24.8.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 341/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi

[COM(2021)93 final — 2021/0050 (COD)]

(2021/C 341/13)

Relatore:

Pekka RISTELÄ

Consultazione

Parlamento europeo, 11.3.2021

Consiglio, 15.3.2021

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali e cittadinanza

Adozione in sezione

26.5.2021

Adozione in sessione plenaria

9.6.2021

Sessione plenaria n.

561

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

147/87/11

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della proposta della Commissione, tesa a rendere più facile per i lavoratori l’applicazione del principio della parità retributiva laddove ritengano di essere stati vittime di discriminazione salariale, a garantire una maggiore trasparenza nelle strutture retributive e a rafforzare il ruolo degli organismi nazionali nell’applicazione di tale principio.

1.2.

Il CESE osserva che la proposta di direttiva ha un ambito di applicazione ampio, che copre i lavoratori tanto del settore pubblico come di quello privato, e che riconosce gli aspetti intersezionali della discriminazione.

1.3.

Tuttavia, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe essere rafforzata sotto vari aspetti, in particolare per quanto riguarda i criteri da utilizzare per determinare il valore del lavoro, l’inclusione di alcuni dei principali obblighi di trasparenza e il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nell’attuazione del principio della parità retributiva.

1.4.

Il CESE ritiene che potrebbero essere forniti orientamenti più dettagliati in merito ai criteri oggettivi su cui basarsi per determinare il valore del lavoro in modo neutro sotto il profilo del genere. Tra questi criteri dovrebbero rientrare le competenze e le specificità del lavoro tipicamente svolto da donne, che altrimenti sono spesso trascurate o sottovalutate nel valutare il valore del lavoro, come ad esempio le competenze incentrate sulle persone. Tali criteri dovrebbero essere elaborati dalle parti sociali, o con la loro partecipazione, e formulati in modo da lasciare loro spazio per ulteriori specificazioni.

1.5.

Benché la proposta tenga giustamente conto delle preoccupazioni quanto agli oneri aggiuntivi che comporterà per le PMI, il CESE non ritiene giustificata un’esenzione totale per tutti i datori di lavoro con meno di 250 lavoratori. Potrebbero tuttavia essere opportune norme speciali per le PMI. Gli Stati membri dovrebbero inoltre essere tenuti a fornire sostegno, formazione e assistenza tecnica ai datori di lavoro, in particolare alle PMI, in merito ai loro obblighi in materia di trasparenza retributiva.

1.6.

Il CESE ritiene che debbano essere adottate misure volte a promuovere la contrattazione collettiva sulla parità retributiva e altre misure volte a colmare il divario retributivo di genere, fatta salva l’autonomia delle parti sociali. La contrattazione collettiva può svolgere un ruolo significativo e positivo nel promuovere sistematicamente la parità retributiva e la parità di genere a livello aziendale, settoriale, regionale o nazionale.

1.7.

Il CESE sottolinea che le misure contenute nella proposta sono solo alcune di quelle necessarie per affrontare le questioni strutturali alla base del divario retributivo di genere. Sarà infatti necessario un approccio olistico che comprenda un approfondimento e un rafforzamento dell’attuazione al fine di garantire la parità retributiva nella pratica, tra cui: ulteriori azioni per affrontare i problemi della segregazione del mercato del lavoro, degli stereotipi di genere e della sottovalutazione del lavoro a prevalenza femminile, servizi di assistenza all’infanzia adeguati e accessibili, nonché disposizioni adeguate in materia di congedo per i partner e iniziative volte a sensibilizzare alla questione dei divari retributivi, promuovere le opportunità di carriera per le donne e garantire una migliore rappresentanza femminile in posizioni decisionali, ed eliminare i disincentivi fiscali all’occupazione femminile.

2.   Introduzione

2.1.

La parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è uno dei diritti e dei principi fondamentali sia dell’UE (1) sia degli strumenti internazionali ed europei per la protezione dei diritti umani (2). Tale diritto è stato ribadito più recentemente nel secondo principio del pilastro europeo dei diritti sociali, ed è espresso nell’articolo 4 della direttiva sull’uguaglianza di genere (3), che vieta la discriminazione di genere diretta e indiretta per quanto riguarda la retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

2.2.

Il quadro dell’UE per la parità retributiva è in vigore da molti decenni (4) e ha contribuito a contrastare la discriminazione salariale e i pregiudizi di genere nelle strutture retributive. Secondo l’EIGE, il 9 % (su un 14,1 %) del divario retributivo di genere (la parte «inspiegabile») è attribuito sia alle caratteristiche non osservate dei lavoratori non rilevate dal modello che a discriminazioni (5). Altre cause del divario retributivo di genere sono rappresentate, ad esempio, dal fatto che le donne si assumono una quota maggiore di responsabilità relative all’assistenza non retribuita, con ripercussioni sulla loro partecipazione al mercato del lavoro, come il lavoro a tempo parziale, nonché la segregazione occupazionale orizzontale e verticale. Alcuni di questi problemi sono affrontati da altri aspetti del diritto e della politica dell’Unione (6).

2.3.

Queste misure hanno portato a compiere passi in avanti in materia di eliminazione del divario retributivo di genere nell’UE; tuttavia, il divario retributivo medio per un lavoro a tempo pieno nell’UE si attesta ancora al 14,1 %, con solo scarsi progressi realizzati in questo campo nell’ultimo decennio; gli sviluppi variano tra i diversi Stati membri, alcuni dei quali presentano persino divari retributivi crescenti (7). Il fatto che le donne, in media, continuino a ricevere un compenso orario inferiore rispetto agli uomini contribuisce al divario di genere nella retribuzione annua complessiva [36,7 % (8)] e nelle pensioni [30 % (9)], ma non è l’unico fattore che contribuisce a tali divari. In particolare, questo divario si spiega in larga misura con il fatto che le donne dedicano meno ore al lavoro retribuito, in larga misura per farsi carico di responsabilità di assistenza non retribuite (10). Il lavoro a tempo pieno influisce in maniera significativa sui salari e sulle opportunità di carriera, e per offrire questa opportunità sia alle donne che agli uomini servono strutture di sostegno quali i servizi di assistenza, responsabilità familiari condivise e l’eliminazione dei disincentivi fiscali all’occupazione femminile.

2.4.

La giurisprudenza degli organismi di monitoraggio degli strumenti internazionali ed europei in materia di diritti umani mostra chiaramente che nella maggior parte degli Stati membri vi è ancora un ampio margine di miglioramento, sia di diritto che di fatto, nel garantire e far rispettare il diritto alla parità retributiva, anche in termini di trasparenza delle retribuzioni (11).

2.5.

La pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto grave sulla società, sull’economia, sui lavoratori, sugli imprenditori e sulle aziende. Un aspetto importante della pandemia è che ha evidenziato il fatto che le donne ricevono ancora una retribuzione inferiore agli uomini e che il lavoro svolto in molte professioni essenziali a prevalenza femminile continua a essere sottovalutato. Inoltre, la pandemia ha avuto un impatto sproporzionato sulle donne, sia sul luogo di lavoro che in altri ambiti, e questo, in mancanza di un’azione decisiva, rischia di ripercuotersi negativamente sulla parità di genere (12).

2.6.

La proposta di direttiva della Commissione volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi (2021/0050 (COD), di seguito anche «la proposta») riconosce che, in questo contesto, è urgente adottare delle iniziative di promozione della parità retributiva tra uomini e donne. La proposta punta ad affrontare alcuni dei principali ostacoli all’effettiva attuazione e applicazione pratica del quadro dell’UE per la parità retributiva, che continua a rappresentare una sfida (13). La Commissione ritiene che una riduzione di 3 punti percentuali del divario retributivo di genere «inspiegabile» rappresenti una stima ragionevole dell’impatto che avranno le misure proposte, sebbene la mancanza di dati precisi sulla portata della discriminazione retributiva renda difficile valutare il suddetto impatto (14).

