25.1.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 33/1


Gestione dei siti Natura 2000

Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE

(2019/C 33/01)

INDICE

PREMESSA

4

1.

Introduzione

5

1.1.

Collocazione nella struttura generale delle direttive Habitat e Uccelli e in un contesto più ampio

5

1.2.

Rapporto con il capo sulla tutela delle specie

7

1.3.

Integrazione dell’articolo 6 nel diritto nazionale: il dovere di recepimento

7

1.4.

Periodo di applicazione dell’articolo 6: a partire da quale data si applicano gli obblighi di cui all’articolo 6?

8

1.4.1.

Zone di protezione speciale ai sensi della direttiva Uccelli

8

1.4.2.

Siti ai sensi della direttiva Habitat

9

2.

Articolo 6, paragrafo 1

10

2.1.

Testo

10

2.2.

Ambito di applicazione

10

2.3.

Quale deve essere il contenuto delle «misure di conservazione necessarie»?

11

2.3.1.

Definizione degli obiettivi di conservazione a livello di sito

11

2.3.2.

Definizione delle misure di conservazione necessarie

13

2.3.3.

Le esigenze ecologiche

14

2.4.

Quale forma possono assumere le misure di conservazione necessarie?

15

2.4.1.

I piani di gestione

15

2.4.2.

Misure regolamentari, amministrative o contrattuali

16

3.

Articolo 6, paragrafo 2

17

3.1.

Testo

17

3.2.

Ambito di applicazione

17

3.3.

Che cosa significa «adottano le opportune misure per evitare»?

19

3.4.

L’attuazione è diversa per il degrado e la perturbazione?

20

3.5.

Indicatori di degrado e perturbazione

20

3.5.1.

Degrado dei tipi di habitat e degli habitat delle specie

21

3.5.2.

Perturbazione delle specie

22

4.

Articolo 6, paragrafo 3

22

4.1.

Testo

22

4.2.

Ambito di applicazione

23

4.3.

Relazione tra i paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6

23

4.4.

Che cosa s’intende per «piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito»?

24

4.4.1.

Progetto

25

4.4.2.

Piano

25

4.4.3.

Non direttamente connesso e necessario alla gestione …

26

4.5.

In che modo si stabilisce se un piano o progetto «possa avere incidenze significative» su un sito, «singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti»?

27

4.5.1.

Possa avere…

27

4.5.2.

Incidenze significative

29

4.5.3.

… singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti

29

4.6.

Che cosa si intende per «opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo»?

30

4.6.1.

Che cosa si intende per «opportuna» valutazione?

30

4.6.2.

Contenuto dell’opportuna valutazione

32

4.6.3.

…tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito

33

4.6.4.

Il concetto di «integrità del sito»

33

4.6.5.

Valutazione delle implicazioni per il sito

34

4.6.6.

Considerare misure di attenuazione intese a evitare o ridurre gli impatti

35

4.7.

Processo decisionale

36

4.7.1.

Le «autorità nazionali competenti»

36

4.7.2.

Quando è opportuno chiedere il parere dell’opinione pubblica?

37

4.7.3.

Prendere una decisione sulla base dell’opportuna valutazione

37

5.

Articolo 6, paragrafo 4

38

5.1.

Testo

38

5.2.

Ambito di applicazione

38

5.3.

Considerazioni iniziali

39

5.3.1.

Esame di soluzioni alternative

39

5.3.2.

Esame dei motivi imperativi di rilevante interesse pubblico

40

5.4.

Adozione di misure compensative

42

5.4.1.

Che cosa si intende per «misure compensative» e quando vanno prese in considerazione?

42

5.4.2.

«Coerenza globale» della rete Natura 2000

43

5.4.3.

Obiettivo e contenuto generale delle misure compensative

44

5.4.4.

Elementi fondamentali da considerare nelle misure compensative

46

5.5.

Criteri per definire le misure compensative

46

5.5.1.

Compensazione mirata

46

5.5.2.

Compensazione effettiva

47

5.5.3.

Fattibilità tecnica

47

5.5.4.

Portata della compensazione

48

5.5.5.

Ubicazione delle misure compensative

48

5.5.6.

Tempi della compensazione

49

5.5.7.

Attuazione nel lungo termine

49

5.6.

Chi sostiene i costi delle misure compensative?

50

5.7.

Comunicazione delle misure compensative alla Commissione

50

5.8.

Che cosa succede nel caso dei siti che ospitano habitat e/o specie prioritari?

51

5.8.1.

I siti interessati

51

5.8.2.

I concetti di «salute dell’uomo», «sicurezza pubblica» e «conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente»

51

5.8.3.

Adozione del parere della Commissione e relative conseguenze

52

Allegato I

Confronto tra le procedure previste da opportuna valutazione, VIA e VAS

53

Allegato II

Esame di piani e progetti con un’incidenza sui siti Natura 2000

56

Allegato III

Formulario per la presentazione di informazioni alla Commissione europea a norma dell’articolo 6, paragrafo 4

57

PREMESSA

FINALITÀ E NATURA DEL DOCUMENTO

L’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE («direttiva Habitat») svolge una funzione cruciale per la gestione dei siti della rete Natura 2000. In un’ottica di integrazione, esso indica le varie attività necessarie per tutelare gli interessi di conservazione della natura dei siti.

Il presente documento intende fornire orientamenti agli Stati membri circa l’interpretazione di alcuni concetti chiave figuranti nell’articolo 6 della direttiva Habitat.

Nel quadro del piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia (1), la Commissione si è impegnata ad aggiornare la guida interpretativa sulle disposizioni dell’articolo 6 della direttiva Habitat relative alla conservazione e alla gestione di Natura 2000. Il presente documento sostituisce pertanto la versione originale della guida pubblicata nell’aprile 2000 (2).

Questo aggiornamento comprende l’ampio corpus di sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’UE nel corso degli anni sull’articolo 6 (3) e fa riferimento anche a una serie di note della Commissione concernenti la gestione di Natura 2000, nonché ad altri documenti di orientamento della Commissione sull’articolo 6, da leggere in combinazione con questa guida (4).

Benché i principali destinatari siano le autorità degli Stati membri, il documento dovrebbe anche agevolare la comprensione dei meccanismi della direttiva Habitat per chiunque sia coinvolto nella gestione dei siti Natura 2000 e nella procedura di autorizzazione ai fini dell’articolo 6.

Il documento è stato elaborato a seguito di consultazioni con le autorità degli Stati membri competenti per la protezione della natura e altri portatori di interessi ed è inteso ad assistere nell’applicazione della direttiva Habitat le autorità degli Stati membri e tutti i soggetti coinvolti nella gestione di siti Natura 2000 e nella procedura di autorizzazione di cui all’articolo 6. Solo la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente per interpretare autorevolmente il diritto dell’Unione.

Le interpretazioni fornite dai servizi della Commissione non possono andare al di là della direttiva. Questo è particolarmente vero per la presente direttiva, in quanto essa incorpora il principio di sussidiarietà e come tale lascia un ampio spazio di manovra agli Stati membri nell’attuazione pratica delle misure specifiche concernenti i vari siti della rete Natura 2000. Gli Stati membri sono comunque liberi di scegliere le modalità più opportune con cui attuare le misure pratiche, a condizione che queste ultime perseguano i risultati della direttiva.

Per quanto interpretativo, questo documento non ha l’intento di fornire risposte assolute a questioni specifiche a determinati siti, che vanno affrontate caso per caso, tenendo conto degli orientamenti contenuti nel documento.

STRUTTURA DEL DOCUMENTO

Dopo una nota introduttiva che illustra il contenuto generale e la logica dell’articolo 6, segue una presentazione dettagliata di ciascun paragrafo (1, 2, 3, 4) secondo lo stesso schema generale, ossia un’introduzione al paragrafo e al suo ambito di applicazione, seguita da una trattazione dei concetti e dei temi principali, sulla base delle conoscenze della Commissione, della giurisprudenza esistente della Corte di giustizia dell’UE e di altre normative dell’UE, se del caso.

I punti chiave che emergono dall’analisi della Commissione sono riassunti (in grassetto) alla fine di ogni sezione, onde agevolare una rapida lettura delle relative conclusioni.

1.   INTRODUZIONE

Contestualizzazione dell’articolo 6

1.1.   COLLOCAZIONE NELLA STRUTTURA GENERALE DELLE DIRETTIVE HABITAT E UCCELLI E IN UN CONTESTO PIÙ AMPIO

Prima di trattare nel dettaglio l’articolo 6, è bene ricordare come si colloca nella struttura generale della direttiva Habitat (5) e della direttiva Uccelli (6) e rapportarlo anche ad un contesto giuridico più ampio.

Il primo capo della direttiva Habitat, che comprende gli articoli 1 e 2, è intitolato «Definizioni» ed enuncia lo scopo della direttiva di «contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato» (7). Questo capo fornisce anche orientamenti generali per l’attuazione della direttiva, riferendosi alla necessità che tutte le misure adottate a norma della direttiva siano intese a mantenere o ripristinare alcuni habitat e specie «in uno stato di conservazione soddisfacente» (8), e nel contempo alla necessità che le misure adottate a norma della direttiva «tengano conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (9).

I principali requisiti specifici della direttiva Habitat sono raggruppati nei due capi successivi. Il primo, intitolato «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie», comprende gli articoli da 3 a 11. Il secondo, intitolato «Tutela delle specie», comprende gli articoli da 12 a 16.

Il capo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie» riguarda l’istituzione e la conservazione di siti designati per i tipi di habitat e le specie di interesse comunitario elencati negli allegati I e II della direttiva. Questi siti, insieme alle zone classificate a norma della direttiva Uccelli, formano la rete Natura 2000 (articolo 3, paragrafo 1). Nell’ambito di questo capo, l’articolo 6 contiene le disposizioni che disciplinano la conservazione e la gestione dei siti Natura 2000. In tale contesto, l’articolo 6 è uno dei più importanti tra i 24 articoli della direttiva, in quanto è quello che maggiormente determina il rapporto tra conservazione e altre attività socioeconomiche.

L’articolo contiene tre serie di disposizioni. Il paragrafo 1 tratta dell’introduzione delle necessarie misure di conservazione ed è incentrato su interventi positivi e proattivi, volti a mantenere o a riportare in uno stato soddisfacente gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche. Il paragrafo 2 contiene disposizioni intese a evitare il degrado degli habitat e la perturbazione significativa delle specie e pertanto è di carattere preventivo. I paragrafi 3 e 4 stabiliscono una serie di salvaguardie procedurali e sostanziali che disciplinano piani e progetti atti ad avere incidenze significative su un sito Natura 2000.

All’interno di questa struttura, si può osservare una distinzione tra i paragrafi 1 e 2, che definiscono un regime generale, e i paragrafi 3 e 4, che definiscono una procedura applicabile a circostanze specifiche.

Nel complesso, le disposizioni dell’articolo 6 riflettono l’orientamento generale indicato nell’articolo 2 e nei considerando della direttiva, che comporta la necessità di promuovere la biodiversità mantenendo o ripristinando determinati habitat e specie in uno «stato di conservazione soddisfacente» in tutta la loro area di ripartizione naturale all’interno dell’UE, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.

Oltre alla collocazione dell’articolo 6 nella struttura generale della direttiva Habitat, è importante anche menzionare il suo rapporto con la struttura della direttiva Uccelli:

in primo luogo, la struttura della direttiva Uccelli è in larga misura comparabile a quella della direttiva Habitat. In particolare, si riscontrano analogie tra il capo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie» della direttiva Habitat e gli articoli 3 e 4 della direttiva Uccelli;

in secondo luogo, si è realizzato un notevole grado di fusione tra le strutture delle due direttive. Innanzitutto, le zone di protezione speciale (ZPS) classificate a norma della direttiva Uccelli ora costituiscono parte integrante della rete Natura 2000 (10). Inoltre, le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva Habitat sono state rese applicabili alle ZPS (11).

L’articolo 6 deve essere considerato anche nel contesto più ampio della politica dell’UE sulla biodiversità (12) ed è fondamentale per il conseguimento dei suoi obiettivi. L’attuazione dell’articolo 6 può anche beneficiare di altre azioni promosse in tale ambito. In particolare, il lavoro intrapreso per misurare le condizioni degli ecosistemi nel quadro della mappatura e valutazione degli ecosistemi e dei relativi servizi (MAES) (13) fornisce indicazioni utili e pertinenti, anche settoriali, per affrontare aspetti quali la misurazione e la valutazione della condizione dei tipi di ecosistemi corrispondenti ai tipi di habitat protetti dalla direttiva Habitat, la misurazione delle pressioni sugli ecosistemi e la quantificazione delle esigenze ecologiche, nonché del degrado e dell’integrità ecologica dei siti.

Nel più ampio contesto del trattato sull’Unione europea, l’articolo 6 può essere considerato un elemento chiave per attuare il principio di integrazione, poiché incoraggia gli Stati membri a gestire in maniera sostenibile i siti Natura 2000 e pone dei limiti alle attività che possono avere un impatto negativo sulle zone protette, pur consentendo alcune deroghe in circostanze specifiche. Le misure a norma dell’articolo 6 possono anche beneficiare di sinergie con altre politiche ambientali pertinenti dell’UE, ad esempio in materia di acqua, ambiente marino o pesca.

Le misure a norma dell’articolo 6 della direttiva Habitat possono richiedere l’adozione di misure rientranti nella politica comune della pesca [Regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, in appresso «regolamento PCP»]. In particolare, si potrebbero applicare le disposizioni dell’articolo 11 del regolamento PCP concernente le misure di conservazione necessarie per il rispetto degli obblighi imposti dalla normativa ambientale dell’Unione; queste disposizioni sono chiarite nel documento di lavoro dei servizi della Commissione sulla definizione di misure di conservazione per i siti Natura 2000 nell’ambito della politica comune della pesca e ai fini della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino [SWD(2018)288 final]. La Commissione ha già adottato vari atti delegati ai sensi dell’articolo 11 del regolamento PCP (disponibili all’indirizzo https://ec.europa.eu/fisheries/cfp/fishing_rules_it).

In un contesto internazionale, l’articolo 6 contribuisce a realizzare le finalità delle convenzioni internazionali concernenti la conservazione della natura, come la convenzione di Berna (14) e la convenzione sulla diversità biologica (15), creando al tempo stesso un quadro di riferimento per la conservazione e la protezione dei siti più dettagliato rispetto a quello creato dalle convenzioni.

L’articolo 6 è un elemento chiave del capo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie» della direttiva Habitat. Esso fornisce il quadro generale per la conservazione e la protezione dei siti con disposizioni proattive, preventive e procedurali e riguarda le ZPS classificate a norma della direttiva Uccelli, così come i siti designati a norma della direttiva Habitat. Il quadro è uno strumento fondamentale per promuovere gli obiettivi generali delle due direttive e realizzare gli obiettivi della politica dell’UE sulla biodiversità e il principio dell’integrazione degli aspetti ambientali in altre politiche dell’UE e, in ultima analisi, dello sviluppo sostenibile.

1.2.   RAPPORTO CON IL CAPO SULLA TUTELA DELLE SPECIE

Come già menzionato, il capo «Tutela delle specie» della direttiva Habitat comprende gli articoli da 12 a 16 e concerne le specie animali e vegetali oggetto di protezione rigorosa elencate nell’allegato IV della direttiva (16), oltre a quelle che necessitano di speciali misure di gestione, elencate nell’allegato V.

Gli articoli 12, 13 e 14 riguardano determinate specie vegetali ed animali che possono anche figurare nell’allegato II della direttiva e pertanto beneficiano delle disposizioni dell’articolo 6 all’interno dei siti Natura 2000 che le ospitano (17). Di conseguenza, un’attività può rientrare contemporaneamente nell’ambito di applicazione di ambedue i capi.

Ad esempio la distruzione di un’area di riposo dell’orso bruno (Ursus arctos) può contravvenire al divieto di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera d), ma anche entrare in conflitto con l’articolo 6, se l’area di riposo si trova in un sito Natura 2000 designato per le specie.

Apparentemente si tratta di una duplicazione, ma occorre rilevare quanto segue:

in primo luogo, alcune specie animali e vegetali contemplate dagli articoli 12, 13 e 14 non figurano nell’allegato II e non beneficiano quindi direttamente di misure di conservazione e protezione del sito nell’ambito di Natura 2000;

in secondo luogo, nel caso di specie vulnerabili come i grandi carnivori, che beneficiano della protezione a norma del capo sulla conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie e del capo sulla tutela delle specie, la protezione concessa in virtù dell’articolo 6 è limitata ai siti all’interno della rete Natura 2000, mentre la protezione fornita dal capo sulla tutela delle specie non è limitata ai siti. Quindi, l’articolo 6 riguarda la conservazione e protezione di siti designati per le specie nell’ambito della rete Natura 2000, mentre il capo sulla tutela delle specie si concentra sulle specie in tutta la loro area di ripartizione naturale all’interno dell’UE (ivi comprese aree specifiche al di fuori di Natura 2000 dove sono presenti le specie, in particolare siti di riproduzione o aree di riposo di questi animali).

Alcune specie vegetali ed animali beneficiano della protezione sia a norma del capo sulla conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie sia a norma del capo sulla tutela delle specie, ma l’ambito di applicazione e la natura delle pertinenti disposizioni sono diversi.

1.3.   INTEGRAZIONE DELL’ARTICOLO 6 NEL DIRITTO NAZIONALE: IL DOVERE DI RECEPIMENTO

È importante notare che le disposizioni dell’articolo 6 devono essere recepite nel diritto nazionale (ossia devono essere oggetto di disposizioni del diritto nazionale che ne attuino i requisiti). Sotto questo aspetto, rientrano nell’articolo 23 della direttiva, che recita: «Gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro due anni a decorrere dalla sua notifica.» A seconda dello Stato membro, il termine ultimo per il recepimento era il 10 giugno 1994, o la data di adesione all’UE.

Quanto precede riflette il tipo di strumento giuridico utilizzato, ossia la direttiva. Una direttiva è vincolante in termini di risultati da raggiungere, ma lascia agli Stati membri un margine di scelta circa la forma e i metodi per conseguire tali risultati.

Secondo una costante giurisprudenza, la trasposizione deve essere chiara e precisa, fedele e con un’efficacia cogente incontestabile (cfr. sentenze della Corte di giustizia dell’UE (in appresso «la Corte») C-363/85, C-361/88, C-159/99, punto 32, C-415/01, punto 21, C-58/02, C-6/04, punti 21, 25, 26, C-508/04, punto 80) (18).

A seconda dello Stato membro interessato, l’articolo 6 doveva essere recepito nella legge nazionale entro il 10 giugno 1994 per i primi 12 Stati membri o alla data dell’adesione all’UE per gli altri.

1.4.   PERIODO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 6: A PARTIRE DA QUALE DATA SI APPLICANO GLI OBBLIGHI DI CUI ALL’ARTICOLO 6?

In generale, occorre distinguere tra il termine ultimo per il recepimento delle disposizioni dell’articolo 6 nel diritto nazionale e la data a partire dalla quale queste disposizioni si applicano ai singoli siti.

Per quanto concerne i singoli siti, occorre operare una distinzione tra le ZPS classificate a norma della direttiva Uccelli e altri siti — siti di importanza comunitaria (SIC) e zone speciali di conservazione (ZSC) — ai sensi della direttiva Habitat.

1.4.1.   Zone di protezione speciale ai sensi della direttiva Uccelli

I requisiti di protezione concernenti le ZPS sono indicati all’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli, che per queste zone prevede: «Gli Stati membri adottano misure idonee a prevenire […] l’inquinamento o il degrado degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo».

Dopo l’entrata in vigore della direttiva Habitat, gli obblighi di cui sopra sono stati sostituiti a norma dell’articolo 7 di tale direttiva, che recita:

«Gli obblighi derivanti dall’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, della presente direttiva sostituiscono gli obblighi derivanti dall’articolo 4, paragrafo 4, prima frase della direttiva 79/409/CEE, per quanto riguarda le zone classificate a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, o analogamente riconosciute a norma dell’articolo 4, paragrafo 2 di detta direttiva a decorrere dall’entrata in vigore della presente direttiva o dalla data di classificazione o di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della direttiva 79/409/CEE, qualora essa sia posteriore.»

Le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, non si applicano quindi alle ZPS, alle quali, tuttavia, si applicano disposizioni analoghe in virtù dell’articolo 3 e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli. La data a partire dalla quale tali disposizioni analoghe dovrebbero in linea di massima applicarsi alle ZPS è la data di applicazione della direttiva Uccelli negli Stati membri (cause C-355/90, Commissione/Spagna, Marismas di Santoña e C-166/97, Commissione/Francia, estuario della Senna).

In base ai termini dell’articolo 7, è chiaro che le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, si applicano alle ZPS già classificate al momento dell’entrata in vigore della direttiva Habitat. Considerata però la formulazione dell’articolo 7, occorre chiarire se le disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli rimangano applicabili dopo la «data di attuazione della presente direttiva» (10 giugno 1994 per gli allora Stati membri e la data di adesione per gli Stati membri successivi).

Nella causa Marismas di Santoña (C-355/90, punto 22) la Corte ha stabilito che l’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli era applicabile a un sito non classificato che avrebbe dovuto essere classificato come ZPS a decorrere dalla data di attuazione della direttiva Uccelli (ossia il 7 aprile 1981 per gli allora Stati membri e la data di adesione per gli Stati membri successivi).

Secondo la sentenza nella causa Basses Corbières (C-374/98, punti 43-57; cfr. anche C-141/14), le zone che non sono state classificate come ZPS mentre avrebbero dovuto esserlo continuano a rientrare nel regime proprio dell’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli, che è più rigoroso di quello previsto dall’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva Habitat, poiché non prevede deroghe. Il dualismo dei regimi incentiva gli Stati membri a procedere alle classificazioni, in quanto essi si predispongono in tal modo la possibilità di ricorrere ad un procedimento che consenta loro di adottare, per ragioni imperative di superiore interesse pubblico, compresi quelli di natura sociale ed economica e a talune condizioni, un piano o un progetto lesivo di una ZPS.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva Habitat non si applica alle ZPS. Tuttavia, l’articolo 3 e l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli contengono disposizioni analoghe che si applicano a decorrere dalla data della sua attuazione.

Per quanto riguarda la data di applicazione dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva Habitat alle ZPS, tutti i siti classificati come ZPS secondo l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli sono soggetti a tali disposizioni a decorrere dalla data di attuazione della direttiva Habitat.

I siti che non sono stati classificati come ZPS mentre avrebbero dovuto esserlo continuano a rientrare nel regime di protezione dell’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli, che è più rigoroso delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva Habitat.

1.4.2.   Siti ai sensi della direttiva Habitat

L’articolo 6, paragrafo 1, si applica alle ZSC. Secondo l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva, le ZSC sono poste in essere quando sono designate come tali dagli Stati membri. Questo può accadere soltanto dopo che un sito è stato adottato come SIC, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva. Un SIC deve essere designato come ZSC «il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di 6 anni».

La designazione di un SIC come ZSC comporta l’effettiva attuazione dell’articolo 6, paragrafo 1, poiché tutte le altre misure a norma dell’articolo 6, compreso l’obbligo di prevenire l’ulteriore degrado (articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4), si applicano già ai SIC prima che siano designati come ZSC.

