11.12.2020   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 429/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo – Verso una strategia dell’UE per un consumo sostenibile

(parere di iniziativa)

(2020/C 429/08)

Relatore:

Peter SCHMIDT

Decisione dell’Assemblea plenaria

20.2.2020

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

8.7.2020

Adozione in sessione plenaria

18.9.2020

Sessione plenaria n.

554

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

212/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La pandemia di Covid-19 ha messo in luce la fragilità delle catene di approvvigionamento. La ricostruzione dell’economia dopo la crisi costituirà un’occasione per ripensare la nostra società ed elaborare un nuovo modello di prosperità. Lo spostamento delle priorità verso modi di produzione, distribuzione e consumo più sostenibili e il miglioramento della resilienza alle crisi di tutti gli anelli delle catene di approvvigionamento non sono più una scelta, bensì una necessità. La resilienza degli agricoltori che coltivano i nostri alimenti o dei lavoratori che producono i nostri indumenti è tanto importante quanto quella delle imprese importatrici, dei produttori, dei grossisti, delle PMI o delle catene di vendita al dettaglio che operano in Europa.

1.2

Il CESE invoca una strategia globale dell’UE in materia di consumo sostenibile. La scelta più sostenibile dovrebbe essere quella più semplice per i cittadini. Ciò richiede un cambiamento sistemico delle modalità di produzione e consumo. In particolare, occorre riconoscere maggiormente la responsabilità da parte dei produttori (1) di affrontare la questione del consumo non sostenibile. Dal momento che i mercati non produrranno risultati sostenibili automaticamente, è necessaria una strategia per creare il contesto normativo e strategico sia per il settore privato (anche attraverso modelli imprenditoriali circolari e sostenibili) che per le autorità pubbliche (ad esempio tramite gli appalti pubblici).

1.3

La dimensione sociale deve essere pienamente integrata nella strategia, accanto alle dimensioni economica e ambientale, al fine di conseguire una coerenza politica oltremodo necessaria per lo sviluppo sostenibile. Per troppo tempo l’UE si è concentrata sulle soluzioni basate sul mercato, trascurando la dimensione dei cittadini e dei lavoratori. Tra i criteri di sostenibilità dovrebbero figurare anche il miglioramento delle condizioni di lavoro, i salari minimi, la protezione sociale, gli investimenti nei servizi pubblici, la governance inclusiva, la tassazione equa ecc. Si contribuirebbe così a rendere i nostri sistemi di produzione e consumo più equi e sostenibili a lungo termine, e anche ad attuare l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

1.4

Una strategia UE per il consumo sostenibile dovrebbe prestare particolare attenzione all’impatto sulle popolazioni vulnerabili e sui nuclei familiari a basso reddito che la crisi ha colpito, e colpirà in futuro, in maniera particolarmente dura, tenendo conto al contempo dell’impatto sui soggetti vulnerabili nell’ambito delle catene di approvvigionamento, ossia gli agricoltori e gli operai. I prodotti e i servizi sostenibili dovrebbero essere resi accessibili a tutti, anche in termini di prezzo.

1.5

Nel breve e medio periodo, occorre coordinare meglio e indirizzare verso questa visione tutti i pertinenti strumenti strategici (per esempio appalti pubblici, etichettatura, fiscalità ecc.). È necessario agire in modo più armonizzato per superare l’attuale frammentazione delle politiche dell’UE e l’approccio a compartimenti stagni.

1.6

Nel contesto della ripresa post-Covid, il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo e gli Stati membri a collaborare strettamente con il CESE per elaborare un robusto e coordinato programma di politiche integrate che aiuti l’Europa a «ricostruirsi meglio» e a creare le condizioni per una strategia globale dell’UE in materia di consumo sostenibile. Il CESE raccomanda di attuare le seguenti azioni specifiche:

introdurre norme e divieti sui prodotti che ne favoriscono la sostenibilità, promuovendone cioè la longevità e la sostenibilità;

vietare le pratiche commerciali sleali;

migliorare le regole di concorrenza per le iniziative collettive che promuovono la sostenibilità nelle catene di approvvigionamento;

conferire forza esecutiva alle clausole sociali e ambientali negli accordi commerciali;

accrescere la responsabilità delle imprese e sensibilizzarle agli aspetti ambientali (ad es. EMAS) e sociali;

spostare il carico fiscale dal lavoro all’uso delle risorse;

promuovere appalti pubblici equi e verdi, con requisiti minimi obbligatori;

migliorare la trasparenza introducendo disposizioni per l’etichettatura obbligatoria dell’origine, della sostenibilità e della dimensione sociale;

incoraggiare le iniziative dal basso e gli interventi pilota;

affrontare gli aspetti legati alla pubblicità e al marketing;

promuovere l’educazione al consumo sostenibile.