2.7.

La Commissione ha individuato tre principali tipi di sfide al riguardo: la mancanza di chiarezza in relazione ai concetti giuridici chiave, per esempio «lavoro di pari valore», la mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi e una serie di ostacoli procedurali, come le spese legali elevate o la mancanza di un’indennità adeguata (15). Nel 2014 la Commissione ha pubblicato una raccomandazione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza (in appresso «la raccomandazione»), intesa ad affrontare alcune delle questioni summenzionate (16). La raccomandazione ha avuto uno scarso seguito negli Stati membri (17), sebbene in alcuni di essi siano già in atto varie misure di trasparenza delle retribuzioni, che differiscono per struttura e portata (18).

2.8.

All’inizio del suo mandato, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha individuato nel principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro il principio fondante di una nuova strategia europea sulla parità di genere nelle misure vincolanti per la trasparenza delle retribuzioni una delle sue priorità politiche. La Commissione ha successivamente incluso l’introduzione delle suddette misure nella strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025. Il Parlamento europeo ha espresso il suo sostegno all’introduzione di tali misure nelle sue risoluzioni sul divario retributivo di genere (19) e sulla strategia per la parità di genere (20). Il CESE ha inoltre invitato la Commissione a impegnarsi in questo settore per affrontare situazioni in cui i lavori generalmente svolti dalle donne sono sottovalutati, anche introducendo misure vincolanti per la trasparenza delle retribuzioni, ma anche misure volte a garantire pari opportunità per le donne e gli uomini nel mercato del lavoro e a contrastare la segregazione orizzontale e verticale di genere per professione (21).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE già in passato ha espresso l’opinione che siano necessarie misure vincolanti per rafforzare il principio della parità retributiva tra donne e uomini (22). L’esperienza relativa alla raccomandazione del 2014 sulla trasparenza retributiva ha dimostrato che le misure non vincolanti difficilmente ottengono i risultati desiderati, ovvero garantire l’effettiva applicazione del principio della parità retributiva nella pratica alla velocità necessaria.

3.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della proposta della Commissione, tesa a rendere più facile per i lavoratori l’applicazione del principio della parità retributiva laddove ritengano di essere stati vittime di discriminazione salariale, a garantire una maggiore trasparenza nelle strutture retributive e a rafforzare il ruolo degli organismi nazionali nell’applicazione di tale principio.

3.3.

Tuttavia, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe essere rafforzata sotto vari aspetti, in particolare per quanto riguarda i criteri da utilizzare per determinare il valore del lavoro, e l’inclusione di alcuni dei principali obblighi di trasparenza e il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nell’attuazione del principio della parità retributiva, posto che le parti sociali sono i soggetti più idonei a riesaminare il valore di competenze e professioni (23). Esprime preoccupazione per il fatto che, in caso contrario, i benefici delle misure proposte saranno limitati per molti lavoratori, e dette misure non apporteranno un contributo sufficiente ai cambiamenti sistemici che sono necessari per eliminare la discriminazione salariale e i pregiudizi di genere nelle strutture retributive.

3.4.

Il CESE sottolinea che le misure contenute nella proposta sono solo alcune di quelle necessarie per affrontare le questioni strutturali alla base del divario retributivo di genere. Sarà infatti necessario un approccio olistico che comprenda un approfondimento e un rafforzamento dell’attuazione al fine di garantire la parità retributiva nella pratica, tra cui: ulteriori azioni per affrontare i problemi della segregazione del mercato del lavoro, degli stereotipi di genere e della sottovalutazione del lavoro a prevalenza femminile, servizi di assistenza all’infanzia adeguati e accessibili, nonché disposizioni adeguate in materia di congedo per i partner, e iniziative volte a sensibilizzare alla questione dei divari retributivi, promuovere le opportunità di carriera per le donne e garantire una migliore rappresentanza femminile in posizioni decisionali, ed eliminare i disincentivi fiscali all’occupazione femminile.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Ambito di applicazione e definizioni

4.1.1.

Il CESE osserva che la proposta di direttiva ha un ambito di applicazione ampio (articolo 2) che riguarda sia il settore pubblico che quello privato, nonché tutti i lavoratori titolari di un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro, laddove la determinazione dell’esistenza di tale rapporto è guidata dai fatti legati allo svolgimento del lavoro stesso. La direttiva si applica anche ai lavoratori atipici, quali quelli che prestano lavoro a chiamata o tramite piattaforma digitale, qualora i fatti relativi alla prestazione di lavoro indichino che questi criteri sono soddisfatti (24). L’esistenza di un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro è definita dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia.

4.1.2.

La definizione di «categorie di lavoratori», di cui all’articolo 3, stabilisce che queste debbano essere specificate dal datore di lavoro. È fondamentale che siano previsti meccanismi volti a garantire che le categorie di lavoratori siano determinate in modo neutro sotto il profilo del genere, ad esempio assicurando che queste siano elaborate con il coinvolgimento dei rappresentanti sindacali o dei lavoratori conformemente al diritto e alle prassi nazionali.

4.1.3.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la definizione di discriminazione salariale comprenda la discriminazione fondata su una combinazione di discriminazioni fondate sul sesso e su qualunque altro motivo (25), riconoscendo così che vi è un’intersezione di vari assi di discriminazione. La Commissione dovrebbe fornire ulteriori orientamenti per garantire che i casi in cui la discriminazione salariale deriva da una combinazione di discriminazione basata sul sesso e su un’altra caratteristica tutelata possano essere identificati e trattati come tali.

4.1.4.

Il CESE rileva che in tutto il testo della proposta vengono attribuite responsabilità ai «rappresentanti dei lavoratori» senza che questi siano definiti. La proposta afferma, nella relazione, che «se i rappresentanti formali dei lavoratori non sono presenti nell’organizzazione, il datore di lavoro dovrebbe designare uno o più lavoratori a tal fine». Per non rischiare indebite interferenze con i sistemi nazionali di relazioni industriali, e per evitare che i rappresentanti dei lavoratori scelti dal datore di lavoro (26) ignorino i diritti e le prerogative sindacali, la proposta dovrebbe garantire che i rappresentanti legittimi dei lavoratori siano sempre designati dai lavoratori. Occorre precisare che ciò deve avvenire conformemente alle convenzioni e alla giurisprudenza pertinenti dell’Organizzazione internazionale del lavoro in materia di libertà di associazione, diritto di organizzazione e diritto di contrattazione collettiva.

4.2.   Parità retributiva e lavoro di pari valore

4.2.1.

All’articolo 4, paragrafo 3, la proposta chiarisce alcuni dei criteri oggettivi da utilizzare per determinare il valore del lavoro, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), e chiede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per assicurare lo sviluppo di strumenti o metodologie volti a valutare il valore del lavoro. Queste disposizioni aiuteranno i lavoratori che intendono far valere i propri diritti individuando un termine di paragone appropriato e garantiranno che il valore del lavoro sia valutato in modo più coerente tra gli Stati membri. Aiuteranno le parti sociali a progettare strutture retributive in modo neutro sotto il profilo del genere e a determinare quali categorie di lavoratori svolgono un lavoro di pari valore, aspetto essenziale per l’applicazione delle altre disposizioni della proposta di direttiva.

4.2.2.