L’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva Habitat recita:

«Non appena un sito è iscritto nell’elenco di cui al paragrafo 2, terzo comma, esso è soggetto alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4.»

Quindi, a differenza delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, che si applicano soltanto quando un SIC è stato designato come ZSC, le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, diventano applicabili non appena un sito diventa un SIC (ossia prima della sua designazione come ZSC). L’articolo 6, paragrafo 1, si applica anche ai SIC per i quali il termine di sei anni è scaduto e che non sono stati ancora stati designati come ZSC, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 4. In altri termini, l’obbligo di istituire le misure di conservazione necessarie si applica al più tardi entro la scadenza del periodo di sei anni.

Le decisioni della Commissione che approvano i SIC affermano chiaramente che: «Va […] sottolineato che gli obblighi risultanti dall’articolo 4, paragrafo 4, e dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 92/43/CEE devono essere soddisfatti il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di sei anni dall’adozione dell’elenco provvisorio o dell’elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica in questione, a seconda dell’elenco in cui un sito di importanza comunitaria è stato inserito per la prima volta

Questo significa che il periodo di sei anni comincia a decorrere dalla data in cui il sito è stato inserito per la prima volta nella decisione della Commissione. Eventuali aggiustamenti apportati a qualche dettaglio del sito da decisioni successive non devono essere utilizzati come scusa per posticipare la designazione come ZSC. Questi aggiustamenti devono però essere inseriti nel processo di designazione della ZSC e presi in considerazione nel definire le misure di conservazione necessarie.

Nella causa Draggagi (C-117/03, punto 29) la Corte ha stabilito che «per quanto riguarda i siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria, compresi negli elenchi nazionali trasmessi alla Commissione, tra i quali possono figurare in particolare siti ospitanti tipi di habitat naturali prioritari o specie prioritarie, gli Stati membri sono tenuti, in forza della direttiva, ad adottare misure di salvaguardia idonee a salvaguardare il detto interesse ecologico».

Nella causa Bund Naturschutz (C-244/05, punto 47) la Corte ha inoltre stabilito che «il regime di una protezione appropriata applicabile ai siti che figurano in un elenco nazionale trasmesso alla Commissione, in forza dell’articolo 4, n. 1, della direttiva, richiede che gli Stati membri non autorizzino interventi che rischiano di compromettere seriamente le caratteristiche ecologiche di questi siti».

Alla luce di quanto precede, le autorità degli Stati membri devono garantire che i siti proposti come SIC nei rispettivi elenchi nazionali non siano soggetti a degrado e siano tutelati ai fini della salvaguardia del loro interesse ecologico anche prima dell’adozione dell’elenco di SIC dell’Unione. Se gli elenchi nazionali rimangono incompleti, gli Stati membri sono anche invitati ad adoperarsi in modo da salvaguardare l’interesse ecologico di siti che, in base alle prove scientifiche secondo i criteri dell’allegato III della direttiva Habitat, dovrebbero figurare nell’elenco nazionale. A tale proposito, un suggerimento pratico è quello di applicare correttamente la procedura di valutazione dell’impatto ambientale (VIA) a norma della direttiva 2011/92/UE (19) per i progetti con probabili effetti significativi sull’ambiente (nella misura in cui siano coperti da tale direttiva). La Corte ha già confermato l’importanza che si deve conferire ai siti naturali sensibili nel decidere se i progetti debbano essere oggetto di una VIA ai sensi di tale direttiva (C-392/96, punto 66).

Le considerazioni di cui sopra possono essere riassunte nella seguente tabella:

Stato del sito

SIC proposto

SIC

ZSC

ZPS

Siti che avrebbero dovuto essere classificati come ZPS

Articolo 6, paragrafo 1

Facoltativo

Facoltativo (obbligatorio se è scaduto il termine di sei anni)

Obbligatorio

Non pertinente,

ma si applicano le disposizioni analoghe dell’articolo 3 e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli

Non pertinente

Articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4

Facoltativo, ma gli Stati membri devono prendere misure protettive idonee a salvaguardare l’interesse ecologico dei siti (20)

Obbligatorio

Obbligatorio

Obbligatorio

Non pertinente, ma questi siti continuano a rientrare nel regime di protezione dell’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva Uccelli

L’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4, si applica a SIC e ZSC a norma della direttiva Habitat. L’articolo 6, paragrafo 1 si applica alle ZSC a norma della direttiva Habitat.

Queste disposizioni non si applicano ai siti figuranti in un elenco nazionale trasmesso alla Commissione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva. Gli Stati membri sono comunque tenuti a prendere misure protettive idonee a salvaguardare l’interesse ecologico dei siti. Tali misure comprendono il diniego dell’autorizzazione di interventi che rischiano di compromettere seriamente le caratteristiche ecologiche dei siti in questione.

Nei casi in cui non è stato ancora presentato un elenco nazionale completo, gli Stati membri sono invitati ad adottare un approccio analogo per i siti che, sulla base dei criteri scientifici della direttiva, dovrebbero chiaramente figurare nell’elenco nazionale.

2.   ARTICOLO 6, PARAGRAFO 1

Chiarimenti sui concetti di misure di conservazione necessarie, obiettivi di conservazione, esigenze ecologiche, piani di gestione e misure regolamentari, amministrative o contrattuali.

2.1.   TESTO

«Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II presenti nei siti.»

2.2.   AMBITO DI APPLICAZIONE

L’articolo 6, paragrafo 1, stabilisce un regime generale di conservazione che deve essere istituito dagli Stati membri per le ZSC.

L’articolo 6, paragrafo 1:

prevede misure di conservazione positive, che comportano, ove necessario, piani di gestione, e misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II presenti nei siti. A tale proposito, l’articolo 6, paragrafo 1, si distingue dagli altri tre paragrafi dello stesso articolo che prevedono misure preventive per evitare il degrado, la perturbazione delle specie e conseguenze significative per i siti di Natura 2000;

ha un valore di riferimento per la logica e la comprensione generale dell’articolo 6 e degli altri tre paragrafi di tale articolo;

istituisce un regime generale di conservazione che si applica a tutte le ZSC della rete Natura 2000, senza eccezioni, ed a tutti i tipi di habitat naturale dell’allegato I e di specie dell’allegato II presenti nei siti, ad eccezione di quelle identificate come non significative nel formulario standard di Natura 2000 (FS) (21);

concerne in modo specifico le ZSC: l’articolo 6, paragrafo 1, non si applica alle ZPS, a differenza dell’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4. In questo modo, il legislatore ha istituito:

un regime contenente «misure di conservazione speciali» per le ZPS classificate ai sensi della direttiva Uccelli, conformemente al suo articolo 3 e al suo articolo 4, paragrafi 1 e 2;

un regime che stabilisce «misure di conservazione necessarie» per le ZSC designate ai sensi della direttiva Habitat, conformemente al suo articolo 6, paragrafo 1;

si applica anche ai SIC per i quali il periodo di sei anni è scaduto e non sono stati ancora stati designati come ZSC, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 4. In altri termini, l’obbligo di istituire le misure di conservazione necessarie si applica al più tardi entro la scadenza del periodo di sei anni;

si ricollega all’articolo 1, lettera a), che definisce le misure di conservazione come un complesso di misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente;

si ricollega all’articolo 2, paragrafo 2, che dispone che le misure adottate a norma della direttiva Habitat sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario;

si ricollega all’articolo 2, paragrafo 3, che precisa che le misure tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.

Per tutte le ZSC, gli Stati membri sono tenuti a elaborare misure di conservazione e ad adottare le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali. Queste misure devono essere istituite al massimo entro sei anni dall’adozione degli elenchi dei SIC dell’Unione.

Le misure sono positive e specifiche per sito e si applicano a tutti i tipi di habitat naturale dell’allegato I e alle specie dell’allegato II presenti nei siti, tranne nei casi in cui la presenza di tali specie non sia significativa secondo il formulario standard di Natura 2000. Le misure mirano ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di habitat naturali e specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario e tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali.

2.3.   QUALE DEVE ESSERE IL CONTENUTO DELLE «MISURE DI CONSERVAZIONE NECESSARIE»?

2.3.1.   Definizione degli obiettivi di conservazione a livello di sito (22)

Il preambolo della direttiva contiene vari riferimenti al termine «obiettivi di conservazione», menzionati peraltro esplicitamente nell’articolo 6, paragrafo 3. La necessità di tale concetto è messa in luce altresì dall’articolo 4, paragrafo 4, e dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva. È quindi utile analizzare che cosa si intende per «obiettivi di conservazione» e qual è la relazione con l’istituzione delle misure di conservazione necessarie per le ZSC ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1.

L’articolo 1 definisce, ai fini della direttiva, il concetto di conservazione quale «complesso di misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente […]».

Come dispone l’articolo 2, lo scopo generale della direttiva Habitat è contribuire a salvaguardare la biodiversità attraverso la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. Le misure adottate a norma della direttiva sono volte a garantire che le specie e i tipi di habitat contemplati raggiungano «uno stato di conservazione soddisfacente», ossia se ne assicuri la sopravvivenza a lungo termine in tutta la loro area di ripartizione naturale nell’UE.

Sebbene ogni sito concorra all’ottenimento di uno stato di conservazione soddisfacente, tale obiettivo generale può essere definito e raggiunto soltanto a livello di area di ripartizione di specie o tipi di habitat [cfr. articolo 1, lettere e) e i) della direttiva]. Pertanto, un obiettivo di conservazione ampio, che punti a raggiungere uno stato di conservazione soddisfacente, può essere considerato soltanto a un livello appropriato, ad esempio nazionale, biogeografico o europeo.

Tuttavia, l’obiettivo generale del raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente per tutti i tipi di habitat e le specie di cui agli allegati I e II della direttiva Habitat deve tradursi in obiettivi di conservazione a livello di sito. È importante operare una distinzione tra gli obiettivi di conservazione di singoli siti e l’obiettivo generale del raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente.

Gli obiettivi di conservazione a livello di sito sono una serie di obiettivi specifici da conseguire in un sito, affinché questo possa concorrere il più possibile al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente al livello appropriato (tenuto conto dell’area di ripartizione dei rispettivi tipi di habitat o specie).

È necessario stabilire obiettivi a livello di sito non soltanto per le ZSC di cui alla direttiva Habitat, ma anche per le ZPS di cui alla direttiva Uccelli, per ottemperare ai requisiti di cui agli articoli 2 e 3 e all’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4, di tale direttiva.

Di norma, occorre definire obiettivi di conservazione a livello di sito per tutte le specie e i tipi di habitat di interesse comunitario di cui alla direttiva Habitat e per tutte le specie ornitologiche di cui all’allegato I della direttiva Uccelli che sono presenti in maniera significativa in un sito Natura 2000, nonché per le specie migratrici che vi ritornano regolarmente. Non serve tuttavia stabilire obiettivi o misure di conservazione specifici per specie o tipi di habitat la cui presenza nel sito non è significativa secondo il formulario standard Natura 2000 (23).

Gli obiettivi di conservazione a livello di sito devono basarsi sulle esigenze ecologiche delle specie e dei tipi di habitat naturali e delle specie presenti nel sito (cfr. sezione 2.3.3), definire le condizioni di conservazione desiderate per il sito e rispecchiare l’importanza del sito per il mantenimento o il ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat e delle specie ivi presenti e per la coerenza di Natura 2000. Inoltre, devono affrontare i rischi di degrado o distruzione a cui sono esposti gli habitat e le specie del sito, ivi compresi quelli derivanti dai cambiamenti climatici.

Gli obiettivi di conservazione a livello di sito devono definire le condizioni di conservazione desiderate per le specie e i tipi di habitat presenti nel sito, affinché quest’ultimo possa concorrere il più possibile al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente al livello appropriato. Talvolta, sono definiti come una serie di traguardi da raggiungere nell’arco di un determinato periodo di tempo, stabiliti in funzione della valutazione della conservazione di ogni specie e tipo di habitat presente nel sito secondo quanto riportato nel formulario standard.

Gli obiettivi di conservazione possono riflettere le priorità all’interno di un sito. Nella causa C-241/08, la Corte ha concluso che «[…] la determinazione degli obiettivi di conservazione e di ripristino nell’ambito di Natura 2000 può richiedere la necessità, come correttamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle conclusioni, di dirimere conflitti tra finalità diverse».

È importante operare una chiara distinzione tra obiettivi e misure. Ad esempio, è ragionevole presupporre che gli obiettivi di conservazione siano relativamente stabili nel tempo; nella maggior parte dei casi, infatti, devono essere obiettivi a lungo termine. Viceversa, è probabile che le misure di conservazione necessarie per realizzare tali obiettivi mutino, anche in risposta all’evoluzione dei tipi di rischi cui i siti sono esposti e, ovviamente, agli effetti, auspicabilmente positivi, delle misure di conservazione già intraprese.

Una volta definiti gli obiettivi di conservazione per un sito Natura 2000, è consentita una certa flessibilità nel definire e stabilire le misure di conservazione ed è possibile considerare varie alternative (scegliendo tra misure amministrative, contrattuali o regolamentari) anche tenuto conto di altre attività socioeconomiche che vi vengono svolte.

Esempi di obiettivi di conservazione a livello di sito

1.

Il sito X è stato designato in considerazione della sua importanza per il tipo di habitat: formazioni erbose seminaturali (6210). Secondo il formulario standard, questo tipo di habitat è in condizioni di conservazione insoddisfacenti (indicate come classe C nel formulario standard). L’obiettivo di conservazione stabilito per questo sito può quindi essere quello di portare la conservazione del tipo di habitat alla classe A — eccellente — entro 10 anni, considerando che il tipo di habitat si trova in uno stato di conservazione molto insoddisfacente nella regione. Le misure di conservazione necessarie stabilite a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, sono state studiate per conseguire tale obiettivo.

2.

Il sito Y è stato designato perché ospita una vasta zona di torbiere alte attive (7110). Secondo il formulario standard, il tipo di habitat è in condizioni eccellenti (indicate come classe A nel formulario standard). Quindi l’obiettivo di conservazione stabilito per il sito è semplicemente quello di mantenere questa condizione, anche se i tipi di habitat presentano uno stato di conservazione insoddisfacente nella regione. Non si sono stabilite misure di conservazione a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, poiché il sito non richiede misure di gestione attiva per mantenere la condizione esistente.

In linea di principio, occorre definire obiettivi di conservazione per ciascun sito e per tutte le specie e i tipi di habitat che vi sono presenti in misura significativa. Gli obiettivi si devono basare sulle esigenze ecologiche delle specie e dei tipi di habitat naturali e delle specie presenti nel sito, definire le condizioni di conservazione desiderate per tali specie e tipi di habitat nel sito e devono essere stabiliti in funzione della valutazione della conservazione di ogni specie e tipo di habitat presente nel sito secondo quanto riportato nel formulario standard.

Gli obiettivi di conservazione devono anche rispecchiare l’importanza del sito per la coerenza di Natura 2000, affinché ciascun sito contribuisca nel miglior modo possibile al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente al livello geografico appropriato all’interno dell’area di ripartizione naturale dei rispettivi tipi di habitat o specie.

2.3.2.   Definizione delle misure di conservazione necessarie (24)

Le misure di conservazione sono gli interventi e i meccanismi effettivi da predisporre per un sito Natura 2000 al fine di conseguire gli obiettivi di conservazione del medesimo e affrontare le pressioni e le minacce subite dalle specie e dagli habitat che vi sono presenti.

Secondo l’articolo 6, paragrafo 1, «gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie» che corrispondono alle esigenze ecologiche degli habitat e delle specie di interesse comunitario presenti. Questa disposizione deve essere interpretata nel senso che tutte le misure di conservazione necessarie devono essere adottate .

Quanto precede è confermato dalla Corte, che ha stabilito che «la direttiva impone l’adozione di misure di conservazione necessarie, il che esclude ogni margine discrezionale in materia degli Stati membri e limita le eventuali facoltà regolamentari o decisionali delle autorità nazionali ai mezzi da impiegare ed alle scelte tecniche da operare nell’ambito delle dette misure. […] Con i termini usati all’articolo 6, n. 1, della direttiva […], il legislatore comunitario ha voluto imporre agli Stati membri l’obbligo di adottare le misure di conservazione necessarie che sono rispondenti alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali e delle specie considerati, rispettivamente, agli allegati I e II della direttiva» (causa C-508/04, punti 76, 87).

La Corte ha stabilito inoltre che «l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva Habitat e l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli, a pena di essere privati del loro effetto utile, richiedono non soltanto l’adozione delle misure di conservazione necessarie al mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie protetti all’interno del sito interessato, ma anche, e soprattutto, la loro effettiva attuazione» (causa C-441/17, punto 213).

L’obbligo consiste quindi nello stabilire le misure di conservazione necessarie, indipendentemente dal fatto che siano applicate in singoli siti o persino, in alcuni casi, al di fuori dei confini dei siti o in più siti. In alcuni casi, può darsi che uno Stato membro ottemperi all’articolo 6, paragrafo 1, in misura significativa grazie all’adozione di misure di portata più ampia, che contribuiscono comunque agli obiettivi di conservazione specifici del sito e sono adatte alle esigenze ecologiche degli habitat e delle specie protetti nella ZSC. Questo può essere particolarmente pertinente nel caso dei siti marini, per i quali ad esempio la più ampia regolamentazione delle attività di pesca (25) può costituire un elemento significativo della conformità all’articolo 6, paragrafo 1.

Elementi fondamentali da considerare per stabilire le misure di conservazione necessarie (26)

Una solida base di conoscenze circa le condizioni esistenti nel sito, lo stato di specie e habitat e le principali pressioni e rischi a cui possono essere esposti, le destinazioni d’uso attuali dei terreni, gli interessi delle varie parti interessate ecc. Le informazioni devono comprendere la posizione precisa delle principali caratteristiche naturali (tipi di habitat e specie), le principali destinazioni d’uso e attività che possono influire sullo stato di conservazione degli habitat e delle specie, l’identificazione di tutte le parti interessate da coinvolgere o consultare nel processo di pianificazione della gestione e potenziali conflitti e i possibili modi e mezzi per risolverli.

La partecipazione, consultazione e comunicazione nell’attività di pianificazione e preparazione della gestione della conservazione di un sito Natura 2000 permette di tener conto dei punti di vista di coloro che vivono e lavorano nel sito o lo utilizzano e di garantire l’impegno delle diverse parti interessate alla gestione del sito, in modo da aumentare la probabilità di successo. La partecipazione può essere promossa durante tutto il processo di pianificazione della gestione, partendo dalla consultazione e dal coinvolgimento degli interessati sin dalle prime fasi per informarli in merito agli obiettivi di conservazione del sito e alla loro importanza e chiarire le fasi di una gestione corretta. A questo proposito si possono istituire, ad esempio, gruppi o comitati direttivi composti da membri delle amministrazioni locali interessate e da rappresentanti dei proprietari di terreni, degli utilizzatori e dei principali operatori del sito Natura 2000. Il processo richiede una organizzazione efficiente, la collaborazione dei diversi livelli decisionali, risorse umane e finanziarie sufficienti e strumenti di comunicazione efficaci; un notevole valore aggiunto può essere fornito da interventi di formazione mirati e metodi efficaci di risoluzione dei conflitti, così come dall’agevolazione dell’intero processo grazie a un «difensore del sito» appositamente nominato.

La definizione delle misure di conservazione necessarie con un livello sufficiente di dettaglio (chi fa cosa, quando e come) serve ad agevolarne l’attuazione e ad evitare potenziali conflitti. Le misure devono essere realistiche, quantificate, gestibili e formulate chiaramente, basarsi su un livello appropriato di competenze tecniche per identificare le misure essenziali e quelle per le quali esistono diverse alternative di attuazione, adeguate agli interessi locali. È altresì necessario fornire la localizzazione precisa e una descrizione dei mezzi e degli strumenti necessari per la loro attuazione, ad esempio mediante un piano di lavoro abbastanza flessibile da permetterne il riesame e l’adeguamento ogniqualvolta sia necessario. È inoltre importante stabilire un termine per riesaminare le misure di conservazione adottate, dal punto di vista della loro idoneità al conseguimento degli obiettivi di conservazione e dei progressi compiuti in tal senso.

Occorre tenere presenti, in qualunque strumento di gestione dei siti Natura 2000, le risorse necessarie per realizzare le misure di conservazione, ivi comprese informazioni circa i costi stimati per attuazione e monitoraggio, amministrazione, pagamenti compensativi ecc., nonché le risorse umane e le competenze necessarie e i possibili strumenti finanziari. Di conseguenza, i molteplici vantaggi derivanti dagli investimenti in Natura 2000 attraverso i servizi ecosistemici vanno considerati nel loro complesso. Occorre anche analizzare le varie attività socioeconomiche e la loro interazione con l’ambiente naturale per individuare possibili costi e benefici derivanti dalla gestione del sito e l’effettiva necessità di un sostegno finanziario.

Occorre garantire un’attuazione e una comunicazione efficaci predisponendo meccanismi atti a dimostrare che le misure necessarie sono state istituite e anche effettivamente attuate, e mettendole a disposizione del pubblico (ad esempio su siti web o registri ufficiali) come fonte di informazioni per tutti gli interessati.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva Habitat impone l’obbligo di adottare e attuare le misure di conservazione necessarie che sono rispondenti alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali e delle specie figuranti nell’allegato I e nell’allegato II, escludendo ogni margine discrezionale in materia degli Stati membri.

2.3.3.   Le esigenze ecologiche

L’articolo 6, paragrafo 1 specifica che le misure di conservazione necessarie devono essere conformi «alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II presenti nei siti». Gli Stati membri devono quindi determinare le misure di conservazione in relazione alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali e delle specie.

Anche se la direttiva non contiene una definizione di «esigenze ecologiche», la finalità ed il contesto dell’articolo 6, paragrafo 1, indicano che esse comprendono tutte le necessità ecologiche, tra cui i fattori abiotici e biotici che sono ritenuti indispensabili per garantire la conservazione dei tipi di habitat e delle specie, incluse le loro relazioni con l’ambiente fisico (aria, acqua, suolo, vegetazione e così via) (27).

Queste esigenze si basano su conoscenze scientifiche e possono unicamente essere definite caso per caso, in funzione dei tipi di habitat naturali dell’allegato I, delle specie dell’allegato II e dei siti che li ospitano. Queste conoscenze sono essenziali per poter elaborare le misure di conservazione caso per caso.

Le esigenze ecologiche possono variare da una specie all’altra, ma anche, per la stessa specie, da un sito all’altro.

Per i pipistrelli (Chiroptera) elencati nell’allegato II della direttiva, le esigenze ecologiche variano tra il periodo di ibernazione (quando riposano in ambienti sotterranei, cavità o tane) e il periodo attivo, a partire dalla primavera (quando lasciano la dimora invernale e riprendono a cacciare insetti).

Per l’anfibio elencato nell’allegato II Triturus cristatus, le esigenze ecologiche variano nell’arco del ciclo di vita. Questa specie iberna nel terreno (cavità, fessure), depone le uova in primavera e all’inizio dell’estate in stagni. Successivamente abbandona l’ambiente acquatico e vive a terra durante l’estate e l’autunno. Per la stessa specie, le esigenze ecologiche possono quindi variare in funzione dei siti interessati (acquatici o terrestri). Poiché questa specie è presente in una vasta area di ripartizione nel territorio europeo, anche le sue esigenze ecologiche possono variare da un punto a un altro dell’area di ripartizione.