2.   Introduzione

2.1

La pandemia di Covid-19 ha rivelato la fragilità delle catene di approvvigionamento e la necessità di una trasformazione urgente e sistemica. La carenza di investimenti nei settori della sanità e dell’assistenza, l’eccessivo affidamento su catene di approvvigionamento globali e su sistemi economici dipendenti da processi lineari di produzione e consumo incompatibili con i limiti del pianeta hanno messo a repentaglio la capacità dei governi di agire in maniera rapida e decisa per proteggere la salute pubblica. Lo spostamento delle priorità verso modi di produzione, distribuzione e consumo più sostenibili e il miglioramento della resilienza alle crisi di tutti gli anelli delle catene di approvvigionamento non sono più una scelta, bensì una necessità (2). La pandemia ha fatto balzare i temi della protezione sociale, dei servizi pubblici, dei lavoratori scarsamente qualificati, della salute e sicurezza sul posto di lavoro e delle condizioni di lavoro al centro del dibattito mediatico e politico.

2.2

L’UE si è impegnata a fondo a favore dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dei suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). L’attuazione dell’OSS 12 in merito a consumo e produzione sostenibili, tuttavia, rappresenta ancora una sfida impegnativa per l’Europa (3), benché sia fondamentale per realizzare l’Agenda 2030 nel suo complesso. In effetti, le modalità di consumo oggi più frequenti — volumi cospicui a ritmi elevati, lungo una traiettoria lineare e con notevoli sprechi («prendere-produrre-smaltire») — non sono sostenibili. Inoltre, i cittadini sono stati principalmente relegati al ruolo di consumatori individuali, e si è riversata su di loro la responsabilità delle loro scelte, senza però offrir loro alternative accessibili o a prezzi ragionevoli.

2.3

Il CESE aveva invitato in precedenza l’UE a proporre una nuova visione di prosperità per le persone e il pianeta, basata sui principi della sostenibilità ambientale, del diritto a una vita dignitosa e della protezione dei valori sociali (4). Un approccio sistemico dell’UE al consumo sostenibile è uno degli elementi fondamentali della visione strategica, delineata dal CESE, di un’economia del benessere sostenibile che non lasci indietro nessuno.

2.4

C’è oggi un forte slancio politico, grazie al quale l’UE può compiere progressi decisivi per realizzare questa visione. Il Green — and Social — Deal europeo, l’accordo europeo verde e sociale, ha un grande potenziale per ricostruire l’economia su basi più sostenibili dopo la crisi causata dalla Covid-19, contribuire alla creazione di un nuovo modello di prosperità e assicurare una transizione giusta (5).

2.5

In particolare, il nuovo piano d’azione per l’economia circolare (CEAP) comprende un’azione specifica volta a consentire ai consumatori di svolgere un ruolo attivo nella transizione ecologica, e numerose iniziative che potrebbero contribuire a mettere in luce la responsabilità delle autorità di regolamentazione e delle imprese. Il CEAP dovrebbe ampliare l’ambito di applicazione del «New Deal per i consumatori» del 2018, che era prevalentemente incentrato sulla protezione e l’applicazione delle norme piuttosto che sulla responsabilizzazione. L’attuazione delle strategie «Dal produttore al consumatore» e sulla biodiversità è, a sua volta, doppiamente importante, poiché la crisi determinata dalla Covid-19 ha reso più urgente che mai l’aumento della resilienza e della sostenibilità dell’UE e dei sistemi alimentari globali. L’imminente ottavo programma d’azione in materia di ambiente dovrebbe offrire l’opportunità di affrontare in maniera più decisa il problema del consumo sostenibile.

2.6

Il presente parere contribuirà alla riflessione sulla ripresa post Covid-19, formulando raccomandazioni concrete per una strategia globale dell’UE in materia di consumo sostenibile, nel quadro del Green Deal europeo e a integrazione del nuovo CEAP.

3.   Sfide: analisi della situazione attuale

3.1

L’Europa vive ancora ben al di sopra dei limiti del pianeta. Vari studi — tra i quali una relazione recente dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) e dell’Ufficio federale svizzero dell’ambiente (UFAM) (6) — che hanno applicato metodologie differenti per valutare i modelli di consumo dell’UE giungono tutti a questa conclusione (7).

3.2

Il consumo di prodotti e servizi genera direttamente e indirettamente pressioni, quali il cambiamento di uso del suolo, le emissioni e il rilascio nell’ambiente di sostanze chimiche tossiche, che a loro volta generano una serie di impatti ambientali tra cui i cambiamenti climatici, l’impoverimento e l’inquinamento delle falde acquifere e la perdita di biodiversità. In Europa, questa «impronta ecologica» dei consumi è elevata; è anzi una delle più elevate di tutto il mondo: i dati indicano che, se il consumo di ogni abitante del globo fosse equivalente a quello di un europeo medio, per sostenere l’economia mondiale sarebbero necessari quasi tre pianeti come la Terra (8) , (9).

3.3

Per mantenere i suoi elevati livelli di consumo, l’Europa dipende da risorse estratte altrove ed è quindi costretta, in misura crescente, a esternalizzare verso altre parti del mondo le pressioni che esercita sugli aspetti ambientali più importanti (10). Nel complesso, tale modello non è più compatibile con un futuro sicuro e sostenibile (11).