Tuttavia, il testo della disposizione proposta elenca solo alcuni criteri generali. Sarebbe auspicabile che fossero forniti maggiori dettagli in merito ai criteri oggettivi da utilizzare per determinare il valore del lavoro, per cui si dovrebbe compiere uno sforzo particolare per garantire che le competenze e le caratteristiche richieste dei lavori generalmente svolti dalle donne non siano trascurate. Se tali competenze e caratteristiche sono ignorate, la valutazione del valore del lavoro non è neutra sotto il profilo del genere. Ad esempio, i criteri proposti dovrebbero specificare ulteriori sottocriteri da prendere in considerazione, tra cui le competenze incentrate sulle persone che sono tipiche del lavoro svolto in molte professioni a prevalenza femminile, come il lavoro di assistenza alla persona (27). Fornire maggiori dettagli contribuirebbe a garantire che il lavoro generalmente svolto dalle donne non sia sottovalutato. Tali criteri dovrebbero essere formulati in modo da lasciare spazio a ulteriori precisazioni da parte delle parti sociali.

4.2.3.

Le parti sociali sono i soggetti più idonei ad analizzare il valore di competenze e professioni. I criteri neutri sotto il profilo del genere, nonché gli strumenti e le metodologie per determinare il valore del lavoro di cui all’articolo 4, paragrafo 2, dovrebbero essere messi a punto con il coinvolgimento delle parti sociali o da queste ultime, fatta salva la loro autonomia. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva sono importanti per raggiungere gli obiettivi auspicati e contrastare il divario retributivo di genere.

4.2.4.

Il CESE accoglie con favore l’introduzione della possibilità di ricorrere a un «lavoratore di riferimento» ipotetico o ad altri elementi di prova che consentano di presumere la presenza di una discriminazione nel caso in cui non sia possibile stabilire un termine di paragone reale. Ciò aiuterà i lavoratori che svolgono le proprie mansioni in luoghi di lavoro con una forte segregazione di genere a dimostrare l’esistenza dell’eventuale discriminazione, anche se non esiste un termine di paragone reale. È particolarmente importante garantire che le lavoratrici in luoghi di lavoro con una forte segregazione di genere possano presentare richieste di parità retributiva, poiché i dati indicano che esiste una correlazione tra il grado di femminilizzazione di un posto di lavoro e la retribuzione più bassa, vale a dire che più elevata è la percentuale di donne, più bassa è la retribuzione (28).

4.3.   Trasparenza retributiva

4.3.1.

Il CESE prende atto delle misure proposte negli articoli da 5 a 9, volte a migliorare la disponibilità di informazioni sulla retribuzione, anche prima dell’assunzione, e la trasparenza nelle strutture retributive, pur constatando che occorre tenere conto dei modelli nazionali di relazioni industriali; questi ultimi possono contribuire ad affrontare una delle principali sfide nell’identificazione e nel contrasto della discriminazione salariale, nonché le disparità retributive dovute alle differenze di genere nelle negoziazioni salariali iniziali, che tendono a svantaggiare le donne (29). Il CESE osserva che la proposta riconosce che l’articolo 5 non limita la capacità dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle parti sociali di negoziare una retribuzione al di fuori della fascia indicata.

4.3.2.

Queste misure potrebbero indurre i datori di lavoro a individuare e affrontare i divari retributivi nelle loro organizzazioni. L’informazione e la valutazione congiunta possono contribuire a sensibilizzare in merito alla discriminazione salariale e ai pregiudizi di genere nelle strutture retributive e ad affrontarli in modo più sistematico ed efficace, a vantaggio di tutti i lavoratori dell’organizzazione, senza che sia necessario presentare reclami in materia di parità di retribuzione. Allo stesso tempo, è importante migliorare la conoscenza, da parte dei dipendenti, delle strutture delle retribuzioni e degli stipendi e del modo in cui possono essere influenzate. Anche le attività di sensibilizzazione sulle questioni di genere nei luoghi di lavoro fornirebbero un contributo significativo per affrontare il problema del divario retributivo. Una maggiore trasparenza retributiva può avere effetti positivi anche sulla soddisfazione, il mantenimento e la produttività della forza lavoro (30).

4.3.3.

La formulazione proposta dell’articolo 7, paragrafo 5, induce a pensare che ai lavoratori possa essere impedito di parlare liberamente con altri del loro salario al di là delle circostanze specifiche inerenti all’applicazione del principio della parità retributiva. Il CESE sottolinea che, per garantire una maggiore trasparenza, sarebbe opportuno chiarire che ai lavoratori non dovrebbe essere impedito di rivelare il proprio stipendio ai colleghi e a terzi, in particolare ai loro sindacati. Poter discutere liberamente con gli altri della propria retribuzione consente ai lavoratori di individuare l’eventuale violazione del principio della parità retributiva.

4.3.4.

Inoltre, i datori di lavoro non dovrebbero poter impedire ai lavoratori di divulgare ai propri sindacati informazioni sui livelli retributivi suddivisi per categorie di lavoratori ottenute su richiesta e che potrebbero indicare l’esistenza di una discriminazione salariale (articolo 7, paragrafo 6). Il destinatario, infatti, potrebbe essere tenuto a trattare le informazioni ricevute in modo confidenziale a meno che non le utilizzi ai fini dell’applicazione del diritto alla parità retributiva.

4.3.5.

La limitazione dell’obbligo di informazione sui divari salariali all’interno delle organizzazioni ai datori di lavoro con almeno 250 lavoratori (articolo 8, paragrafo 1), che esonera tutte le piccole e medie imprese (PMI), significherà che solo circa un terzo di tutti i lavoratori dell’UE potranno beneficiare di questa misura (31). Inoltre, le donne sono sovrarappresentate nelle piccole imprese (32), il che significa che della misura beneficerà una percentuale persino più bassa di lavoratrici. Questa soglia costituisce un passo indietro rispetto alla raccomandazione della Commissione del 2014, che propone l’obbligo di fornire informazioni sulle retribuzioni per i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti (33).

4.3.6.

Il CESE riconosce che le PMI potrebbero disporre di risorse più limitate per ottemperare ai loro obblighi a norma della direttiva proposta. La proposta dovrebbe tenere conto delle preoccupazioni quanto agli oneri aggiuntivi che essa comporterà per le PMI, in particolare dati il peso e la rilevanza che tali oneri potrebbero assumere nella fase di ripresa dalla pandemia, che potrebbe essere già avviata dopo l’entrata in vigore della proposta di direttiva. Ciononostante, la Commissione stima che i costi di produzione delle comunicazioni/informazioni saranno molto contenuti (34). Un’esenzione totale per tutti i datori di lavoro con meno di 250 lavoratori non è pertanto giustificata, ma potrebbe essere opportuno applicare norme speciali per le PMI.

4.3.7.

Norme speciali volte a ridurre la frequenza di comunicazione obbligatoria per le piccole imprese farebbero diminuire i costi, richiedendo nel contempo ai datori di lavoro di individuare ed eliminare i divari salariali, a tutto vantaggio dei lavoratori. La soglia per gli obblighi di comunicazione non dovrebbe essere superiore a 50 lavoratori, ma la frequenza delle segnalazioni per le imprese con più di 50 ma meno di 250 lavoratori potrebbe essere ridotta.

4.3.8.

Una preoccupazione simile emerge per quanto riguarda la limitazione dell’obbligo di effettuare una valutazione congiunta ai datori di lavoro con almeno 250 lavoratori (articolo 9). Si stima che i costi per la produzione di una valutazione congiunta siano leggermente superiori a quelli delle informazioni di cui all’articolo 8 (35), ma non giustificano ancora un’esenzione totale per i datori di lavoro con meno di 250 dipendenti. Potrebbero essere giustificate norme speciali per le PMI.

4.3.9.

Gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a fornire sostegno, formazione e assistenza tecnica ai datori di lavoro, in particolare alle PMI, per consentire loro di adempiere ai loro obblighi in materia di trasparenza retributiva, anche tramite l’elaborazione di strumenti e metodologie per calcolare i divari retributivi. Laddove sia possibile e opportuno, gli Stati membri dovrebbero inoltre avvalersi della possibilità, prevista all’articolo 8, paragrafo 4, di redigere essi stessi le informazioni sui divari retributivi tra le organizzazioni, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese.

