazionali in ossequio alla prassi dei fori internazionali, quale la Corte dell'Aia.
Signori, non intendo soffermarmi a lungo su questo argomento. Si potrebbe certo rilevare che la nostra Corte non è un foro inter-nazionale bensì quello di una Comunità creata da sei Stati su un tipo che si avvicina molto più ad un organismo federale che ad un'organizzazione internazionale e che il Trattato di cui la Corte deve garantire l'applicazione se pur concluso nella forma dei Trattati internazionali e se incontestabilmente è un Trattato inter-nazionale, rappresenta ciò non di meno dal punto di vista materiale, la carta della Comunità e le norme giuridiche che da lui promanano costituiscono il diritto interno di questa Comunità. Quanto alle fonti di questo diritto nulla vieta certo di ricercarle, ove occorra, nel diritto internazionale ma normalmente e molto spesso, le troveremo piuttosto nel diritto interno dei vari Stati membri; e le riccorrenti stesse in questa causa non han forse seguito quest'ultima via, ad esempio, a proposito del concetto di sviamento di potere? E non si è rivelato forse che i diritti interni rappresantano una fonte molto più ricca di quanto non lo sia la teoria, invero un po' sommaria, dell' «abuse of power»?
Ma mi sembra inutile addentrarmi in una discussione dottrinale su questo punto perchè, si tratti di Trattato internazionale o di leggi interne, vi è un principio unanimamente ammesso ed al quale già mi sono richiamato cioè, che vi è luogo d'interpretare e di ricercare l'intento presunto degli autori del testo soltanto nei casi oscuri od ambigui e che quando la lettera della norma è formale essa deve sempre prevalere. Benchè io non sia affatto uno specialista del diritto internazionale — ed è dunque con modestia e con ogni riserva che affronto questa materia — ho tuttavia l'impressione che non esistono in realtà due diverse dottrine per l'interpretazione dei testi a seconda che essi siano interni od internazionali ma che in fatto, le giusrisdizioni internazionali hanno tendenza ad essere più timide dei tribunali nazionali quando si tratti di allontanarsi dall'applicazione letterale e ciò facilmente si spiega. Infatti, da un lato la volontà comune (la comune intenzione delle parti) che serve di base all'interpretazione di un atto contrattuale è molto spesso difficile da stabilire con certezza per degli atti, quali le convenzioni internazionali, che abitualmente sono il risultato di compromessi più o meno laboriosi dei quali la poca chiarezza e la mancanza di precisione della redazione, spesso nascondono soltanto dei disaccordi fondamentali. D'altronde, quelli che si chiamano i principi, generali del diritto, per forza di cose quando si sono ricercati nel vasto campo universale risultano molto più vaghi-di quando ci si richiami alla tradizione di un solo paese.
Siamo dunque pienamente d'accordo sul metodo interpretativo.
Ma tutto il problema consiste proprio nel sapere se il testo è chiaro di per sè senza bisogno d'interpretazione. Orbene, a questo riguardo la presente controversia e gli sviluppi cui ha dato luogo bastano a dimostrare il contrario.
«11 listino stabilito su tali basi non può essere variato senza il consenso dell'Alta Autorità». Il testo citato indica una condizione di forma cui l'eventuale modificazione del listino è subordinata, ma non dice da chi il listino è stabilito nè chi ne fissa le basi. Bisogna quindi ricorrere all'esegesi per colmare questa lacuna. Benchè il codice napoleonico non sia qui applicabile non posso fare a meno di ricordare il suo articolo 4 secondo il quale «il giudice che rifiuterà di giudicare col pretesto del silenzio della legge e della sua oscurità od insufficienza, potrà essere incriminato come colpevole di diniego di giustizia».
Voi conoscete le tesi che si affrontano. Vi ho ricordato quella delle ricorrenti. L'Alta Autorità invece sostiene che essa è responsabile del buon funzionamento del sistema di perequazione il quale rappresenta un modo, imposto dalla Convenzione, di intervenire autoritariamente per integrare il mercato carbonifero belga nel mercato comune al termine del periodo transitorio; che pertanto essa sola ha veste per fissare i prezzi al livello richiesto per raggiungere gli obbiettivi indicati dal testo. Siffatto provvedimento può essere l'opera soltanto di una pubblica autorità ed è impossibile di rimettersene alla sola iniziativa dei produttori.
Per completezza va segnalata una terza tesi: è quella che appare nell'esposizione dei motivi della legge olandese di ratifica ove, a proposito del paragrafò 26, così è detto: «I sussidi che -il Belgio riceverà dal fondo di perequazione sono destinati a tre scopi nettamente indicati: il primo riguarda il predetto risanamento; esso consiste a permettere che sin dall'inizio del periodo transitorio i prezzi dei carboni belgi si adeguino, per l'utilizzatore, al livello dei prezzi prevedibili al termine di tale periodo. Tale livello che per forza di cose deve essere valutato, sarà stabilito dal Governo belga sotto forma di un listino di prezzi applicabile a tutto il periodo transitorio, salvo che l'Alta Autorità ne autorizzi la modificazione».
Esaminando la seconda censura vedremo come va considerata la tesi dell'Alta Autorità sul merito. Per ora si pone un solo problema: a chi spetta fissare il listino dei prezzi ove non si raggiunga un accordo fra i produttori e l'Alta Autorità?
Rilevo anzitutto che le parti sono d'accordo sul fatto che non si tratta di applicare l'art. 61. L'Alta Autorità riconosce che ha erroneamente fatto richiamo a tale articolo nella sua prima decisione cioè nella decisione No 24-53. Condivido tale modo di vedere: per l'applicazione del paragrafo 26 - 2a si tratta di stabilire prezzi fissi e non prezzi massimi. Ciò è vero quale che sia l'opinione sull'essenza del sistema di perequazione e sul modo con cui esso deve raggiungere il suo scopo, cioè se mediante il libero gioco delle forze economiche oppure per mezzo d'interventi dirigistici dell'autorità pubblica.
Anche aderendo alla prima opinione possono sussistere delle divergenze sulla valutazione del livello cui van stabiliti i prezzi di vendita e non è concepibile che tale livello, che sta necessariamente in relazione con l'importo e sinanco con la ripartizione della perequazione, sia liberamente stabilito dai produttori posto che, in virtù del paragrafo 25, è l'Alta Autorità che determina l'importo effettivo totale del prelievo «tenuto conto dei bisogni che essa riconosce». Le ricorrenti non lo pretendono del resto. Esse assumono invece (replica pag. 18) che «la fissazione di un prezzo deve essere il risultato di un esame fatto in comune in esito al quale l'Alta Autorità esprime il suo accordo».
Ed allora sorge immediatamente la domanda: che cosa avviene qualora non si raggiunga l'accordo? Nel corso del procedimento scritto questo interrogativo è rimasto senza risposta. Ce l'ha invece data in udienza uno dei patroni della FÉDÉCHAR se non vi è accordo, ci ha detto, è semplicissimo: non vi è perequazione, per lo meno a favore dell'impresa che ha negato il suo assenso; al che conseguirebbe che ove tutte le imprese neghino il loro assenso non vi sarà più perequazione per alcuna di esse.