3.4

Se esportare l’impronta ecologica dell’UE tramite il commercio non si può considerare una via sostenibile, occorre d’altra parte riconoscere che il commercio con l’UE svolge un ruolo importante per lo sviluppo socio-economico di molti paesi, in particolare dei paesi meno sviluppati. In effetti, l’UE promuove attivamente il commercio come strumento per favorire la sostenibilità, sia a livello globale che all’interno dei paesi partner commerciali. Occorre quindi integrare attentamente nel commercio i principi di equità, circolarità e consumo più sostenibile, in modo da creare opportunità sia per l’Unione europea che per i suoi partner commerciali (12).

3.5

Gli attuali modelli di consumo europei sollevano inoltre vari problemi per quanto riguarda l’equità sociale. Mentre in alcune parti d’Europa le impronte materiali sono tra le più elevate del mondo (13), altre regioni europee non riescono a raggiungere un tenore di vita generalmente considerato accettabile. All’interno dell’UE il livello di deprivazione materiale registra enormi differenze e lo stesso vale per il livello di difficoltà economiche (14). Il consumo è perciò strettamente legato ai programmi politici riguardanti, per esempio, la nutrizione, la povertà e la disuguaglianza (15). Un consumo più sostenibile nell’intera Europa può comportare un incremento nell’uso delle risorse per alcuni, ma una diminuzione per altri: nel complesso, un accesso alle risorse più equilibrato e un rafforzamento della giustizia in materia di risorse (16).

3.6

Il consumo non sostenibile è frutto della complessa interazione di una serie di diversi fattori. Il modello commerciale dominante è lineare: la crescita della gran parte delle imprese dipende ancora dal fatto che un numero maggiore di persone acquisti quantità maggiori di merci. Il ciclo di vita effettivo di molti prodotti di consumo si sta riducendo (17), mentre le riparazioni sono rese (spesso intenzionalmente) sempre più difficili (18). Alcune alternative al modello economico lineare «prendere-produrre-smaltire», come quelle basate sulla circolarità, la riparazione o la condivisione dei materiali, potrebbero contribuire a una riduzione del consumo complessivo di materiali, ma rimangono marginali e spesso non sono in grado di competere con le soluzioni lineari nelle circostanze attuali (19). In realtà i prodotti secondari (riutilizzati/rigenerati/riciclati) sono solitamente venduti in aggiunta ai prodotti primari (nuovi) e ne deriva un duplice impatto ambientale della produzione primaria e di quella secondaria (20). Promuovere la circolarità senza promuovere mutamenti sistemici più ampi nell’ambito della produzione (soprattutto il design del prodotto), del consumo e della prevenzione dei rifiuti significherebbe pertanto affrontare solo una parte del problema. I consumatori dovrebbero beneficiare di un autentico «diritto alla riparazione».

3.7

Il prezzo è uno dei principali fattori determinanti e trainanti della domanda (21) e fino a quando il prezzo di prodotti e servizi non rispecchierà in maniera più precisa i costi reali, non sarà possibile un passaggio generalizzato a modelli di consumo sostenibili. Attualmente il costo economico delle esternalità ambientali e sociali della produzione e del consumo ricade di solito sui contribuenti e sulle generazioni future, non sulle imprese che commercializzano i prodotti e i servizi in questione. I prodotti e i servizi che offrono soluzioni alternative con un impatto minore restano spesso più costosi e di più scomodo accesso, benché sia stato dimostrato l’impatto di esternalità meno negative da parte di opzioni di consumo più sostenibili, come i prodotti biologici e quelli del commercio equo e solidale (22).

3.8

Da quando però l’economista Pigou ha introdotto il concetto dei «costi delle esternalità» (23), la contabilità dei costi reali è diventata sempre più importante, e gli studi al riguardo si sono moltiplicati. Nel 2008 la Commissione ha pubblicato una strategia per l’internalizzazione dei costi esterni (24), in cui indica come principali strumenti economici per internalizzare i costi esterni la tassazione, i pedaggi (o diritti di utenza) e, in alcune circostanze, lo scambio di quote di emissione. Tuttavia, la tendenza a lungo termine che si registra in Europa è quella di un calo della quota delle entrate derivanti da imposte «ambientali» sul totale delle entrate fiscali (25).

3.9

Un altro problema è rappresentato dall’interpretazione oggi prevalente del diritto della concorrenza che adotta una concezione assai ristretta di benessere dei consumatori, la quale privilegia i prezzi bassi al dettaglio per il consumatore rispetto alla sostenibilità dei prodotti e alle modalità di produzione. Nel 2013 l’autorità neerlandese competente per la concorrenza (ACM), nel caso «Accordo energetico» ha stabilito che un accordo energetico multilaterale a favore di una crescita sostenibile, cui avevano aderito datori di lavoro, sindacati, organizzazioni per la tutela dell’ambiente e altri soggetti per il risparmio energetico, volto a promuovere l’energia proveniente da fonti rinnovabili e la creazione di posti di lavoro, non era conforme alle prescrizioni del diritto della concorrenza. Nel 2014 l’ACM, nel caso «Chicken of Tomorrow», ha stabilito che un accordo multilaterale per migliorare il benessere dei polli, con un minore utilizzo di antibiotici, spazi più ampi e altre misure ambientali, limitava la concorrenza.