4.3.10.

Il CESE rileva che la proposta differisce dalla raccomandazione in quanto richiede che i datori di lavoro presentino informazioni relative soltanto al divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e lavoratori di sesso maschile per categorie di lavoratori e in tutta l’organizzazione. Per garantire una maggiore trasparenza e responsabilità, i rappresentanti sindacali o dei lavoratori dovrebbero essere in grado di verificare il metodo utilizzato dal datore di lavoro per calcolare il divario retributivo e se tali calcoli sono esatti, nel dovuto rispetto del diritto nazionale e delle pratiche in uso negli Stati membri. In linea con la raccomandazione, l’obbligo di presentare informazioni dovrebbe essere esteso ai livelli salariali medi dei lavoratori di sesso femminile e dei lavoratori di sesso maschile per categoria di lavoratori. Questo consente ai lavoratori e ad altri organismi di valutare le effettive differenze di retribuzione tra le categorie di lavoratori, il che è essenziale per garantire l’effettiva applicazione del principio della parità retributiva.

4.3.11.

Il CESE rileva che la proposta non specifica la frequenza con cui i datori di lavoro dovrebbero fornire informazioni relative alla retribuzione per diverse categorie di lavoratori (articolo 8, paragrafo 1, lettera g)]. Queste informazioni dovrebbero essere rese disponibili con cadenza annuale, come accade per altri tipi di informazioni. Potrebbero essere previste disposizioni speciali per le PMI in materia di frequenza delle comunicazioni, come suggerito al punto 4.3.7.

4.3.12.

Il CESE sostiene la proposta di obbligare i datori di lavoro a porre rimedio alla situazione, in collaborazione con i rappresentanti sindacali o dei lavoratori e con altri organismi, e l’obbligo di includere misure volte a porre rimedio alle differenze rilevate e riferire sull’efficacia di tali misure nella valutazione congiunta (articolo 8, paragrafo 7, articolo 9, paragrafo 2 e articolo 9, paragrafo 3). Queste disposizioni sono fondamentali per garantire che l’obbligo di presentare informazioni e l’obbligo di effettuare una valutazione congiunta siano efficaci nel promuovere il principio della parità retributiva.

4.3.13.

A norma dell’articolo 10, paragrafo 1, le informazioni fornite ai sensi dei predetti requisiti, che comportano il trattamento di dati personali, devono essere comunicate in conformità del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (36)(regolamento generale sulla protezione dei dati — GDPR). Occorre specificare che i datori di lavoro non dovrebbero usare il GDPR per giustificare il loro diniego a fornire le informazioni necessarie per individuare la discriminazione salariale. L’articolo 10, paragrafo 3, prevede protezioni adeguate per la privacy del singolo lavoratore, poiché stabilisce che, qualora un lavoratore sia identificabile, le informazioni che lo riguardano dovrebbero essere rese disponibili esclusivamente ai rappresentanti dei sindacati o dei lavoratori o all’organismo di parità. Questi dovrebbero poi fornire consulenza al lavoratore in merito alla presenza o meno di eventuali motivi per presentare un reclamo in materia di parità di retribuzione.

4.4.   Contrattazione collettiva e dialogo sociale in merito alla parità retributiva

4.4.1.

La proposta riconosce l’importanza del fatto che nella contrattazione collettiva le parti sociali prestino particolare attenzione agli aspetti relativi alla parità retributiva e prevede che gli Stati membri adottino misure volte a incoraggiare le parti sociali a prestare la dovuta attenzione ai suddetti aspetti, comprese le discussioni al livello appropriato della contrattazione collettiva (37). Prevede inoltre che in tutta l’Unione siano rispettate le diverse caratteristiche dei sistemi nazionali di dialogo sociale e contrattazione collettiva, come pure l’autonomia e la libertà contrattuale delle parti sociali, nonché la loro capacità di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro (38). Tuttavia, a differenza della raccomandazione del 2014, la proposta non include una disposizione che garantisca che la questione della parità retributiva possa essere discussa al livello appropriato della contrattazione collettiva.

4.4.2.

L’articolo 11 prevede soltanto che i diritti e gli obblighi derivanti dalla direttiva debbano essere discussi con le parti sociali. Sarebbe opportuno specificare ulteriormente cosa comporta questa disposizione. In particolare e nello specifico, è importante garantire l’adozione di misure volte a promuovere la contrattazione collettiva sulla parità retributiva e altre misure volte a colmare il divario retributivo di genere, fatta salva l’autonomia delle parti sociali. La contrattazione collettiva può svolgere un ruolo significativo e positivo nel promuovere sistematicamente la parità retributiva e di genere a livello aziendale, settoriale o nazionale.

4.4.3.

Inoltre, sarebbe opportuno incoraggiare l’adozione di ulteriori misure volte a promuovere il dialogo sociale, il dibattito sulla parità retributiva e la messa a punto, a cura delle parti sociali, di programmi di valutazione del lavoro neutri sotto il profilo del genere, nonché la sensibilizzazione sulla questione della parità retributiva e la condivisione delle buone pratiche al loro interno.

4.4.4.

Si dovrebbe rafforzare la capacità dei rappresentanti sindacali o dei lavoratori di agire per conto dei lavoratori, anche conferendo a tali rappresentanti il diritto di richiedere informazioni in merito ai livelli retributivi per categorie di lavoratori, suddivisi per genere. Dette informazioni consentirebbero ai rappresentanti dei sindacati o dei lavoratori di identificare la discriminazione salariale e adoperarsi per contrastarla, anche attraverso la contrattazione collettiva.

4.4.5.

Il CESE sottolinea che i rappresentanti sindacali o dei lavoratori devono disporre delle conoscenze tecniche e della formazione necessarie per svolgere la propria funzione di individuazione della discriminazione salariale, consulenza e rappresentanza dei lavoratori rispetto alle questioni pertinenti. Occorre chiarire che i sindacati hanno il diritto di rappresentare i propri membri.

4.5.   Mezzi di tutela e applicazione

4.5.1.

Il CESE prende atto delle disposizioni proposte volte a superare gli ostacoli procedurali cui devono far fronte i lavoratori che intendono presentare un reclamo in materia di parità di retribuzione, come spese legali elevate, un’indennità inadeguata e termini di prescrizione. A tale riguardo, riconosce che le diverse tradizioni giuridiche in materia di norme di procedura differiscono da uno Stato membro all’altro. Il CESE sottolinea la necessità di flessibilità al fine di rispettare sia i sistemi giudiziari nazionali sia le diverse caratteristiche dei sistemi nazionali di dialogo sociale e di contrattazione collettiva in tutta l’Unione e l’autonomia e la libertà contrattuale delle parti sociali, nonché la loro capacità di rappresentare i lavoratori e i datori di lavoro.

4.5.2.

Il CESE sostiene la proposta di garantire che diversi soggetti possano agire per conto o a sostegno di un lavoratore o di un gruppo di lavoratori, con il loro accordo esplicito, e che gli organismi per la parità e i rappresentanti dei lavoratori possano farlo per conto di più lavoratori (articolo 13). Si potrebbe anche prendere in considerazione la possibilità di un’azione collettiva a livello nazionale, in quanto si prevede che avrà un impatto sostanziale sull’applicazione delle norme (39). Il CESE sottolinea la necessità di flessibilità al fine di rispettare le diverse tradizioni giuridiche e i sistemi giudiziari nazionali.

4.5.3.

Il CESE rileva che l’articolo 19 relativo alle spese legali e giudiziarie potrebbe comportare difficoltà finanziarie per le microimprese e alcune piccole imprese convenute nei procedimenti. Qualora le spese legali siano talmente elevate da minacciare il funzionamento dell’impresa, il mancato recupero dovrebbe essere considerato manifestamente irragionevole.

4.5.4.