Signori, questa conseguenza basta a far scartare la tesi poichè non è ammissibile che la sola volontà dei produttori possa rendere inoperante un sistema imperativamente istituito dal Trattato e da esso considerato indispensabile per giungere all'integrazione del carbone belga nel mercato comune. Come abbiamo visto, soltanto il Governo belga, ed in virtù di formali norme della Convenzione, avrebbe il potere di opporsi all'attuazione della perequazione ciò che è comprensibile dato che una decisione di tale portata non può ovviamente venir presa che dagli organi politici responsabili del paese.
Il potere di decisione può quindi spettare soltanto ad una pubblica autorità. Si tratta dell'Alta Autorità oppure del Governo belga secondo la tesi affacciata nell'esposizione dei motivi della legge olandese di ratifica? In mancanza di disposizioni che affidino esplicitamente tale potere a detto Governo non penso che esso gli possa spettare. Non può trattarsi a mio avviso che dell'Alta Autorità la quale, a norma dell'art. 8 del Trattato, «ha il compito di provvedere a che siano raggiunti gli obbiettivi fissati dal presente Trattato» e nel termine «Trattato» va pure compresa la Convenzione relativa alle Disposizioni transitorie, ai sensi dell'art. 84. È vero che l'art. 8 dice ancora «nei modi da esso previsti», ciò che può riferirsi tanto alla forma quanto alla sostanza. Qui abbiamo delle modalità sostanziali che definiscono l'obbiettivo della perequazione ma dal fatto che nulla di particolare è previsto per quanto riguarda la forma non si può certo dedurre che tale potere manca.
Rimane l'obbiezione tratta dal tenore dell'ultima frase del paragrafo 26 - 2a: se il listino «non può essere variato senza il consenso dell'Alta Autorità» ciò vuol dire che non è essa a stabilirlo o comunque non essa sola.
Signori, la sola risposta sensata da dare a questa obbiezione mi sembra essere la seguente: bisogna distinguere fra «il listino» e «le basi». Il listino è il solito listino dei prezzi che le imprese devono pubblicare in ossequio all'art. 60: non insisterò qui sul concetto di listino che avete avuto modo di chiarire in un'altra causa. La stessa intestazione della decisione No 22-55 indica che essa è relativa «alla fissazione dei listini di prezzi delle imprese carbonifere belghe» il che certamente richiama l'art. 60. In fatto, per tutte le imprese carbonifere belghe non vi è che un solo listino ed è quello stabilito dal «Comptoir belge des charbons» di cui un esemplare è stato prodotto in causa. Tale circostanza spiega senza dubbio perchè nel paragrafo 26 - 2a si è usato il singolare «il listino stabilito su tali basi …». Le basi sono fissate dall'Alta Autorità per i motivi che ho indicati ed in virtù dell'art. 8 del Trattato; essa le stabilisce compilando una tabella di prezzi. Così il testo diviene chiaro: il listino delle imprese deve ovviamente riportare tutti i prezzi che figurano nella tabella compilata dall'Alta Autorità ma, come risulta da un raffronto fra i due documenti, il listino delle imprese è molto più dettagliato perchè oltre ad indicare i prezzi stabilisce le «condizioni di vendita e fissa inoltre direttamente il prezzo delle pezzature non più vincolate. Sulla copia prodotta in causa si legge: questo listino riporta i prezzi indicati nella Gazzetta Ufficiale della Comunità No 12 del 31 maggio 1955 in cui è pubblicata la decisione No 22-55 dell'Alta Autorità. Il prezzo delle pezzature che non figurano nella predetta decisione è stato fissato dai produttori interessati». È questo listino stabilito dai produttori che non può essere variato senza il consenso dell'Alta Autorità o per lo meno (ciò sembra ovvio) che non può essere variato in modo da discostarsi dalle «basi» concretate nella tabella dei prezzi compilata dall'Alta Autorità. Si tratta insomma di una deroga alle norme dell'art. 60 che ha lo scopo di garantire che il listino delle imprese sia sempre conforme alle decisioni dell'Alta Autorità.
Seconda censura. — Rispetto alla precedente questa censura ha portata sussidaria: anche ammettendo che l'Alta Autorità abbia il potere di fissare d'ufficio i prezzi, essa non ha il potere di fissare dei prezzi ribassati senza tener conto della congiuntura.
Qui si rivelano le fondamentali divergenze che separano le parti in materia economica:
Le ricorrenti riconoscono che lo scopo degli aiuti di perequazione, come quello degli altri aiuti già in atto (prestiti Marshall, riduzione dell'interesse ecc…) è quello di attuare le necessarie riforme di struttura. Ma esse sostengono (replica pag. 21) che «non si ottiene una riforma di struttura ribassando artificialmente i prezzi di vendita; la si può ottenere rendendo possibili ribassi del prezzo di costo per mezzo di investimenti, di razionalizzazioni e dell'ammodernamento dell'apparato produttivo cui devono naturalmente conseguire ribassi dei prezzi di vendita cioè, una maggiore capacità di sostenere la concorrenza. Orbene, si aggiunge, l'Alta Autorità riconosce che i carboni belgi si potrebbero smerciare in questo momento (il 17 novembre 1955) ai prezzi del vecchio listino e persino a prezzi un po' più elevati. Nel momento in cui fu emanata la decisione tali carboni si smerciavano nel mercato comune addirittura ai prezzi del vecchio listino senza che i produttori dovessero far ricorso alla perequazione c)» (quella riservata alle esportazioni). Quando dunque la congiuntura è favorevole non vi è motivo di ribassare i prezzi; si deve permettere ai produttori di trar profitto dalla congiuntura ciò che darà loro la possibilità di accrescere od almeno di conservare i loro introiti e con ciò di perseguire nelle migliori condizioni i loro sforzi per l'ammodernamento; in tal modo il ribasso che si vuol provocare si produrrà automaticamente.
A questa tesi contrasta quella della convenuta secondo cui non si deve tener conto delle fluttuazioni dovute unicamente alla congiuntura. L'Alta Autorità ha il dovere di ottenere l'avvinamento dei prezzi con interventi autoritari in modo da realizzare progressivamente le condizioni che consentiranno, al termine del periodo transitorio, di integrare il mercato belga del carbone nel mercato comune. A tale effetto non ci si può affidare nè al buon volere dei produttori nè all'alea della congiuntura.
Io credo signori, che entrambe queste tesi devono essere respinte.
Il paragrafo 26 - 2a non dice infatti nulla sull'ampiezza dei poteri dell'Alta Autorità. Vi si fa parola soltanto dell'obbiettivo cui tende ciò che si denomina «la perequazione» cioè i sussidi di perequazione ossia in realtà, la finalità di tali sussidi. Il limite dei poteri dell'Alta Autorità può dunque ricercarsi soltanto in quelle che sono le necessità cui si deve far fronte per conseguire lo scopo così indicato: sono esse che condizionano la legittimità delle decisioni emanate e ciò obbliga la Corte, per tutelare i diritti degli interessati, i quali altrimenti si troverebbero esposti al più completo arbitrio, ad erigersi a giudice della questione con riserva, beninteso, delle limitazioni sancite dall'art. 33.
Io penso a questo proposito che la questione così sollevata non riguardi «la valutazione della situazione derivante da fatti o circostanze economiche» su cui le decisioni impugnate si fondano; si tratta di una questione di principio e di legittimità.