3.10

Le linee direttrici della Commissione sull’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, indicano che l’obiettivo dell’articolo 101 è di tutelare la concorrenza «come strumento per accrescere il benessere dei consumatori e per assicurare un’allocazione efficiente delle risorse», senza però indicare se e come si possa tenere conto di considerazioni non economiche. Numerosi operatori vorrebbero potenziare i loro progetti in materia di sostenibilità, ma gli investimenti sono troppo elevati perché essi possano farsene carico da soli. Gli orientamenti relativi al diritto della concorrenza dovrebbero fornire agli operatori indicazioni maggiormente chiare su come avviare una cooperazione nel campo della sostenibilità.

3.11

Un recente studio della Fairtrade Foundation presenta alcune prove del fatto che un contesto giuridico poco chiaro sulla potenziale collaborazione in merito al basso livello dei prezzi alla produzione ostacola i progressi verso un lavoro collaborativo che garantisca retribuzioni e redditi dignitosi in tutta la catena di approvvigionamento. Lo studio aggiunge che se le autorità competenti per la concorrenza precisassero più chiaramente come una collaborazione precompetitiva sul tema del basso livello dei prezzi alla produzione verrebbe valutata ai sensi del diritto della concorrenza, ciò sarebbe di grande aiuto per il progresso (26).

3.12

L’attuale frammentazione delle politiche dell’UE ostacola l’adozione di un approccio coerente al consumo sostenibile. Per quanto riguarda, ad esempio, l’attuazione della direttiva UE del 2014 sugli appalti pubblici (27), diverse DG della Commissione lavorano separatamente le une dalle altre per fornire documenti di orientamento alle amministrazioni aggiudicatrici (il manuale «Acquistare verde!» della DG Ambiente (28); «Acquisti sociali» promosso dalla DG GROW (29), in corso di aggiornamento), ed esiste anche una comunicazione della Commissione, a sé stante, dal titolo «Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione» (30). Ciò può essere fonte di grande confusione per le amministrazioni aggiudicatrici dell’UE che desiderino adottare un approccio integrato agli appalti sostenibili, come previsto dall’OSS 12.3.

4.   Visione: verso una strategia globale dell’UE per un consumo sostenibile

4.1

Le politiche rivolte alla sostenibilità di processi di produzione (ad es. l’ecodesign), prodotti e servizi, nonché quelle riguardanti materiali che si trasformano in rifiuti, sono da lungo tempo un elemento fondamentale della politica dell’UE, e un quadro politico relativamente ben consolidato è già operante. Quest’approccio, tuttavia, non è più sufficiente per realizzare in tempo utile un cambiamento della portata necessaria: occorre pertanto prestare più attenzione al ruolo del consumo nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile.

4.2

Finora, le politiche rivolte al consumo a livello UE si sono concentrate sul ruolo dei cittadini come consumatori e sull’uso di strumenti politici basati su informazioni per cercare di influenzare il comportamento dei consumatori. Tra gli esempi più importanti citiamo l’etichettatura ecologica, le campagne di sensibilizzazione e i criteri facoltativi di appalti pubblici verdi.

4.3

Questi strumenti politici hanno esercitato un effetto modesto sul consumo non sostenibile. Di fatto, vi sono scarse prove che migliori informazioni sulle prestazioni ambientali dei prodotti, quali le etichette ecologiche, producano cambiamenti nelle abitudini di acquisto reali e ancor meno cambiamenti delle dimensioni necessarie. Ciò è dovuto a vari effetti rimbalzo, alla routine e ad abitudini subconscie (31). Le nostre scelte in quanto consumatori (a livello familiare, oppure del settore pubblico o privato) restano determinate, in larga misura, dal prezzo e dalla praticità (32). È tuttavia importante sottolineare che la responsabilità di tali scelte nel sistema attuale non si deve attribuire ai consumatori, bensì ai produttori (33). La logica del capitalismo e lo squilibrio di potere nella catena di approvvigionamento sono i fattori che scatenano una «corsa al ribasso», privilegiando il prezzo a scapito della sostenibilità.

4.4

È altresì discutibile ritenere i cittadini responsabili della realizzazione di un consumo più sostenibile, mentre la maggior parte dei prodotti e dei servizi non rivelano i propri costi reali, e le leve sociali e di mercato continuano a incoraggiare un incremento del consumo materiale. Occorre riconoscere più chiaramente la responsabilità del settore pubblico e di quello privato nell’affrontare il problema del consumo non sostenibile; si devono inoltre adottare strumenti che contribuiscano, in maniera equilibrata e trasparente, a far sì che la scelta più sana, più sostenibile e più sicura sia anche quella più facile ed economicamente più accessibile per i cittadini. La Commissione dovrebbe continuare a sostenere le campagne paneuropee condotte dalla società civile in materia di consumo sostenibile, non concentrandosi soltanto sulle decisioni dei singoli consumatori.

4.5

La natura della politica adottata oggi a livello UE dipende in parte dall’equilibrio delle responsabilità politiche tra l’Unione e i suoi Stati membri. Gli strumenti politici utilizzabili per cercare di regolare la domanda, come le imposte, rientrano in larga misura tra le competenze degli Stati membri. L’UE assolve tuttavia una funzione essenziale nel garantire che l’Europa viva entro i limiti del pianeta, ed essa dispone di svariati mezzi con cui agire nei confronti del consumo non sostenibile. Alcuni Stati membri potrebbero inoltre trarre vantaggio da ulteriori orientamenti (sotto forma di insieme di strumenti) da parte dell’UE.