Il CESE osserva che il termine di prescrizione di tre anni proposto all’articolo 18 potrebbe richiedere cambiamenti significativi che comportano sfide per i meccanismi di risoluzione delle controversie esistenti in alcuni Stati membri. In tal caso, gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di adeguare i loro sistemi giudiziari e le loro tradizioni giuridiche, senza compromettere l’obiettivo dell’articolo 18, che è quello di garantire che termini di prescrizione brevi non costituiscano un ostacolo che impedisca alle vittime di discriminazioni retributive di far valere il loro diritto alla parità di retribuzione.

4.6.   Organismi per la parità e organismo di monitoraggio

4.6.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di rafforzare il ruolo degli organismi per la parità nell’applicazione del principio della parità retributiva e di garantire la cooperazione tra gli organismi per la parità e altri organismi con funzioni di ispezione (articolo 25). Inoltre, occorre assicurare una stretta cooperazione tra gli organismi per la parità e le parti sociali, come pure con l’organismo di monitoraggio, se diverso dall’organismo per la parità, nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali.

4.6.2.

Il CESE accoglie con particolare favore quanto disposto in materia di risorse adeguate degli organismi per la parità per consentire loro di svolgere efficacemente le loro funzioni (articolo 25, paragrafo 3). Si compiace inoltre del requisito proposto di istituire un organismo di monitoraggio per sostenere l’attuazione del principio della parità retributiva (articolo 26). Tuttavia, per rafforzare ulteriormente il ruolo degli organismi nazionali, la proposta dovrebbe garantire che l’organismo di monitoraggio e gli ispettorati del lavoro dispongano di risorse adeguate per svolgere efficacemente le loro funzioni.

4.6.3.

Il CESE ritiene che la composizione dell’organismo di monitoraggio dovrebbe includere le parti sociali coinvolte nell’applicazione del principio della parità retributiva, in particolare i sindacati e i rappresentanti dei datori di lavoro, nonché le organizzazioni della società civile attive nella promozione della parità di genere e della parità retributiva.

4.7.   Disposizioni orizzontali

4.7.1.

Il CESE ritiene che la clausola di non regressione (articolo 24) proposta possa essere ulteriormente rafforzata, aggiungendo che nessuna disposizione della direttiva deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti e dei principi riconosciuti, nei rispettivi ambiti di applicazione, dal diritto dell’Unione o dal diritto internazionale e dagli accordi internazionali di cui l’UE o gli Stati membri sono parti.

4.7.2.

L’articolo 27 è teso a garantire che la direttiva non pregiudichi il diritto delle parti sociali di negoziare, concludere e applicare contratti collettivi o di intraprendere azioni collettive conformemente al diritto e alle prassi nazionali. Occorre infine specificare che le parti sociali possono introdurre disposizioni o applicare contratti collettivi più favorevoli per i lavoratori di quelli previsti dalla direttiva.

4.7.3.

Il CESE osserva che l’articolo 30 consente di affidare alle parti sociali l’attuazione della direttiva, laddove le stesse lo richiedano congiuntamente, a condizione che i risultati prescritti dalla direttiva stessa siano sempre assicurati. Questa disposizione garantisce che la direttiva consenta modalità di attuazione diverse nei diversi sistemi nazionali, garantendo nel contempo lo stesso livello di protezione per i lavoratori.

Bruxelles, 9 giugno 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  È stabilita dall’articolo 119 del trattato di Roma (1957) e ora ripresa all’articolo 157, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. L’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilisce che la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di retribuzione.

(2)  Cfr., in particolare, l’articolo 7, lettera a), punto i), del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR), la Convenzione n. 100 dell’OIL (1951) e l’articolo 4, paragrafo 3, della Carta sociale europea del Consiglio d’Europa (1961, revisionata nel 1996).

(3)  GU L 204 del 26.7.2006, pag. 23

(4)  Direttiva sulla parità retributiva (GU L 45 del 19.2.1975, pag. 19).

(5)  Studio dell’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) sul tema Disparità di genere nell'assistenza e conseguenze per il mercato del lavoro, pag. 26.

(6)  GU L 188 del 12.7.2019, pag. 79; COM(2020) 152 final del 5.3.2020 e COM(2017) 678 final del 20.11.2017.

(7)  Dati Eurostat del 2019, statistiche in materia di divario salariale tra uomini e donne.

(8)  Dati Eurostat del 2016, Gender comprehensive earnings gap («Divario di genere nella retribuzione complessiva»).

(9)  Dati Eurostat del 2018, Closing the gender pension gap? («Colmare il divario pensionistico di genere?»)

(10)  Eurostat (2019) Why do people work part-time? («Perché c’è chi lavora a tempo parziale?»)

(11)  Cfr., ad esempio, la giurisprudenza del Comitato di esperti dell'OIL sull'applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR) sulla Convenzione n. 100 intitolata Convenzione sull'uguaglianza di retribuzione (1951), le decisioni adottate dal Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) del Consiglio d'Europa sulle denunce collettive presentate dall'associazione University Women of Europe (UWE) contro 15 Stati membri dell'UE e le conclusioni del CEDS sulla non conformità con l'articolo 4, paragrafo 3, della Carta sociale europea secondo la normale procedura di informazione.

(12)  Wenham, C. (2020) The gendered impact of the COVID-19 crisis and post-crisis period («L’impatto di genere della crisi COVID-19 e del periodo successivo alla crisi»), Parlamento europeo; Eurofound (2020) Women and labour market equality: Has COVID-19 rolled back recent gains? («Le donne e la parità sul mercato del lavoro: la COVID-19 ha fatto regredire le conquiste recenti?»); Commissione europea, Relazione 2021 sulla parità di genere nell’UE.

(13)  Secondo quanto evidenziato dalla relazione della Commissione europea sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE, COM(2013) 861 final, e dalla valutazione delle disposizioni pertinenti nella direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (SWD/2020/50 final).

(14)  Valutazione d’impatto che accompagna la proposta, pag. 116.

(15)  COM(2013) 861 final; SWD(2020) 50 final.

(16)  GU L 69 dell'8.3.2014, pag. 112.

(17)  COM(2017) 671 final.

(18)  Veldman, A. (2017) Pay Transparency in the EU: A legal analysis of the situation in the EU Member States, Iceland, Liechtenstein and Norway («Trasparenza retributiva nell’UE: un’analisi giuridica della situazione negli Stati membri dell’UE, in Islanda, Liechtenstein e Norvegia»), Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.

(19)  Risoluzione del Parlamento europeo, 30.1.2020.

(20)  Risoluzione del Parlamento europeo, 21.1.2021.

(21)  GU C 110 del 22.3.2019, pag. 26; GU C 240 del 16.7.2019, pag. 3; GU C 364 del 28.10.2020, pag. 77.

(22)  GU C 364 del 28.10.2020, pag. 77.

(23)  GU C 110 del 22.3.2019, pag. 26.

(24)  Considerando 11 della proposta.

(25)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22) e direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16)..

(26)  La giurisprudenza del Comitato dell’OIL sulla libertà di associazione (CFA) e del Comitato di esperti dell’OIL sull’applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (CEACR) precisa chiaramente che le prerogative dei sindacati non possono essere sostituite da, o aperte a, altre organizzazioni, associazioni o (raggruppamenti) di singoli lavoratori (scelti dal datore di lavoro). Cfr. in particolare il compendio della giurisprudenza del CFA dell’OIL (parr. 1214, 1222-1230, 1234, 1342-1349) e il sondaggio generale del CEACR del 2012, pagg. 96-97.

(27)  Ad esempio, si potrebbe specificare che le «competenze» comprendono le competenze interpersonali, che lo «sforzo» comprende non solo lo sforzo fisico, ma anche quello psicologico e psicosociale, o che la «natura dei compiti» comprende il sostegno emotivo. Orientamenti più dettagliati sui tipi di criteri e sottocriteri da utilizzare per determinare il valore del lavoro sono contenuti nel documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE, SWD(2013) 512 final del 16 dicembre 2013.