Per conto mio, signori, condivido l'opinione dell'Alta Autorità e ritengo che le norme per il funzionamento del mercato comune quali le sanciscono gli artt. 3 e 4 a cui bisogna ricorrere per interpretare le disposizioni del Trattato (l'art. 60 ad esempio) non siano applicabili quando precisamente si tratti di ottenere l'integrazione di un'industria che non è in grado di affrontare il mercato comune: in tal caso, dei provvedimenti dirigistici — non ci spaventi questa espressione — sono assolutamente necessari. Scopo della Convenzione è appunto di permettere tali provvedimenti ed il paragrafo 1 lo dice ben chiaramente: «oggetto della presente Convenzione … è di predisporre le misure necessarie per l'instaurazione del mercato comune e per il progressivo adattamento della produzione alle nuove condizioni, facilitando nel contempo l'eliminazione degli squilibri risultanti dalle condizioni anteriori». In sostanza, le regole di un'economia di mercato si possono applicare solo in quanto il mercato esista; esse non bastano a crearlo, altrimenti si produrrebbero gravi turbamenti. Orbene, le Disposizioni transitorie tendono proprio a scongiurare tali turbamenti mediante idonee misure di salvaguardia, pur permettendo di raggiungere l'integrazione entro un dato tempo. Un procedimento così delicato può essere di certo l'opera soltanto di una pubblica autorità. Appare per di più che lo stesso tenore del paragrafo 26 - 2a abbia proprio questo senso, posto che vi si dice che la perequazione è destinata a permettere, sin dall'inizio del periodo transitorio, di avvicinare i prezzi del carbone belga a quelli del mercato comune. Stabilire se in fatto i prezzi sono stati fissati al di sotto di quelli del mercato comune rappresenta tutt'altra questione (e che esamineremo più tardi) ma mi sembra certo che l'obbiettivo imposto all'Alta Autorità è l'avvicinamento dei prezzi senza che essa debba tener conto di oscillazioni dovute alla congiuntura.
Terza censura. — Trattasi della questione che riguarda la disgiunzione del listino dalla perequazione nonché il problema della «selezione»
Le ricorrenti assumono che vi è un legame neccessario tra la fissazione dei prezzi e l'importo dei sussidi di perequazione il cui scopo è di conservare alle imprese i loro introiti al fine di consentire ad esse di perseguire gli sforzi per la riattrezzatura e l'ammodernamento. La fissazione dei prezzi è giustificata soltanto dall'applicazione della perequazione. Come dice la FÉDÉCUAR nella sua replica (pag. 35) «l'obbligo per le imprese di non variare il loro listino senza l'assenso dell'Alta Autorità trova il suo motivo giuridico determinante nel diritto di avere la perequazione» e questa tesi esce ovviamente rafforzata ove si ammetta che l'Alta Autorità ha facoltà di fissare i prezzi senza l'assenso dei produttori.
Da ciò discende, sempre secondo le ricorrenti, che non si possono imporre i prezzi ad un'impresa e negarle nel contempo ogni sussidio di perequazione e che nemmeno si può ridurre o sopprimere tali sussidi per una stessa pezzatura pur mantenendo un prezzo fisso. Il modo di procedere che è stato chiamato «selectivitè» sarebbe pertanto illegale.
Questa tesi delle ricorrenti deriva direttamente dal concetto puramente economico che esse hanno della perequazione, concetto che ho già analizzato: «scopo della perequazione, dicono (replica FÉDÉCHAR pag. 37), è dunque in linea di principio quello di conservare i loro introiti a tutte le miniere belghe nonostante i ribassi di prezzo che esse dovranno effettuare a breve scadenza, in modo da garantire loro i mezzi finanziari ritenuti indispensabili per attuare il piano di riattrezzatura, ciò, beninteso, senza pregiudizio della progressiva riduzione della perequazione prevista dalla Convenzione». Posto dunque che la libertà dei prezzi è atta a garantire da sola la conservazione degli introiti, la perequazione può essere soppressa e non vi è così più alcun legittimo motivo di mantenere artificialmente bassi i prezzi. È del resto quanto l'Alta Autorità ha riconosciuto nel rendere liberi i prezzi dei carboni di uso domestico all'atto in cui sopprimeva per essi ogni sussidio di perequazione … Con che diritto si è agito diversamente per i carboni grassi B non classificati estratti dalle tre imprese ricorrenti?
Per tutte queste ragioni, il sistema della selezione, per lo meno ove non sia accompagnato da una corrispondente liberazione dei prezzi, sarebbe contrario alle disposizioni del paragrafo 26 — 2a. Esso per di più violerebbe la norma fondamentale del divieto di discriminazioni che l'art. 4 del Trattato sancisce.
Si sostiene inoltre che un sistema di perequazione esclude di per sè ogni facoltà di ripartizione arbitraria o selettiva come è infatti il caso nei sistemi nazionali di compensazione previsti dalla Convenzione (paragrafo 24 della Convenzione). Si fa infine notare che le altre due forme di perequazione esistenti in Belgio e che si denominano b) e c) sono assegnate globalmente, il che conf ermerebbe il carattere necessariamente globale della perequazione ivi compresa la forma denominata a).
Io non mi soffermerò su questi ultimi argomenti cui nel procedimento scritto ed all'udienza l'Alta Autorità ha ribattuto in modo confacente. Mi limiterò a rilevare che ciò che si denomina «perequazione» non è che un meccanismo finanziario che trova la sua base legale nell'art. 53 del Trattato.
Detto articolo permette infatti all'Alta Autorità di «autorizzare l'istituzione, nei modi che essa determina e sotto il suo controllo, di qualsiasi meccanismo finanziario comune a più imprese che essa riconosca necessario per l'esecuzione dei compiti definiti dall'art. 3» nonchè di «istituire essa stessa … qualsiasi meccanismo finanziario rispondente ai medesimi scopi». Nel primo caso essa deve consultare il Comitato Consultivo ed il Consiglio; nel secondo caso deve ottenere il parere conforme del Consiglio, espresso all'unanimità.
È facile comprendere perchè la Convenzione non ha posto alcuna condizione formale per la perequazione istituita a favore delle miniere belghe ed italiane; qualsiasi consultazione o preventivo parere erano evidentemente superflui posto che in questo caso il meccanismo finanziario veniva istituito dagli stessi compilatori della Convenzione. Il testo contiene infatti le norme che disciplinano tale meccanismo sia riguardo ai proventi (paragrafo 25) sia per quanto concerne le spese (paragrafi 26 e 27). Vi è però ancora il potere dell'Alta Autorità per stabilire le modalità del meccanismo e per provvedere al suo controllo; in altri termini, all'Alta Autorità compete di stabilire in qual modo si darà pratica applicazione alle norme poste dalla Convenzione affinchè si possa in concreto conseguire l'obbiettivo che tali norme definiscono.
Eccoci dunque riportati ancora una volta a considerare le esigenze imposte dall'obbiettivo che deve essere raggiunto quali elementi che condizionano la legittimità dei provvedimenti adottati.
Signori, sulla legalità del principio della selezione non ho veramente alcun dubbio. In virtù del paragrafo 25 è l'Alta Autorità che determina periodicamente l'ammontare del prelievo di perequazione. Essa vi procede, dice il testo «tenuto conto dei bisogni che essa riconosce in conformità ai successivi paragrafi 26 e 27».