4.6

Singoli approcci, per esempio l’equità o la circolarità, sono importanti, ma non sufficienti per conseguire la sostenibilità. Vi è inoltre il rischio che l’elaborazione di risposte politiche al consumo non sostenibile, isolate l’una dall’altra, provochi in seguito difficoltà impreviste. Si impone un approccio coordinato e globale, che rispecchi la complessità del problema e proponga un contributo coerente, offerto da diversi settori di intervento, dalle politiche in materia di ricerca e innovazione a quelle settoriali e industriali, fino all’istruzione, al welfare, al commercio e all’occupazione (34). Un altro aspetto importante è che una strategia dell’UE deve integrare, non compromettere, gli ambiziosi interventi normativi che si rendano eventualmente necessari.

4.7

Una strategia per il consumo sostenibile a livello UE dovrebbe fornire agli Stati membri e al settore privato un quadro di riferimento ambizioso per la gestione sia dei consumi privati sia di quelli del settore pubblico. I mercati non produrranno automaticamente risultati sostenibili. È necessaria una strategia per creare un contesto normativo e una direzione strategica che promuovano iniziative ambiziose e d’avanguardia, sia per i prodotti che per i servizi (in quanto l’economia dei servizi non è necessariamente sostenibile).

4.8

Una strategia dell’UE sarebbe in sintonia con le richieste rivolte all’Unione dai consumatori europei per l’introduzione di cambiamenti strutturali e la creazione di nuove infrastrutture che consentano ai consumatori di adottare stili di vita più sostenibili (35).

4.9

L’integrazione del ruolo dei consumatori a livello UE può contribuire anche ad evitare effetti rimbalzo e altri effetti imprevisti di politiche rivedute e/o nuove e promuovere un mutamento culturale a più lungo termine del modo di concepire la nozione di autonomia e il ruolo del consumo nella realizzazione dell’Agenda 2030.

4.10

Una strategia dell’UE per il consumo sostenibile dovrebbe prevedere obiettivi volti a ridurre in termini assoluti l’impronta sui materiali del consumo europeo. La presenza di obiettivi a livello UE può indicare la direzione, imprimere slancio e fornire coerenza sia agli altri livelli di governance sia agli innovatori del settore pubblico e privato al fine di contribuire alla realizzazione dell’economia del benessere (36).

4.11

Inoltre, l’aspetto della giustizia nell’uso delle risorse è essenziale, ma per molto tempo la politica dell’UE lo ha trascurato (37). Una strategia per un consumo sostenibile deve incentrarsi sulle persone e deve cercare di rendere accessibili, anche in termini di prezzo, e interessanti per tutti le scelte sostenibili dei consumatori. La strategia dovrebbe dedicare particolare attenzione all’impatto sulle fasce vulnerabili della popolazione e sulle famiglie a basso reddito. Anche le categorie sociali con alta propensione alla spesa dovrebbero essere considerate di conseguenza.

4.12

Operai e agricoltori assolvono una funzione essenziale nel promuovere il consumo sostenibile, in quanto sono consumatori alla fine della catena di approvvigionamento, ma anche produttori all’inizio della stessa. È pertanto essenziale che le politiche di consumo sostenibile prevedano un approccio equilibrato alla condivisione del valore nella e lungo la catena del valore, promuovendo retribuzioni e redditi che assicurino una sussistenza dignitosa a operai e agricoltori, sia nell’UE che nel Sud del mondo, anziché mirare esclusivamente a ottenere prezzi ridotti per i consumatori nel breve periodo. Lavoratori, sindacati, gruppi di agricoltori e organizzazioni della società civile possono a loro volta svolgere un ruolo fondamentale, verificando il rispetto della sostenibilità e delle norme in materia di diritti umani nelle catene del valore globali.

4.13

Anche il commercio al dettaglio può svolgere un ruolo importante nel promuovere il consumo sostenibile spingendo i consumatori verso scelte più sane e sostenibili. In questo settore è particolarmente degno di nota il modello economico delle cooperative di consumo, data la sua specifica forma imprenditoriale che colloca la figura del consumatore-socio al centro della struttura di gestione democratica e commerciale della cooperativa.

4.14

Una strategia dell’UE dovrebbe comprendere iniziative atte a garantire flussi di informazioni trasparenti e affidabili al fine di promuovere un consumo sostenibile, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove soluzioni digitali emergenti. Ciò potrebbe essere utile anche per le imprese che desiderano innovare, ma non dispongono al momento di parametri né di dati che consentano di valutare in maniera attendibile gli impatti sociali ed ecologici del consumo quotidiano. Soprattutto le PMI, le start-up e le cooperative, che sono essenziali innovatrici e piattaforme pilota, si trovano in prima linea di fronte a queste sfide. In particolare, l’UE svolge un ruolo importante anche nell’armonizzazione e nella verifica delle autodichiarazioni ambientali diffuse sul mercato interno. Attualmente il gran numero di tali dichiarazioni, sostenute da prove di validità disuguale, provoca confusione e forse erode la fiducia dei consumatori nei riguardi di ogni autodichiarazione di questo genere. Il CESE apprezza pertanto l’intenzione della Commissione di presentare, in sede di attuazione del nuovo CEAP, una proposta legislativa volta a garantire che le imprese debbano comprovare le proprie autodichiarazioni ambientali.

