28.2.2023   

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Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 75/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo dei familiari che prestano assistenza alle persone con disabilità e alle persone anziane: l’esplosione del fenomeno durante la pandemia»

(parere d’iniziativa)

(2023/C 75/11)

Relatore:

Pietro Vittorio BARBIERI

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.2.2022

Base giuridica

Articolo 52, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

29.9.2022

Adozione in sessione plenaria

26.10.2022

Sessione plenaria n.

573

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

170/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE esprime preoccupazione per le condizioni di vita dei cittadini che prestano assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità e con patologie croniche o degenerative, inclusi i decadimenti cognitivi e le affezioni oncologiche.

1.2.

Il CESE rileva come tali situazioni siano divenute ancora più drammatiche nel corso della pandemia di COVID-19, rendendo ineludibili interventi strutturali nelle politiche e nei servizi sociali.

1.3.

Il CESE evidenzia la necessità, al fine di ottimizzare le politiche sociali e calibrare al meglio i necessari sostegni, di giungere ad una definizione condivisa della figura e della condizione del familiare che presta assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità, con patologie croniche o degenerative, inclusi i decadimenti cognitivi e le affezioni oncologiche, anche delineandone le specifiche peculiarità e graduandone gli interventi, nonché valorizzando il ruolo degli interessati anche nell’ambito dei servizi per la collettività.

1.4.

Il CESE rileva la necessità di definire in modo più approfondito il fenomeno attraverso studi ed analisi sociologici, basati su dati statistici, che vertano in particolare sull’impatto dell’attività di assistenza a lungo termine a congiunti sui prestatori di tale assistenza (caregivers), a prescindere dal fatto che svolgano contestuale attività lavorativa.

1.5.

Il CESE ritiene che la gestione del fenomeno dei familiari che prestano assistenza debba basarsi sull’azione congiunta di politiche pubbliche, dei datori di lavoro attraverso il dialogo sociale e, infine, degli stessi prestatori di assistenza familiare e delle organizzazioni che li rappresentano, di cui occorre garantire il coinvolgimento dall’elaborazione fino all’attuazione di tali politiche.

1.6.

Il CESE sottolinea l’importanza di garantire servizi di tutela della salute, compresa l’assistenza sanitaria preventiva e le visite mediche specialistiche periodiche, e di promuovere una formazione adeguata su come aver cura della propria salute per i cittadini che prestano assistenza a lungo termine a congiunti.

1.7.

Il CESE invita a condurre indagini specifiche nei sistemi pensionistici nazionali, mirate a raccogliere elementi utili a graduare e declinare il diritto a forme alternative alla retribuzione ordinaria per coloro che sono costretti a rinunciare al lavoro per prendersi cura, per un lungo periodo, di un congiunto con patologie croniche o degenerative o con disabilità.

1.8.

Il CESE, rilevando in questo fenomeno il persistere di situazioni di disparità di genere, in linea con il parere Strategia per la parità di genere (1) esorta ad attivarsi per mitigare tale disuguaglianza, anche rafforzando l’attuazione delle indicazioni già espresse nella direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio (2).

1.9.

Il CESE, rilevando una ancora limitata consapevolezza delle condizioni di vita degli interessati, auspica l’istituzione di una Giornata europea dei prestatori di assistenza a lungo termine a congiunti, volta a rafforzare la consapevolezza di tale fenomeno e a incoraggiare adeguate politiche e misure di sostegno.

1.10.

Il CESE sottolinea l’importanza di garantire servizi e sostegni per l’abitare, servizi di domiciliarità con particolare attenzione alle esigenze sanitarie e infermieristiche, nonché servizi di sostegno psicologico al prestatore di assistenza e al nucleo familiare o alla stessa persona con disabilità.

1.11.

Il CESE sottolinea l’importanza di promuovere e garantire servizi di emergenza in caso di eventi imprevisti, che causano l’impossibilità di fornire cure più a lungo o temporaneamente, e i servizi di sollievo, limitando gli effetti di un sovraccarico eccessivo e prolungato. Dovrebbero essere previste anche deroghe e procedure agevolate che riducano gli adempimenti burocratici imposti alle persone che prestano assistenza.

1.12.