L’identificazione delle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali dell’allegato I e delle specie dell’allegato II presenti nei siti è di competenza degli Stati membri, che possono promuovere uno scambio delle rispettive conoscenze in materia, con il sostegno della Commissione europea e dell’Agenzia europea dell’ambiente — Centro tematico europeo per la biodiversità.

Le misure di conservazione devono essere conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali dell’allegato I e delle specie dell’allegato II presenti nel sito. Le esigenze ecologiche di questi tipi di habitat naturali e specie comprendono tutti i parametri ecologici ritenuti necessari per garantire la loro conservazione e possono essere definite soltanto caso per caso e sulla base di conoscenze scientifiche.

2.4.   QUALE FORMA POSSONO ASSUMERE LE MISURE DI CONSERVAZIONE NECESSARIE?

Le misure di conservazione possono assumere la forma di «opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali» e «all’occorrenza», implicare «appropriati piani di gestione».

La scelta è lasciata agli Stati membri, in ottemperanza al principio di sussidiarietà. La direttiva stabilisce i risultati da raggiungere, lasciando decidere agli Stati membri le modalità pratiche per farlo. Spesso, le diverse alternative indicate nell’articolo 6, paragrafo 1, sono utilizzate in combinazione per la gestione dei siti Natura 2000.

In tutti i casi, è necessario definire chiaramente le responsabilità per l’attuazione delle misure di conservazione, unitamente alle relative risorse finanziarie.

2.4.1.   I piani di gestione

Le misure di conservazione necessarie possono implicare «all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo». I piani di gestione riguardano tutte le attività esistenti, comprese quelle regolari come le attività agricole quotidiane, mentre i nuovi piani o progetti sono trattati all’articolo 6, paragrafi 3 e 4.

In generale, i piani di gestione a livello di sito servono a formulare i relativi obiettivi di conservazione, sulla base di un’analisi dello stato di conservazione di specie e habitat presenti nel sito e delle pressioni e minacce a cui sono esposti, unitamente alle misure necessarie per conseguire tali obiettivi. Spesso i piani di gestione sono utilizzati come uno strumento per guidare gestori e altre parti interessate ai fini della conservazione dei siti Natura 2000 e per coinvolgere i diversi soggetti socioeconomici e le autorità, comprese comunità locali, proprietari di terreni, agricoltori, pescatori e altri gruppi di interesse, nell’attuazione delle misure di conservazione necessarie che sono state individuate.

I piani di gestione sono un utile strumento per garantire che l’attuazione delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, avvenga in modo chiaro e trasparente, consentendo a tutti gli interessati di essere informati in merito alle finalità di Natura 2000 e di partecipare attivamente al dibattito. I piani di gestione possono anche contribuire a identificare il fabbisogno finanziario delle misure e a migliorare la loro integrazione in altri piani.

L’espressione «all’occorrenza» indica che i piani di gestione non sono sempre necessari. Se uno Stato membro sceglie di adottare piani di gestione, spesso sarà logico definirli prima di procedere con le altre misure menzionate nell’articolo 6, paragrafo 1, in particolare le misure contrattuali. Spesso le misure contrattuali implicano una relazione tra le autorità competenti ed i singoli proprietari di terreni e sono limitate a singoli appezzamenti, di norma più piccoli del sito. In simili circostanze, un piano di gestione incentrato sul sito fornirà un quadro generale ed il suo contenuto rappresenterà un utile punto di partenza per i dettagli specifici delle misure contrattuali.

I piani di gestione devono essere «appropriati» e «specifici», ossia riguardare i siti della rete Natura 2000, oppure «integrati ad altri piani di sviluppo». I piani di gestione esistenti per altre categorie di zone protette (ad esempio, parchi nazionali, parchi naturali ecc.) non sempre sono sufficienti per la gestione dei siti Natura 2000 e pertanto dovrebbero essere adeguati in modo da rispecchiare gli specifici obiettivi di conservazione delle specie e dei tipi di habitat di interesse comunitario presenti nel sito. Inoltre, i confini di altri tipi di zone protette e quelli dei siti di Natura 2000 potrebbero non coincidere.

I piani di gestione possono essere documenti indipendenti o anche «integrati in altri piani di sviluppo», conformemente al principio dell’integrazione dell’ambiente in altre politiche dell’UE. Nel caso di un piano integrato, è importante garantire che siano stabiliti obiettivi e misure di conservazione chiari per gli habitat e le specie presenti nel sito.

I piani di gestione per i siti Natura 2000 sono un utile strumento per garantire che l’attuazione delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, avvenga in modo chiaro e trasparente, e con la partecipazione delle parti interessate. Questi piani non sono sempre necessari, ma se utilizzati devono essere studiati specificamente per i siti o integrati in altri eventuali piani di sviluppo e riguardare tutte le attività note, mentre i nuovi piani e progetti sono trattati a norma dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4.

2.4.2.   Misure regolamentari, amministrative o contrattuali

L’espressione «all’occorrenza» si riferisce unicamente ai piani di gestione e non alle misure regolamentari, amministrative o contrattuali, che sono necessarie in tutti i casi (causa C-508/04, punto 71). Quindi, uno Stato membro può ritenere superfluo un piano di gestione, ma è comunque tenuto ad adottare tali misure.

La suddivisione in queste tre categorie di misure va considerata in senso lato. Le misure che si possono considerare appropriate per conseguire gli obiettivi di conservazione stabiliti per ogni sito sono diverse: spesso si tratta di misure di gestione attiva, ma in taluni casi valgono anche misure preventive più passive (ad esempio, la gestione del non intervento). D’altro canto, non sono necessariamente misure nuove, in quanto quelle esistenti, se opportune, possono essere considerate sufficienti.

Le misure regolamentari solitamente seguono un modello definito dal diritto e possono stabilire requisiti specifici in relazione alle attività consentite, soggette a restrizioni o vietate nel sito.

Le misure amministrative possono stabilire disposizioni pertinenti per quanto concerne l’attuazione delle misure di conservazione o l’autorizzazione a svolgere altre attività nel sito.

Le misure contrattuali comportano la conclusione di contratti o accordi, solitamente tra autorità di gestione e proprietari di terreni o utilizzatori del sito.

Le misure agroambientali o silvoambientali fungono da valido esempio di misure contrattuali che tengono conto di requisiti socioeconomici nella definizione di accordi a beneficio di siti Natura 2000 e devono essere studiate tenendo conto delle misure di conservazione istituite per il sito e in vista della realizzazione degli obiettivi di conservazione.

Gli accordi agroambientali conclusi con gli agricoltori nell’ambito dei programmi di sviluppo rurale possono essere utilizzati come misura contrattuale volta a mantenere o migliorare lo stato di conservazione di taluni tipi di habitat (ad esempio praterie, pascoli) e specie in una serie di siti.

Le misure silvoambientali possono anche essere utilizzate per definire contratti e accordi con i proprietari forestali sulla gestione delle foreste nell’intento di favorire la conservazione di habitat e specie.

In questa prospettiva, tutti i fondi idonei dell’UE (ad esempio fondi per lo sviluppo rurale e regionali, così come il programma LIFE (28)) dovrebbero essere considerati uno strumento per attuare queste misure (29).

La scelta tra misure regolamentari, amministrative o contrattuali è lasciata alla discrezione degli Stati membri, conformemente al principio di sussidiarietà. Gli Stati membri devono però scegliere almeno una delle tre categorie, ossia misure di tipo regolamentare, amministrativo o contrattuale.

Poiché non esiste una gerarchia tra le tre categorie, per un determinato sito Natura 2000 gli Stati membri possono scegliere se utilizzare una sola categoria di misure (ad esempio solo misure contrattuali) o una combinazione di misure (ad esempio, una combinazione di misure regolamentari e contrattuali in funzione degli aspetti di conservazione dei tipi di habitat naturali dell’allegato I e delle specie dell’allegato II presenti nel sito). Oltre alle misure obbligatorie selezionate, gli Stati membri possono definire e attuare piani di gestione.

Le tre categorie di misure sono qualificate come «opportune». Questo parametro non è definito nella direttiva, ma nel caso dell’articolo 6, paragrafo 1, le misure regolamentari, amministrative o contrattuali rientrano nel concetto di misure di conservazione. Il parametro «opportune» ha unicamente l’obiettivo di ricordare che, a prescindere dal tipo di misura scelta dagli Stati membri, esiste l’obbligo di garantire che sia conforme alle esigenze ecologiche degli elementi interessati di particolari siti Natura 2000 e rispetti lo scopo generale della direttiva, definito all’articolo 2, paragrafi 1 e 2.

Per le ZSC, gli Stati membri sono tenuti ad adottare e attuare le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali, che devono a) corrispondere alle esigenze ecologiche degli habitat dell’allegato I e delle specie dell’allegato II presenti nei siti e b) adempiere alla finalità generale della direttiva di mantenere o ripristinare in uno stato di conservazione soddisfacente gli habitat naturali e le specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.

3.   ARTICOLO 6, PARAGRAFO 2

Chiarimenti sui concetti di adottare le opportune misure per evitare degrado e perturbazione

3.1.   TESTO

«Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.»

3.2.   AMBITO DI APPLICAZIONE

L’articolo prende come punto di partenza il principio di prevenzione: «Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado […] nonché la perturbazione […].»

Queste misure vanno al di là delle semplici misure di gestione necessarie ai fini della conservazione, già coperte dall’articolo 6, paragrafo 1. Le parole «evitare» e «potrebbe avere conseguenze significative» sottolineano la natura anticipatoria delle misure da prendere. Non è accettabile aspettare che si verifichi un degrado o una perturbazione per adottare le misure (causa C-418/04 — cfr. anche alla sezione 4.4.1 l’interpretazione di «che possa avere», di cui all’articolo 6, paragrafo 3).

Questo articolo va interpretato nel senso di imporre agli Stati membri di adottare tutte le opportune misure per garantire che non si verifichino un degrado o una perturbazione significativa, onde evitare qualsiasi degrado, causato dall’uomo o di origine naturale prevedibile, degli habitat naturali e degli habitat di specie.

L’ambito di applicazione di questo articolo è più ampio di quello dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, che riguardano unicamente piani e progetti, poiché si applica anche allo svolgimento di attività quali l’agricoltura, la pesca o la gestione delle risorse idriche, che possono non rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3 (30), oltre a piani e progetti già autorizzati in passato e che successivamente si siano rivelati idonei a provocare situazioni di degrado o perturbazioni (31). L’articolo si applica inoltre all’attuazione di piani o progetti autorizzati prima dell’entrata in vigore dell’articolo 6, paragrafo 3 (C-399/14, punto 33).

L’articolo 6, paragrafo 2:

si applica permanentemente nelle ZSC, nei SIC e nelle ZPS e può riguardare attività o eventi passati, presenti o futuri. Se un’attività già in atto in una ZSC o in una ZPS può provocare il degrado di habitat naturali o una perturbazione delle specie per le quali la zona è stata designata, deve essere disciplinata dalle opportune misure previste rispettivamente all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva Habitat o all’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva Uccelli, se del caso. L’eliminazione dell’impatto negativo può richiedere, a seconda dei casi, la sospensione dell’attività e/o l’adozione di misure di attenuazione o ripristino, anche effettuando una valutazione ex post.

Quanto precede è confermato dalla sentenza Owenduff (C-117/00, punti 28-30) (32) nella quale la Corte ha riscontrato la violazione dell’articolo 6, paragrafo 2, perché in una ZPS non erano state adottate misure intese a prevenire il degrado degli habitat delle specie per le quali la stessa era stata designata.

La Corte ha inoltre stabilito che, prevedendo, in termini generali, che determinate attività praticate nelle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività perturbatrici o aventi conseguenze analoghe, uno Stato membro viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva Habitat (causa C-241/08, punto 76);

non è limitato ad atti intenzionali, ma può anche coprire eventi fortuiti (incendio, inondazione ecc.) nella misura in cui essi sono prevedibili, ad esempio se tendono a verificarsi ogni pochi anni (33). In caso di catastrofi, questo concerne unicamente l’obbligo di prendere le misure di precauzione (del caso) per diminuire il rischio di tali catastrofi, nella misura in cui queste ultime potrebbero mettere a repentaglio la finalità della direttiva;

non è limitato alle attività umane. Nella causa C-6/04, punto 34, la Corte ha valutato che «ai fini dell’attuazione dell’articolo 6, n. 2, della direttiva habitat, può essere necessario adottare sia misure dirette ad ovviare ai danni e alle perturbazioni provenienti dall’esterno e causati dall’uomo, sia misure per neutralizzare evoluzioni naturali che potrebbero comportare un degrado dello stato di conservazione delle specie e degli habitat nelle ZSC». A titolo di esempio, nel caso dell’accrescimento naturale o degli effetti dei cambiamenti climatici, potrebbero rendersi necessarie misure intese ad arrestare o contrastare questo processo, se si ritiene che possa avere un impatto negativo sulle specie o sui tipi di habitat per cui il sito è stato designato. Di conseguenza, dinamiche naturali e modifiche legate ai cambiamenti climatici (ad esempio innalzamento del livello del mare, estinzione o comparsa di nuove specie) devono essere valutate caso per caso (34).

Il legislatore ha previsto alcuni limiti alla responsabilità degli Stati membri:

limite spaziale — le misure si riferiscono esclusivamente a specie e habitat che si trovano «nelle ZSC». D’altro canto, può essere necessario attuare misure all’esterno della ZSC nel caso di eventi esterni che possono avere un impatto sulle specie e sugli habitat all’interno della ZSC. A titolo di esempio, nel caso di uno spandimento tossico che interessa una zona umida, l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, richiederebbe che fossero state prese tutte le misure preventive per evitare lo spandimento, anche se è distante dalla zona umida. In effetti, l’articolo non specifica quali misure si debbano prendere nelle ZSC e si limita a indicare che dovrebbero evitare il degrado al loro interno. La stessa logica vale per le ZPS;

limite di habitat e specie interessati — le opportune misure riguardano unicamente habitat e specie «per cui le zone sono state designate». In particolare, gli habitat e le specie a cui si riferiscono le misure da prendere sono quelli identificati nei formulari standard Natura 2000 (cfr. punti 2.2 e 4.6.3). Quindi, l’idea non è di adottare misure generali di protezione, bensì di adottare misure mirate per le specie e gli habitat che hanno giustificato la scelta del sito (ossia quelle registrate nel formulario come presenti in misura significativa e identificate nell’atto di designazione). Le perturbazioni e/o il degrado saranno quindi determinati con riferimento alle informazioni comunicate dagli Stati membri e utilizzate per garantire la coerenza della rete Natura 2000 per le specie e gli habitat di cui si tratta.

Gli Stati membri devono prendere misure preventive per evitare il degrado e le perturbazioni legati ad un evento, un’attività o un processo prevedibile. Queste misure si applicano a tutte le specie e agli habitat per i quali i siti sono stati designati e, se necessario, vanno attuate anche all’esterno dei siti.

3.3.   CHE COSA SIGNIFICA «ADOTTANO LE OPPORTUNE MISURE PER EVITARE»?

L’articolo 6, paragrafo 2, dispone che gli Stati membri «adottano le opportune misure per evitare […]». In diverse cause, la Corte ha chiarito il tipo di regime di protezione giuridica che deve essere istituito ai fini dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva Habitat. In particolare, ha sottolineato la necessità che il regime giuridico sia specifico, coerente e completo, in grado di garantire la gestione sostenibile e la protezione efficace dei siti interessati (C-293/07, punti 26-29) (35).

La Corte ha inoltre riscontrato violazioni in casi nei quali il regime in vigore era troppo generale e non interessava nello specifico la ZPS o le specie ivi presenti (C-166/04, punto 15), nei quali le disposizioni possono trovare applicazione «solo successivamente all’inizio delle attività in questione e, dunque, successivamente al verificarsi di un eventuale degrado» (C-418/04, punto 208), o nei quali le ZPS erano soggette a regimi giuridici eterogenei che non conferivano sufficiente protezione alle ZPS (C-293/07, punto 26).

In determinati casi, limitarsi ad avviare procedimenti penali contro la parte responsabile del degrado/della perturbazione o a sanzionarla amministrativamente può non essere sufficiente per garantire la conformità di uno Stato membro all’articolo 6, paragrafo 2 (C-504/14, punti 55 e 56).

Secondo la Corte, «i termini “misure opportune” contenuti nell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva “habitat” implicano che gli Stati membri godano di un margine di valutazione nell’applicazione di tale disposizione. Va tuttavia ricordato che un’attività è conforme all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva “habitat” soltanto se viene garantito che essa non provochi alcuna perturbazione che può avere incidenze significative sugli obiettivi perseguiti dalla direttiva, in particolare sugli obiettivi di conservazione» (sentenza Commissione/Spagna, C-404/09, punto 126 e giurisprudenza ivi citata). La Corte afferma inoltre che «[…] se un esame a posteriori, sulla base dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva “habitat”, dovesse rivelarsi, se del caso, come una “misura opportuna” ai sensi di tale disposizione, tale esame deve definire dettagliatamente quale rischio di degrado o di perturbazioni che possono avere conseguenze significative ai sensi di detta disposizione è generato dall’esecuzione del piano o progetto di cui trattasi e essere effettuato conformemente ai requisiti dell’articolo 6, paragrafo 3, di tale direttiva» (C-399/14, punti 40, 41, 54).

Il regime giuridico ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, deve essere specifico, coerente e completo, in grado di assicurare un’efficace protezione dei siti interessati. Gli Stati membri godono di un margine discrezionale nel prendere le opportune misure per attuare l’articolo 6, paragrafo 2, purché sia garantito che non si verifichino situazioni di degrado o perturbazione. L’eventuale riesame di un piano o di un progetto che si renda necessario per rispettare le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, deve essere effettuato conformemente ai requisiti dell’articolo 6, paragrafo 3.

3.4.   L’ATTUAZIONE È DIVERSA PER IL DEGRADO E LA PERTURBAZIONE?

In termini di perturbazione delle specie, l’articolo 6, paragrafo 2, specifica che si devono adottare le opportune misure per evitarla «nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva».

La perturbazione in questione deve essere importante per (avere un impatto su) lo stato di conservazione delle specie o degli habitat in relazione agli obiettivi della direttiva. È quindi in relazione a questi obiettivi che gli Stati membri devono determinare se la perturbazione è significativa o meno.

In termini di degrado degli habitat (riferito agli habitat naturali e agli habitat delle specie) tuttavia, il testo dell’articolo 6, paragrafo 2, non menziona espressamente i suoi effetti in relazione agli obiettivi della direttiva, bensì afferma semplicemente che bisogna evitare il degrado degli habitat.

Può sembrare difficile valutare il degrado in termini assoluti, senza fare riferimento a limiti misurabili. Tuttavia, il collegamento del degrado agli obiettivi di conservazione a livello di sito, che contribuiscono al conseguimento degli obiettivi della direttiva, può consentire di interpretare i limiti di ciò che si può considerare un degrado (cfr. sezione 3.5.1).

Le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2 e 3, devono essere interpretate come un insieme coerente e mirano ad assicurare uno stesso livello di protezione dei tipi di habitat e degli habitat delle specie (C-258/11, punto 32; C-521/12, punto 19; C-387/15 e C-388/15). Di conseguenza, la valutazione del degrado, ove necessaria, deve seguire criteri e metodi analoghi a quelli utilizzati nell’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3 (cfr. anche C-399/14, punto 54).

Le condizioni di conservazione di un tipo di habitat o dell’habitat di una specie presenti in un sito possono essere valutate a fronte dello stato di conservazione indicato nel formulario standard Natura 2000, previo aggiornamento dello stesso.

In un dato sito, le condizioni di conservazione dovrebbero rispecchiare la natura dinamica degli habitat e delle specie interessati.

La perturbazione di una specie deve essere evitata nella misura in cui potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva. D’altro canto, il degrado di un habitat naturale o di un habitat di una specie non si qualifica come tale in base alle conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva, ma deve semplicemente essere evitato.

Il degrado e la perturbazione devono essere valutati a fronte degli obiettivi di conservazione del sito e delle condizioni di conservazione delle specie e dei tipi di habitat ivi presenti, applicando gli stessi criteri utilizzati per la procedura di cui all’articolo 6, paragrafo 3. Questo concetto va interpretato in maniera dinamica, conformemente all’evoluzione delle condizioni di conservazione dell’habitat e delle specie presenti nel sito.

3.5.   INDICATORI DI DEGRADO E PERTURBAZIONE

Gli Stati membri devono prendere le opportune misure di protezione, atte a mantenere le caratteristiche ecologiche dei siti Natura 2000 dal momento in cui sono proposti come siti di interesse comunitario.

La Corte lo ha confermato nella causa Bund (C-244/05, punto 45): «[…] occorre ricordare che, conformemente all’allegato III, fase 1, della direttiva, le caratteristiche ecologiche di un sito identificato dalle competenti autorità nazionali riflettono i criteri di valutazione che sono ivi enunciati, ossia il grado di rappresentatività del tipo di habitat, la sua superficie, la sua struttura e le sue funzioni, le dimensioni e la densità della popolazione delle specie presenti sul sito, gli elementi dell’habitat importanti per le specie in questione, il grado di isolamento delle popolazioni di specie presenti sul sito nonché il valore del sito per la conservazione del tipo di habitat e delle specie in questione

Ne consegue che non si dovrebbe consentire il deterioramento delle caratteristiche ecologiche del sito al di sotto del livello riscontrato al momento della designazione. Nel caso di un miglioramento delle condizioni, occorre fare riferimento alla nuova situazione. Come regola generale, la perturbazione o il degrado in un dato sito sono valutati caso per caso mediante indicatori (cfr. sotto) rispetto all’importanza del loro cambiamento in valore (36).

3.5.1.   Degrado dei tipi di habitat e degli habitat delle specie

Per degrado si intende qualsiasi forma di deterioramento fisico che colpisce un habitat. Lo Stato membro deve tenere conto di tutte le influenze sull’ambiente che ospita gli habitat (spazio, acqua, aria, suolo). Se a causa di queste influenze i parametri di conservazione dell’habitat peggiorano rispetto a prima, si può ritenere che si sia verificato un degrado.

È importante ricordare che l’obbligo di evitare il degrado non si applica solo ai tipi di habitat elencati nell’allegato I della direttiva Habitat per i quali il sito è stato designato, ma anche agli habitat delle specie elencate nell’allegato II della direttiva Habitat e nell’allegato I della direttiva Uccelli e delle specie migratorie indicate nell’articolo 4, paragrafo 2, della stessa direttiva, per i quali il sito è stato designato.

Per valutare il degrado, è possibile fare riferimento agli obiettivi di conservazione del sito e alle caratteristiche ecologiche che ne hanno determinato la selezione come SIC (conformemente ai criteri di selezione di cui all’allegato III della direttiva) o come ZPS.

Queste caratteristiche ecologiche per tipi di habitat sono registrate nel formulario standard in base ai seguenti parametri (37):

il grado di rappresentatività del tipo di habitat, che indica «quanto tipico» sia un tipo di habitat.

Questo criterio deve essere correlato al manuale di interpretazione dei tipi di habitat dell’allegato I (38), che fornisce una definizione, un’indicazione delle specie caratteristiche e altri elementi pertinenti. Qualsiasi evento, attività o processo che provoca la perdita di rappresentatività del tipo di habitat può essere valutato come degrado;

la superficie dell’habitat all’interno del sito e la sua superficie relativa rispetto alla superficie totale coperta da questo tipo di habitat sul territorio nazionale.