Ove si accolga la tesi che ho chiamato «dirigista», mi sembra evidente che i bisogni di cui l'Alta Autorità deve tener conto sono quelli dovuti agli sforzi che fanno per il loro ammodernamento e la loro riattrezzatura le imprese che a causa delle condizioni in cui si trovano, non sono ancora in grado di affrontare la concorrenza del mercato comune pur presumendosi che potranno farlo in avvenire. È dunque perfettamente normale che vengano escluse dalla perequazione tanto le imprese che non hanno mai avuto o che non hanno più «bisogno» di aiuti per perseguire i loro sforzi quanto quelle che non hanno alcuna possibilità di giungere all'integrazione. Non si tratta qui di discriminazione ma di giustizia distributiva. A me sembra addirittura sorprendente che l'Alta Autorità abbia lasciato trascorrere buona parte del periodo transitorio già tanto breve, prima di mettersi su questa via.
Si deve ancora vedere se si possa privare un'impresa di ogni sussidio di perequazione per certe pezzature pur imponendole ancora, per tali pezzature, il regime dei prezzi fissi. Non vi è qui forse una violazione del paragrafo 26 - 2a il quale collega la imposizione dei prezzi di vendita obbligatori con i versamenti perequativi e non vi è fors'anche una contraddizione evidente in quanto affermare che un'impresa non ha più bisogno di perequazione significa, mi sembra, riconoscere con ciò stesso che essa è in grado di affrontare la concorrenza del mercato comune ovvero che essa si è posta in grado di competere commercialmente con le altre imprese.
Si tratta qui signori, di una questione delicata e vi confesso essere rimasto a lungo incerto sulla sua soluzione. Penso tuttavia in definitiva che la tesi dell'Alta Autorità è fondata.
Anzitutto — e con ciò rispondo alla prima parte dell'argomentazione — non va dimenticato che il paragrafo 26 - 2a ha un duplice obbiettivo: il primo, e si tratta di quello principale, consiste nella fissazione di prezzi che, sin dall'inizio del periodo transitorio, si avvicinino a quelli del mercato comune in modo da far subito beneficiare i consumatori di carbone belga dei prezzi del mercato comune o di prezzi ad essi molto prossimi. Per gli utilizzatori belgi e per gli altri il problema si presume con ciò risolto. Ma tale provvedimento è accompagnato da una clausola di salvaguardia a favore dei produttori che deve non solo impedire che essi falliscano ma deve dar loro modo di proseguire negli sforzi per adeguarsi alla nuova situazione affinchè, grazie pure agli altri provvedimenti previsti, ed è questo il secondo obbiettivo, alla fine del periodo transitorio, cioè quando i sussidi cesseranno, il mercato belga si trovi integrato.
Ora non si potrà raggiungere il primo ed essenziale obbiettivo ove i consumatori non trovino sul mercato belga e per le stesse pezzature, un prezzo prossimo a quello del mercato comune, prezzo cui hanno diritto.
Ma ci si dice — ed è la seconda parte dell'argomentazione — il fatto stesso che determinate pezzature si possano vendere liberamente da parte di talune imprese senza alcun sussidio di perequazione dimostra che il prezzo del mercato comune è già stato raggiunto se non altro per quanto riguarda dette pezzature prodotte da tali imprese. Perchè allora a questo proposito si ragiona in modo così diverso da quanto si è fatto per i carboni di uso domestico il cui prezzo è stato reso completamente libero all'atto stesso in cui si sopprimeva per essi ogni sussidio di perequazione?
A ciò si potrebbe rispondere che per le stesse pezzature non si può ammettere un doppio prezzo nell'interno del mercato belga sul quale tutte le vendite si effettuano attraverso un unico ufficio di vendita, il quale, come abbiamo visto, pubblica un unico listino: è la conseguenza dell'unità del mercato carbonifero belga durante il periodo transitorio. Tale risposta però non mi sembra decisiva.
Secondo me la risposta esatta — quella che ha determinato il mio convincimento — è che le pezzature per le quali i prezzi fissi sono stati mantenuti pur sopprimendosi il sussidio di perequazione ad alcune delle imprese che le producono, non possono ancora affrontare il mercato comune e soltanto una situazione di congiuntura avrebbe permesso alle predette imprese di venderle liberamente nel momento in cui fu emanata la decisione impugnata.
I carboni di uso domestico possono invece considerarsi sin d'ora integrati nel mercato comune. Perchè? Perchè per queste pezzature in periodo normale e fatta astrazione delle oscillazioni di congiuntura, i produttori belgi dispongono delle più forti eccedenze esportabili sul mercato comune. Si può quindi considerare che i prezzi del carbone belga di uso domestico rappresentano comunque il prezzo di mercato per tali pezzature. Per questi prezzi pertanto non può esservi questione «di avvicinamento».
Le stesse considerazioni di ordine economico permettono di affermare che per i carboni industriali il prezzo di mercato è determinato dai produttori della Ruhr i quali dispongono in periodo normale delle più grandi eccedenze esportabili sul mercato comune. Ove si voglia dare ai carboni industriali belgi una capacità di competere sul mercato comune che sia fondata sulla struttura della produzione (non derivante da passeggere congiunture) è necessario farne scendere il prezzo ad un livello che permetta loro di affrontare la concorrenza dei carboni industriali della Ruhr. Orbene, la differenza che vi è fra i costi di queste due categorie anche nell'ipotesi di un pareggiamento dei salari e degli oneri sociali, fa vedere la necessità di far raggiungere ai carboni industriali belgi quello avvicinamento che condiziona la loro definitiva integrazione nel mercato comune.
Si può quindi dire che è stato legittimo porre fuori listino i carboni belgi di uso domestico posto che il loro prezzo rappresenta il prezzo del mercato comune, quello cioè che il paragrafo 26 - 2a si prefigge come obbiettivo ideale; altrettanto legittimo è mantenere nel listino i prezzi dei carboni industriali belgi e farli ribassare senza riguardo alla circostanza che all'uno od all'altro produttore di tali pezzature siano assegnati o meno i sussidi di perequazione e ciò perchè i prezzi di tali carboni restano notevolmente più alti di quelli del mercato comune rappresentati comunque dal prezzo dei carboni estratti nel bacino della Ruhr.
Ammettere che la soppressione dei sussidi di perequazione alle miniere della Campine avrebbe dovuto senz'altro comportare la concessione della libertà dei prezzi a dette imprese, significherebbe disconoscere il. reale carattere dell'obbiettivo che rappresenta «l'avvicinamento dei prezzi del carbone belga a quelli del mercato comune» avvicinamento che è inderogabilmente imposto dal paragrafo 26 - 2a.
Ecco perchè non solo mi sembra legittimo il principio della selezione ma pure giustificato il mantenere prezzi fissi per i carboni industriali anche nei riguardi delle imprese cui, in base al principio della selezione, sono stati tolti i benefici della perequazione.
Resta naturalmente da vedere se i calcoli fatti per l'avvicinamento dei prezzi sono esatti: è ciò che vedremo nell'esaminare la quinta e la sesta censura.