Il CESE reputa fondamentale che si forniscano servizi e sostegno tali da mettere le persone con disabilità in condizione di rendersi autonome dal nucleo familiare di origine. Servizi e sostegno che dovrebbero consistere in particolare in percorsi per l’acquisizione dell’autonomia personale, in soluzioni abitative alternative e in percorsi di vita indipendente per le persone con disabilità. Politiche di questo tipo avranno necessariamente un impatto positivo anche sull’onere di assistenza che grava sui familiari, i quali sono altrimenti obbligati a fornire assistenza a lungo termine.

1.13.

Il CESE esorta gli Stati membri a valutare l’adozione di misure, anche di aiuto pecuniario, che contrastino il rischio di impoverimento di chi — nonostante politiche, servizi e sostegni specifici volti a contrastare il fenomeno — è comunque costretto a rinunciare in tutto o in parte a un’attività lavorativa retribuita per prestare assistenza a lungo termine a un proprio congiunto.

1.14.

Il CESE chiede che le politiche degli Stati membri incentivino un’ampia offerta di servizi di assistenza a lungo termine di elevata qualità.

1.15.

Il CESE invita ad incentivare e sostenere le parti datoriali che promuovano forme di flessibilità lavorativa e prestazioni sociali aziendali, ulteriori rispetto a quelle già previste dalle norme degli Stati, a favore dei lavoratori che svolgono attività di assistenza continuativa a familiari.

2.   Descrizione del fenomeno

2.1.

Dalle statistiche di Eurostat sulla conciliazione tra vita lavorativa e familiare pubblicate nel 2018 (3) risultava che oltre 300 milioni di residenti nell’UE rientravano nella fascia di età compresa tra i 18 e i 64 anni e che, in questo gruppo, circa un terzo aveva responsabilità di assistenza. Ciò significa che circa 100 milioni di persone svolgevano funzioni di assistenza nei confronti di bambini di età inferiore a 15 anni e/o familiari non autosufficienti (malati, anziani e/o con disabilità) di età pari o superiore a 15 anni. Circa 200 milioni di persone nell’UE non avevano invece alcuna responsabilità di assistenza. Tra coloro che prestavano assistenza, la maggior parte (il 74 %) si occupava di bambini di età inferiore a 15 anni residenti nella loro stessa famiglia. Del restante 26 %, il 3 % si occupava di bambini che vivevano al di fuori della famiglia, il 7 % di più bambini che vivevano sia all’interno che all’esterno della famiglia, il 4 % di bambini e familiari non autosufficienti e l’ultimo 12 % solo di familiari non autosufficienti.

2.2.

Nel 2018 un residente nell’UE su tre di età compresa tra i 18 e i 64 anni aveva responsabilità di assistenza (il 34,4 %, rispetto al 65,6 % che non aveva alcuna responsabilità di questo tipo). All’interno del gruppo con responsabilità di assistenza vi era la seguente ripartizione: il 28,9 % assisteva solo bambini di età inferiore a 15 anni, il 4,1 % assisteva familiari non autosufficienti di età pari o superiore a 15 anni, e meno del 2 % assisteva sia bambini piccoli che familiari non autosufficienti.

2.3.

La maggior parte di coloro che prestavano assistenza a familiari non autosufficienti era costituita da donne: il 63 %, rispetto al 37 % di uomini. All’interno della fascia di età considerata (18-64 anni), questi prestatori di assistenza appartenevano in prevalenza alle classi di età più avanzate: il 48,5 % aveva tra i 55 e i 64 anni e il 35 % tra i 45 e i 54. Solo il 5,5 % rientrava nella fascia di età compresa tra i 18 e i 44 anni.

2.4.

Nella totalità degli Stati attualmente membri (27) e non più membri (1) dell’UE (UE-28), si registrava un divario di 3,3 punti percentuali tra gli uomini (2,5 %) e le donne (5,9 %) che confermavano di aver ridotto gli orari di lavoro o smesso di lavorare per più di un mese nel loro posto attuale o in quello precedente per svolgere compiti di assistenza a familiari malati, anziani e/o con disabilità. Il divario più marcato è stato riscontrato in Bulgaria (6,8 punti percentuali) e il più basso a Cipro (1,1 p.p.), ma ovunque le donne avevano modificato la loro vita lavorativa più spesso degli uomini (Eurostat, 2018).