Qualsiasi evento, attività o processo che contribuisca a ridurre le dimensioni, all’interno del sito, del tipo di habitat o dell’habitat delle specie per il quale questo sito è stato designato dovrebbe essere considerato un degrado;

il grado di conservazione della struttura e delle funzioni del tipo di habitat naturale in questione e possibilità di ripristino.

Considerazioni analoghe si applicano nel caso di habitat di specie, come ad esempio le zone umide per gli uccelli. Qualsiasi alterazione negativa di uno dei fattori necessari per il mantenimento a lungo termine degli habitat e degli habitat delle specie si può considerare un degrado; a titolo di esempio, il degrado può essere provocato, oltre che dalla riduzione delle dimensioni fisiche dell’habitat, anche dalla perdita di qualità in quanto sito di riproduzione, alimentazione, riposo o sosta per le specie.

Le funzioni necessarie per il mantenimento a lungo termine dipendono chiaramente dall’habitat in questione. Gli Stati membri devono conoscere queste esigenze (mediante studi, raccolta di dati ecc.) in quanto, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, essi devono adottare misure «che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II».

In un sito si verifica una situazione di degrado dell’habitat quando la superficie del tipo di habitat o dell’habitat delle specie all’interno del sito viene ridotta, oppure la struttura e le funzioni specifiche necessarie al mantenimento a lungo termine dell’habitat o dello stato delle specie ad esso associate vengono ridotte rispetto alla situazione iniziale o ripristinata. Questa valutazione è effettuata in funzione degli obiettivi di conservazione del sito e del suo contributo alla coerenza della rete.

3.5.2.   Perturbazione delle specie

A differenza del degrado, la perturbazione non incide direttamente sulle condizioni fisiche di un sito, bensì concerne le specie e può essere limitata nel tempo (rumore, sorgente luminosa ecc.). L’intensità, la durata e la frequenza del ripetersi della perturbazione sono quindi parametri importanti.

Per valutare se una perturbazione è significativa rispetto agli obiettivi della direttiva, si può fare riferimento alla definizione di stato di conservazione soddisfacente di una specie fornita nell’articolo 1, lettera i), sulla base dei seguenti fattori:

« i dati relativi all’andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene.»

Qualsiasi evento, attività o processo che contribuisca al declino a lungo termine della popolazione della specie nel sito può essere considerato una perturbazione significativa;

« l’area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile.»

Qualsiasi evento, attività o processo che contribuisca alla riduzione o al rischio di riduzione dell’area di ripartizione delle specie nel sito può essere considerato come una perturbazione significativa;

«esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine.»

Qualsiasi evento, attività o processo che contribuisce alla riduzione delle dimensioni dell’habitat delle specie disponibile nel sito può essere considerato una perturbazione significativa.

A tale proposito, effetti quali rumore, vibrazioni e isolamento di sottopopolazioni di una specie possono essere causa di perturbazioni significative per tale specie. Di conseguenza, la mancata adozione di misure appropriate per prevenirle da parte di uno Stato membro costituisce un’inadempienza rispetto agli obblighi ad esso incombenti a norma dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva Habitat (causa C-404/09).

È possibile tenere conto di fattori quali intensità, frequenza e durata della perturbazione per determinarne la significatività, che può variare da una specie all’altra e a seconda dei momenti e delle condizioni (ad esempio le risorse alimentari o la presenza di zone vicine sufficientemente tranquille).

La perturbazione di una specie in un sito è determinata da eventi, attività o processi che contribuiscono, all’interno del sito, a un declino a lungo termine della popolazione della specie, a una riduzione o al rischio di riduzione della sua area di ripartizione naturale e a una riduzione dell’habitat disponibile. Questa valutazione è effettuata in funzione degli obiettivi di conservazione del sito e del suo contributo alla coerenza della rete.

4.   ARTICOLO 6, PARAGRAFO 3

Chiarimento dei concetti di piano o progetto, probabilità di incidenze significative, opportuna valutazione, obiettivi di conservazione del sito; effetti cumulativi, autorità competenti, opinione pubblica, integrità del sito

4.1.   TESTO

«Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.»

4.2.   AMBITO DI APPLICAZIONE

Relativamente alla finalità e al contesto, il ruolo dei paragrafi 3 e 4 dell’articolo 6 va considerato in relazione a quello del paragrafo 1 (oppure, nel caso delle ZPS, a quello dei paragrafi 1 e 2 degli articoli 3 e 4 della direttiva Uccelli) e del paragrafo 2 dell’articolo 6. In particolare, è importante tenere presente che, anche se un’iniziativa o attività non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, dovrà comunque essere compatibile con le altre disposizioni sopra menzionate.

È opportuno rilevare che attività compatibili con gli obiettivi di conservazione del sito o che vi contribuiscono possono già essere contemplate dall’articolo 6, paragrafi 1 e 2 — a titolo di esempio, pratiche agricole tradizionali favorevoli a particolari tipi di habitat e specie. Le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, costituiscono una forma di regime di autorizzazione, che definisce le circostanze nelle quali i piani ed i progetti con potenziali effetti negativi su Natura 2000 possono o non possono essere autorizzati. Queste disposizioni garantiscono che le esigenze economiche e altre esigenze non ecologiche siano prese pienamente in considerazione alla luce degli obiettivi di conservazione del sito.

L’articolo 6, paragrafo 3, definisce una procedura progressiva per la valutazione di piani e progetti (39).

a)

La prima parte della procedura consiste in una fase di valutazione preliminare («screening») per stabilire se, innanzitutto, il piano o progetto è direttamente connesso al sito o necessario per la sua gestione, e in secondo luogo se è probabile che eserciti incidenze significative sul sito; questa fase è disciplinata dall’articolo 6, paragrafo 3, prima frase.

b)

La seconda parte della procedura, disciplinata dall’articolo 6, paragrafo 3, seconda frase, si riferisce all’opportuna valutazione e alla decisione delle autorità nazionali competenti.

La terza parte della procedura (disciplinata dall’articolo 6, paragrafo 4) subentra se, nonostante una valutazione negativa, si propone di non respingere un piano o progetto, bensì di riesaminarlo. In questo caso, l’articolo 6, paragrafo 4, consente di derogare all’articolo 6, paragrafo 3, a determinate condizioni.

L’applicabilità della procedura e il suo grado di applicazione dipendono da diversi fattori e ogni fase della sequenza è influenzata da quella precedente. L’ordine sequenziale delle fasi è pertanto essenziale per la corretta applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione geografico, le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3, non sono limitate a piani e progetti concernenti esclusivamente un sito protetto, ma si riferiscono anche a piani e progetti al di fuori del sito, che tuttavia possono avere incidenze significative su di esso, a prescindere dalla distanza dal sito in questione (cause C-98/03, punto 51 e C-418/04, punti 232-233).

La Corte ha stabilito inoltre che l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat non preclude una misura protettiva nazionale più rigorosa, che ad esempio possa imporre il divieto assoluto di un certo tipo di attività, senza alcun obbligo di una valutazione dell’impatto ambientale del singolo progetto o piano sul sito Natura 2000 interessato (C-2/10, punti 39-75).

L’articolo 6, paragrafo 3, definisce una procedura progressiva per la valutazione di piani e progetti che possono avere incidenze significative su un sito Natura 2000. Le attività che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, dovranno comunque essere compatibili con le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, ovvero, nel caso di ZPS, dell’articolo 3 e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli, e dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva Habitat.

4.3.   RELAZIONE TRA I PARAGRAFI 2 E 3 DELL’ARTICOLO 6

Il paragrafo 2 e il paragrafo 3 dell’articolo 6 sono entrambi intesi ad impedire eventuali effetti negativi significativi su un sito. Nel caso dell’articolo 6, paragrafo 2, l’intento è quello di evitare il «degrado […] nonché la perturbazione […] significativ[a]», mentre l’articolo 6, paragrafo 3, mira ad evitare che siano autorizzati piani o progetti che potrebbero «pregiudic[are] l’integrità del sito». Quindi gli obiettivi sono molto simili. Tuttavia, bisogna ricordare che le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, si applicano al sito in qualsiasi momento, mentre quelle dell’articolo 6, paragrafo 3, entrano in gioco solo se viene proposto un piano o un progetto che possa avere incidenze significative sul sito. Poiché i due paragrafi perseguono lo stesso obiettivo generale, è logico concludere che qualsiasi piano o progetto approvato conformemente all’articolo 6, paragrafo 3, sia anche conforme alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, salvo che successivamente si riveli idoneo a provocare situazioni di degrado dell’habitat e/o perturbazioni delle specie per cui il sito è stato designato.

Quanto precede è stato confermato dalla Corte (causa C-127/02, punti 35-37): «Orbene, il fatto che un piano o un progetto sia stato autorizzato secondo il procedimento di cui all’articolo 6, n. 3, della direttiva habitat rende superflua, per quanto riguarda l’intervento sul sito protetto interessato dal detto piano o progetto, un’applicazione concomitante della norma di protezione generale di cui al n. 2 del medesimo articolo. Infatti l’autorizzazione di un piano o di un progetto, concessa ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva habitat, presuppone necessariamente che esso sia stato considerato non idoneo a pregiudicare l’integrità del sito interessato e, di conseguenza, nemmeno idoneo a causare deterioramenti o perturbazioni significative ai sensi del n. 2 del detto articolo.

Non si può tuttavia escludere che, con il tempo, un piano o progetto di questo genere, anche in assenza di qualsiasi errore imputabile alle autorità nazionali competenti, si riveli idoneo a comportare deterioramenti o perturbazioni di questo tipo. Ciò premesso, l’applicazione dell’articolo 6, n. 2, della direttiva habitat consente di rispondere all’obiettivo essenziale della preservazione e della protezione della qualità dell’ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali nonché della fauna o della flora selvatiche, come enunciato al primo “considerando” di questa stessa direttiva.»

D’altro canto, laddove un piano o un progetto sia stato autorizzato in modo non conforme all’articolo 6, paragrafo 3, può essere rilevata una violazione dell’articolo 6, paragrafo 2, ove si sia riscontrato il degrado di un habitat o la perturbazione di una specie per i quali è stata designata la zona in questione (C-304/05, C-388/05, C-404/09, C-141/14).

Lo stesso vale per tutti i progetti e le attività che sono stati autorizzati prima dell’inserimento dei siti nell’elenco dei SIC, o della loro classificazione come ZPS, che non sono soggetti all’obbligo della valutazione delle loro implicazioni per tipi di habitat e specie a norma dell’articolo 6, paragrafo 3, ma i cui effetti potrebbero pregiudicare l’integrità dei siti in questione. Le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della direttiva Habitat devono essere interpretate come un insieme coerente e sono studiate per assicurare lo stesso livello di protezione degli habitat naturali e degli habitat delle specie (cause C-258/11, C-521/12, C-399/14, cause riunite C-387/15 e C-388/15).

Quindi, nel caso dell’articolo 6, paragrafo 2, che comporta l’obbligo di effettuare un esame a posteriori delle implicazioni per il sito interessato da un piano o progetto, tale esame deve essere effettuato conformemente alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3 (causa C-399/14, punto 54).

L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43 non si applica a tutte le attività la cui esecuzione era assoggettata ad autorizzazione, ma che sono state realizzate senza la medesima, quindi illegalmente. Tuttavia, tali attività possono comportare la violazione dell’articolo 6, paragrafo 2, e lo Stato membro ha l’obbligo di agire conformemente alle disposizioni di quest’ultimo (causa C-504/14).

4.4.   CHE COSA S’INTENDE PER «PIANO O PROGETTO NON DIRETTAMENTE CONNESSO E NECESSARIO ALLA GESTIONE DEL SITO»?

Poiché la direttiva Habitat non definisce il concetto di «piano» o «progetto», si devono prendere in debita considerazione i principi generali di interpretazione, in particolare il principio secondo cui una singola disposizione del diritto dell’UE deve essere interpretata sulla base della sua formulazione, della sua finalità e del contesto in cui si situa.

Esistono due argomenti a favore di un’interpretazione ampia dei concetti di «piano» o «progetto».

Innanzitutto, la direttiva non circoscrive la portata di un «piano» o di un «progetto» facendo riferimento a categorie particolari dell’uno o dell’altro. Piuttosto, il principale fattore di limitazione è dato dal fatto che essi possano o meno avere incidenze significative su un sito.

In secondo luogo, un corollario dell’applicabilità dell’articolo 6, paragrafo 2, anche ad attività escluse dall’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4, è che quanto più ristretta è la definizione di «piano» e di «progetto», tanto più limitati sono gli strumenti per soppesare un interesse di conservazione a fronte di un interesse contrapposto di non conservazione e quindi garantire la corretta applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2, ossia evitare il degrado e la perturbazione.

4.4.1.   Progetto

Un altro argomento a favore di una definizione ampia di «progetto», per analogia, è il riferimento alla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (40) («direttiva VIA»). Questa direttiva opera in un contesto analogo e stabilisce regole per la valutazione di progetti che possono avere incidenze significative sull’ambiente. A norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva VIA, «progetto» significa:

«—

la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere, — altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo.»

Si tratta di una definizione molto ampia (C-72/95 Kraaijeveld, punti 30 e 31) che non è limitata alla costruzione fisica, ma copre anche altri interventi sull’ambiente naturale, comprese regolari attività mirate allo sfruttamento di risorse naturali (41). Un esempio può essere una forte intensificazione dell’attività agricola che minaccia di danneggiare o distruggere il carattere seminaturale di un sito (42).

La Corte ha emesso numerose sentenze concernenti il tipo di interventi soggetti all’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3.

La sentenza nella causa Waddenzee (C-127/02 punti 25-29) ha ulteriormente chiarito che le attività praticate periodicamente da molti anni nel sito interessato, ma per le quali viene rilasciata ogni anno una licenza per un periodo limitato che implica ogni volta una nuova valutazione della possibilità di esercitarle e del sito nel quale possono essere esercitate, devono essere considerate, al momento di ciascuna domanda, come un piano o un progetto distinto ai sensi della direttiva Habitat.

Nella causa Papenburg (C-226/08, punti 50-51) la Corte ha stabilito inoltre che: «[…] misure continuative di manutenzione del canale navigabile di estuari, le quali non siano direttamente connesse o necessarie alla gestione del sito […] devono essere assoggettate, nella misura in cui esse costituiscono un progetto e possono avere incidenze significative sul sito interessato, ad una valutazione del loro impatto su tale sito ai sensi delle citate disposizioni [articolo 6, paragrafo 3]

Tuttavia, «[q]ualora si possa ritenere, in considerazione, segnatamente, della frequenza, della natura o delle condizioni di esecuzione delle dette misure, che queste ultime costituiscano un’unica operazione, in particolare qualora esse siano finalizzate al mantenimento di una certa profondità del canale navigabile con dragaggi regolari e necessari a tal fine, tali misure di manutenzione possono essere considerate un unico e solo progetto ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva habitat».

La Corte ha anche stabilito che la possibilità di esentare in maniera generale certe attività non rispetta le disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 3 (C-256/98, C-6/04, C-241/08, C-418/04, C-538/09). Inoltre, la Corte ha stabilito che i progetti non possono essere esclusi dall’obbligo di valutazione esclusivamente per il fatto che non sono soggetti ad autorizzazione (C-98/03, punti 43-52).

La Corte ha concluso altresì che le dimensioni del progetto non sono rilevanti in quanto non escludono, di per sé, la possibilità che esso abbia effetti significativi su un sito protetto (causa C-98/03 e causa C-418/04, punto 244).

4.4.2.   Piano

Anche il termine «piano» ha potenzialmente un significato molto ampio ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3. Rimandando, per analogia, alla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (43) («direttiva VAS»), l’articolo 2, lettera a), di tale direttiva definisce piani e programmi come segue:

«i piani e i programmi, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche:

che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e

che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.»

A tale proposito, la Corte ha stabilito che «[…] in considerazione della finalità della direttiva 2001/42, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, le disposizioni che delimitano l’ambito di applicazione di tale direttiva , ed in special modo quelle che enunciano le definizioni degli atti ivi previsti, devono essere interpretate in senso ampio» (C-567/10, punti 24-43).

Di ovvia rilevanza a norma della direttiva Habitat sono i piani territoriali o di destinazione dei suoli. Alcuni di essi hanno effetti legali diretti per la destinazione d’uso dei terreni, altri invece soltanto indiretti. A titolo di esempio, i piani territoriali regionali o aventi un’ampia estensione geografica spesso non sono applicati direttamente, bensì costituiscono la base per piani più dettagliati o fungono da quadro generale per consensi allo sviluppo con effetti legali diretti. Entrambi i tipi di piani di destinazione dei suoli si dovrebbero considerare coperti dall’articolo 6, paragrafo 3, nella misura in cui possono avere effetti significativi su un sito Natura 2000.

La Corte ha sostenuto questo punto di vista (C-6/04, punto 52), affermando che anche se i piani regolatori non autorizzano sempre i progetti di sviluppo e questi ultimi devono essere oggetto di un permesso rilasciato secondo la procedura abituale, essi incidono notevolmente sulle decisioni in materia. Di conseguenza, i piani regolatori devono essere oggetto di un’opportuna valutazione della loro incidenza sui siti interessati (cfr. anche C-418/04).

Anche i piani settoriali si dovrebbero considerare rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, sempre nella misura in cui possono avere un’incidenza significativa su un sito Natura 2000. Per citare alcuni esempi: piani di reti di trasporto, piani energetici, piani di gestione dei rifiuti, piani di gestione dell’acqua e piani di gestione forestale (cfr. C-441/17, punti 122-124).

Tuttavia, occorre operare una distinzione con i «piani» in forma di dichiarazioni politiche, ossia documenti politici che dimostrano la volontà politica o l’intenzione generale di un ministero o di un’autorità a livello più basso. Un esempio potrebbe essere un piano generale per lo sviluppo sostenibile concernente un territorio o una regione di uno Stato membro. Non sembra opportuno considerare questi piani come dei «piani» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, soprattutto se qualsiasi iniziativa derivante da tali dichiarazioni politiche deve essere tradotta in un piano di assetto territoriale o settoriale (C-179/06, punto 41) (44). L’articolo 6, paragrafo 3, va comunque applicato quando esiste un nesso preciso e diretto tra il contenuto di una tale iniziativa e probabili incidenze significative su un sito Natura 2000.

Quando uno o più progetti specifici sono inclusi in un piano in maniera generale, senza entrare nei dettagli progettuali, la valutazione effettuata a livello di piano non esonera i progetti specifici dagli obblighi di valutazione di cui all’articolo 6, paragrafo 3, in una fase successiva, quando sono noti maggiori dettagli (45).

4.4.3.   Non direttamente connesso e necessario alla gestione …

Dal contesto e dalla finalità dell’articolo 6 appare evidente che il termine «gestione» va riferito alla «conservazione» di un sito, ossia dev’essere inteso nel senso in cui è usato nell’articolo 6, paragrafo 1. Quindi, se un’attività è direttamente collegata agli obiettivi di conservazione e necessaria per realizzarli, è esente dall’obbligo di valutazione.

Introducendo la possibilità di istituire piani di gestione, l’articolo 6, paragrafo 1, lascia agli Stati membri un margine di flessibilità per quanto concerne la forma che possono assumere. I piani possono essere studiati specificamente per i siti, oppure «integrati ad altri piani di sviluppo». Di conseguenza, è possibile avere un piano di gestione a scopo di conservazione «puro» o «misto», con altri obiettivi oltre a quelli di conservazione.

Le parole «non direttamente connesso e necessario […]» garantiscono che una componente non legata alla conservazione di un piano o progetto che comprende la gestione a scopo di conservazione tra i suoi obiettivi debba comunque essere oggetto di un’opportuna valutazione.

Ad esempio, il taglio di alberi a scopo commerciale può far parte di un piano di gestione a scopo di conservazione per una superficie boschiva designata come zona speciale di conservazione. Nella misura in cui l’aspetto commerciale non è necessario per la gestione in chiave di conservazione del sito, può rendersi necessaria una opportuna valutazione.

La Corte ha sostenuto questo punto di vista (C-241/08, punto 55), precisando che «la sola conformità dei contratti Natura 2000 agli obiettivi di conservazione del sito non può essere considerata sufficiente, alla luce dell’articolo 6, n. 3, della direttiva “habitat”, al fine di dispensare sistematicamente i lavori, le opere e le realizzazioni previsti dai detti contratti dalla valutazione delle incidenze sui siti».

In alcune circostanze, un piano o progetto direttamente connesso o necessario per la gestione di un sito può influenzare un altro sito.

Ad esempio, per migliorare il regime di allagamento di un sito, si può proporre di costruire un argine in un altro sito, con un possibile effetto pregiudizievole significativo su quest’ultimo. In questo caso, il piano o progetto dovrebbe essere oggetto di una valutazione relativamente al sito interessato.

Inoltre, la sentenza nella causa C-441/17 (punto 123) indica l’esempio di un piano (avente come unico scopo di aumentare il volume di legname sfruttabile attraverso la realizzazione delle operazioni di gestione forestale attiva in questione all’interno del sito Natura 2000) non direttamente connesso alla conservazione in quanto non inteso a stabilire obiettivi o misure di conservazione, e pertanto rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3.

Al termine «progetto» dovrebbe essere data un’interpretazione ampia, che comprenda i lavori di costruzione e altri interventi nell’ambiente naturale. Anche il termine «piano» ha un significato ampio e comprende piani di destinazione dei suoli e piani o programmi settoriali.

I piani e i progetti connessi direttamente con la conservazione e gestione del sito, singolarmente o a titolo di componente di altri piani o progetti, dovrebbero in genere essere esclusi dalle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3, ma la componente non legata alla conservazione può comunque essere oggetto di una valutazione.

4.5.   IN CHE MODO SI STABILISCE SE UN PIANO O PROGETTO «POSSA AVERE INCIDENZE SIGNIFICATIVE» SU UN SITO, «SINGOLARMENTE O CONGIUNTAMENTE AD ALTRI PIANI O PROGETTI»?

Questa frase implica un rapporto di causa ed effetto e un aspetto cumulativo. Da un lato, occorre determinare quali tipi di effetti sono considerati («incidenze significative») e, dall’altro, valutare quali tipi di cause possono creare tali effetti («possa avere […] singolarmente o congiuntamente»).

La determinazione del fatto che un piano o progetto possa avere incidenze significative comporta conseguenze pratiche e giuridiche. Quindi, nel proporre un piano o un progetto è importante tenere innanzitutto conto di questo aspetto fondamentale e in secondo luogo valutare se è in grado di superare un esame scientifico e tecnico.

I piani e progetti ritenuti non suscettibili di avere incidenze significative possono essere trattati senza fare riferimento alle fasi successive di cui all’articolo 6, paragrafo 3. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti a giustificare e documentare i motivi di una simile conclusione della valutazione preliminare.

4.5.1.   Possa avere…

Le salvaguardie di cui all’articolo 6, paragrafo 3, non sono attivate da una certezza, bensì da una probabilità di incidenze significative. Quindi, in linea con il principio di precauzione, è inaccettabile che non si effettui una valutazione in virtù del fatto che le incidenze significative non sono certe.