(28)  OIL (2018) Global wage report 2018/2019: what lies behind gender pay gaps («Relazione mondiale sui salari 2018/2019: che cosa sta alla base dei divari retributivi di genere»), Ginevra, OIL, pag. 75.

(29)  I dati disponibili indicano che, ad esempio, le donne tendono a evitare i negoziati relativi alla retribuzione e che gli uomini hanno più successo delle donne nel negoziare i risultati del mercato del lavoro. Cfr. M. Recalde e L. Vesterlund, Gender Differences in Negotiation and Policy for Improvement («Differenze di genere nella negoziazione e strategie di miglioramento»), documento di lavoro dell’Ufficio nazionale per la ricerca economica degli Stati Uniti (consultabile all’indirizzo https://www.nber.org/papers/w28183); A. Leibbrandt e J. A. List, Do Women Avoid Salary Negotiations? («Le donne evitano i negoziati salariali?») Evidence from a Large Scale, Natural Field Experiment («Dati provenienti da un esperimento naturale sul campo su vasta scala»), documento di lavoro dell’Ufficio nazionale per la ricerca economica degli Stati Uniti (consultabile all’indirizzo https://www.nber.org/papers/w18511).

(30)  Cfr. Valutazione d’impatto che accompagna la proposta, pagg. 17-18 e, ad esempio: Chamberlain, A., Is Salary Transparency More Than a Trend? («La trasparenza salariale: più di una semplice tendenza?»), Glassdoor Economic Research Report, 2015; Wall, A., Pay openness movement: Is it merited? Does it influence more desirable employee outcomes than pay secrecy? («Il movimento per la trasparenza salariale: è meritato? Incide più della segretezza salariale su risultati più auspicabili per i lavoratori?»), Organisation Management Journal, 2018.

(31)  Le PMI sono responsabili di circa due terzi dell’occupazione nell’UE e rappresentano il 99,8 % di tutte le imprese, Statistics on small and medium-sized enterprises («Statistiche sulle piccole e medie imprese»).

(32)  Studio dell’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) sul tema Disparità di genere nell’assistenza e conseguenze per il mercato del lavoro, pag. 29.

(33)  Raccomandazione 4.

(34)  La valutazione d’impatto della Commissione suggerisce costi medi aggiuntivi compresi tra un minimo di 379-508 EUR e un massimo di 721-890 EUR per il primo anno, che andrebbero a diminuire negli anni seguenti (valutazione d’impatto [SWD (2021) 41 final], pagina 59). Cfr. anche Eurofound (2020), Measures to promote gender pay transparency in companies: How much do they cost and what are their benefits and opportunities? («Misure per promuovere la trasparenza retributiva di genere nelle aziende: quanto costano e quali sono i loro vantaggi e le loro opportunità?») Documento di lavoro di Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), WPEF20021.

(35)  Un costo medio compreso tra un minimo di 1 180-1 724 EUR e un massimo di 1 911-2 266 EUR, che si prevede diminuisca con le eventuali valutazioni successive (valutazione d’impatto [SWB (2021) 41 final], pagina 61).

(36)  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

(37)  Considerando 31 della proposta.

(38)  Considerando 31 della proposta.

(39)  Foubert P. (2017). Cfr. anche Benedi Lahuerta S. (2018).


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti dall'Assemblea ma hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 43, paragrafo 2, del Regolamento interno):

Nuovo punto 3.1

Aggiungere un nuovo punto prima dell’attuale punto 3.1:

 

3.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene con forza il principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore quale uno dei diritti e dei principi fondamentali dell’Unione europea. Il CESE sostiene inoltre l’obiettivo della Commissione che si prefigge di colmare il divario retributivo di genere e di promuovere ulteriormente il principio della parità retributiva. Tuttavia, per affrontare la questione del divario retributivo di genere, è necessario valutare con attenzione e individuare correttamente le cause alla radice del fenomeno. Il CESE ritiene che la proposta della Commissione di una direttiva sulla trasparenza retributiva  (1) non riconosca adeguatamente i fattori principali alla base del divario retributivo di genere, quali la segregazione orizzontale e verticale del mercato del lavoro, che è il risultato di scelte individuali in materia di istruzione e di professione, il lavoro a tempo pieno rispetto al lavoro a tempo parziale, i vincoli legati all’assistenza non retribuita, nonché il ruolo degli incentivi fiscali. Pertanto, invece delle misure proposte in materia di trasparenza delle retribuzioni, per affrontare tali questioni vi sono misure più efficaci e proporzionate rispetto ad una normativa vincolante dell’UE, misure che al tempo stesso non comportano un aumento degli oneri amministrativi e dei costi per le imprese, in particolare le PMI. Il CESE fa presente che le strutture retributive e la fissazione dei salari sono una componente essenziale della contrattazione collettiva e del dialogo sociale, processi questi che rientrano nelle competenze degli Stati membri e delle parti sociali. Il CESE ritiene che la direttiva proposta  (2) non rispetti pienamente le competenze nazionali in materia di formazione dei salari e non tenga sufficientemente conto dei diversi modelli nazionali nel campo delle relazioni sociali e industriali né dei sistemi giudiziari e delle tradizioni giuridiche degli Stati membri. Inoltre, la proposta non prende in considerazione il fatto che la sulla formazione dei salari incidono anche la domanda e l’offerta di competenze nel mercato del lavoro in un dato momento, nonché le risorse disponibili. Il CESE conclude pertanto che la proposta della Commissione sulla trasparenza retributiva è sproporzionata e contraria al principio di sussidiarietà. La Commissione dovrebbe riesaminare o rielaborare la sua proposta e i colegislatori sono invitati a tenere conto di queste preoccupazioni e considerazioni e ad affrontarle nelle prossime fasi del processo legislativo.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

90

Voti contrari:

109

Astensioni:

18

Punto 3.2

Modificare come segue:

 

3.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della riconosce che la proposta della Commissione, è tesa a rendere più facile per i lavoratori l’applicazione del principio della parità retributiva laddove ritengano di essere stati vittime di discriminazione salariale, a garantire una maggiore trasparenza nelle strutture retributive e a rafforzare il ruolo degli organismi nazionali nell’applicazione di tale principio.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

85

Voti contrari:

131

Astensioni:

17

Punto 3.3 (collegato al punto 1.3)

Modificare come segue:

 

3.3.

Tuttavia, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe essere rafforzata sotto vari aspetti rafforzare la capacità degli Stati membri di adattare i loro modelli di relazioni industriali, in particolare per quanto riguarda i criteri da utilizzare per determinare il valore del lavoro, e l’inclusione di alcuni dei principali obblighi di trasparenza e il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nell’attuazione del principio della parità retributiva, posto che le parti sociali nazionali sono i soggetti più idonei a riesaminare il valore di competenze e professioni (3) . Esprime preoccupazione per il fatto che, in caso contrario, i benefici delle misure proposte saranno limitati per molti lavoratori, e dette misure non apporteranno un contributo sufficiente ai cambiamenti sistemici che sono necessari per eliminare la discriminazione salariale e i pregiudizi di genere nelle strutture retributive.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

90

Voti contrari:

138

Astensioni:

17

Punto 4.2.4

Modificare come segue:

 

4.2.4.