4.15

Una strategia a livello UE per il consumo sostenibile dovrebbe riconoscere e favorire le sinergie con altri settori d’intervento. Per esempio, il 45 % delle emissioni totali di carbonio europee deriva dalle modalità con cui fabbrichiamo e usiamo i prodotti e produciamo generi alimentari (38). I sistemi alimentari possono essere la fonte del ripristino di risorse e di una maggiore resilienza, se gli alimenti vengono coltivati, trasformati e consumati in modo diverso. Ciò significa quasi certamente alimentare i bovini di allevamento in modo più appropriato per la specie e, per i consumatori, seguire un regime alimentare equilibrato, diminuendo il consumo di carne, con vantaggi sia per il clima che per la salute (39). Il consumo e la domanda sono elementi essenziali della nostra capacità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Analogamente, il principale problema della lotta contro la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi in Europa è il nostro stile di vita che consuma più risorse di quante il pianeta ne possa offrire (40). Il CESE ribadisce anche il suo appello a riconoscere i diritti della natura affinché siano considerati di rango pari a quelli degli individui e delle imprese (41).

5.   Dalla visione all’attuazione: opportunità di azione a livello UE e di Stati membri

5.1

Nel contesto della ripresa post-Covid, il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo e gli Stati membri a collaborare strettamente con il CESE per elaborare un robusto e coordinato programma di politiche integrate che aiuti l’Europa a «ricostruirsi meglio» e a creare le condizioni per una strategia globale dell’UE in materia di consumo sostenibile. I piani di ripresa verde dovrebbero avviare i necessari mutamenti sistemici in fatto di mobilità, nutrizione, alloggi, tempo libero, sistemi energetici e gruppi di prodotti ad elevato impatto (42), tenendo conto dell’impatto dei consumi dell’UE sia nell’Unione stessa che nel Sud del mondo. Seguono alcune proposte, intese come punto di partenza per questo esercizio.

5.2    Strumenti giuridici o normativi

5.2.1

Introdurre norme sui prodotti (regolamenti) e divieti di prodotti (proibizioni) che promuovano la sostenibilità, ossia favoriscano la longevità del prodotto. Il CESE, agendo da precursore, ha già chiesto il divieto totale di praticare l’obsolescenza programmata nel suo parere del 2013 (43) sulla durata di vita dei prodotti e l’informazione dei consumatori, e in altri pareri successivi. sottolineando l’utilità di mettere a punto un sistema che garantisca una durata di vita minima dei prodotti acquistati. Un recente studio preparato dalla commissione IMCO del Parlamento europeo va nella stessa direzione (44). In tale contesto andrebbero esaminate anche le implicazioni derivanti dall’aumento del commercio elettronico, ad esempio durante la crisi della Covid-19.

5.2.2

Vietare le pratiche commerciali sleali, non solo nelle filiere alimentari, come stabilito dalla nuova direttiva contro le pratiche commerciali sleali nelle filiere alimentari (45), ma anche in altri settori, come quello tessile, in cui le pratiche sleali sono assai diffuse, aggravate dalla crisi (46). Il CESE chiede un’attuazione equilibrata della direttiva sulle pratiche commerciali sleali per evitare di proteggere i produttori dei grandi marchi che abusano del loro potere contrattuale per generare lauti margini di profitto.

5.2.3

Diritto della concorrenza. Consentire la contrattazione collettiva tra fornitori e acquirenti sul prezzo (e le condizioni di consegna) di alcune materie prime essenziali, specificamente nelle interfacce in cui si osservano forti differenze nei livelli di concentrazione di successivi segmenti della catena del valore (per esempio frammentazione dei fornitori contro concentrazione degli acquirenti). Nella revisione delle linee direttrici sugli accordi orizzontali, che la Commissione sta attualmente conducendo, andrebbe reintrodotta una sezione sugli accordi settoriali di sostenibilità, secondo il modello indicato nella sezione sugli accordi in materia di tutela ambientale delle precedenti linee direttrici del 2001 (47), da adattare al contesto attuale, tenendo anche conto del Green Deal europeo, dell’accordo di Parigi e dell’OSS 12.

5.2.4

Norme commerciali. Rendere applicabili le clausole sociali e ambientali negli accordi commerciali, prevedendo sanzioni (come aumenti mirati dei dazi per settori strategici, escludendo i settori in cui l’imposizione di tariffe potrebbe aggravare la povertà nei paesi meno sviluppati) in caso di mancato rispetto.

5.2.5

Responsabilità delle imprese. Dovere vincolante di vigilanza per gli acquirenti lungo tutta la propria catena di approvvigionamento (creazione di un obbligo), per rendere sostenibili le catene di approvvigionamento quale parte integrante del fatto di garantire l’assunzione di responsabilità da parte dell’impresa. Anziché adottare l’approccio della «lista di controllo», le imprese dovrebbero riesaminare le proprie pratiche di acquisto, come consigliato dall’OCSE (48), ed essere vincolate da leggi più rigorose in materia di controllo delle attività di lobbying. Un’azione andrebbe intrapresa contro il «greenwashing».