2.5.

Nel 2018 il 29,4 % dei lavoratori dipendenti dell’UE-28 ha dichiarato che, in generale, poteva lavorare con orari flessibili (adattati) e usare intere giornate di congedo per motivi di assistenza. In proposito sono però state osservate delle differenze tra gli Stati membri dell’UE. Il tasso più elevato di lavoratori dipendenti con la possibilità sia di lavorare con orari flessibili sia di prendere congedi per motivi di assistenza si registrava in Slovenia (60,4 %), seguita dalla Finlandia (57,1 %) e dalla Danimarca (55,1 %). I tassi più bassi si registravano in Ungheria (7,5 %), in Polonia (7,3 %) e a Cipro (3,8 %). D’altro canto, un dipendente su quattro (25,2 %) ha dichiarato di non avere la possibilità di lavorare con orari flessibili o di prendere intere giornate di congedo per motivi di assistenza. Così come per coloro che invece avevano tale possibilità, anche qui si registravano notevoli differenze da uno Stato membro all’altro, passando dal 6,9 % in Lettonia e dal 7,7 % in Slovenia al 58,6 % in Polonia e al 58,7 % a Cipro (Eurostat, 2018).

2.6.

Effetti sulla salute: nel 2009 Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak hanno vinto il Premio Nobel per la medicina con la scoperta che dimostrava l’impatto biologico dello stress tipico dei prestatori di assistenza a lungo termine. L’assistenza a lungo termine aveva accorciato i telomeri delle mamme con figli con bisogni speciali da nove a diciassette anni. L’impatto di tale stress prolungato è ampiamente sostenuto dalla letteratura scientifica internazionale.

2.7.

Durante l’audizione del 4 luglio 2022 la Commissione europea ha affermato che l’assistenza informale corrisponderebbe a 33-39 miliardi di ore, equivalenti a un valore compreso tra il 2,4 % e il 2,7 % del PIL dell’UE. Il QFP, cioè l’ammontare degli investimenti dell’UE nei progetti innovativi per il futuro, è pari a meno della metà di tale importo, ovvero a circa l’1,02 % del PIL dell’Unione europea.

2.8.

Le storie di vita dei prestatori di assistenza familiare, raccolte dalle organizzazioni non governative delle persone con disabilità, riportano forti condizionamenti e restrizioni per quanto riguarda le opportunità di relazioni sociali come pure il mantenimento di interessi culturali e sportivi, dato il carattere spesso non pianificabile dell’attività di assistenza personale e data l’assenza di alternative all’assistenza prestata, cui si aggiunge molto spesso la deprivazione di momenti e spazi di sollievo.

2.9.

Come risulta con evidenza dalla letteratura basata su dati statistici e dalle storie di vita, nello svolgimento dell’attività di assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità o patologie croniche o degenerative vi è una disparità di genere che spinge il sovraccarico verso le donne; l’impatto maggiore si registra in termini di rinuncia all’attività lavorativa, di limitazione nell’avanzamento in carriera, di passaggio forzoso al tempo parziale e, più in generale, in termini di maggiore impoverimento materiale e immateriale.

2.10.

Nell’UE il 25 % delle donne e il 3 % degli uomini afferma di non poter svolgere un lavoro retribuito, o di essere costretto a lavorare solo a tempo parziale, a causa dei compiti di cura da assolvere per un congiunto bambino, anziano o malato (4).

2.11.

Le persone che devono rinunciare al lavoro spesso non sono coperte da contributi previdenziali utili a godere di successivi trattamenti pensionistici per la vecchiaia, cosicché sono destinate ad entrare nel circuito assistenziale o di sostegno all’indigenza.

2.12.

La compressione e la riduzione dei servizi alla persona e alle famiglie, seppure in modo differenziato nei vari paesi dell’UE, sono cause di ancor maggiore sovraccarico per i cittadini che svolgono assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità o con patologie croniche o degenerative, incluse quelle oncologiche.

2.13.

Dato che i prestatori di assistenza in questione non operano nell’ambito di un rapporto di lavoro, essi non beneficiano di misure di tutela della salute e di prevenzione delle patologie, misure che sono invece stabilite e ormai consolidate per i lavoratori dipendenti.