Quanto precede è stato confermato dalla Corte nella sentenza Waddenzee (C-127/02, punti 39-44): «[…] l’avvio del meccanismo di tutela dell’ambiente previsto dall’articolo 6, n. 3, […] non presuppone […] la certezza che il piano o il progetto considerato pregiudica significativamente il sito interessato, ma risulta dalla semplice probabilità che un tale effetto sia inerente a detto piano o progetto. […] [I]n caso di dubbio quanto alla mancanza di effetti significativi [va] effettuata una tale valutazione . […] [L]’articolo 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat deve essere interpretato nel senso che qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito è sottoposto a un’opportuna valutazione dell’incidenza che ha sullo stesso tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo, quando non possa essere escluso, sulla base di elementi obiettivi , che esso, da solo o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudichi significativamente il detto sito

Anche in questo caso è utile fare riferimento alla direttiva VIA (2011/92/UE e successive modifiche), in quanto la formula «possa avere incidenze significative» è quasi identica alla formula di base usata per istituire l’obbligo di valutazione a carico degli Stati membri ai sensi della direttiva VIA (46). La direttiva VIA è utile anche per determinare una serie di fattori che possono contribuire alla probabilità di un’incidenza significativa (47). Una proposta che comporti la necessità di una valutazione ai sensi della direttiva VIA in base al fatto, tra l’altro, che possa incidere in modo significativo su un sito Natura 2000, può anche essere ritenuta soggetta all’obbligo della valutazione di cui all’articolo 6, paragrafo 3 (48).

Nel determinare la probabilità di incidenze significative e quindi la necessità di un’opportuna valutazione, non si può tenere conto di misure di attenuazione (ossia misure intese a evitare o ridurre gli effetti negativi) come confermato anche dalla sentenza della Corte nella causa C-323/17: «L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che, al fine di determinare se sia necessario procedere successivamente a un’opportuna valutazione delle incidenze di un piano o di un progetto su un sito interessato, non occorre, nella fase di preesame, prendere in considerazione le misure intese a evitare o a ridurre gli effetti negativi di tale piano o progetto su questo sito» (49).

La probabilità di incidenze significative può derivare non soltanto da piani o progetti situati all’interno di un sito protetto, ma anche da piani o progetti situati al di fuori di un sito protetto (C-142/16, punto 29). A titolo di esempio, una zona umida può essere danneggiata da un progetto di drenaggio situato ad una certa distanza dai suoi confini, o un sito può essere interessato da un’emissione di sostanze inquinanti da una fonte esterna. Per questo motivo, è importante che gli Stati membri, a livello legislativo e nella pratica, consentano l’applicazione delle salvaguardie di cui all’articolo 6, paragrafo 3, alle pressioni di sviluppo, comprese quelle che si situano all’esterno dei siti Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative su di essi.

In tale contesto, occorre prendere in considerazione anche i potenziali effetti transfrontalieri. Se un piano o un progetto in un paese può avere un’incidenza significativa su un sito Natura 2000 in un secondo paese, singolarmente o congiuntamente con altri piani o progetti, è necessario effettuare un’opportuna valutazione che consideri, tra l’altro, i potenziali effetti sull’integrità dei rispettivi siti Natura 2000 anche nel secondo paese.

Piani e progetti transfrontalieri (ossia piani o progetti ubicati in più di uno Stato membro, che comportano ad esempio condotte, cavi, ponti o gallerie) devono essere trattati di conseguenza, garantendo che siano presi in considerazione tutti i potenziali effetti sui siti Natura 2000. A tale scopo, e per evitare duplicazioni, le rispettive autorità competenti dovrebbero coordinare le valutazioni.

Quanto precede è in linea con la convenzione di Espoo e il relativo protocollo VAS (50) attuati nell’UE tramite le direttive VIA e VAS (51). Poiché tali direttive riguardano piani o progetti suscettibili di richiedere una valutazione anche a norma dell’articolo 6 della direttiva Habitat, ne consegue che gli effetti transfrontalieri devono essere considerati anche nelle opportune valutazioni effettuate a norma della direttiva Habitat, conformemente alle disposizioni pertinenti di tali direttive.

La procedura a norma dell’articolo 6, paragrafo 3, è attivata non dalla certezza bensì dalla probabilità di incidenze significative derivanti da piani o progetti a prescindere dalla loro ubicazione all’interno o all’esterno di un sito protetto. Una simile probabilità sussiste se non si possono escludere incidenze significative sul sito. In questa fase non si può tenere conto di misure di attenuazione e occorre considerare anche gli effetti transfrontalieri.

4.5.2.   Incidenze significative

Il concetto di incidenze «significative» non può essere trattato in maniera arbitraria. In primo luogo, la direttiva usa questo termine in un contesto oggettivo (ossia senza legarlo a formule discrezionali). In secondo luogo, l’interpretazione di che cosa s’intende per «significative» deve seguire un approccio omogeneo per garantire un funzionamento coerente della rete Natura 2000.

Pur essendo necessaria una certa obiettività nell’interpretare la portata del termine «significative», questa obiettività non può essere però separata dalle caratteristiche specifiche e dalle condizioni ambientali del sito protetto interessato dal piano o progetto. A questo riguardo, gli obiettivi di conservazione di un sito, nonché le informazioni preliminari o di riferimento su di esso possono essere molto importanti per determinare in maniera più precisa le sensibilità di conservazione (C-127/02, punti 46-48).

Alcune di queste informazioni figurano nel formulario standard che accompagna il processo di selezione del sito ai sensi delle direttive Habitat e Uccelli (cfr. sezione 3.5.1). Gli Stati membri possono anche disporre di piani dettagliati di gestione per la conservazione del sito, che descrivono le variazioni in termini di sensibilità di habitat e specie all’interno di un sito per quanto concerne diverse minacce.

La significatività varia a seconda di fattori quali entità dell’impatto, tipo, portata, durata, intensità, tempistica, probabilità, effetti cumulativi e vulnerabilità di habitat e specie interessati.

In un simile contesto, è evidente che ciò che può essere significativo in relazione a un sito, può non esserlo con riferimento a un altro sito.

A titolo di esempio, una perdita di 100 metri quadri di habitat può essere significativa con riferimento a un piccolo sito di orchidee rare, mentre una perdita analoga in una steppa molto estesa può essere irrilevante se non presenta implicazioni per gli obiettivi di conservazione del sito.

Il concetto di ciò che è «significativo» deve essere interpretato in modo obiettivo. La significatività degli effetti deve essere determinata in relazione alle particolarità e alle condizioni ambientali del sito protetto interessato dal piano o progetto, tenendo particolarmente conto degli obiettivi di conservazione del sito e delle sue caratteristiche ecologiche.

4.5.3.   … singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti

Una serie di impatti che singolarmente sono modesti può produrre nel suo insieme un impatto significativo. Come ha precisato la Corte «la mancata presa in considerazione dell’effetto cumulativo dei progetti comporta in pratica che la totalità dei progetti d’un certo tipo può venire sottratta all’obbligo di valutazione mentre, presi insieme, tali progetti possono avere un notevole impatto ambientale» (C-418/04, C-392/96, punti 76, 82).

L’articolo 6, paragrafo 3, si prefigge di affrontare questo aspetto considerando gli effetti congiunti di altri piani o progetti. A tale riguardo, l’articolo 6, paragrafo 3, non definisce esplicitamente quali altri piani e progetti rientrino nell’ambito di applicazione della disposizione sugli effetti congiunti.

È importante notare che l’intenzione alla base della disposizione sugli effetti congiunti è quella di tenere conto degli impatti cumulativi, che spesso si verificano con il tempo. In tale contesto si possono esaminare i piani o progetti completati, approvati ma non completati, o proposti .

 

Oltre agli effetti dei piani e progetti che costituiscono l’oggetto principale della valutazione, a questo «secondo livello» di valutazione può essere opportuno considerare gli effetti di piani e progetti già completati, ivi compresi quelli precedenti la data di recepimento della direttiva o la data di designazione del sito (cfr., ad esempio, C-142/16, punti 61 e 63). Benché i piani e progetti già completati siano di per sé esclusi dagli obblighi di valutazione di cui all’articolo 6, paragrafo 3, è comunque importante prenderli in considerazione nel valutare gli impatti del piano o progetto in corso, al fine di accertare l’esistenza di eventuali potenziali effetti cumulativi derivanti dal progetto in corso combinato con altri piani e progetti già completati. Gli effetti di tali piani e progetti completati di norma rientrano nelle condizioni di riferimento del sito considerate in questa fase (52).

I piani e progetti autorizzati in passato ma non ancora attuati o completati dovrebbero essere inclusi nella disposizione sugli effetti congiunti.

Per quanto riguarda altri piani o progetti proposti, per motivi di certezza giuridica sembrerebbe opportuno limitare la disposizione sugli effetti congiunti a quelli che sono stati effettivamente proposti, ossia per i quali è stata presentata una domanda di approvazione o autorizzazione. Nel contempo, è chiaro che nell’esaminare un piano o un progetto proposti, gli Stati membri non introducono una presunzione a favore di altri piani o progetti futuri non ancora proposti.

Ad esempio, se si ritiene che uno sviluppo residenziale non provocherà incidenze significative e lo si approva, tale autorizzazione non deve creare una presunzione a favore di altri sviluppi residenziali in futuro.

Inoltre, è importante notare che la valutazione degli effetti cumulativi non si limita all’esame di piani o progetti simili nello stesso settore di attività (ad esempio una serie di progetti immobiliari). Nella valutazione occorre tenere conto di tutti i tipi di piani o progetti che potrebbero avere un’incidenza significativa congiuntamente al piano o progetto in esame.

Allo stesso modo, la valutazione non dovrebbe limitarsi agli effetti cumulativi tra progetti o tra piani, bensì considerare anche quelli tra progetti e piani (e viceversa). Ad esempio, un nuovo progetto per la costruzione di un’importante autostrada in una data zona di per sé può non provocare incidenze negative sul sito, ma se considerato congiuntamente a un piano di sviluppo immobiliare già approvato per la stessa zona, questi impatti possono diventare talmente significativi da incidere negativamente sul sito. D’altro canto, può darsi che un piano di per sé non eserciti un impatto significativo su siti Natura 2000, ma sia valutato in modo diverso se considerato congiuntamente ad un altro importante progetto di sviluppo non compreso in tale piano.

I potenziali effetti cumulativi dovrebbero essere valutati avvalendosi di solidi dati di riferimento e non basandosi esclusivamente su criteri qualitativi. Inoltre, dovrebbero essere valutati come parte integrante della valutazione nel suo complesso e non considerati semplicemente come un’aggiunta al termine del processo di valutazione.

Nel determinare le probabili incidenze significative, si deve considerare anche la combinazione con altri piani e/o progetti per tenere conto degli impatti cumulativi nella valutazione del piano o progetto in questione. La disposizione sugli effetti congiunti riguarda altri piani o progetti già completati, approvati ma non completati o effettivamente proposti.

4.6.   CHE COSA SI INTENDE PER «OPPORTUNA VALUTAZIONE DELL’INCIDENZA CHE HA SUL SITO, TENENDO CONTO DEGLI OBIETTIVI DI CONSERVAZIONE DEL MEDESIMO»?

4.6.1.   Che cosa si intende per «opportuna» valutazione?

L’opportuna valutazione si prefigge di valutare le implicazioni che il piano o progetto, da solo o congiuntamente ad altri piani o progetti, può avere per gli obiettivi di conservazione del sito. Le relative conclusioni dovrebbero consentire alle autorità competenti di accertare se il piano o progetto inciderà negativamente sull’integrità del sito interessato. L’opportuna valutazione si concentra quindi nello specifico sulle specie e/o sugli habitat per i quali è designato il sito Natura 2000.

Nella sentenza Waddenzee (C-127/02, punti 52-54, 59) la Corte sottolinea l’importanza di avvalersi delle migliori conoscenze scientifiche nell’effettuare l’opportuna valutazione, al fine di consentire alle autorità competenti di concludere con certezza che non si verificheranno effetti negativi sull’integrità del sito:

«Quanto alla nozione di “opportuna valutazione” ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva habitat, va rilevato che quest’ultima non definisce alcun metodo particolare per l’attuazione di una tale valutazione. Tuttavia, secondo la lettera stessa di tale disposizione, un’opportuna valutazione delle incidenze sul sito interessato del piano o progetto deve precedere l’autorizzazione di questo e tener conto degli effetti cumulativi che derivano dalla combinazione di tale piano o progetto con altri piani o progetti tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito interessato

«Una tale valutazione implica quindi che devono essere individuati, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in materia, tutti gli aspetti del piano o progetto che possono, da soli o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudicare i detti obiettivi

«Le autorità nazionali competenti, tenuto conto delle conclusioni dell’opportuna valutazione delle incidenze del piano o progetto sul sito interessato con riferimento agli obiettivi di conservazione di quest’ultimo, autorizzano una tale attività solo a condizione che abbiano acquisito la certezza che essa è priva di effetti pregiudizievoli per l’integrità di tale sito. Ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti

Le valutazioni che si limitano a descrizioni generali e a un esame superficiale dei dati esistenti sull’ambiente naturale nella zona non si possono pertanto considerare «opportune» ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3. Secondo la Corte l’opportuna valutazione deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sulla zona di protezione speciale in questione (C-304/05, punto 69) (53). Non si può ritenere che una valutazione sia adeguata nel caso in cui manchino elementi o dati attendibili e attuali relativi agli habitat e alle specie nel sito (C-43/10, punto 115).

È al momento in cui viene adottata la decisione che autorizza la realizzazione di un progetto che non deve sussistere alcun ragionevole dubbio, dal punto di vista scientifico, circa l’assenza di effetti dannosi per l’integrità del sito interessato (C-239/04, punto 24).

Inoltre, per quanto riguarda la sorveglianza in varie fasi, neanche questa può essere sufficiente a garantire il rispetto dell’obbligo previsto all’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat (C-142/16, punto 43).

Da quanto precede si evince che l’opportuna valutazione deve essere motivata e documentata. Se dalla valutazione documentata non emerge la base motivata per la decisione successiva (ossia se si tratta semplicemente di un giudizio positivo o negativo di un piano o progetto non corredato da motivazioni), la valutazione non soddisfa il suo scopo e non può essere considerata «opportuna».

Infine, è importante anche il fattore tempo. La valutazione è una fase che precede altre fasi — in particolare l’autorizzazione o il rifiuto di un piano o progetto — alle quali fornisce una base. La valutazione deve pertanto essere effettuata prima che l’autorità competente decida se intraprendere o autorizzare il piano o progetto (C-127/02, punto 42). Chiaramente, nei casi in cui è necessario riformulare un piano o progetto prima di prendere una decisione su di esso, è giustificato riesaminare la valutazione come parte di un processo iterativo. Le autorità non dovrebbero però avere la facoltà di aggiungere a posteriori elementi ad una valutazione, una volta che si è passati alla fase successiva secondo la sequenza stabilita nell’articolo 6, paragrafi 3 e 4.

Relazione con le direttive VIA e VAS

L’opportuna valutazione spesso è effettuata unitamente alla procedura VIA o VAS o come parte della stessa, e i suoi risultati sono contenuti nella relazione VIA o VAS pertinente. Questo approccio può servire a snellire la procedura amministrativa necessaria per ottenere le autorizzazioni ai sensi della legislazione ambientale dell’UE (54). La direttiva VIA modificata (55) (articolo 2, paragrafo 3) dispone che nel caso dei progetti per i quali l’obbligo di effettuare una valutazione dell’impatto ambientale risulta contemporaneamente dalla direttiva VIA e dalla direttiva Habitat, gli Stati membri provvedono, ove opportuno, affinché siano previste procedure coordinate e/o comuni. Sono stati pubblicati orientamenti pertinenti sull’argomento (56).

È comunque essenziale che le informazioni pertinenti per l’opportuna valutazione e le relative conclusioni rimangano chiaramente distinte e identificabili nel rapporto di valutazione dell’impatto ambientale, affinché si possano distinguere da quelle generali della VIA o della VAS. Questo è necessario perché esiste una serie di importanti distinzioni tra le procedure di VIA/VAS e l’opportuna valutazione, per cui una VAS o una VIA non possono sostituire o fare le veci di una opportuna valutazione, in quanto nessuna delle due procedure ha più rilevanza dell’altra.

Quanto precede è stato ulteriormente confermato dalla Corte (C-418/04): «Tali due direttive (VIA e VAS) presentano disposizioni relative alla procedura di delibera senza vincolare gli Stati membri quanto alla decisione e riguardano solo alcuni progetti e piani. Per contro, a termini dell’articolo 6, n. 3, seconda frase, della direttiva Habitat, un piano o un progetto può essere autorizzato solo se le autorità nazionali competenti hanno avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa. Le valutazioni ai sensi della direttiva VIA o ai sensi della direttiva VAS, pertanto, non possono sostituire la procedura prevista dall’articolo 6, nn. 3 e 4, della direttiva Habitat.»

Le principali analogie e differenze tra opportuna valutazione e VIA/VAS sono indicate nell’allegato I.

4.6.2.   Contenuto dell’opportuna valutazione

L’opportuna valutazione dei piani o dei progetti che possono incidere sui siti della rete Natura 2000 deve garantire l’esame approfondito di tutti gli elementi che contribuiscono all’integrità del sito (cfr. sezione 3.7.4), nella definizione delle condizioni di riferimento e nelle fasi che portano a individuare i potenziali impatti, le misure di attenuazione e gli impatti residui.

A tale proposito, occorre garantire che l’opportuna valutazione consideri tutti gli elementi che contribuiscono all’integrità del sito, specificati negli obiettivi di conservazione del sito e nel formulario standard di Natura 2000, e si basi sui migliori dati scientifici disponibili nel settore.

Le informazioni richieste dovrebbero essere aggiornate (C-43/10, punto 115) e riguardare i seguenti aspetti, se del caso:

struttura e funzione delle risorse ecologiche del sito e loro ruolo;

superficie, rappresentatività e grado di conservazione dei tipi di habitat presenti nel sito;

dimensione della popolazione, grado di isolamento, ecotipo, pool genico, struttura per classi di età e stato di conservazione delle specie di cui all’allegato II della direttiva Habitat presenti nel sito o delle specie di uccelli per le quali è stata classificata una data ZPS;

altre risorse e funzioni ecologiche individuate nel sito; e

qualsiasi minaccia incombente sugli habitat e sulle specie presenti nel sito o che rappresenta un potenziale rischio per gli stessi.

L’opportuna valutazione deve individuare in maniera esaustiva tutti i potenziali effetti del piano o del progetto che potrebbero rivelarsi significativi per il sito, tenuto conto degli impatti cumulativi e di altri effetti che potrebbero derivare dall’azione congiunta del piano o del progetto in esame con altri piani o progetti.

La valutazione deve applicare le migliori tecniche e i migliori metodi disponibili per valutare l’entità degli effetti del piano o progetto sull’integrità del sito o dei siti. La descrizione dell’integrità del sito e la valutazione dell’impatto devono fondarsi sui migliori indicatori possibili, specifici per le caratteristiche di Natura 2000, che possono servire anche a monitorare l’impatto dell’attuazione del piano o del progetto.

La relazione dell’opportuna valutazione deve essere sufficientemente dettagliata per dimostrare in che modo e su quali basi scientifiche si sono raggiunte le conclusioni finali. A titolo di esempio, nella sentenza nella causa C-404/09 la Corte ha individuato una serie di lacune nell’opportuna valutazione in questione (in particolare, una considerazione insufficiente delle possibili perturbazioni per varie specie presenti nei siti in questione, come il rumore e le vibrazioni o il rischio di isolamento di sottopopolazioni dovuto al blocco dei corridoi di comunicazione che le collegano ad altre popolazioni) (57).

4.6.3.   …tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito

L’opportuna valutazione ha per oggetto le implicazioni per il sito comportate dal piano o dal progetto, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito. L’articolo 6, paragrafo 3, deve pertanto essere letto in stretto collegamento con l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, poiché gli obiettivi di conservazione da considerare nell’opportuna valutazione sono collegati anche ai due paragrafi precedenti.

Come indicato alla sezione 2.3.1, gli «obiettivi di conservazione» devono essere definiti a livello di singolo sito e riguardare, al suo interno, tutte le specie e i tipi di habitat per cui il sito è stato designato a norma della direttiva Habitat o classificato a norma della direttiva Uccelli.

Questi obiettivi di conservazione si devono basare sulle esigenze ecologiche delle specie e degli habitat presenti nel sito e definire le condizioni di conservazione auspicate per tali specie e habitat, in funzione della valutazione dello stato di conservazione di ogni specie e tipo di habitat secondo quanto riportato nel formulario standard. Gli obiettivi di conservazione devono anche rispecchiare l’importanza del sito per la coerenza di Natura 2000, affinché ciascun sito contribuisca nel miglior modo possibile al raggiungimento di uno stato di conservazione soddisfacente al livello geografico appropriato all’interno dell’area di ripartizione naturale dei rispettivi tipi di habitat o specie.

Le incidenze devono essere valutate a fronte degli obiettivi di conservazione definiti per un dato sito.

Quanto precede è stato confermato dalla Corte nella sentenza Waddenzee (C-127/02, punti 46-48): «Come emerge dal combinato disposto dell’articolo 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat e del decimo “considerando” della stessa, la significatività dell’incidenza su un sito di un piano o di un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito viene messa in relazione con gli obiettivi di conservazione di quest’ultimo. Inoltre, quando un tale piano o progetto, pur avendo un’incidenza sul detto sito, non rischia di compromettere gli obiettivi di conservazione dello stesso, non può essere considerato idoneo a pregiudicare significativamente il sito in questione.»

«Al contrario, quando un tale piano o progetto rischia di compromettere gli obiettivi di conservazione del sito interessato, esso deve essere necessariamente considerato idoneo a pregiudicare significativamente quest’ultimo. Nell’ambito della valutazione in prospettiva degli effetti conseguenti al detto piano o progetto, la significatività di questi deve essere determinata, come ha in sostanza sostenuto la Commissione, in particolare alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto.»

Laddove per un sito non siano ancora stati definiti gli obiettivi di conservazione e in attesa che questo avvenga, l’opportuna valutazione deve ipotizzare come minimo che l’obiettivo sia quello di evitare il degrado dei tipi di habitat o degli habitat delle specie presenti al di sotto del livello attuale o perturbazioni significative delle specie, conformemente alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, e fatta salva l’efficacia delle misure di conservazione necessarie per rispettare le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1.

Questa posizione è confermata dalla Corte (C-127/02, punto 36): «Infatti l’autorizzazione di un piano o di un progetto, concessa ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva habitat, presuppone necessariamente che esso sia stato considerato non idoneo a pregiudicare l’integrità del sito interessato e, di conseguenza, nemmeno idoneo a causare deterioramenti o perturbazioni significative ai sensi del n. 2 del detto articolo.»

4.6.4.   Il concetto di «integrità del sito»

È chiaro dal contesto e dalla finalità della direttiva che l’«integrità di un sito» si riferisce agli obiettivi di conservazione del medesimo (cfr. sezione 4.6.3). A titolo di esempio, è possibile che un piano o progetto incida negativamente sull’integrità di un sito soltanto visivamente, oppure con riferimento unicamente a tipi di habitat o specie diversi da quelli elencati nell’allegato I o nell’allegato II per i quali il sito è stato designato. In questi casi, gli effetti non equivalgono ad un’incidenza negativa ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3.