5.2.6

Impiego obbligatorio di uno strumento standard per il monitoraggio e la tracciatura delle informazioni sulle operazioni effettuate lungo la catena del valore: chi, quando, dove, in quali condizioni sociali e ambientali (fornendo gli strumenti tecnici per adempiere l’obbligo). La società civile e i sindacati dovrebbero partecipare allo sviluppo e al monitoraggio delle norme ambientali e sociali.

5.3    Strumenti economici e finanziari

5.3.1

Spostamento del carico fiscale dal lavoro all’uso delle risorse. Approfittare della revisione in corso del regolamento IVA per fornire criteri chiari su come gli Stati membri possano introdurre aliquote IVA ridotte per i prodotti ottenuti in modo sostenibile e per i servizi in grado di ridurre gli impatti negativi del consumo, come i servizi di riparazione o di condivisione. Promuovere l’adozione di misure per prevenire la concorrenza fiscale e una «corsa al ribasso» tra Stati membri, nonché l’introduzione di una tassazione più equa dei settori e dei capitali più redditizi.

5.3.2

Principio «chi inquina paga». La Commissione ha iniziato a considerare più seriamente l’internalizzazione degli effetti esterni, riconoscendo ad esempio che le energie rinnovabili sono in posizione di svantaggio fintanto che i costi esterni delle risorse fossili non si riflettono pienamente sul prezzo di mercato, o cercando di attuare il principio «chi inquina paga» nel settore dei trasporti. Bisognerebbe nel contempo riconoscere che questi approcci stanno riconciliando la dimensione ecologica con quella economica della sostenibilità, ma non incorporano la dimensione sociale (49).

5.3.3

Appalti pubblici verdi ed equi. L’obiettivo di sviluppo sostenibile 12.7 indica l’importanza di presentare piani d’azione in materia di appalti pubblici sostenibili; varie azioni nazionali relative ai principi guida delle Nazioni Unite sui diritti umani menzionano gli appalti pubblici, e a livello nazionale esistono diversi esempi di buone pratiche. In Danimarca, per esempio, si è registrato il passaggio, nelle cucine di istituzioni pubbliche, a livelli più elevati di prodotti biologici, tenendo conto dei limiti di bilancio. L’ICLEI (Governi locali per la sostenibilità) sta promuovendo un’iniziativa volta a sollecitare l’acquisizione progressiva e obbligatoria di alimenti sostenibili in tutte le scuole e gli asili nido europei. Nel nuovo CEAP, la Commissione ha annunciato che i committenti pubblici saranno incoraggiati a partecipare all’imminente iniziativa «Acquirenti pubblici per il clima e l’ambiente» che riunirà i committenti impegnati ad attuare gli appalti pubblici verdi. Il CESE invita la Commissione a includere criteri di sostenibilità più ampi, quali le considerazioni sul commercio equo e solidale. Il CESE appoggia inoltre l’intenzione della Commissione di proporre criteri e obiettivi minimi obbligatori in tema di appalti pubblici verdi e di introdurre gradualmente l’obbligo di rendicontazione per monitorare la diffusione degli acquisti verdi.

5.3.4

Politiche di cooperazione allo sviluppo a sostegno delle piccole aziende agricole, delle PMI e delle cooperative di consumo.

5.4    Strumento volontario o basato sulle informazioni

5.4.1

L’etichettatura dei prodotti può contribuire a migliorare il livello degli sforzi di sostenibilità di talune imprese, ma non dovrebbe mai servire da pretesto per non regolamentare comportamenti e pratiche inaccettabili. Per esempio, una delle opzioni considerate dalla Commissione come seguito alla sua comunicazione sulle misure volte a intensificare l’azione dell’UE per proteggere e ripristinare le foreste del pianeta è l’introduzione di una etichetta «a deforestazione zero». Ciò tuttavia potrebbe indurre a credere che l’UE in realtà tolleri la presenza sul suo mercato di prodotti non rispettosi delle foreste, provocando notevole confusione. Il CESE invita la Commissione a sviluppare ulteriormente le già esistenti etichette di eccellenza ambientale che coprono l’intero ciclo di vita, come il marchio Ecolabel UE, e ad ampliarle in modo da includere la dimensione sociale. In particolare, la messa in opera di un sistema di etichettatura chiaro relativo all’origine e ai mezzi di produzione faciliterebbe le scelte dei consumatori (50).

5.4.2

Iniziative dal basso verso l’alto e governance multilivello. Il decentramento dell’azione a livello locale tramite degli attori di fiducia, come le amministrazioni comunali e le associazioni, è un modo efficace per progettare azioni locali, avvicinarsi ai cittadini e coinvolgerli secondo una logica sensata. Un numero sempre maggiore di enti locali ha adottato serie strategie di sostenibilità, cui la Commissione offre incentivi tramite riconoscimenti quali il premio Capitale verde europea, il Green City Accord e il premio Città dell’UE per il commercio equo ed etico. Questi modelli e tendenze saranno probabilmente influenzati dalle attuali risposte alla crisi Covid-19. Gli interventi pilota in contesti reali possono essere molto utili per informare la concezione e l’attuazione della strategia dell’UE in materia di consumo sostenibile e andrebbero pertanto sostenuti.