Per quanto riguarda l'applicazione del principio della selezione, sorgono due questioni:
1o |
I criteri adottati sono esatti? Vi ricordo che respingendo le proposte della Commissione mista su questo punto, non si è tenuto conto della situazione economica delle imprese. Ci si è basati su criteri puramente oggettivi come la concentrazione dell'estrazione ad un solo piano e per mezzo di un'unica sede. Si sarebbe forse potuto tener conto di altri fattori per giungere ad una selezione più precisa. Si sarebbe potuto ripartire la perequazione fra le imprese in base a criteri tratti dall'importanza dei loro rispettivi bisogni invece di continuare ad assegnarla in proporzione ai tonnellaggi, secondo le categorie e le pezzature facendo eccezione soltanto per tre imprese: ciò sarebbe stato logico col nuovo sistema basato sulla selezione. Ma si tratta qui, a mio avviso, di apprezzamenti che sfuggono al controllo giurisdizionale. |
2o |
Affinchè il sistema rimanga nella legalità è evidentemente necessario che la soppressione o la riduzione dei sussidi di perequazione per certe imprese senza la correlativa liberazione dei prezzi, non abbia l'effetto di paralizzare gli sforzi che esse fanno per la loro riattrezzatura ed il loro ammodernamento: se così fosse, ciò infatti dimostrerebbe che la decisione presa nei loro confronti è basata su un errore di fatto. In realtà non vi è però alcuna prova che tale errore sussista ed invero non lo si è nemmeno formalmente affermato. |
Quarta censura. La minaccia di sopprimere la perequazione
Mi esprimerò molto brevemente su questo punto.
Se si ammette la legittimità del principio della selezione, se si ammette che l'assegnazione dei sussidi di perequazione va fatta in relazione dei bisogni di ogni singola miniera — non già di quelli di tutte le miniere complessivamente considerate — e nei limiti in cui tali aiuti devono consentire ad ogni miniera di condurre a termine la riattrezzatura e l'ammodernamento necessari, è infatti legittimo prevedere come contropartita, un controllo e delle sanzioni, non certo penali e nemmeno amministrative (queste ultime potendo venir introdotte con una semplice decisione) ma la sanzione consistente nel privare di sussidi chi non realizzi gli scopi per i quali tali sussidi gli sono stati elargiti. È questa una regola normale in qualunque meccanismo di sovvenzioni.
Arriviamo ora alle due ultime censure che richiedono un controllo di legittimità, cioè quelle tratte dalla circostanza che nel determinare i prezzi l'Alta Autorità sarebbe scesa al di sotto dei due limiti inferiori che pone il paragrafo 26 - 2a — cioè i prezzi del mercato comune ed i costi di produzione prevedibili al termine del periodo transitorio.
Quinta censura. — Errore commesso dall'Alta Autorità nel determinare i prezzi del mercato comune
A. — Gli argomenti delle ricorrenti si possono così analizzare:
a) |
L'Alta Autorità ha commesso un evidente errore con l'assimilare i prezzi della Ruhr a quelli del mercato comune, i quali rappresentano l'obbiettivo finale dell'avvicinamento. Il prezzo della Ruhr non è che uno dei prezzi dei carboni industriali sul mercato e per di più non si tratta di un prezzo liberamente determinato dal gioco della domanda e dell'offerta. I prezzi della Ruhr sono stati mantenuti artificialmente bassi sino al 1o aprile 1956, e tenuti persino ad un livello inferiore all'effettivo costo di produzione, in virtù di una decisione dell'Alta Autorità. Dopo tale data essi sono stati resi liberi ma ciononostante la loro ascesa è stata frenata e limitata a soli 2 DM grazie all'intervento del Governo tedesco mentre, se essi avessero liberamente seguito gli effetti della concorrenza di un vero mercato, avrebbero subito un aumento di 6 DM in media. Il prezzo dei carboni industriali del bacino del Nord e del Pas-de-Calais e del bacino di Aquisgrana è prossimo al prezzo belga e si applica ad una produzione di uguale importanza. Non si comprende perchè soltanto i prezzi belgi dovrebbero essere avvicinati a quelli della Ruhr. |
b) |
In realtà il «palier»d'attesa sul quale sono stati fissati i prezzi belgi nel 1953 rispecchia i costi di produzione del carbone belga prevedibili alla fine del periodo transitorio e nel contempo i prezzi del mercato comune nella stessa epoca; infatti, il libero gioco del mercato ed in particolare l'effetto degli aumenti salariali in Germania devono naturalmente comportare un rialzo dei prezzi della Ruhr sino al livello di tale «palier» realizzando così quell'avvicinamento che costituisce l'obbiettivo del paragrafo 26 - 2a: l'avvicinamento non deve farsi a senso unico. |
c) |
Secondo le ricorrenti, i dati statistici sull'evoluzione del prezzo dei carboni industriali dal 1952 al 1956 tanto nella Ruhr quanto in Belgio sorreggono la loro tesi. La tabella comparativa che riporta l'evoluzione dei prezzi dei fini da coke nella Comunità dal 1952 in poi, che le ricorrenti hanno prodotto in udienza (chiedendovi di tenerne conto in luogo di quella presentata dall'Alta Autorità) indica chiaramente che i fini lavati della Ruhr sono notevolmente aumentati dal 1952 (565 fr. nel 1952, 627 fr. nel 1956 salendo così dall'indice 100 all'indice 111) mentre le stesse pezzature estratte nei bacini belgi scendevano da 716 a 691 fr. (e persino a 671 fr. per i lavati grassi B), riducendosi in tal modo l'indice da 100 nel 1952 a 96 e rispettivamente 94. Se per di più si aggiunge ai prezzi della Ruhr l'importo di 2 DM che il Tesoro germanico prende a suo carico sotto forma di sgravio fiscale nonchè le spese di trasporto (2 DM per tonnellata), ne risulta che i carboni industriali della Ruhr consegnati in Belgio andrebbero venduti ad un prezzo assai prossimo a quello belga per cui le preoccupazioni dell'Alta Autorità sono infondate. |