Il CESE accoglie con particolare favore critica e pone in discussione l’introduzione della possibilità di ricorrere a un«lavoratore di riferimento»ipotetico o ad altri elementi di prova che consentano di presumere la presenza di una discriminazione nel caso in cui non sia possibile stabilire un termine di paragone reale. Ciò aiuterà i lavoratori che svolgono le proprie mansioni in luoghi di lavoro con una forte segregazione di genere a dimostrare l’esistenza dell’eventuale discriminazione, anche se non esiste un termine di paragone reale. È particolarmente importante garantire che le lavoratrici in luoghi di lavoro con una forte segregazione di genere possano presentare richieste di parità retributiva, poiché i dati indicano che esiste una correlazione tra il grado di femminilizzazione di un posto di lavoro e la retribuzione più bassa, vale a dire che più elevata è la percentuale di donne, più bassa è la retribuzione  (4) . Non è chiaro come ciò funzionerebbe nella pratica e inoltre creerebbe incertezza giuridica per le imprese. Inoltre, in tal modo si ignorano gli sviluppi dinamici di un’impresa, dove gli aspetti che incidono sulla retribuzione, come la situazione economica generale (prestazioni economiche, competitività, produttività, domanda), nonché i compiti e l’organizzazione del lavoro, cambiano costantemente. Il CESE ritiene che la potenziale discriminazione retributiva debba sempre essere valutata in relazione ai dipendenti di una determinata impresa in posizioni comparabili. Inoltre, il CESE fa presente che la formazione dei salari è per lo più una prerogativa della contrattazione (collettiva) ed è soggetta a una consulenza professionale dettagliata, di conseguenza non dovrebbe essere regolamentata. La formazione dei salari avviene nel mercato del lavoro: i lavoratori vengono retribuiti per le mansioni svolte, tenendo altresì conto di elementi oggettivi e delle prestazioni dei lavoratori. I salari sono fissati nell’ambito di un rapporto contrattuale tra due soggetti private o attraverso un contratto collettivo. La direttiva dovrebbe rispettare questi aspetti e le strutture di determinazione dei salari.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

69

Voti contrari:

114

Astensioni:

15

Punto 4.3.5

Sopprimere il punto:

 

4.3.5.

La limitazione dell’obbligo di informazione sui divari salariali all’interno delle organizzazioni ai datori di lavoro con almeno 250 lavoratori (articolo 8, paragrafo 1), che esonera tutte le piccole e medie imprese (PMI), significherà che solo circa un terzo di tutti i lavoratori dell’UE potranno beneficiare di questa misura  (5) . Inoltre, le donne sono sovrarappresentate nelle piccole imprese  (6) , il che significa che della misura beneficerà una percentuale persino più bassa di lavoratrici. Questa soglia costituisce un passo indietro rispetto alla raccomandazione della Commissione del 2014, che propone l’obbligo di fornire informazioni sulle retribuzioni per i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti  (7).

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

81

Voti contrari:

125

Astensioni:

13

Punto 4.3.6 (collegato al punto 1.5)

Modificare come segue:

 

4.3.6.

Il CESE riconosce che le PMI potrebbero disporre di risorse più limitate per ottemperare ai loro nuovi obblighi a norma della direttiva proposta , poiché spesso non dispongono di risorse umane. La proposta dovrebbe tenere conto delle preoccupazioni quanto agli oneri aggiuntivi che essa comporterà per le PMI, in particolare dati il peso e la rilevanza che tali oneri potrebbero assumere nella fase di ripresa dalla pandemia, che potrebbe essere già avviata dopo l’entrata in vigore della proposta di direttiva. Ciononostante, la La Commissione stima che i costi di produzione delle comunicazioni/informazioni saranno molto contenuti (8) , sottovalutando tuttavia le conseguenze finanziarie generali per i datori di lavoro. I costi totali non possono essere valutati in anticipo, ma dipenderanno dal costo di produzione di nuovi tipi di dati e di raccolte di dati statistici, dal numero di controversie, dai problemi di applicazione nella pratica e dagli effetti sulla formazione dei salari e sui contratti collettivi. Un’esenzione totale per tutti i datori di lavoro con meno di 250 lavoratori non è va pertanto giustificata sostenuta, ma potrebbe essere opportuno applicare norme speciali a livello nazionale per le PMI. Gli Stati membri dovrebbero quindi essere autorizzati a fissare soglie appropriate.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

90

Voti contrari:

121

Astensioni:

13

Punto 4.3.7

Sopprimere il punto:

 

4.3.7.

Norme speciali volte a ridurre la frequenza di comunicazione obbligatoria per le piccole imprese farebbero diminuire i costi, richiedendo nel contempo ai datori di lavoro di individuare ed eliminare i divari salariali, a tutto vantaggio dei lavoratori. La soglia per gli obblighi di comunicazione non dovrebbe essere superiore a 50 lavoratori, ma la frequenza delle segnalazioni per le imprese con più di 50 ma meno di 250 lavoratori potrebbe essere ridotta.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

82

Voti contrari:

127

Astensioni:

18

Punto 4.3.8

Modificare come segue:

 

4.3.8.

Il CESE accoglie con favore Una preoccupazione simile emerge per quanto riguarda la limitazione dell’obbligo di effettuare una valutazione congiunta ai datori di lavoro con almeno 250 lavoratori (articolo 9). Si stima che i costi per la produzione di una valutazione congiunta siano leggermente superiori a quelli delle informazioni di cui all’articolo 8 (9) , ma non giustificano ancora e che pertanto giustifichino un’esenzione totale per i datori di lavoro con meno di 250 dipendenti. Potrebbero essere giustificate norme speciali per le PMI a livello nazionale.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

82

Voti contrari:

130

Astensioni:

20

Punto 4.3.9

Modificare come segue:

 

4.3.9.

Gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a fornire sostegno, formazione e assistenza tecnica ai datori di lavoro, in particolare alle PMI, per consentire loro di adempiere ai loro obblighi e a incentivarli ad adottare misure volontarie in materia di trasparenza retributiva, anche tramite l’elaborazione di strumenti e metodologie per calcolare i divari retributivi. Laddove sia possibile e opportuno, gli Stati membri dovrebbero inoltre avvalersi della possibilità, prevista all’articolo 8, paragrafo 4, di redigere essi stessi le informazioni sui divari retributivi tra le organizzazioni, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

91

Voti contrari:

130

Astensioni:

15

Punto 4.4.4

Modificare come segue:

 

4.4.4.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la proposta accresca le possibilità per i lavoratori di far valere i propri diritti in relazione al principio della parità retributiva. La capacità dei sindacati e dei rappresentanti dei lavoratori di agire per conto di questi ultimi dovrebbe sempre essere subordinata a un chiaro mandato del lavoratore e dovrebbe esplicarsi in conformità del diritto e delle prassi nazionali nonché dei sistemi di relazioni industriali. Il diritto di richiedere informazioni in merito ai livelli retributivi per categorie di lavoratori, suddivisi per genere, non dovrebbe essere concesso automaticamente, ma dovrebbe sempre essere giustificato in modo specifico e il mandato in tal senso dovrebbe essere conferito dal lavoratore. Si dovrebbe rafforzare la capacità dei rappresentanti sindacali o dei lavoratori di agire per conto dei lavoratori, anche conferendo a tali rappresentanti il diritto di richiedere informazioni in merito ai livelli retributivi per categorie di lavoratori, suddivisi per genere. Dette informazioni consentirebbero ai rappresentanti dei sindacati o dei lavoratori di identificare la discriminazione salariale e adoperarsi per contrastarla, anche attraverso la contrattazione collettiva.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

88

Voti contrari:

127

Astensioni:

11

Nuovo punto 4.5.5

Aggiungere un nuovo punto dopo il punto 4.5.4

 

4.5.5.

Il CESE sottolinea che qualsiasi forma di discriminazione basata sul genere dovrebbe essere rettificata. ma esprime tuttavia preoccupazione per il fatto che l’obbligo di un pieno risarcimento, come indicato all’articolo 14, causerebbe sia incertezza giuridica sia difficoltà pratiche per quanto riguarda, tra l’altro, il periodo in relazione al quale tale risarcimento dovrebbe essere versato. Le condizioni specifiche per chiedere e ottenere tale risarcimento o riparazione dovrebbero pertanto essere specificate a livello nazionale.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

89

Voti contrari:

127

Astensioni:

20

Nuovo punto 4.5.6

Aggiungere un nuovo punto dopo il nuovo punto 4.5.5

 

4.5.6.