In altri termini, se nessuna delle specie o dei tipi di habitat per cui il sito è stato designato subisce incidenze significative, l’integrità del sito non si può ritenere pregiudicata. Tuttavia, se anche soltanto in un caso si evidenziano incidenze significative, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito, l’integrità del sito s’intende necessariamente pregiudicata.

Quanto precede è sostenuto anche dalla sentenza della Corte nella causa C-258/11, punto 48: «[…] l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat deve essere interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito pregiudicherà l’integrità di tale sito se è atto a impedire il mantenimento sostenibile delle caratteristiche costitutive dello stesso, connesse alla presenza di un habitat naturale prioritario , per conservare il quale il sito in questione è stato designato nell’elenco dei SIC conformemente alla suddetta direttiva. Ai fini di tale valutazione occorre applicare il principio di precauzione». La logica di tale interpretazione sarebbe pertinente anche per tipi di habitat non prioritari o habitat di specie.

L’espressione «integrità del sito» indica che l’attenzione si concentra sul sito specifico. Non è pertanto consentito distruggere un sito o parte di esso in base al presupposto che lo stato di conservazione dei tipi di habitat e di specie che esso ospita resterà comunque soddisfacente nel territorio europeo dello Stato membro.

Per quanto concerne la connotazione o il significato di «integrità», il termine si riferisce chiaramente all’integrità ecologica, che si può considerare una qualità o una condizione di interezza o completezza. In un contesto ecologico dinamico, può anche essere la resilienza e la capacità di evolvere in maniere positive per la conservazione.

Può essere utile definire l’«integrità del sito» come la somma coerente della struttura ecologica, della funzione e dei processi ecologici del sito su tutta la sua superficie, che consente di sostenere gli habitat, il complesso degli habitat e/o le popolazioni delle specie per cui il sito è designato.

Si può affermare che un sito possieda un grado elevato di integrità allorché sia realizzato il potenziale intrinseco per soddisfare gli obiettivi di conservazione del sito, sia mantenuta la capacità di autoripristino e autorinnovamento in condizioni dinamiche e sia richiesto solo un minimo sostegno esterno alla gestione.

Nel considerare l’«integrità del sito» è quindi importante tenere conto di vari fattori, tra cui la possibilità di effetti che si manifestino a breve, medio e lungo termine.

L’integrità di un sito comprende le sue caratteristiche costitutive e funzioni ecologiche. Per decidere se sia o meno pregiudicata, occorre concentrarsi sugli habitat e sulle specie per cui il sito è stato designato e sugli obiettivi di conservazione del sito, e limitarsi ad essi.

4.6.5.   Valutazione delle implicazioni per il sito

L’opportuna valutazione prende in considerazione tutti gli aspetti del piano o progetto che potrebbero esercitare un’incidenza significativa sul sito Natura 2000. In tale contesto, ciascun elemento del piano o progetto dev’essere esaminato separatamente e i suoi potenziali effetti devono essere considerati in relazione a ogni specie o tipo di habitat per cui il sito è stato designato (58). Successivamente, gli effetti dei diversi aspetti del piano o progetto devono essere considerati nel loro insieme e l’uno rispetto all’altro, in modo da individuare anche le reciproche interazioni.

A titolo di esempio, può darsi che il rischio di mortalità da collisione dovuto alle turbine eoliche di per sé non sia significativo, ma se considerato in combinazione con l’installazione di linee elettriche aeree, anch’esse possibili cause di mortalità da collisione, gli effetti per una particolare popolazione di uccelli potrebbero diventare significativi.

È evidente che gli effetti di ciascun progetto sono unici e devono essere valutati caso per caso. Secondo la sentenza Waddenzee (C-127/02 punto 48), «[n]ell’ambito della valutazione in prospettiva degli effetti conseguenti al detto piano o progetto, la significatività di questi deve essere determinata, […] in particolare alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto». A tale scopo è possibile applicare anche regolamenti generali e disposizioni specifiche degli Stati membri.

Pur concentrandosi sulle specie e sugli habitat di interesse comunitario (compresi gli uccelli individuati a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli) che hanno motivato la designazione del sito, non bisogna dimenticare che questi elementi di riferimento interagiscono anche con altre specie e habitat e con l’ambiente fisico secondo modalità complesse.

È quindi importante considerare tutti gli elementi che sono essenziali per le funzioni e la struttura del sito e per i tipi di habitat e le specie presenti. Inoltre, anche altre specie possono essere rilevanti per la determinazione dei potenziali effetti sugli habitat protetti se costituiscono specie tipiche dell’habitat in questione (59) o svolgono un ruolo nella catena alimentare dalla quale dipendono gli elementi interessati del sito.

La valutazione delle incidenze deve basarsi su criteri oggettivi e, se possibile, quantificabili. Gli impatti devono essere previsti con la massima precisione possibile e i fondamenti delle previsioni devono essere esplicitati e documentati nella relazione sull’opportuna valutazione (occorre inserire anche chiarimenti sul grado di certezza della previsione). Come tutte le valutazioni d’impatto, anche l’opportuna valutazione deve essere effettuata nell’ambito di un quadro strutturato per garantire previsioni il più possibile obiettive e accurate.

Tenendo presente che la Corte ha sottolineato l’importanza di avvalersi delle migliori conoscenze scientifiche nell’effettuare l’opportuna valutazione, ulteriori rilievi ecologici e sul campo possono servire a integrare i dati esistenti. I rilievi dettagliati sul campo devono durare abbastanza a lungo e concentrarsi sugli elementi di riferimento che sono sensibili alle azioni del progetto. L’analisi della sensibilità deve tenere conto delle possibili interazioni tra le attività del progetto (natura, estensione, metodi ecc.) e gli habitat e le specie interessati (ubicazione, esigenze ecologiche, zone vitali, comportamento, e così via).

4.6.6.   Considerare misure di attenuazione intese a evitare o ridurre gli impatti

Se nel corso dell’opportuna valutazione sono stati individuati impatti negativi sull’integrità del sito, o comunque non è possibile escluderne l’eventualità, il piano o progetto in questione non può essere approvato. Tuttavia, a seconda del grado di impatto individuato, può essere possibile adottare determinate misure di attenuazione intese a evitare gli impatti o a ridurli a un livello tale per cui non saranno più in grado di pregiudicare l’integrità del sito.

Le misure di attenuazione devono essere direttamente collegate ai probabili impatti individuati nell’opportuna valutazione e possono essere definite soltanto dopo che tali impatti sono stati analizzati e descritti in modo esaustivo nell’opportuna valutazione. Quindi, come precisato alla sezione 4.5.1, le misure di attenuazione possono essere considerate solo in questa fase e non nella fase di screening.

L’identificazione delle misure di attenuazione, così come la stessa valutazione di impatto, devono basarsi su una solida conoscenza delle specie e degli habitat interessati e possono riguardare, ad esempio:

date e tempi di realizzazione (ad esempio divieto di interventi durante il periodo di riproduzione di una data specie);

tipo di strumenti e interventi da realizzare (ad esempio l’uso di una draga specifica a una distanza stabilita dalla riva per non incidere su un habitat fragile, o la riduzione di emissioni che possono provocare la deposizione nociva di sostanze inquinanti);

le zone rigorosamente inaccessibili all’interno di un sito (ad esempio tane di ibernazione di una specie animale).

Le misure di attenuazione, mirate ad evitare o ridurre gli impatti o in primo luogo a prevenirli, non devono essere confuse con le misure compensative, che sono intese a compensare eventuali danni provocati dal progetto. Le misure compensative possono essere prese in considerazione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, solo se il piano o progetto è stato accettato in quanto necessario per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e non esistono alternative (cfr. sezione 5).

Questa distinzione è stata confermata dalla Corte, che ha concluso che «l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva “habitat” deve essere interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un SIC, che abbia incidenze negative su un tipo di habitat naturale in esso presente e che preveda misure per lo sviluppo di un’area di superficie uguale o maggiore di tale tipo di habitat in detto sito, pregiudica l’integrità di tale sito. Siffatte misure potrebbero essere considerate eventualmente “misure compensative” ai sensi del paragrafo 4 di detto articolo, solo nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni ivi stabilite. […] si deve necessariamente constatare che tali misure non mirano né ad evitare né a ridurre i significativi effetti negativi direttamente causati su tale tipo di habitat dal progetto […], ma tendono a compensare successivamente tali effetti. […] Esse non possono garantire che il progetto non pregiudicherà l’integrità di detto sito, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat». (C-521/12, punti 29-35, 38-39; cfr. anche cause riunite C-387/15 e C-338/15, punto 48).

In relazione a queste conclusioni, la Corte ha dichiarato che «[…]misure incluse in un piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito di importanza comunitaria, che prevedano, anteriormente al verificarsi di un impatto negativo su un tipo di habitat naturale in esso presente, lo sviluppo futuro di un’area di tale tipo, il cui completamento interverrà tuttavia successivamente alla valutazione della significatività del pregiudizio eventualmente arrecato all’integrità di tale sito, non possono essere prese in considerazione all’atto di tale valutazione» (cause riunite C- 387/15 e C-388/15, punto 64).

Ovviamente, misure di attenuazione ben progettate e realizzate limitano la portata delle misure compensative necessarie (se applicabili nel contesto dell’articolo 6, paragrafo 4), in quanto riducono gli impatti residui che necessitano di una compensazione.

Affinché le autorità competenti siano in grado di decidere se le misure di attenuazione sono sufficienti per eliminare i potenziali effetti negativi del piano o progetto sul sito (senza provocare inavvertitamente altri effetti negativi sulle specie e sui tipi di habitat in questione), ogni misura di attenuazione deve essere descritta nel dettaglio, con una spiegazione basata su prove scientifiche di come eliminerà o ridurrà gli impatti negativi individuati. Occorre anche fornire informazioni in merito a come, quando e da chi saranno attuate e quali meccanismi saranno istituiti per controllarne l’efficacia e prendere misure correttive, se necessario. La necessità di dati definitivi al momento dell’autorizzazione è indicata anche nella causa C-142/16, punti 37-45.

Se l’autorità competente ritiene che siano sufficienti per evitare gli effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito individuati nell’opportuna valutazione, le misure di attenuazione divengono parte integrante delle specifiche del piano o progetto definitivo o possono essere indicate come condizione per l’approvazione del progetto. Tuttavia, in presenza di un effetto negativo residuo sull’integrità del sito anche dopo l’introduzione di misure di attenuazione, il piano o progetto non può essere approvato (salvo che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 4).

Le misure di attenuazione possono essere presentate dal proponente del piano o progetto e/o richieste dalle autorità nazionali competenti al fine di evitare i potenziali impatti individuati nell’opportuna valutazione o ridurli a un livello tale per cui non saranno più in grado di pregiudicare l’integrità del sito.

L’individuazione di misure di attenuazione, così come la stessa valutazione di impatto, devono basarsi su una solida conoscenza delle specie e degli habitat interessati ed essere descritte in dettaglio. Ovviamente, misure di attenuazione ben progettate e realizzate limitano la portata di eventuali misure compensative necessarie, se applicabili nel contesto dell’articolo 6, paragrafo 4, in quanto riducono gli impatti residui che necessitano di una compensazione.

4.7.   PROCESSO DECISIONALE

4.7.1.   Le «autorità nazionali competenti»

È chiaro che in questa espressione l’aggettivo «nazionale» è usato in contrapposizione con «UE» o «internazionale». Quindi il termine non si riferisce solo alle autorità delle amministrazioni centrali, ma anche alle autorità regionali, provinciali o comunali che devono dare l’autorizzazione o il consenso ad un piano o progetto. Un tribunale può costituire un’autorità competente se ha la facoltà di decidere sul contenuto di un piano o progetto proposto ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3 (C-127/02, punto 69).

In determinate circostanze, l’autorizzazione di un piano o progetto può essere concessa da un’autorità legislativa (parlamento nazionale o regionale) e assumere la forma di un testo di legge. In tale contesto, nella causa C-182/10, punti 69-70, la Corte ha stabilito inoltre che: «Tali obblighi [articolo 6, paragrafo 3] incombono agli Stati membri in forza della direttiva “habitat” indipendentemente dalla natura dell’autorità nazionale competente per autorizzare il piano o il progetto in questione. L’articolo 6, paragrafo 3, di tale direttiva, che riguarda le “autorità nazionali competenti”, non prevede alcuna regola particolare che riguarderebbe i piani o i progetti che sarebbero approvati da un’autorità legislativa. Una siffatta qualità non incide, di conseguenza, sull’ambito e sulla portata degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva “habitat”. […] [L]’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva “habitat” deve essere interpretato nel senso che non consente a un’autorità nazionale, sia pure legislativa, di autorizzare un piano o un progetto senza aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa.»

In altri termini, non è possibile concedere l’autorizzazione a un piano o progetto mediante strumenti di legge se prima non è stata effettuata un’opportuna valutazione conforme a quanto disposto dall’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat, o se l’opportuna valutazione non si è conclusa con la certezza che non si verificheranno effetti negativi sull’integrità del sito (60).

Le autorità nazionali competenti sono quelle abilitate a dare l’autorizzazione o il consenso a un piano o progetto.

4.7.2.   Quando è opportuno chiedere il parere dell’opinione pubblica?

La direttiva Habitat non contiene un obbligo esplicito di chiedere il parere dell’opinione pubblica quando si autorizzano piano o progetti soggetti a un’opportuna valutazione. Secondo quanto disposto dall’articolo 6, paragrafo 3, occorre farlo solo «se del caso». La consultazione del pubblico è però un elemento essenziale delle direttive VIA e VAS. Di conseguenza, nei casi in cui la valutazione prevista dall’articolo 6, paragrafo 3, è coordinata con la valutazione a norma di queste direttive, è necessaria la consultazione del pubblico in linea con quanto disposto dalle stesse.

In ogni caso, anche se un piano o un progetto non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive VAS o VIA ed è valutato esclusivamente sulla base dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat, in una recente sentenza la Corte ha chiarito, con riferimento alle disposizioni della convenzione di Århus (61), che il pubblico interessato, ivi comprese le ONG ambientali riconosciute, ha il diritto di partecipare alla procedura di autorizzazione (C-243/15, punto 49). Questo comporta in particolare «il diritto di partecipare “effettivamente al processo decisionale in materia ambientale”, presentando, “per iscritto o, a seconda dei casi, in occasione di audizioni o indagini pubbliche in presenza del richiedente, eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri da esso ritenuti rilevanti ai fini dell’attività proposta”» (C-243/15, punto 46).

In tale contesto, è opportuno ricordare che la Corte, in virtù dei diritti di partecipazione del pubblico, prevede in particolare per le ONG ambientali riconosciute il diritto di contestare «decisioni adottate dalle autorità nazionali competenti nell’ambito dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, che riguardino una domanda di partecipazione al procedimento di autorizzazione, o la valutazione della necessità di una valutazione dell’impatto ambientale di un piano o progetto su un sito protetto o anche il carattere appropriato delle conclusioni tratte da tale valutazione dei rischi di detto progetto o piano per l’integrità di un tale sito […]» (C-243/15, punto 56).

4.7.3.   Prendere una decisione sulla base dell’opportuna valutazione

Spetta alle autorità nazionali competenti, alla luce delle conclusioni dell’opportuna valutazione in merito alle implicazioni di un piano o progetto per il sito Natura 2000 interessato, procedere alla sua approvazione, ma solo dopo aver accertato che il piano o progetto non avrà incidenze negative sull’integrità del sito, ossia quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti.

«Quindi, quando sussiste un’incertezza quanto alla mancanza di effetti pregiudizievoli per l’integrità del detto sito legati al piano o progetto considerato, l’autorità competente ne dovrà rifiutare l’autorizzazione» (C-127/02, punto 57).

Inoltre, «[…] il criterio di autorizzazione previsto dall’articolo 6, n. 3, seconda frase, della direttiva Habitat integra il principio di precauzione […] e consente di prevenire efficacemente i pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piani o progetti previsti. Un criterio di autorizzazione meno rigoroso di quello in questione non può garantire in modo altrettanto efficace la realizzazione dell’obiettivo di protezione dei siti cui tende la detta disposizione» (C-127/02, punto 58).

L’onere consiste pertanto nel dimostrare l’assenza di effetti pregiudizievoli piuttosto che la loro presenza, in linea con il principio di precauzione (C-157/96, punto 63). Ne consegue che l’opportuna valutazione deve essere sufficientemente dettagliata e motivata per dimostrare l’assenza di effetti pregiudizievoli, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in materia (C-127/02, punto 61).

5.   ARTICOLO 6, PARAGRAFO 4

Chiarimento dei concetti di: soluzioni alternative, motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, misura compensativa, coerenza globale, parere della Commissione

5.1.   TESTO

«Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.»

5.2.   AMBITO DI APPLICAZIONE

Questa disposizione fa parte della procedura di valutazione e di eventuale autorizzazione, da parte delle autorità nazionali competenti, di piani e progetti che possono incidere su ZSC, ZPS o SIC. Sono opportune due considerazioni fondamentali:

da un lato, la disposizione riguarda eccezioni alla regola generale dell’articolo 6, paragrafo 3, secondo la quale possono essere autorizzati soltanto i piani o i progetti che non pregiudicano l’integrità dei siti interessati;

d’altro lato, la sua applicazione concreta deve avvenire nel rispetto delle varie fasi previste e secondo la sequenza stabilita dalla direttiva. Quanto precede è stato ripetutamente confermato dalla Corte (C-209/02, C-239/04, C-304/05, C-560/08, C-404/09).

Nella sentenza emessa nella causa C-304/05, punto 83, la Corte ha chiaramente stabilito che: «[…] l’articolo 6, n. 4, della direttiva 92/43 può essere applicato solo dopo che l’incidenza di un piano o di un progetto sia stata valutata ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva medesima. La conoscenza di tale incidenza con riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione costituisce un presupposto imprescindibile ai fini dell’applicazione del detto articolo 6, n. 4, dato che, in assenza di tali elementi, non può essere valutato alcun requisito di applicazione di tale disposizione di deroga. L’esame di eventuali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell’esistenza di alternative meno dannose richiedono, infatti, una ponderazione con riferimento ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona al sito. Inoltre, per determinare la natura di eventuali misure compensative, i danni al detto sito devono essere individuati con precisione » (cfr. anche C-399/14, C-387/15 e C-388/15, C-142/16).

L’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 4, non è automatica. Spetta alle autorità decidere se si possono applicare le condizioni per una deroga all’articolo 6, paragrafo 3, nel caso in cui l’opportuna valutazione abbia concluso che il piano o progetto pregiudicherà l’integrità del sito interessato, o in caso di dubbi sull’assenza di tali effetti pregiudizievoli.

La natura facoltativa dell’articolo 6, paragrafo 4, è stata confermata dalla Corte nella causa C-241/08, punto 72: «In tal senso, in esito alla valutazione delle incidenze effettuata ai sensi dell’articolo 6, n. 3, della direttiva “habitat” e in caso di risultato negativo di tale valutazione, le autorità competenti possono scegliere di negare l’autorizzazione per realizzare tale progetto ovvero concederla ai sensi del successivo n. 4, purché sussistano le condizioni ivi previste.»

La decisione di proseguire con un piano o un progetto è soggetta alle condizioni e ai requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 4. In particolare occorre dimostrare che:

1.

l’alternativa proposta per l’approvazione è la meno dannosa per gli habitat, le specie e l’integrità del sito Natura 2000 interessato, a prescindere dalle considerazioni economiche, e non ci sono altre alternative possibili che non presentino effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito;

2.

sussistono motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi «motivi di natura sociale o economica»;

3.

sono previste tutte le misure compensative necessarie per garantire la tutela della coerenza generale di Natura 2000.

Trattandosi di una deroga all’articolo 6, paragrafo 3, questa disposizione deve essere interpretata rigorosamente (C-239/04, punti 25-39) e può essere applicata solo quando tutte le condizioni previste dalla direttiva sono completamente soddisfatte. A tale proposito, chiunque intenda avvalersi di questa deroga è tenuto a dimostrare, a titolo di condizione preliminare, che i requisiti sopra indicati sono effettivamente rispettati in ciascun caso particolare.

Dopo che si è proceduto a verificare e documentare in maniera inequivocabile la mancanza di alternative adeguate e la presenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, si devono prendere tutte le misure compensative necessarie per garantire che venga tutelata la coerenza globale della rete Natura 2000. Le misure compensative adottate devono essere sempre notificate alla Commissione.

L’articolo 6, paragrafo 4, consente deroghe alle disposizioni generali dell’articolo 6, paragrafo 3, ma la sua applicazione non è automatica. Spetta alle autorità decidere se si possa applicare una deroga all’articolo 6, paragrafo 3. L’articolo 6, paragrafo 4, deve essere applicato secondo l’ordine sequenziale stabilito dalla direttiva, ossia dopo che si sono rispettate in maniera soddisfacente tutte le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 3.

5.3.   CONSIDERAZIONI INIZIALI

5.3.1.   Esame di soluzioni alternative

Il primo obbligo imposto dalla procedura di deroga a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, consiste nell’esaminare se esistono soluzioni alternative al piano o progetto. A tale proposito, la Corte ha chiarito che questo esame rientra di norma nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 4, piuttosto che dell’articolo 6, paragrafo 3 (C-441/03, punto 15, C-241/08, punto 69, C-142/16 punto 72).

In linea con la necessità di evitare danni indesiderati alla rete Natura 2000, è opportuno considerare la possibilità di rivedere in profondità e/o di ritirare un piano o un progetto proposto quando emergono effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito. Le autorità competenti hanno quindi il compito di analizzare e dimostrare la necessità di realizzare il piano o il progetto interessato, considerando in questa fase anche l’opzione zero.

Successivamente, le autorità competenti dovrebbero esaminare la possibilità di adottare soluzioni alternative che meglio rispettino l’integrità del sito in questione. Occorre analizzare tutte le alternative praticabili che rispondono alle finalità del piano o progetto, in particolare i risultati relativi ottenibili rispetto agli obiettivi di conservazione, all’integrità e al contributo del sito alla coerenza generale della rete Natura 2000, tenendo conto della loro proporzionalità in termini di costo. Le soluzioni possono comprendere ubicazioni o percorsi alternativi, dimensioni o impostazioni di sviluppo diverse, oppure processi alternativi.

Il costo economico delle misure che si possono considerare nell’esame delle alternative non può essere l’unico fattore determinante nella scelta delle soluzioni (C-399/14, punto 77). In altre parole, chi propone un progetto non può sostenere che non si sono prese in esame alternative perché costerebbero troppo.

Conformemente al principio di sussidiarietà, spetta alle autorità nazionali competenti valutare gli impatti relativi di queste soluzioni alternative sul sito interessato. Va sottolineato che i parametri di riferimento per questi raffronti riguardano gli aspetti concernenti la conservazione e il mantenimento dell’integrità del sito e delle sue funzioni ecologiche. In questa fase, quindi, altri criteri di valutazione, ad esempio economici, non possono essere considerati prevalenti su quelli ecologici.

L’assenza di alternative deve essere dimostrata prima di procedere con l’esame della necessità di realizzare il piano o progetto per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico (sentenza della Corte nella causa Castro Verde, C-239/04, punti 36-39).

Spetta alle autorità nazionali competenti garantire che tutte le soluzioni alternative praticabili rispondenti alle finalità del piano/progetto siano state esaminate con lo stesso livello di dettaglio. Questa valutazione andrebbe effettuata con riferimento alle specie e agli habitat per cui il sito è stato designato, nonché agli obiettivi di conservazione del sito.