B. — Che cosa risponde l'Alta Autorità?
a) |
Per quanto riguarda i prezzi della Ruhr, l'Alta Autorità assume che essa non li ha mai puramente e semplicemente assimilati a quelli del mercato comune, come gliene si fa carico, e rileva che le decisioni impugnate non menzionano affatto tale assimilazione. Appare chiaro tuttavia, che nel settore dei carboni industriali sono in fatto i produttori della Ruhr che determinano i prezzi del mercato e ciò perchè in periodo di normale congiuntura o di depressione economica essi dispongono delle più forti eccedenze esportabili capaci di far concorrenza ai prodotti stranieri sul loro proprio mercato ed in ispecie su quello belga nel quale rappresentano « il » concorrente più pericoloso. Il mercato francese, quale che sia la congiuntura, è tradizionalmente importatore (12 milioni di tonnellate l'anno); i suoi bisogni supplementari devono essere coperti sia con i carboni della Ruhr sia con quelli belgi. Se si vuole che in periodo normale i carboni belgi riescano a sostenere sul mercato francese la concorrenza della Ruhr, è pur necessario che essi si avvicinino a questi ultimi in quanto al prezzo. In sostanza (e gli stessi produttori belgi lo riconoscono) fra tutti i produttori del mercato comune sono quelli della Ruhr la cui concorrenza è e sarà sempre maggiormente risentita sul mercato belga. I prezzi della Ruhr devono essere considerati come un punto di riferimento che deve esser preso per base nel processo d'avvicinamento, in ispecie per i carboni industriali nel cui settore esercitano la concorrenza più efficace, sia sul mercato belga sia sugli altri mercati e più particolarmente quello francese. |
b) |
Per quanto riguarda il secondo argomento l'Alta Autorità dichiara non poter condividere l'ottimismo delle ricorrenti ed assume che anche a voler ammettere un'ascesa dei prezzi in Germania non si può escludere che i prezzi belgi aumentino, per lo meno ove si presti fede alle informazioni d'agenzia. L'Alta Autorità comunque ritiene che essa non può fare assegnamento soltanto sull'aumento dei salari in Germania per ottenere l'avvicinamento. Si è calcolato che se nel 1952 si fossero portati i salari e gli oneri sociali della Ruhr al livello di quelli belgi, il costo della mano d'opera per tonnellata estratta nella Ruhr avrebbe raggiunto soltanto il 66 % di quello belga. L'aumento dei salari in Germania è pertanto un fattore che ha una portata limitata nell'avvicinamento dei prezzi ed anche un totale livellamento dei salari e degli oneri sociali non potrebbe bastare da solo a realizzare l'avvicinamento. L'esperienza ha inoltre insegnato all'Alta Autorità che se nella Ruhr i salari aumentano essi non restano immutati nemmeno in Belgio; essa si richiama a mo' d'esempio, alle ripercussioni che avrà l'adozione nelle miniere belghe della settimana lavorativa di cinque giornate. |
c) |
Per quanto riguarda i dati statistici cui le ricorrenti si richiamano, l'Alta Autorità assume che riportandosi all'epoca in cui la decisione impugnata fu emanata, emerge dalla tabella prodotta dalle stesse ricorrenti che nel 1955 il prezzo dei fini da coke della Ruhr era, in cifre assolute, di 605 fr. mentre per il Belgio era di 691 fr. per il grasso A e di 671 fr. per il grasso B, «cifre queste che secondo l'Alta Autorità dispensano da ogni commento. |
C. — Che cosa pensare di questa discussione?
Come ho già detto, io ritengo che il criterio tratto per una data pezzatura, dalle «più forti eccedenze esportabil i» sia un valido criterio per stabilire che cosa si deve intendere come «prezzo del mercato comune».
L'applicazione che si è fatta di tale criterio nel determinare il livello al quale si stabiliscono i prezzi di mercato per i carboni industriali è ovviamente dipesa dalla valutazione della situazione derivante da fatti e circostanze economiche. Voi dunque potreste sindacare tale valutazione soltanto qualora essa riveli l'esistenza di uno sviamento di potere (ciò che vedremo più tardi) oppure di un «misconoscimento palese» di una norma giuridica.
Nella vostra sentenza No 6-56 del 21 marzo 1955 (Causa del Governo dei Paesi Bassi, Raccolta pag. 226) avete detto: «Posto che il termine palese presuppone che il misconoscimento delle disposizioni legali abbia raggiunto un certo grado di gravità per cui esso risulti provenire da un evidente errore nella valutazione della situazione in base alla quale la decisione è stata emanata e ciò riguardo alle disposizioni del Trattato».
Qui non si tratta certamente di questo.
Gli stessi produttori belgi riconoscono infatti (secondo la citazione dell'Alta Autorità nella sua controreplica e che non è stata contestata) che la Ruhr è tradizionalmente «il» concorrente pericoloso, in periodi normali, tanto sul mercato belga quanto su quello di esportazione perchè essa vi «fa» il prezzo. L'integrazione strutturale del carbone belga nel mercato comune esige dunque di adottare i provvedimenti necessari onde i carboni industriali belgi possano concorrere con quelli della Ruhr.
D'altronde, i dati forniti dall'Alta Autorità — e non contestati dai patroni delle ricorrenti — sull'incidenza del costo della mano d'opera, a salari uguali, sul prezzo di costo dei carboni della Ruhr e rispettivamente su quello dei carboni belgi, dimostrano chiaramente che il livellamento dei salari non potrebbe bastare per realizzare l'avvicinamento «definitivo» che deve permettere l'integrazione del carbone belga nel mercato comune.
Per quanto riguarda lo scarto fra il prezzo dei fini belgi e quello dei fini della Ruhr nel 1955, quale emerge dalla tabella prodotta dalle ricorrenti, se ne può prescindere solo facendo azzardate previsioni sull'influenza che potrebbe avere sul prezzo dei fini da coke della Ruhr, unitamente alla congiuntura, il libero gioco della domanda e dell'offerta in un mercato competitivo ideale; è infatti evidente che tali previsioni rischiano di crollare al più lieve variare della congiuntura.
In definitiva, la censura non può essere ritenuta fondata per quanto ha tratto al ruolo assegnato alla Ruhr come base per la determinazione dei «prezzi di mercato» dei carboni industriali e nemmeno per quanto concerne la valutazione che è stata fatta del livello di tali prezzi.
Sesta censura. — Errore commesso dall'Alta Autorità nella determinazione dei prezzi di costo prevedibili al termine del periodo transitorio
A. — |
Le ricorrenti sostengono che l'Alta Autorità, imponendo con decisione No 22-55 un nuovo ribasso ai prezzi del carbone belga, li ha portati al di sotto del limite costituito dai costi di produzione prevedibili al termine del periodo transitorio, violando in tal modo le disposizioni del paragrafo 26 - 2a. Ecco come si possono riassumere gli argomenti dedotti a sostegno di tale assunto :
|
B. — Che cosa risponde l'Alta Autorità?
a) |
Sul primo punto essa afferma che nel 1952 gli stessi produttori belgi ritenevano fermamente che l'aumento dei rendimenti raggiungibile sino al 1956 grazie all'attuazione del piano di riattrezzatura, avrebbe consentito una riduzione di 90 fr. per tonnellata estratta. D 'accordo con l'amministrazione belga l'Alta Autorità ha preferito limitarsi provvisoriamente ad un ribasso di soli 29 fr. riservandosi di procedere ad ulteriori ribassi ove le previsioni iniziali venissero confermate nel corso della progressiva attuazione del piano. Non si dovrebbe quindi considerare che il ribasso disposto nel 1953 abbia portato i prezzi belgi su un «palier di attesa» immutabile né che si era inteso non fare più alcun ribasso. |
b) |
Sul secondo punto l'Alta Autorità non nega che fra il 1953 ed il 1955 si siano avuti aumenti salariali tanto è vero che ne ha tenuto conto autorizzando nel 1955 un aumento di 3 franchi per i carboni belgi. Ma gli aumenti salariali ed il rincaro delle materie prime, elementi per loro natura imprevedibili, non entrano nel calcolo delle previsioni che il paragrafo 26 - 2a impone di fare. Ai sensi del citato paragrafo si deve formulare la previsione ponendo mente soltanto al miglioramento dei rendimenti che ci si può attendere nel corso del periodo transitorio, presumendo rimangano invariati tutti gli altri fattori (in ispecie i salari, gli oneri sociali ed il costo delle materie prime impiegate nelle miniere). Voler tener conto sin dall'inizio delle possibili variazioni nel costo della mano d'opera dovute ad eventuali aumenti salariali, impedirebbe in modo assoluto di procedere alla previsione economica cui sin dall'inizio del periodo transitorio si è tenuti. Sotto questo profilo, gli aumenti salariali avvenuti fra il 1953 ed il 1955 potevano eventualmente indurre l'Alta Autorità ad autorizzare lievi ritocchi dei prezzi di vendita ma non l'obbligavano affatto a rivedere le previsioni dei costi per il 1958 fatte nel 1953 tenendo conto dei miglioramenti che avrebbe apportato la realizzazione del piano di riattrezzatura e presumendo costanti gli altri elementi. Su queste basi, le cifre fornite dalle ricorrenti (colonna G della tabella) indicano che i costi di produzione calcolati presumendo costante il fattore salari, sono ribassati da 452 fr. nel 1952 a 409 fr. per tonnellata nel primo trimestre del 1955, il che rappresenta una riduzione effettiva di 43 fr. I ribassi disposti nel 1953 e nel 1955 (29 fr. + 10 fr.) ossia 39 fr. in totale, non superano dunque l'ammontare delle riduzioni di costo come valutate all'atto dell'emanazione delle decisioni impugnate. Per di più, la riduzione di costo così calcolata, considerando immutati i salari, tiene conto soltanto della riattrezzatura già attuata (che ha fatto salire il rendimento da 753 kg. nel 1952 a 826 kg. nel 1955) e prescinde dagli effetti benefici che potranno derivare da quelli che si son denominati i «provvedimenti di razionalizzazione negativa» e dal piano di risanamento delle miniere marginali. L'attuazione di questi provvedimenti e gli ulteriori miglioramenti del rendimento che si otterranno sino al termine del periodo transitorio permettono di affermare a fortiori che il ribasso disposto nel 1955 non ha fatto scendere i prezzi al di sotto del limite segnato dai costi prevedibili al termine di detto periodo. |