2.14.

Dalle storie di vita di coloro che assistono un familiare risulta come, in molti casi, l’attività di assistenza continuativa e a lungo termine, ma non solo, rappresenti una scelta obbligata o forzata dall’insufficienza dei servizi di assistenza, oltre che dettata dalla volontà di non istituzionalizzare il congiunto; anche quando i servizi siano di buon livello, permane comunque un residuo più o meno significativo di carico assistenziale.

2.15.

La dipendenza assistenziale dalla famiglia di origine dovuta all’assenza di alternative, sostegni e supporto comporta spesso per le persone con disabilità l’impossibilità di avviare percorsi di vita autonoma e indipendente.

2.16.

La ricerca «Vita, lavoro e COVID-19» di Eurofound (5) ha rilevato, nel corso della pandemia, un significativo aumento dell’impegno nell’assistenza domiciliare sia formale che informale e una diminuzione del ricorso a cure residenziali.

2.17.

Tendenzialmente, nelle spese di protezione sociale dei paesi dell’UE, le spese per l’istituzionalizzazione in strutture residenziali, potenzialmente segreganti, risultano largamente e strategicamente preponderanti rispetto a politiche per il sostegno all’abitare in autonomia e per la vita indipendente, e ciò nonostante i principi e le indicazioni della Strategia UE per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030, in cui la Commissione europea ha invitato gli Stati membri ad attuare buone pratiche di deistituzionalizzazione nell’ambito della salute mentale e in relazione a tutte le persone con disabilità, compresi i minori, al fine di rafforzare la transizione dall’assistenza prestata negli istituti a servizi di sostegno erogati all’interno della comunità.

2.18.

Il fenomeno del sovraccarico assistenziale riguarda una diversa platea di persone le cui peculiarità condizionano l’intensità, la durata, la tipologia di assistenza prestata oltre alla sua potenziale progressività, e conseguentemente i sovraccarichi: persone con disabilità psichiche, persone con severe disabilità intellettive, persone affette da demenza senile, con patologie croniche, degenerative, oncologiche; in molti casi anche la componente assistenziale strettamente sanitaria è lasciata a carico del familiare che presta assistenza.

2.19.

Pur con ampie differenze, permangono numerosi stereotipi relativi all’attività di assistenza garantita dai congiunti: ad esempio, si rileva la persistenza di stereotipi che riconducono tali situazioni ad inevitabile fatalità o, al contrario, a mera scelta affettiva e consapevole degli stessi familiari assistenti. L’affidamento forzato dell’assistenza personale ai congiunti delle persone con disabilità, in talune specifiche situazioni, comporta una difficoltà all’accesso a percorsi di autonomia personale o di vita indipendente da parte delle stesse persone con disabilità, pregiudicandone o comprimendone le scelte e le opportunità di realizzazione dei propri percorsi esistenziali.

2.20.

Pur con ampie differenze legate alla diversa qualità dei servizi di sostegno, la gestione delle emergenze (malattie del prestatore di assistenza, particolari acuzie, emergenze abitative, conflittualità e stress incontrollato…) rappresenta un fattore di particolare rilievo sia in eventi eccezionali che sotto il profilo dello stress e dell’ansia correlati.

2.21.

Nelle situazioni di maggiore pressione, e in assenza di soluzioni alternative all’assistenza diretta da parte dei familiari, è motivo di profonda e motivata ansia lo scenario di una prevedibile assenza (perdita dell’autonomia personale, patologie degenerative, età, decesso) del congiunto assistente; un’ansia che viene ad essere confermata nel caso di totale assenza di assistenze alternative praticabili. L’affidamento esclusivo di carichi assistenziali al congiunto diviene, in particolare nei casi di maggiore intensità, motivo di confinamento dell’intero nucleo familiare, con effetti prevedibili e talvolta anche patologici.

2.22.

Nella normativa UE è assente un riconoscimento uniforme della figura di chi svolge attività di assistenza ad un congiunto con patologie croniche o degenerative o con disabilità, inclusa la sua valorizzazione nelle relazioni con i servizi, ma anche in termini di riconoscimento dei rischi e dei bisogni che la sua attività comporta.

2.23.