5.3.2.   Esame dei motivi imperativi di rilevante interesse pubblico

In assenza di soluzioni alternative — o in presenza di soluzioni che hanno effetti ambientali ancora più negativi sul sito interessato, con riferimento agli obiettivi di conservazione sopra menzionati della direttiva — le autorità competenti devono verificare se sussistono motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, che impongono la realizzazione del piano o progetto in questione.

La direttiva non definisce il concetto di «motivo imperativo di rilevante interesse pubblico». L’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, menziona però la salute dell’uomo, la sicurezza pubblica e le conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente come esempi di simili motivi. Per quanto concerne gli «altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico» di natura sociale o economica, dalla formulazione risulta evidente che soltanto l’interesse pubblico, a prescindere dal fatto che sia promosso da organismi pubblici o privati, può essere contrapposto agli obiettivi di conservazione della direttiva. Di conseguenza, progetti sviluppati da enti privati possono essere presi in considerazione solo allorché tali interessi pubblici siano soddisfatti e dimostrati.

Quanto precede è confermato anche dalla sentenza della Corte nella causa C-182/10, punti 75-78: «L’interesse idoneo a giustificare, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva “habitat”, la realizzazione di un piano o di un progetto deve essere sia “pubblico” che “rilevante” , il che comporta che sia di una tale rilevanza da poter essere ponderato con l’obiettivo, perseguito da tale direttiva, di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche . Per principio, lavori destinati all’insediamento o all’ampliamento di un’impresa rispondono a tali requisiti soltanto in circostanze eccezionali. Non si può escludere che ciò si verifichi quando un progetto, pur essendo di natura privata, presenti realmente, sia per la sua stessa natura, sia per il contesto economico e sociale in cui esso si inserisce, un interesse pubblico rilevante e se è dimostrata l’assenza di soluzioni alternative. Con riferimento a tali criteri, la semplice costruzione di un’infrastruttura destinata ad ospitare un centro amministrativo non può, per principio, configurare un motivo imperativo di rilevante interesse pubblico ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva Habitat.»

Può essere utile anche fare riferimento ad altri campi del diritto UE, dove compaiono concetti simili.

Il concetto di «motivo imperativo» è stato elaborato dalla Corte come un’eccezione al principio della libera circolazione delle merci. Tra i motivi imperativi che possono giustificare misure nazionali a restrizione della libera circolazione, la Corte ha riconosciuto la salute pubblica e la tutela dell’ambiente, nonché il perseguimento di legittime finalità della politica economica e sociale.

Nel diritto dell’UE figura anche il concetto di «servizi di interesse economico generale», evocato all’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nel quadro dell’eccezione alle regole di concorrenza per le imprese incaricate della gestione di questi servizi. In una comunicazione sui servizi di interesse generale in Europa (62), la Commissione, alla luce della giurisprudenza in materia, ha fornito la seguente definizione di servizi di interesse economico generale: «i SIEG sono attività economiche i cui risultati contribuiscono all’interesse pubblico generale che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento statale (o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso universale).»

Considerata la struttura della disposizione, nei casi specifici le autorità nazionali competenti devono dare l’autorizzazione ai piani e progetti in questione, a condizione che l’equilibrio di interessi tra gli obiettivi di conservazione del sito interessato da queste iniziative e i motivi imperativi sopra menzionati sia a favore di questi ultimi. La decisione deve basarsi sulle seguenti considerazioni:

a)

deve sussistere un motivo imperativo per attuare un piano o progetto;

b)

l’interesse pubblico deve essere rilevante: è chiaro quindi che non tutti i tipi di interesse pubblico, di natura sociale o economica, sono sufficienti, in particolare se contrapposti al peso particolare degli interessi tutelati dalla direttiva (cfr. ad esempio il considerando 4, che fa riferimento al «patrimonio culturale della Comunità»);

c)

in questo contesto, sembra altresì ragionevole presumere che l’interesse pubblico possa essere rilevante unicamente se si tratta di un interesse a lungo termine; gli interessi economici a breve termine, o altri interessi che producono soltanto benefici di breve periodo per la società, non sembrano sufficienti per superare in importanza gli interessi di conservazione a lungo termine tutelati dalla direttiva.

A titolo di esempio di quelli che sono considerati motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, in una causa concernente una vasta regione (la Tessaglia, in Grecia), la Corte ha stabilito che: «L’irrigazione e l’approvvigionamento di acqua potabile rispondono, in linea di principio, a tali condizioni e sono dunque idonei a giustificare la realizzazione di un progetto di deviazione di acque in assenza di soluzioni alternative» (C-43/10, punto 122) (63).

È ragionevole ritenere che i «motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi i motivi di natura sociale o economica» si riferiscano a situazioni nelle quali i piani o i progetti previsti si dimostrano indispensabili:

nel quadro di azioni o politiche volte a tutelare valori fondamentali per la vita dei cittadini (salute, sicurezza, ambiente);

nel contesto di politiche fondamentali per lo Stato e la società;

nell’ambito della realizzazione di attività di natura economica o sociale rispondenti a obblighi specifici di servizio pubblico.

Spetta alle autorità competenti soppesare i motivi imperativi di rilevante interesse pubblico del piano o progetto a fronte degli obiettivi di conservazione degli habitat naturali e della fauna e della flora selvatiche. Il piano o progetto può essere approvato solo se i motivi imperativi per la sua realizzazione hanno maggiore rilevanza del suo impatto sugli obiettivi di conservazione.

Per dare ai lettori un’idea più precisa di ciò che si potrebbe legittimamente considerare come potenziale motivo imperativo di rilevante interesse pubblico, è possibile trarre alcuni esempi dai pareri che la Commissione ha formulato nel quadro dell’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, e dalle relative motivazioni presentate dagli Stati membri. http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/opinion_en.htm

5.3.   ADOZIONE DI MISURE COMPENSATIVE

5.4.1.   Che cosa si intende per «misure compensative» e quando vanno prese in considerazione?

Il termine «misure compensative» non è definito nella direttiva Habitat. In base all’esperienza, è possibile operare la seguente distinzione tra misure compensative e misure di attenuazione:

le misure di attenuazione in senso lato sono quelle volte a ridurre al minimo o addirittura a eliminare gli impatti negativi che potrebbero risultare dalla realizzazione di un piano o di un progetto, affinché non venga pregiudicata l’integrità del sito. Queste misure sono considerate nel contesto dell’articolo 6, paragrafo 3, e sono parte integrante delle specifiche di un piano o progetto, ovvero condizionate alla sua autorizzazione (cfr. sezione 4.6.5);

le misure compensative sono indipendenti dal progetto (comprese le eventuali misure di attenuazione connesse) e finalizzate a contrastare gli impatti negativi residui di un piano o progetto, per mantenere la coerenza ecologica globale della rete Natura 2000. Queste misure possono essere prese in considerazione solo nell’ambito dell’articolo 6, paragrafo 4.

Ovviamente, misure di attenuazione ben progettate e realizzate possono limitare la portata delle misure compensative necessarie, in quanto riducono gli effetti negativi residui che necessitano di una compensazione.

Per fare un esempio, l’estensione delle attività estrattive sotterranee di una miniera di carbone in zone non ancora sfruttate causerà una subsidenza del terreno su vasta scala, accompagnata da alluvioni e aumento dei livelli delle falde freatiche, con ripercussioni importanti su tutti gli ecosistemi della zona. Per compensare gli effetti negativi del progetto, il terreno da destinare all’estensione sarà scelto secondo criteri ecologici per la creazione di tipi di habitat non prioritari (boschi di faggi e querce) grazie a interventi di riforestazione o trasformazione/miglioramento delle foreste esistenti. Si considera anche la possibilità di creare e migliorare le foreste alluvionali e di intervenire per il ripristino o l’ottimizzazione dei letti dei fiumi, nell’intento di compensare la perdita di un tipo di habitat prioritario (foreste alluvionali di Alnion glutinoso-incanae) e di un tipo di habitat non prioritario (corsi d’acqua di pianura, pedemontani e montani con vegetazione flottante). La misura servirà anche a contrastare l’impatto negativo del progetto sulla specie Lampetra planeri.

Le misure compensative dovrebbero andare ad aggiungersi agli interventi considerati normale prassi a norma delle direttive Habitat e Uccelli o agli obblighi previsti dal diritto UE. A titolo di esempio, l’attuazione di misure di conservazione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, o la proposta/designazione di una nuova zona già repertoriata come di importanza comunitaria, costituiscono misure «ordinarie» per uno Stato membro. Le misure compensative devono dunque andare al di là delle misure ordinarie/standard richieste per la designazione, la tutela e la gestione dei siti di Natura 2000.

Un altro esempio di compensazione si riferisce al caso dell’ampliamento di un porto che provoca la distruzione di un sito di riposo per gli uccelli e la riduzione di distese fangose di bassa profondità o di canneti nella zona intertidale. Una possibile compensazione delle ripercussioni negative del progetto sarebbe la ricostituzione di un sito di riposo di alta marea e distese fangose poco profonde, associata al ripristino degli habitat dei canneti e prati umidi con lavori di idraulica, nonché misure ambientali per l’utilizzo di canneti e prati a fini agricoli.

Le misure compensative non sono, pertanto, un modo per permettere la realizzazione di piani o progetti eludendo gli obblighi di opportuna valutazione stabiliti dall’articolo 6. Dalla sequenza indicata nell’articolo 6, paragrafo 4, è evidente che rappresentano l’«ultima spiaggia» e sono da prendere in considerazione solo quando è stato accertato, o non si può escludere, un impatto negativo sull’integrità di un sito Natura 2000 malgrado tutte le altre misure adottate per evitare o ridurre gli effetti pregiudizievoli, e una volta deciso che si può procedere all’esecuzione del progetto/piano per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e in assenza di soluzioni alternative.

Le misure compensative sono misure concepite specificamente per un progetto o un piano, in aggiunta ai normali obblighi derivanti dalle direttive Uccelli e Habitat. Queste misure mirano a compensare con precisione l’impatto negativo di un progetto sulle specie o sugli habitat interessati e vanno applicate come «ultima spiaggia», soltanto quando le altre misure di tutela garantite dalla direttiva sono esaurite ed è stato comunque deciso di prendere in considerazione un progetto/piano che presenta un impatto negativo sull’integrità di un sito Natura 2000, o quando non si possa escludere un simile impatto.

5.4.2.   «Coerenza globale» della rete Natura 2000

L’espressione «coerenza globale» figura nell’articolo 6, paragrafo 4, con riferimento alla situazione nella quale si autorizza la realizzazione di un piano o progetto per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e occorre adottare misure a compensazione del danno.

Il concetto figura anche nell’articolo 3, paragrafo 1, dove la rete Natura 2000 è definita come «una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione» che deve «garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale». Vengono dunque presi in considerazione due diversi criteri: da un lato, le specie e gli habitat interessati in termini di quantità e qualità e, dall’altro, il ruolo che svolge il sito per garantire un’adeguata distribuzione geografica rispetto all’area di ripartizione.

L’articolo 3, paragrafo 3, stabilisce che «laddove lo ritengano necessario, gli Stati membri si sforzano di migliorare la coerenza ecologica di Natura 2000 grazie al mantenimento e, all’occorrenza, allo sviluppo degli elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche, citati all’articolo 10».

L’articolo 10, che concerne più in generale le politiche di riassetto del territorio e di sviluppo, recita:

«Laddove lo ritengano necessario, nell’ambito delle politiche nazionali di riassetto del territorio e di sviluppo e segnatamente per rendere ecologicamente più coerente la rete Natura 2000, gli Stati membri si impegnano a promuovere la gestione di elementi del paesaggio che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche.

Si tratta di quegli elementi che, per la loro struttura lineare e continua (come i corsi d’acqua con le relative sponde […]) o il loro ruolo di collegamento (come gli stagni o i boschetti), sono essenziali per la migrazione, la distribuzione geografica e lo scambio genetico di specie selvatiche.»

Il termine «ecologico» è usato sia nell’articolo 3 che nell’articolo 10 per spiegare il carattere della coerenza. Ovviamente, anche l’espressione «coerenza globale» all’articolo 6, paragrafo 4, è usata con lo stesso significato.

Detto questo, è evidente che l’importanza di un sito rispetto alla coerenza della rete dipende dagli obiettivi di conservazione del sito, dal numero e dallo stato degli habitat e delle specie per cui è stato designato e dal ruolo che il sito riveste per garantire un’adeguata distribuzione geografica in relazione all’area di ripartizione delle specie e degli habitat interessati.

A titolo di esempio, se il piano o progetto danneggia una zona che presenta un tipo di habitat raro, con un’area di ripartizione molto limitata, molto difficile da ricostituire e in relazione al quale il sito in questione è uno dei soli 10 siti designati per quel tipo di habitat, è evidente che le misure compensative dovranno essere molto consistenti, per poter di tutelare la coerenza globale di Natura 2000. Se invece il piano o progetto danneggia l’habitat di una specie (ad esempio Triturus cristatus) con un’ampia area di ripartizione nel territorio dell’UE, relativamente semplice da ricostituire e in relazione al quale il sito in questione svolge un ruolo minore ai fini della conservazione, le misure compensative saranno più praticabili e molto meno onerose.

L’articolo 6, paragrafo 4, impone di tutelare la coerenza globale di Natura 2000. La direttiva presume quindi che la rete «originale» fosse coerente. In caso di applicazione del regime di deroga, la situazione deve essere corretta in modo da ripristinare pienamente la coerenza.

Per quanto riguarda un piano o progetto, le misure compensative definite per tutelare la coerenza globale della rete Natura 2000 dovranno tenere conto dei criteri citati in precedenza. Questo significa che la compensazione deve fare riferimento agli obiettivi di conservazione del sito e agli habitat e alle specie colpiti negativamente in proporzioni comparabili in termini di numero e stato. Nel contempo, occorre sostituire adeguatamente il ruolo svolto dal sito interessato rispetto alla distribuzione biogeografica.

In questa fase sarebbe utile ricordare che, a norma della direttiva Habitat, la selezione di un sito da includere nella rete Natura 2000 tiene conto di quanto segue:

habitat e specie nelle proporzioni (superfici, popolazioni) descritte nel formulario standard;

ubicazione del sito nella rispettiva regione biogeografica; e

criteri di selezione stabiliti dal comitato Habitat e utilizzati dal Centro tematico europeo per la biodiversità che assiste la Commissione nella scelta dei siti da inserire nell’elenco dell’Unione (64).

Le autorità competenti devono fare riferimento a questi criteri quando definiscono le misure compensative per un progetto e garantire che esse presentino caratteristiche e funzioni comparabili a quelle che hanno giustificato la scelta del sito originario.

La direttiva Uccelli non prevede regioni biogeografiche, né una selezione a livello dell’UE ma, per analogia, si può ritenere che la coerenza globale della rete sia garantita se:

la compensazione persegue le stesse finalità che hanno motivato la designazione del sito a norma dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva Uccelli;

la compensazione svolge la stessa funzione lungo la stessa rotta migratoria; e

le zone oggetto di compensazione sono accessibili con certezza agli uccelli abitualmente presenti nel sito interessato dal progetto.

Se, ad esempio, una ZPS che svolge una funzione specifica come area di riposo per le specie di uccelli migratori dirette a nord è colpita negativamente da un progetto, le misure compensative proposte devono concentrarsi sulla funzione specifica svolta dal sito. Per garantire la coerenza globale della rete non sarebbe pertanto sufficiente compensare con misure che potrebbero ricreare le condizioni necessarie al riposo delle stesse specie in un’area che non si trova sulla rotta migratoria o che, pur essendo all’interno della rotta, è però distante. In questo caso, le misure compensative devono fornire aree di riposo adatte per le specie interessate e collocate correttamente lungo la rotta migratoria, in modo da essere realisticamente accessibili agli uccelli che avrebbero utilizzato il sito originario interessato dal progetto.

Al fine di garantire la coerenza globale di Natura 2000, le misure compensative proposte per un progetto dovrebbero quindi: a) riguardare, in proporzioni comparabili, gli habitat e le specie colpiti negativamente; e b) offrire funzioni paragonabili a quelle che avevano motivato la scelta del sito originario, in particolare per quanto riguarda una distribuzione geografica adeguata. Quindi, non è sufficiente che le misure compensative riguardino la stessa regione biogeografica nello stesso Stato membro.

La distanza tra il sito originario e il luogo dove vengono messe in atto le misure compensative non è necessariamente un ostacolo, purché non incida sulla funzionalità del sito, sul ruolo che esso svolge nella distribuzione geografica e sulle ragioni per le quali è stato inizialmente prescelto.

5.4.3.   Obiettivo e contenuto generale delle misure compensative

Le misure compensative devono far sì che il sito continui a contribuire alla conservazione in uno stato soddisfacente di tipi di habitat naturali e habitat di specie «nella regione biogeografica interessata», in breve garantire il mantenimento della coerenza globale della rete Natura 2000. Ne consegue che:

in generale, un sito non dovrebbe essere influenzato in modo irreversibile da un progetto prima che sia messa in atto la compensazione. In alcuni casi, tuttavia, non è possibile rispettare questa condizione. La ricostituzione di un habitat forestale, ad esempio, può richiedere molti anni per garantire le stesse funzioni dell’habitat originario danneggiato da un progetto. Per questo occorre impegnarsi al massimo per garantire che la compensazione avvenga in anticipo e, se non è realizzabile nella sua interezza, le autorità competenti devono considerare un’eventuale compensazione supplementare per le perdite che si verificherebbero nel frattempo;

la compensazione deve essere un elemento aggiuntivo rispetto al contributo che lo Stato membro avrebbe dovuto fornire alla rete Natura 2000 a norma delle direttive.

Gli Stati membri devono essere particolarmente vigili quando gli effetti negativi di un piano o un progetto interessano tipi rari di habitat naturali o habitat naturali che richiedono lunghi periodi di tempo per ripristinare la stessa funzionalità ecologica.

La designazione di nuovi siti Natura 2000 può rientrare in un pacchetto di compensazioni a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, ma la designazione in sé non è sufficiente se mancano misure gestionali di accompagnamento.

Secondo la direttiva Uccelli, la compensazione potrebbe includere, ad esempio, iniziative volte a migliorare il valore biologico di una zona da classificare o già classificata, cosicché la capacità di carico o il potenziale alimentare aumentino in misura corrispondente alla perdita che si verifica nel sito a causa del progetto. Di conseguenza, è accettabile la creazione di un nuovo habitat favorevole alle specie di uccelli interessate, a condizione che il sito creato sia disponibile nel momento in cui il sito colpito perde il suo valore naturale.

Nell’ambito della direttiva Habitat, la compensazione potrebbe, analogamente, comprendere la ricostituzione di un habitat comparabile o il miglioramento biologico di un habitat dello stesso tipo ma di standard inferiore all’interno di un sito già designato, o anche l’aggiunta alla rete Natura 2000 di un nuovo sito di qualità paragonabile a quella del sito originario. In quest’ultimo caso, si potrebbe argomentare che, nel complesso, il progetto comporterebbe una perdita netta per questo habitat a livello di Stato membro, mentre a livello UE un nuovo sito beneficerebbe della tutela offerta dall’articolo 6, contribuendo così agli obiettivi della direttiva.

Le misure compensative opportune o necessarie per compensare gli effetti pregiudizievoli su un sito Natura 2000 (in aggiunta a quanto già richiesto a norma delle direttive) possono comprendere quanto segue:

miglioramento dell’habitat in siti esistenti: miglioramento dell’habitat rimanente nel sito interessato o ripristino dell’habitat in un altro sito Natura 2000, in proporzione alla perdita dovuta al piano o progetto;

ricostituzione dell’habitat: creazione di un habitat in un sito nuovo o ampliato, da inserire nella rete Natura 2000; oppure

come descritto in precedenza e unitamente ad altre attività, proposta di un nuovo sito di qualità adeguata a norma della direttiva Habitat o Uccelli e istituzione/attuazione di misure di conservazione per questo nuovo sito.

Tra le varie misure compensative e di accompagnamento correntemente adottate all’interno dell’UE a norma della direttiva Habitat figurano anche le seguenti:

reintroduzione di specie;

recupero e rafforzamento di specie, anche predatrici;

acquisto di terreni;

acquisizione di diritti;

creazione di riserve (comprese rigorose restrizioni all’utilizzo del territorio);

incentivi a determinate attività economiche favorevoli ad alcune funzioni ecologiche fondamentali;

riduzione di (altri) fattori di rischio, in genere per le specie, con interventi su un singolo fattore oppure attraverso azioni coordinate su tutti i fattori di rischio (ad esempio connessi agli effetti della mancanza di spazio dovuta alla sovrappopolazione).

In linea di principio, il risultato delle misure compensative deve essere conseguito nel momento in cui si verifica il danno nel sito interessato. In determinate circostanze, che non consentono la piena realizzazione del risultato, è necessaria una compensazione supplementare per far fronte alle perdite provvisorie.

5.4.4.   Elementi fondamentali da considerare nelle misure compensative

Le misure compensative di cui all’articolo 6, paragrafo 4, devono trattare tutti gli aspetti — tecnici, giuridici o finanziari — necessari per far fronte agli effetti negativi di un piano o un progetto e per mantenere la coerenza globale della rete Natura 2000.

Segue un elenco degli elementi da considerare:

stretto coordinamento e cooperazione tra le autorità responsabili di Natura 2000, le autorità incaricate della valutazione e il proponente del piano o progetto;

obiettivi e valori di riferimento chiari e compatibili con gli obiettivi di conservazione del sito;

descrizione delle misure compensative, accompagnata da una solida spiegazione scientifica di come effettivamente saranno in grado di compensare gli effetti negativi del piano o progetto sulle specie e sugli habitat interessati alla luce degli obiettivi di conservazione del sito, e come garantiranno la tutela della coerenza globale di Natura 2000;

dimostrazione della fattibilità tecnica delle misure in relazione ai rispettivi obiettivi;

dimostrazione della fattibilità giuridica e/o finanziaria delle misure secondo i tempi richiesti;

analisi di ubicazioni adeguate e acquisizione dei diritti (acquisto, locazione ecc.) sul terreno da destinare alle misure compensative;

illustrazione della tempistica prevista per la realizzazione degli obiettivi delle misure compensative;

tempi di attuazione e coordinamento con le scadenze per la realizzazione del piano o progetto;

fasi di informazione e/o consultazione del pubblico;

programmi specifici di monitoraggio e comunicazione delle informazioni, sulla base di indicatori di avanzamento legati agli obiettivi delle misure compensative;

programma di finanziamento approvato durante il periodo necessario per garantire il successo delle misure. Criteri per definire le misure compensative

5.5.   CRITERI PER DEFINIRE LE MISURE COMPENSATIVE

5.5.1.   Compensazione mirata

Le misure compensative a norma della direttiva Habitat devono essere istituite in base a condizioni di riferimento definite a seguito della descrizione del rischio di perdita o deterioramento dell’integrità del sito e in base ai probabili effetti negativi rilevanti che permarrebbero dopo l’intervento di attenuazione.