C. — Eccovi così esposte le due tesi che si affrontano.
Mi sembra signori, che in questa censura si possano scorgere due distinte questioni, giuridica l'una e l'altra di fatto:
a) |
La questione giuridica è quella di stabilire che cosa nel paragrafo 26 — 2a si è voluto dire con l'espressione «costi di produzione prevedibili» ed in particolare se per determinare tali costi si debba tener conto non solo degli elementi relativi ai rendimenti ma pure di altri fattori la cui incidenza sia suscettibile di diminuire in proporzione diretta con i progressi ottenuti nei rendimenti in virtù dell'attuazione dei piani di attrezzatura e di ammodernamento. Su questa questione io condivido l'opinione dell'Alta Autorità. È vero che il concetto di «costi di produzione» comprende l'insieme degli elementi che formano il prezzo di costo e fra questi i salari, gli oneri sociali, nonchè il prezzo delle materie prime. E le ricorrenti avrebbero potuto richiamarsi in proposito all'autorevole parola dello stesso Presidente dell'Alta Autorità il quale in una relazione recentemente fatta all'Assemblea Comune ebbe a parlare «dello aumento del prezzo del carbone reso necessario dall'aumento dei costi di produzione ed in ispecie dagli aumenti salariali …». Ma è tuttavia evidente — e le parti stesse lo riconoscono — che questi elementi si possono far entrare nel calcolo dei costi di produzione solo per quello che rappresentano nel momento in cui il calcolo viene fatto; quando invece si tratti di prevedere i costi per l'avvenire non si può tener conto di elementi imprevedibili o quanto meno delle loro possibili variazioni. La riduzione dei costi potrà essere calcolata soltanto ove sia possibile stabilire un piano basato su dati concreti; dei fattori le cui variazioni sono imprevedibili si terrà conto nel calcolo, ma considerando costante la loro incidenza. Questa interpretazione mi sembra la sola aderente al paragrafo 26 - 2a e ciò per due ragioni: la prima, perchè nel testo si è usato il termine «prevedibili»; una «previsione» può esser fatta soltanto rispetto ad elementi prevedibili (l'economia non è certo una scienza esatta ma tuttavia nemmeno una scienza occulta). La seconda ragione è che obbiettivo della perequazione è la riduzione dei prezzi di costo sino al limite consentito dal miglioramento dei rendimenti: sono dunque i costi di produzione, in quanto riducibili grazie ai miglioramenti previsti nei rendimenti, che devono servir di base alle previsioni. Ma allora — e mi sembra sia in sostanza questo il solo punto che rimane controverso fra le parti — che cosa si deve fare quando degli elementi «imprevedibili» variino (per esempio se aumentano i salari)? Si deve forse rifare il piano delle previsioni tenendo conto delle variazioni sopravvenute oppure basta, come assume l'Alta Autorità, compensare tali aumenti con una maggiorazione di prezzo o mediante sovvenzioni oppure combinando le due cose ma senza far ritocchi ai piani già stabiliti? Signori, dato quanto ho detto sul concetto di costi di produzione prevedibili come lo si ricava dal paragrafo 26, concetto su cui ci si deve basare sin dall'inizio del periodo transitorio per formulare una previsione che tenga conto soltanto delle riduzioni dei costi che ci si può attendere dal miglioramento dei rendimenti, io penso che la logica del sistema imponga di non sovvertire tale previsione ogni volta che le circostanze facciano variare degli elementi imprevedibili cioè estranei al miglioramento dei rendimenti. Si correrebbe altrimenti il rischio di avere dei prezzi che non solo sempre più si discostano da quelli del mercato comune ma che, dipendendo da fatti specifici al Belgio (quali le variazioni dei salari), non starebbero più in rapporto con tali prezzi: ciò contrasterebbe direttamente col paragrafo 26 — 2a il cui principale obbiettivo è quello di consentire agli utilizzatori di beneficiare immediatamente di prezzi che, si avvicinino a quelli del mercato comune. Non è affatto anormale, beninteso, che si possano aumentare i prezzi di vendita quando sopravvengano variazioni negli «elementi imprevedibili» ma ciò non toglie che su quanto riguarda l'obbiettivo dell'avvicinamento dei prezzi basato sul miglioramento dei rendimenti per l'insieme delle miniere belghe, nulla deve esser mutato; solo qualora si accertino errori nella valutazione degli elementi prevedibili si ha il diritto di correggerli; ma ciò può avvenire in qualsiasi momento e del tutto indipendentemente dal variare degli elementi imprevedibili. |
b) |
La questione di fatto sta nel sapere se l'Alta Autorità, tenuto conto dei poteri di cui disponeva — e dei quali ho cercato di tracciare i limiti — sia incorsa in errori di previsione allorchè ha valutato i costi di produzione prevedibili al termine del periodo transitorio. Le risposte date dalle parti alle domande che il giudice relatore ha loro rivolte su questo punto, indicano, ove si accolga l'interpretazione da me ora data, che i prezzi fissati nel maggio 1955 restano comunque al di sopra dei costi di produzione prevedibili per il 1958. Ma anche ove non si accolga tale interpretazione e si vogliano fare le previsioni seguendo il metodo proposto dalle ricorrenti, non credo si possa dimostrare che con la previsione fatta si sia scesi al di sotto dei costi prevedibili per il 1958. Infatti, le previsioni che nel corso del processo le ricorrenti hanno man mano indicato come quelle esatte, sono sensibilmente diverse fra loro. Cosi, per il primo trimestre 1955 il costo effettivo dei carboni grassi e 3/4 grassi risulta di 669 fr. mentre nel diagramma allegato al ricorso era indicato, per la stessa epoca, il prezzo di 699 fr. con uno scarto quindi di 30 fr. fra la realtà e la previsione pur essendosi formulata questa a meno di un anno di distanza. Confrontando i prezzi attuali con i costi previsti per il 1958, cioè a tre anni di distanza, le ricorrenti giungono ad una differenza in meno che, nella migliore delle ipotesi, ammonta a 10 fr.; si può forse affermare che tale divario esorbiti dal margine d'incertezza insito in simili previsioni? Io non lo penso signori. Ritengo in definitiva che le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare che il paragrafo 26 - 2a è stato violato sotto il profilo di una trasgressione al limite che detto paragrafo prevede per il ribasso dei prezzi. Vi propongo quindi di disattendere la sesta censura. |
Settima ed ultima censura. — Si tratta dello sviamento di potere
Secondo le ricorrenti l'Alta Autorità avrebbe adottato le decisioni impugnate «al fine di conseguire degli obbiettivi particolari alla politica economica del Governo belga».