Il CESE osserva che la disposizione dell’articolo 16, paragrafo 2, relativa a ulteriori circostanze in cui l’onere della prova è trasferito sul datore di lavoro, vale a dire qualora un datore di lavoro non abbia rispettato gli obblighi di trasparenza retributiva di cui agli articoli da 5 a 9, può avere conseguenze di ampia portata se applicata in maniera rigorosa. È pertanto opportuno lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare le norme probatorie adeguate quando tale inosservanza si configura come una negligenza del previsto dovere di diligenza.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

91

Voti contrari:

145

Astensioni:

13

Punto 4.7.2

Modificare come segue:

 

4.7.2.

L’articolo 27 è teso a garantire che la direttiva non pregiudichi il diritto delle parti sociali di negoziare, concludere e applicare contratti collettivi o di intraprendere azioni collettive conformemente al diritto e alle prassi nazionali. Si dovrebbe considerare che tali accordi garantiscano la protezione desiderata Occorre infine specificare che le parti sociali possono introdurre disposizioni o applicare contratti collettivi più favorevoli per i lavoratori di quelli previsti dalla direttiva.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

95

Voti contrari:

134

Astensioni:

12

Punto 4.7.3

Modificare come segue:

 

4.7.3.

Il CESE osserva che l’articolo 30 consente di affidare alle parti sociali l’attuazione della direttiva, laddove le stesse lo richiedano congiuntamente, a condizione che i risultati prescritti dalla direttiva stessa siano sempre assicurati. Questa disposizione garantisce che la direttiva consenta modalità di attuazione diverse nei diversi sistemi nazionali, garantendo nel contempo lo stesso livello di protezione per i lavoratori. Affinché ciò sia sufficientemente chiaro, occorre ispirarsi alla direttiva relativa al lavoro tramite agenzia interinale e a quella relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, nelle quali si afferma che tale attuazione è consentita a condizione che sia rispettata la protezione generale dei lavoratori.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

86

Voti contrari:

142

Astensioni:

9

Punto 1.1 (collegato al nuovo punto 3.1)

Modificare come segue:

 

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene con forza il principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore quale uno dei diritti e dei principi fondamentali dell’Unione europea. Il CESE sostiene inoltre l’obiettivo della Commissione che si prefigge di colmare il divario retributivo di genere e di promuovere ulteriormente il principio della parità retributiva. Tuttavia, per affrontare la questione del divario retributivo di genere, è necessario valutare con attenzione e individuare correttamente le cause alla radice del fenomeno. Il CESE ritiene che la proposta della Commissione di una direttiva sulla trasparenza retributiva  (10) non riconosca adeguatamente i fattori principali alla base del divario retributivo di genere, quali la segregazione orizzontale e verticale del mercato del lavoro, che è il risultato di scelte individuali in materia di istruzione e di professione, il lavoro a tempo pieno rispetto al lavoro a tempo parziale, i vincoli legati all’assistenza non retribuita, nonché il ruolo degli incentivi fiscali. Pertanto, invece delle misure proposte in materia di trasparenza delle retribuzioni, per affrontare tali questioni vi sono misure più efficaci e proporzionate rispetto ad una normativa vincolante dell’UE, misure che al tempo stesso non comportano un aumento degli oneri amministrativi e dei costi per le imprese, in particolare le PMI. Il CESE ritiene che la direttiva proposta  (11) non rispetti pienamente le competenze nazionali in materia di formazione dei salari e non tenga sufficientemente conto dei diversi modelli nazionali nel campo delle relazioni sociali e industriali né dei sistemi giudiziari e delle tradizioni giuridiche degli Stati membri. Inoltre, la proposta non prende in considerazione il fatto che la sulla formazione dei salari incidono anche la domanda e l’offerta di competenze nel mercato del lavoro in un dato momento, nonché le risorse disponibili. Il CESE conclude pertanto che la proposta della Commissione sulla trasparenza retributiva è sproporzionata e contraria al principio di sussidiarietà. La Commissione dovrebbe riesaminare o rielaborare la sua proposta e i colegislatori sono invitati a tenere conto di queste preoccupazioni e considerazioni e ad affrontarle nelle prossime fasi del processo legislativo. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della proposta della Commissione, tesa a rendere più facile per i lavoratori l’applicazione del principio della parità retributiva laddove ritengano di essere stati vittime di discriminazione salariale, a garantire una maggiore trasparenza nelle strutture retributive e a rafforzare il ruolo degli organismi nazionali nell’applicazione di tale principio.

Punto 1.3 (collegato al punto 3.3)

Modificare come segue:

 

1.3.

Tuttavia, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe essere rafforzata sotto vari aspetti rafforzare la capacità degli Stati membri di adattare i loro modelli di relazioni industriali, in particolare per quanto riguarda i criteri da utilizzare per determinare il valore del lavoro, l’inclusione di alcuni dei principali obblighi di trasparenza e il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva nell’attuazione del principio della parità retributiva.

Punto 1.5 (collegato al punto 4.3.6)

Modificare come segue:

 

1.5.

Benché la La proposta tiene tenga giustamente conto delle preoccupazioni quanto agli oneri aggiuntivi che comporterà per le PMI, il . Il CESE non ritiene giustificata sostiene la proposta della Commissione di un’esenzione totale per tutti i datori di lavoro con meno di 250 lavoratori, pur riconoscendo che . Potrebbero tuttavia potrebbero essere opportune norme speciali per le PMI a livello nazionale. Gli Stati membri dovrebbero quindi essere autorizzati a fissare soglie appropriate. Gli Stati membri dovrebbero inoltre essere tenuti a fornire sostegno, formazione e assistenza tecnica ai datori di lavoro, in particolare alle PMI, in merito ai loro obblighi in materia di trasparenza retributiva.


(1)  COM(2021) 93 final.

(2)  COM(2021) 93 final.

(3)  GU C 110 del 22.3.2019, pag. 26.

(4)  OIL (2018) Global wage report 2018/2019: what lies behind gender pay gaps («Relazione mondiale sui salari 2018/2019: che cosa sta alla base dei divari retributivi di genere»), Ginevra, OIL, pag. 75.

(5)  Le PMI sono responsabili di circa due terzi dell’occupazione nell’UE e rappresentano il 99,8 % di tutte le imprese, Statistics on small and medium-sized enterprises («Statistiche sulle piccole e medie imprese»).

(6)  Studio dell’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) sul tema Disparità di genere nell’assistenza e conseguenze per il mercato del lavoro, pag. 29.

(7)  Raccomandazione 4.

(8)  La valutazione d’impatto della Commissione suggerisce costi medi aggiuntivi compresi tra un minimo di 379-508 EUR e un massimo di 721-890 EUR per il primo anno, che andrebbero a diminuire negli anni seguenti (valutazione d’impatto [SWD (2021) 41 final], pagina 59). Cfr. anche Eurofound (2020), Measures to promote gender pay transparency in companies: How much do they cost and what are their benefits and opportunities? («Misure per promuovere la trasparenza retributiva di genere nelle aziende: quanto costano e quali sono i loro vantaggi e le loro opportunità?») Documento di lavoro di Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), WPEF20021.

(9)  Un costo medio compreso tra un minimo di 1 180-1 724 EUR e un massimo di 1 911-2 266 EUR, che si prevede diminuisca con le eventuali valutazioni successive (valutazione d’impatto [SWB (2021) 41 final], pagina 61).

(10)  COM(2021) 93 final.

(11)  COM(2021) 93 final.