Le situazioni di maggiore esclusione, rischio e svantaggio sembrano correlate alla qualità e alla quantità dei servizi alla famiglia, alla persona, alla disabilità e alla pratica della vita indipendente nonché dei servizi domiciliari, in particolare sanitari e riabilitativi; tuttavia, sono assenti rilevazioni utili ad individuare e delineare con certezza tutti gli aspetti di questa eventuale correlazione e indicare eventuali buone prassi.

2.24.

La direttiva (UE) 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza ha indicato una serie di interventi per compensare le disparità di genere nelle forme di assistenza familiare nonché ulteriori interventi per una maggiore conciliazione fra tempi di cura e tempi di lavoro; al di là dell’analisi dell’effettivo impatto negli Stati membri, la direttiva non riguarda quei familiari che non siano lavoratori, che abbiano rinunciato al lavoro o che siano in quiescenza.

2.25.

In molti contesti il supporto ai cittadini che prestano assistenza a termine a congiunti con disabilità o affetti da patologie croniche o degenerative è sostenuto da organizzazioni senza scopo di lucro (non profit) dei familiari stessi, come emerso nell’audizione del gruppo di studio tematico Diritti delle persone con disabilità del 16 settembre 2021.

2.26.

Nell’UE-27 circa 6,3 milioni di persone lavorano nel settore dell’assistenza a lungo termine, ovvero il 3,2 % dell’intera forza lavoro dell’UE (sulla base dei dati LFS 2019). Esistono grandi differenze tra gli Stati membri, e il tasso molto basso registrato in alcuni paesi (Bulgaria, Estonia, Grecia, Croazia, Italia, Cipro, Lituania, Ungheria, Polonia e Romania — in tutti l’1,8 % o meno) riflette probabilmente la dipendenza dall’assistenza informale (familiare) in questi paesi (e l’affidamento su badanti domestici, impiegati dalle famiglie e al di fuori di queste statistiche).

2.27.

Una ricerca Eurofound (2020) ha rivelato che i salari nell’assistenza a lungo termine e in altri servizi sociali sono inferiori del 21 % alla media e include un invito a promuovere la contrattazione collettiva nel settore per affrontare questo problema (6).

3.   Costruire una politica a favore dei prestatori di assistenza

3.1.

Si rileva l’esigenza di giungere ad una definizione condivisa della figura e della condizione del familiare che presta assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità o patologie croniche o degenerative, inclusi i decadimenti cognitivi e le affezioni oncologiche, anche delineandone le specifiche peculiarità e graduandone gli interventi: una definizione che sia utile al riconoscimento dello status, delle politiche e dei servizi di sostegno nei paesi dell’UE.

3.2.

Si rileva, in una complessiva revisione delle politiche di welfare, la necessità e l’opportunità di valorizzare e garantire il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini (assistenti e assistiti) nella coprogrammazione dei servizi che li riguardano e, prima ancora, nella definizione strategica delle politiche.

3.3.

Al fine di perimetrare il fenomeno, si ritiene indispensabile realizzare uno studio sulla situazione e sulle condizioni di vita dei cittadini che prestano assistenza a lungo termine a congiunti con disabilità o con patologie croniche o degenerative, inclusi i decadimenti cognitivi e le affezioni oncologiche.

3.4.

Ai fini di una corretta informazione per l’elaborazione delle politiche in materia, Eurostat dovrebbe aggiornare la rilevazione «Reconciliation of work and family life (2018)» ed approfondire ulteriormente gli impatti dell’attività di assistenza di lungo termine a congiunti sui familiari, a prescindere dal fatto che svolgano contestuale attività lavorativa.

3.5.

Ai cittadini che assicurano assistenza a lungo termine a congiunti dovrebbe essere garantita una protezione appropriata in ambito sanitario — che includa anche la prevenzione rispetto agli incidenti occorsi nello svolgimento delle prestazioni di assistenza nonché contro le malattie e le altre patologie connesse a tali prestazioni — protezione quanto più simile possibile a quella garantita ai lavoratori dipendenti ed autonomi.

3.6.

È auspicabile avviare approfondimenti economici, giuridici e di impatto volti a individuare criteri condivisi, equi e sostenibili, per il riconoscimento della condizione di lavoro usurante per le attività di assistenza a lungo termine a propri congiunti per quei cittadini che svolgano contemporanea ordinaria attività lavorativa.