Quali sarebbero dunque questi obbiettivi della politica economica del Governo belga? Ottenere per mezzo di un riordinamento della perequazione un nuovo ribasso del prezzo dei carboni industriali. Il riordinamento della perequazione sarebbe quindi stato soltanto un pretesto. Lo scopo realmente perseguito sarebbe stato quello di assecondare la politica economica di uno Stato membro. Ci si richiama a tale effetto, come è noto, a tutta una serie di dichiarazioni fatte al Parlamento belga dal Ministro dell'economia, dichiarazioni che voi conoscete.
Signori, per respingere questa censura potrebbe anche esser sufficiente rilevare che lo scopo finale della perequazione è quello di integrare entro il più breve termine il mercato belga nel mercato comune e che l'Alta Autorità non hai mai perseguito altro fine; se ha mancato essa lo avrebbe fatto eccedendo e non per difetto; la circostanza che su questo punto gli obbiettivi dell'Alta Autorità coincidano in largo modo con quelli del Governo belga, anzichè costituire la prova di uno sviamento di potere, starebbe invece a dimostrare che si è cercato di conseguire proprio lo scopo legittimo posto che l'Alta Autorità condivide col Governo belga la responsabilità dell'azione volta a raggiungere l'integrazione la quale rappresenta infatti il loro comune obbiettivo.
Ma signori, questa risposta sarebbe insufficiente e la questione, a mio avviso, è più delicata.
Se infatti si adotta il concetto di sviamento di potere che ho chiamato «classico» (sul quale del resto le parti concordano) ma dandogli tutto il suo significato, lo sviamento di potere non va cercato in relazione al solo scopo finale, cioè nella specie all'integrazione del mercato belga del carbone nel mercato comune, ma anche in relazione allo specifico obbiettivo della perequazione quale è enunciato nel paragrafo 26 - 2a, dato che la perequazione non è che uno dei vari mezzi previsti dalla Convenzione per giungere all'integrazione. Orbene, è proprio su questo terreno che le ricorrenti si pongono. Esse fanno carico all'Alta Autorità di essersi valsa dei poteri che le conferisce il paragrafo 26 - 2a per fini diversi da quelli che tale disposizione le imponeva, cioè per assecondare una data politica del Governo belga. Ci si dice: col protesto della perequazione tale Governo cercava di ottenere che l'Alta Autorità fissasse i prezzi del carbone belga, o per lo meno di quello industriale, ad un livello esageratamente ed artificiosamente basso in modo da soddisfare le rivendicazioni degli utilizzatori pur coprendosi dalle critiche dei paesi che finanziano la perequazione e l'Alta Autorità avrebbe ceduto a queste pressioni trascurando gli obbiettivi specifici della perequazione.
Come ho già detto signori, lo sviamento di potere è ipotizzabile solo in quanto l'autorità è investita d'un potere discrezionale e nei limiti in cui di tale potere può valersi.
Ciò mi permette di porre fuori dalla discussione tutte le questioni controverse che secondo me riguardano punti di diritto che in quanto tali, dovranno essere risolti dalla Corte: non ho più bisogno di ritornarvi.
E vediamo in quali dei punti in constrasto si può rilevare che l'Alta Autorità ha fatto uso del suo potere discrezionale:
a) |
Esiterei anzitutto a comprendervi il principio stesso della selezione su cui le decisioni impugnate fondano. Viene da chiedersi infatti se l'Alta Autorità non era tenuta a ricorrervi e se era veramente legittimo il primo modo di procedere (quello di assegnare i sussidi in proporzione ai tonnellaggi senza alcun riguardo ai «bisogni»); — in altre parole, se l'Alta Autorità adottando un altro principio ha agito nell'esercizio di un potere discrezionale. Io credo però signori, che ciò non abbia importanza perchè se anche si rispondesse affermativamente a questo interrogativo la sussistenza dello sviamento di potere, quale è stato denunciato, non è, secondo me, per nulla provata su questo punto. Per convincersene basta por mente al fatto che la Commissione mista incaricata di studiare il problema nel suo complesso e di esaminare fra altro l'eventuale riordinamento della perequazione, fu nominata il 18 febbraio 1954 mentre le elezioni legislative belghe ebbero luogo soltanto l'11 aprile ed il nuovo Governo fu formato nel maggio. Queste date mi sembrano render superfluo ogni commento. |
b) |
Per quanto riguarda la valutazione dei costi di produzione prevedibili alla fine del periodo transitorio, abbiamo visto che il contrasto verte sostanzialmente sull'interpretazione del concetto di«costi di produzione prevedibili» secondo il paragrafo 26 - 2a nonchè sulle conseguenze di fatto che ne derivano. Non può dunque trattarsi qui di sviamento di potere. |
c) |
Mi resta da parlare della fissazione dei prezzi in relazione all'obbiettivo imposto dal testo, cioè all'avvicinamento ai prezzi del mercato comune. |
Qui l'Alta Autorità aveva ovviamente un potere abbastanza ampio di valutazione entro i limiti che ho tentato di tracciare. Da un lato, essa era tenuta soltanto a tendere «all'avvicinamento»; dall'altro, essa non era obbligata ad effettuare tale avvicinamento in una volta sola all'inizio del periodo transitorio. Essa aveva perfettamente diritto, sopratutto all'inizio, di agire con una certa prudenza, dato il carattere inevitabilmente approssimativo della valutazione dei vari elementi di cui va tenuto conto. Riservandosi un certo margine di sicurezza onde evitare, per quanto possibile, di dover rialzare i prezzi precedentemente fìssati ad un livello basso e di modificare troppo spesso le tabelle dei prezzi, l'Alta Autorità ha saggiamente agito. Ma nel fare ciò, ha essa forse trascurato gli interessi legittimi dei produttori a vantaggio della politica del Governo belga? Nessuno degli «elementi oggettivi che» emergono dagli atti permette di affermare — non dico che essa abbia avuto tale intento — ma che tale sia stato lo scopo da lei realmente perseguito. La circostanza che fra l'Alta Autorità ed il Governo belga si siano svolte lunghe discussioni non può certamente costituire una prova a tal riguardo tanto più che, come è stato rilevato nella controreplica (pag. 38) «è notorio che l'Alta Autorità, ben lungi dall'accogliere puramente e semplicemente le vedute del Governo belga, ha aderito ad un riordinamento della perequazione ma accettando di disporre un ribasso di prezzo meno importante di quanto il Governo belga aveva proposto». Tale affermazione non è stata contestata.
Io ritengo pertanto che non è provata la sussistenza dello sviamento di potere denunciato.
Concludo per la reiezione del ricorso con la condanna delle ricorrenti, ciascuna per ciò che la riguarda, alle spese di causa.