5.4.3

Pubblicità e marketing. Va affrontato anche il ruolo della pubblicità e del marketing, perché perda la forte caratterizzazione consumistica e privilegi gli aspetti della durabilità dei prodotti e della possibilità di un nuovo utilizzo, vietando nel contempo la pubblicità ingannevole e fuorviante.

5.4.4

Educazione. Dovrebbero essere presentate proposte volte a integrare l’educazione al consumo sostenibile nei programmi scolastici fin dalla più giovane età e ad incoraggiare le iniziative educative del settore privato (lanciate, ad esempio, dalle cooperative di consumo) al fine di promuovere l’impegno dei cittadini e un cambiamento culturale.

Bruxelles, 18 settembre 2020

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  La responsabilità dei produttori si applica a tutti i settori, ma bisogna riconoscere la situazione particolare degli agricoltori.

(2)  Risoluzione del CESE sul tema Le proposte del CESE per la ricostruzione e la ripresa dopo la crisi della Covid-19.

(3)  Eurostat, Sustainable development in the EU (Sviluppo sostenibile nell'UE), 2020.

(4)  GU C 106 del 31.3.2020, pag. 1.

(5)  GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 30.

(6)  AEA.

(7)  AEA SOER 2020.

(8)  Global Footprint Network.

(9)  Vandermaesen, T. et al. (2019), EU overshoot day — Living beyond nature's limits (Il giorno del sorpasso nell'UE — Vivere oltre i limiti della natura). WWF.

(10)  SOER 2020.

(11)  Steffen, W. et al., 2015.

(12)  Kettunen, M., Gionfra, S. and Monteville, M. (2019), EU circular economy and trade (Economia circolare e commercio nell'UE), IEEP Bruxelles/Londra.

(13)  AEA.

(14)  Eurostat.

(15)  UNECE (2018).

(16)  Rijnhout L., Stoczkiewicz M., Bolger M. (2018), Necessities for a Resource Efficient Europe (Le esigenze di un'Europa efficiente dal punto di vista delle risorse).

(17)  AEA (2018), Waste prevention in Europe (La prevenzione dei rifiuti in Europa).

(18)  Ufficio europeo per l'ambiente (UEA) (2019), Cool products don't cost the earth (I prodotti intelligenti non fanno pagare un prezzo alla terra).

(19)  OCSE (2019).

(20)  Zink T. e Geyer R. (2017).

(21)  Eurobarometro, Sicurezza alimentare, giugno 2019.

(22)  The external costs of banana production (I costi esterni della produzione di banane: uno studio globale).

(23)  Pigou, A. C. (1920). The Economics of Welfare (L'economia del benessere).

(24)  Commissione europea, Strategia per l'internalizzazione dei costi esterni, COM(2008) 435 final.

(25)  Eurostat.

(26)  Competition Policy and Sustainability: A study of industry attitudes towards multi-stakeholder collaboration in the UK grocery sector (Politica della concorrenza e sostenibilità: uno studio sull'atteggiamento del settore verso la collaborazione multilaterale nel settore alimentare nel Regno Unito) — Fairtrade Foundation. Londra, Regno Unito, aprile 2019.

(27)  Direttiva 2014/24/UE.

(28)  Manuale Acquistare verde! della Commissione europea (2016).

(29)  Acquisti sociali della Commissione europea.

(30)  Comunicazione della Commissione — Orientamenti in materia di appalti per l'innovazione (2018).

(31)  Ad esempio, cambiamenti comportamentali concreti distinti dalla volontà dichiarata di cambiare comportamento: la ricerca su quest'ultimo aspetto è stata sintetizzata da LE Europe et al. (2018).

(32)  LE Europe, VVA Europe, Ipsos, ConPolicy e Trinomics (2018).

(33)  Cfr. la nota 1.

(34)  AEA.

(35)  BEUC (2020).

(36)  GU C 106 del 31.3.2020, pag. 1.

(37)  Rijnhout, Stoczkiewicz, Bolger (2018).

(38)  Ellen MacArthur Foundation (2019).

(39)  GU C 190 del 5.6.2019, pag. 9.

(40)  Gerritsen, E. e Underwood, E. (2019), What the Green Deal means for Europe's biodiversity (Il significato del Green Deal per la biodiversità in Europa). Allen, B. and Charveriat, C. (2018)

A meaty challenge (Una sfida difficile). IEEP, Bruxelles.

(41)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 22.

(42)  IEEP & FEPS.

(43)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23.

(44)  Studio IMCO.

(45)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 165.

(46)  Relazioni a cura dell'OCSE, della società civile e dei sindacati.

(47)  GU C 3 del 6.1.2001, pag. 2.

(48)  OECD Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chains in the Garment and Footwear Sector (Linee guida OCSE sul dovere di diligenza per catene di approvvigionamento responsabili nel settore dell'abbigliamento e delle calzature).

(49)  GU C 47 dell'11.2.2020, pag. 30.

(50)  GU C 190 del 5.6.2019, pag. 9.