3.7.

È opportuno avviare approfondimenti economici, giuridici e di impatto volti a individuare misure economiche di sostegno per coloro che rinunciano al lavoro per prendersi cura di un congiunto anziano o con patologie croniche o degenerative o con disabilità.

3.8.

In coerenza con il parere sulla Strategia per la parità di genere (7), è necessario adottare interventi mirati a contrastare la disparità di genere che interessa l’assistenza a lungo termine a propri congiunti, anche rafforzando l’attuazione delle indicazioni già espresse nella direttiva (UE) 2019/1158.

3.9.

Il successo e l’efficacia delle politiche e dei servizi a favore dei familiari che prestano assistenza a lungo termine sono strettamente connessi alle politiche e ai sostegni attivati a favore delle singole persone con disabilità che intendano o possano intraprendere percorsi di vita indipendente anche al di fuori della famiglia di origine, laddove siano legati ad essa da una dipendenza assistenziale.

3.10.

La conoscenza e la consapevolezza del fenomeno appaiono ancora frammentarie, parziali e limitate a pochi osservatori e attori sociali; tale limitata consapevolezza va compensata, anche con specifiche iniziative, al fine di rafforzare e incentivare adeguate politiche e misure di sostegno. Il CESE auspica quindi l’istituzione di una Giornata europea dei prestatori di assistenza a lungo termine a propri congiunti.

3.11.

Il CESE esorta l’Unione europea a cooperare strettamente con gli Stati membri al fine di migliorare le condizioni di vita sia di chi svolge attività di assistenza a lungo termine a propri congiunti sia dei relativi nuclei familiari, nonché per evitare che tale attività sia — di fatto — forzata. Le misure specifiche per conseguire questo risultato dovrebbero puntare a:

riconoscere e valorizzare il ruolo degli interessati anche nell’ambito dei servizi per la collettività;

garantire servizi e sostegni per l’abitare onde evitare fenomeni di isolamento, marginalità e sovraccarichi psico-fisici;

rafforzare i servizi di domiciliarità con particolare attenzione alle esigenze sanitarie e infermieristiche;

prevedere servizi di sostegno psicologico al congiunto assistente e al nucleo familiare;

prevedere agevolazioni e percorsi facilitati per l’esecuzione di adempimenti burocratici;

garantire servizi di emergenza rispetto ad eventi inattesi o impossibilità di assistenza;

garantire servizi di sollievo che limitino gli effetti di eccessivo e prolungato sovraccarico psicofisico dei familiari;

fronteggiare, anche con aiuti finanziari, il rischio di impoverimento di chi rinuncia ad un’attività lavorativa retribuita o ne riduce la durata e, in generale, del nucleo familiare di riferimento;

favorire, nelle politiche degli Stati membri, l’offerta (qualitativa e quantitativa) di addetti all’assistenza a lungo termine;

favorire, laddove possibile, percorsi per l’acquisizione dell’autonomia personale, soluzioni abitative alternative e percorsi di vita indipendente per le persone con disabilità;

realizzare interventi sui familiari che prestano assistenza basandosi su azioni congiunte fra le politiche pubbliche (riconoscimento e rafforzamento del ruolo di coloro che prestano assistenza a congiunti, disponibilità e affidabilità dei servizi, salute dei prestatori di assistenza, promozione di soluzioni di resistenza, protezione sociale e sistemi di indennizzo per i prestatori di assistenza ecc.) e i datori di lavoro attraverso il dialogo sociale e, infine, gli stessi prestatori di assistenza familiare e le organizzazioni che li rappresentano, garantendo il loro coinvolgimento dall’elaborazione delle politiche pubbliche fino alla loro attuazione.

Bruxelles, 26 ottobre 2022

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 77.

(2)  Direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio (GU L 188 del 12.7.2019, pag. 79).

(3)  «Reconciliation of work and family life», Eurostat 2018.

(4)  GU C 194 del 12.5.2022, pag. 19, punto 3.8

(5)  https://www.eurofound.europa.eu/publications/report/2020/living-working-and-covid-19

(6)  Eurofound, Long-term care workforce: Employment and working conditions, 2020.

(7)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 77.