Dopo aver individuato i probabili danni all’integrità del sito e la loro entità effettiva, le misure compensative devono affrontare nello specifico questi aspetti, affinché gli elementi di integrità che contribuiscono alla coerenza globale della rete Natura 2000 siano compensati nel lungo periodo. Tali misure devono pertanto essere le più indicate per il tipo di impatto previsto e incentrarsi su obiettivi e traguardi che riguardano chiaramente gli elementi interessati della rete Natura 2000. Gli interventi devono riferirsi chiaramente agli aspetti strutturali e funzionali dell’integrità del sito, nonché ai relativi tipi di habitat e alle popolazioni di specie in questione.

Questo implica che le misure compensative devono necessariamente comprendere misure ecologiche. Di conseguenza, i pagamenti a persone fisiche o a favore di fondi speciali, anche se destinati a progetti di conservazione della natura, non sono adatti nel contesto della direttiva Habitat. Inoltre, qualsiasi misura secondaria o indiretta eventualmente proposta per migliorare i risultati delle principali misure compensative deve essere strettamente correlata agli obiettivi e ai traguardi delle stesse.

Ad esempio, nel definire misure compensative relative alle specie, occorre individuare:

le specie colpite da effetti pregiudizievoli, il loro numero totale e la percentuale delle popolazioni totali interessate;

le funzioni principali svolte dagli habitat che subiranno le ripercussioni negative e dai quali dipendono le specie, ad esempio per l’alimentazione, il riposo ecc.;

le misure necessarie per compensare i danni prodotti alle funzioni degli habitat e alle specie interessate, in modo da ripristinare uno stato che rispecchi la condizione favorevole dell’area in questione.

5.5.2.   Compensazione effettiva

La fattibilità e l’efficacia delle misure compensative sono determinanti per l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva Habitat in linea con il principio di precauzione e con le buone pratiche. Per garantire l’efficacia, è necessario che la fattibilità tecnica sia abbinata a una scelta adeguata della portata, della tempistica e dell’ubicazione delle misure compensative.

Le misure compensative devono essere praticabili e funzionali al fine di ripristinare le condizioni ecologiche necessarie per la coerenza globale della rete Natura 2000. Occorre conoscere o prevedere sin dall’inizio i tempi stimati ed eventuali azioni di mantenimento necessarie per rafforzare l’efficacia delle misure prima di vararle. In questo senso, è necessario avvalersi delle migliori conoscenze scientifiche disponibili, integrandole con indagini specifiche relativamente al luogo esatto in cui saranno attuate le misure compensative. Le misure che non garantiscono un ragionevole tasso di successo non dovrebbero essere prese in esame a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, e i probabili risultati positivi del sistema di compensazione dovrebbero influire sull’approvazione definitiva del piano o del progetto, nel rispetto del principio di prevenzione. Inoltre, quando si tratta di decidere tra diverse possibilità di compensazione, è necessario scegliere le alternative più efficaci e con maggiori probabilità di successo.

Il programma delle misure compensative deve contemplare un monitoraggio dettagliato nella fase di attuazione, al fine di garantire l’efficacia nel lungo periodo. Poiché si inserisce nell’ambito della rete Natura 2000, il monitoraggio deve essere coordinato, e possibilmente integrato, con le attività di monitoraggio previste dall’articolo 11 della direttiva Habitat.

Le misure che, all’atto pratico, si rivelano poco efficaci nel contribuire agli obiettivi devono essere modificate di conseguenza.

5.5.3.   Fattibilità tecnica

In base alle conoscenze attuali, è alquanto improbabile che la struttura e la funzione ecologica, ovvero gli habitat e le popolazioni di specie in questione, possano essere riportati allo stato in cui si trovavano prima del danno provocato da un piano o progetto. Per superare queste difficoltà intrinseche, che ostacolano il pieno successo in termini di condizioni ecologiche, nella definizione delle misure compensative occorre:

(1)

applicare criteri scientifici e svolgere valutazioni sulla base delle migliori conoscenze scientifiche disponibili;

(2)

tenere conto dei requisiti specifici delle caratteristiche ecologiche da ripristinare (ad esempio suolo, umidità, esposizione, minacce esistenti e altre condizioni determinanti per la riuscita dell’intervento di ripristino).

Gli aspetti cruciali per la fattibilità tecnica saranno determinanti per l’adeguatezza dell’ubicazione delle misure compensative (fattibilità in termini spaziali), la tempistica più opportuna e la portata necessaria degli interventi.

Infine, nella scelta di misure particolari e nella loro progettazione occorre attenersi agli orientamenti esistenti per ogni singola pratica (creazione o ripristino di habitat, rafforzamento della popolazione, reintroduzione di specie o qualsiasi altra misura presa in esame nel programma di compensazione).

5.5.4.   Portata della compensazione

La portata delle misure compensative che risulta necessaria per garantirne l’efficacia è direttamente proporzionale agli aspetti quantitativi e qualitativi intrinseci degli elementi di integrità (comprese, cioè, la struttura e la funzionalità, nonché il rispettivo ruolo a livello di coerenza globale della rete Natura 2000) che possono risultare danneggiati e all’efficacia prevista delle misure.

Di conseguenza, è più opportuno fissare i rapporti di compensazione per ogni singolo caso e determinarli inizialmente alla luce delle informazioni derivanti dall’opportuna valutazione di cui all’articolo 6, paragrafo 3, garantendo la funzionalità ecologica. Successivamente, tali rapporti possono essere ridefiniti in base ai risultati emersi dal monitoraggio dell’efficacia, motivando la decisione definitiva riguardante l’entità della compensazione.

È ampiamente riconosciuto che i rapporti di compensazione in generale dovrebbero essere ben superiori a 1:1. Quindi, rapporti pari o inferiori a 1:1 devono essere considerati solo se si riesce a dimostrare che misure di tale portata sono pienamente efficaci per il ripristino della struttura e della funzionalità in un breve lasso di tempo (ad esempio, senza compromettere la conservazione degli habitat o delle popolazioni delle specie principali che possono subire le conseguenze del piano o del progetto o i rispettivi obiettivi di conservazione).

5.5.5.   Ubicazione delle misure compensative

Le misure compensative devono essere attuate nei luoghi dove otterranno la massima efficacia ai fini del mantenimento della coerenza globale della rete Natura 2000. Questo comporta che ciascuna misura compensativa soddisfi una serie di presupposti:

all’interno dello Stato membro interessato, l’area selezionata per la compensazione deve rientrare nella stessa regione biogeografica (per i siti designati a norma della direttiva Habitat) o nella stessa area di ripartizione, rotta migratoria o zona di svernamento per le specie ornitologiche (ossia i siti designati a norma della direttiva Uccelli). L’area deve inoltre offrire funzioni comparabili a quelle che avevano motivato la scelta del sito originario, in particolare per quanto riguarda una distribuzione geografica adeguata;

l’area selezionata per la compensazione deve presentare le caratteristiche specifiche connesse alla struttura e alle funzioni ecologiche e richieste dagli habitat e dalle popolazioni di specie, o essere in grado di svilupparle. Si tratta di aspetti qualitativi come l’unicità del patrimonio danneggiato, che impongono di tenere conto delle condizioni ecologiche locali;

le misure compensative non devono mettere in pericolo la conservazione dell’integrità di altri siti Natura 2000 che contribuiscono alla coerenza globale della rete. Quando sono applicate in siti Natura 2000 già esistenti, le misure devono essere compatibili con gli obiettivi di conservazione di tali siti e vanno al di là delle misure di conservazione istituite a norma dell’articolo 6, paragrafo 1. I piani di gestione sono un utile riferimento per promuovere misure compensative sensate.

Inoltre, esiste un consenso generale sul fatto che le condizioni locali necessarie per il ripristino del patrimonio ecologico a rischio devono essere ricercate il più vicino possibile alla zona interessata dal piano o dal progetto. L’opzione da privilegiare sembra pertanto quella di mettere in atto la compensazione all’interno o in prossimità del sito Natura 2000 interessato, dove siano presenti condizioni adatte per la riuscita delle misure. Tuttavia, poiché non è sempre possibile, occorre stabilire una scala di priorità da applicare nella ricerca di luoghi che soddisfino i requisiti della direttiva Habitat:

1)

compensazione all’interno del sito Natura 2000, a condizione che vi sussistano gli elementi necessari a garantire la coerenza ecologica e la funzionalità della rete;

2)

compensazione al di fuori del sito Natura 2000 interessato, ma all’interno di una unità topografica o paesaggistica comune, a condizione che sia possibile garantire lo stesso contributo alla struttura ecologica e/o alla funzionalità della rete. La nuova ubicazione può essere un altro sito designato ai fini della rete Natura 2000, oppure una località non designata; in quest’ultimo caso l’area deve essere designata come sito Natura 2000 ed essere soggetta a tutte le disposizioni previste dalle direttive Natura;

3)

compensazione al di fuori del sito Natura 2000, in una unità topografica o paesaggistica diversa. La nuova ubicazione può essere un altro sito designato ai fini della rete Natura 2000. Se invece la compensazione avviene in un sito non designato, la località deve essere designata come sito Natura 2000 ed essere soggetta a tutti i requisiti previsti dalle direttive Natura.

I siti di nuova designazione nel contesto delle misure compensative devono essere notificati alla Commissione prima dell’attuazione delle misure e della realizzazione del progetto, ma dopo la sua autorizzazione. Le nuove designazioni devono essere comunicate alla Commissione attraverso i canali e gli iter consolidati, come avviene per gli elenchi dei SIC e le classificazioni delle ZPS, e risultare idonei alla designazione secondo i criteri pertinenti rispettivamente a norma delle direttive Habitat e Uccelli.

Nel caso dei progetti transfrontalieri, gli Stati membri devono garantire la massima cooperazione e il massimo coordinamento nella scelta del luogo dove mettere in atto le misure compensative.

5.5.6.   Tempi della compensazione

La definizione della tempistica delle misure compensative richiede un approccio caso per caso. Il programma adottato deve garantire la continuità dei processi ecologici essenziali per il mantenimento della struttura e delle funzioni che contribuiscono alla coerenza globale della rete Natura 2000. Questo obiettivo richiede uno stretto coordinamento tra l’attuazione del piano o del progetto e la realizzazione delle misure compensative e dipende da elementi quali il tempo necessario agli habitat per svilupparsi e/o alle popolazioni di specie per recuperare o stabilirsi in una determinata area.

È inoltre necessario prendere in considerazione altri fattori e processi:

un sito non deve essere danneggiato in maniera irreversibile prima che sia messa in atto la compensazione;

il risultato della compensazione deve essere disponibile nel momento in cui si verifica il danno nel sito interessato. In determinate circostanze, che non consentono la piena realizzazione del risultato, è necessaria una compensazione supplementare per far fronte alle perdite provvisorie;

sono ammissibili ritardi solo se si è accertato che non compromettono l’obiettivo di «zero perdite nette» per la coerenza globale della rete Natura 2000;

non sono invece ammessi ritardi se, ad esempio, provocano perdite nella popolazione di specie protette presenti nel sito che figurano nell’allegato II della direttiva Habitat o nell’allegato I della direttiva Uccelli; le specie prioritarie elencate nell’allegato II della direttiva Habitat meritano un’attenzione particolare;

può essere possibile modulare nel tempo le misure compensative, a seconda che si prevedano effetti negativi rilevanti nel breve, medio e lungo termine.

Può essere consigliabile applicare misure compensative specifiche di portata superiore alle perdite temporanee che si potrebbero verificare prima della realizzazione degli obiettivi di conservazione. Occorre mettere in atto tutte le disposizioni di carattere tecnico, giuridico o finanziario necessarie per realizzare le misure compensative prima che inizi l’attuazione del piano o progetto: in questo modo si evitano eventuali ritardi imprevisti che potrebbero inficiare l’efficacia delle misure.

5.5.7.   Attuazione nel lungo termine

Le misure compensative richiedono che sia garantita una solida base giuridica e finanziaria per l’attuazione nel lungo termine e per la tutela, il monitoraggio e il mantenimento dei siti prima che si verifichino impatti sugli habitat e/o sulle specie. Questo potrebbe comportare quanto segue:

fornire una tutela temporanea, anche se lo status di SIC o ZPS viene concesso solo successivamente;

applicare strumenti vincolanti di esecuzione in ambito nazionale per garantire la completa attuazione ed efficacia delle misure compensative (ad esempio correlati alla direttiva VIA, se del caso, o alla direttiva sulla responsabilità ambientale, o che colleghino l’approvazione del piano o progetto alla solidità delle disposizioni pertinenti per l’attuazione delle misure compensative);

applicare gli strumenti giuridici necessari qualora l’acquisto di terreni o l’acquisizione di diritti siano ritenuti essenziali per l’attuazione efficace delle misure in base alla buona prassi vigente (ad esempio, procedure standard per l’acquisto obbligatorio a fini di conservazione della natura);

istituire programmi di monitoraggio per garantire che le misure compensative raggiungano il proprio obiettivo e siano mantenute a più lungo termine e in caso contrario che si prendano misure correttive per affrontare la situazione, prevedendo obiettivi, organismi responsabili e fabbisogni di risorse, indicatori e obblighi di relazione alla Commissione. Queste attività potrebbero essere svolte al meglio da organismi indipendenti creati appositamente, operanti in stretto coordinamento e in collaborazione con le autorità della rete Natura 2000.

5.6.   CHI SOSTIENE I COSTI DELLE MISURE COMPENSATIVE?

In linea con il principio «chi inquina paga», appare logico che il promotore di un piano o progetto si faccia carico del costo delle misure compensative. In caso di cofinanziamento, tale costo può essere incluso nel bilancio totale presentato alle autorità pubbliche. A tale proposito, i fondi UE potrebbero, ad esempio, cofinanziare le misure compensative connesse a infrastrutture di trasporto rientranti nelle RTE (reti transeuropee) e finanziate dai relativi fondi, purché tale assistenza finanziaria sia conforme agli obiettivi e alle norme e procedure applicabili al fondo UE in questione.

5.7.   COMUNICAZIONE DELLE MISURE COMPENSATIVE ALLA COMMISSIONE

Le autorità nazionali competenti informano la Commissione delle misure compensative adottate. L’articolo 6, paragrafo 4, non specifica la forma, né la finalità, della comunicazione. Tuttavia, per agevolare la procedura, la Commissione ha preparato un formulario standard (65) per la trasmissione delle informazioni a norma dell’articolo 6, paragrafo 4. In ogni caso, non spetta alla Commissione suggerire misure compensative, né convalidarle a livello scientifico.

Le informazioni dovrebbero consentire alla Commissione di valutare in che modo vengono compensati gli effetti pregiudizievoli, affinché siano preservati nel lungo periodo gli elementi di integrità che contribuiscono alla coerenza globale della rete Natura 2000. Anche se le autorità nazionali hanno solo l’obbligo esplicito di notificare le misure compensative adottate, può anche rivelarsi necessario comunicare determinati elementi attinenti alle soluzioni alternative studiate e ai motivi imperativi di rilevante interesse pubblico che hanno determinato l’approvazione del piano o progetto, nella misura in cui questi elementi hanno influenzato la scelta delle misure compensative.

L’obbligo di informare la Commissione in merito alle misure compensative adottate, disposto dall’articolo 6, paragrafo 4, primo comma, seconda frase, deve essere pienamente recepito dalla legislazione nazionale. In assenza di una disposizione del diritto interno che preveda norme dettagliate concernenti l’informazione sulle misure compensative adottate, «la piena efficacia dell’articolo 6, n. 4, primo comma, seconda frase, della direttiva e la realizzazione del suo obiettivo non possono essere garantite» (C-324/01, punto 21).

In che momento del processo di pianificazione è necessario informare la Commissione delle misure compensative e chi è responsabile di tale informazione?

Al fine di permettere alla Commissione di chiedere ulteriori informazioni sulle misure adottate o di intervenire, laddove ritenga che le prescrizioni della direttiva non siano state applicate correttamente, è opportuno che le misure compensative siano presentate alla Commissione prima della loro attuazione e senz’altro prima che il progetto o piano in questione venga realizzato, ma dopo la sua autorizzazione. Le misure compensative devono quindi essere comunicate alla Commissione subito dopo la loro adozione, per consentire alla Commissione, nella sua veste di custode dei trattati, di valutare la corretta applicazione delle disposizioni della direttiva.

In quanto responsabili del mantenimento della coerenza globale della rete Natura 2000 e dell’aggiornamento delle informazioni su di essa, le autorità incaricate della gestione di Natura 2000 in ogni Stato membro svolgono un ruolo di primo piano in questo processo. Le informazioni sono trasmesse dall’autorità nazionale attraverso la rappresentanza permanente di ogni Stato membro, come avviene per l’adozione degli elenchi dei siti.

Le informazioni circa le misure compensative devono consentire alla Commissione di valutare in che modo sono compensati gli effetti pregiudizievoli, affinché siano preservati nel lungo periodo gli elementi di integrità che contribuiscono alla coerenza globale della rete Natura 2000. Non spetta tuttavia alla Commissione suggerire misure compensative.

5.8.   CHE COSA SUCCEDE NEL CASO DEI SITI CHE OSPITANO HABITAT E/O SPECIE PRIORITARI?

Il secondo comma dell’articolo 6, paragrafo 4, prevede un trattamento speciale ogniqualvolta un piano o un progetto riguardi un sito che ospita habitat e/o specie prioritari, sui quali potrà avere ripercussioni. In questi casi, la realizzazione del piano o progetto può essere giustificata soltanto se i motivi imperativi di rilevante interesse pubblico invocati riguardano la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente, oppure se, prima di concedere l’autorizzazione al piano o progetto, la Commissione esprime un parere sull’iniziativa prevista.

In altre parole, un danno ai siti sarebbe accettato come prevalente rispetto al raggiungimento degli obiettivi della direttiva soltanto in presenza dei motivi imperativi specifici sopra citati oppure, in alternativa, a seguito di una valutazione indipendente della Commissione, che rappresenta un’ulteriore garanzia procedurale.

Questa disposizione solleva una serie di questioni connesse:

all’identificazione dei siti interessati;

all’interpretazione dei concetti di salute dell’uomo, sicurezza pubblica e conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente; e

alla procedura di adozione del parere della Commissione e alle conseguenze che ne derivano.

5.8.1.

I siti interessati

L’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, si applica quando la realizzazione del piano o progetto incide su un sito che ospita habitat e/o specie prioritari. A tale proposito, sarebbe ragionevole ritenere che un piano o un progetto

a)

che non incide in nessun modo su un habitat o una specie prioritari oppure

b)

che incide su habitat/specie che non sono stati presi in considerazione nella selezione di un sito («presenza non significativa» nel formulario standard)

non dovrebbe di fatto giustificare che un sito sia soggetto a questo secondo comma.

Visto che la direttiva Uccelli non classifica alcuna specie come prioritaria, le misure intese a compensare gli effetti negativi sulle popolazioni di uccelli delle ZPS non comportano mai un parere della Commissione.

L’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, s’intende applicabile a tutti i siti che ospitano habitat e/o specie prioritari, quando tali habitat e specie sono colpiti.

5.8.2.   I concetti di «salute dell’uomo», «sicurezza pubblica» e «conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente»

La salute dell’uomo, la sicurezza pubblica e le conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente costituiscono i principali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Tuttavia, queste tre categorie non sono espressamente definite, come il concetto di «motivi imperativi di rilevante interesse pubblico».

Come precisato alla sezione 5.3.2, il diritto dell’UE fa riferimento alla salute pubblica e alla sicurezza pubblica come motivi che possono giustificare l’adozione di misure nazionali restrittive concernenti la libera circolazione di merci, lavoratori e servizi, nonché il diritto di stabilimento. La protezione della salute dei cittadini è inoltre uno degli obiettivi fondamentali della politica ambientale dell’UE. Nella stessa ottica, le conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente costituiscono una categoria che deve essere inclusa negli obiettivi fondamentali della politica ambientale.

In linea con il principio di sussidiarietà, spetta alle autorità nazionali competenti verificare se si presenta una situazione di questo tipo, che, ovviamente, sarebbe soggetta all’esame della Commissione nel quadro della sua attività di controllo della corretta applicazione del diritto dell’UE.

Per il concetto di «sicurezza pubblica» è utile fare riferimento alla sentenza della Corte di giustizia nella causa C-57/89 (Leybucht Dykes). Tale decisione, anche se antecedente all’adozione della direttiva 92/43/CEE e quindi all’articolo 6, è comunque importante, non ultimo perché l’approccio della Corte ha influenzato la formulazione dell’articolo 6. La causa riguardava lavori di costruzione per il rafforzamento di argini a Leybucht nel Mare del Nord, che comportavano la riduzione della superficie di una ZPS. Come principio generale, la Corte ha affermato che i motivi che giustificano una tale riduzione devono corrispondere a un interesse generale superiore a quello che risponde allo scopo ecologico contemplato dalla direttiva. Nel caso specifico, la Corte ha confermato che il pericolo di inondazioni e la protezione della costa costituiscono ragioni sufficientemente serie per giustificare i lavori di arginatura e di rinforzo delle strutture costiere fintantoché queste misure si limitino allo stretto necessario.

In una causa successiva (C-43/10, punto 128) la Corte ha stabilito che: «Qualora un progetto siffatto pregiudichi l’integrità di un SIC ospitante un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, la sua realizzazione può, in linea di principio, essere giustificata da motivi connessi all’approvvigionamento di acqua potabile. In determinate circostanze, essa potrebbe essere giustificata a titolo delle conseguenze positive di primaria importanza che l’irrigazione ha per l’ambiente. Per contro, l’irrigazione non può, in linea di principio, rientrare tra le considerazioni correlate alla salute delle persone e alla sicurezza pubblica, giustificanti la realizzazione di un progetto quale quello controverso nel giudizio principale.»

Nella causa C-504/14, punto 77, la Corte ha stabilito che «[…] una piattaforma diretta ad agevolare lo spostamento di disabili può, in linea di principio, essere considerata realizzata per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico connessi alla salute dell’uomo […]».

Le autorità nazionali possono autorizzare un piano o progetto soltanto se è comprovata l’esistenza dei suddetti motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e nei limiti in cui il piano o progetto in questione risulta necessario per soddisfare l’interesse pubblico in questione.

5.8.3.   Adozione del parere della Commissione e relative conseguenze

Nel caso di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico diversi da quelli concernenti la salute dell’uomo, la sicurezza e i benefici ambientali, è il parere preventivo della Commissione è un atto procedurale necessario. Poiché l’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma, non specifica una procedura, né il contenuto preciso di tale parere (66) occorre fare nuovamente riferimento all’economia e alle finalità della disposizione in questione.

Il parere deve comprendere la valutazione dei valori ecologici che potrebbero essere influenzati dal piano o progetto, la rilevanza dei motivi imperativi invocati e l’equilibrio tra questi due opposti interessi, nonché una valutazione delle misure compensative. Tale valutazione comprende un esame scientifico ed economico e un’analisi della necessità e proporzionalità del piano o progetto rispetto al motivo imperativo invocato.

La Commissione può valutare se la realizzazione del piano o progetto è conforme alle prescrizioni del diritto dell’UE e, se necessario, avviare le opportune azioni legali.

Anche se la direttiva non contempla alcun termine specifico per l’adozione del parere, la Commissione farà il possibile per effettuare le valutazioni ed emettere un parere con la massima rapidità.

La Commissione, nell’esprimere il suo parere, deve verificare l’equilibrio tra i valori ecologici interessati e i motivi imperativi invocati e valutare le misure compensative.


(1)  http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/fitness_check/action_plan/communication_en.pdf

(2)  La gestione dei siti della rete Natura 2000 — Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva Habitat 92/43/CEE, Comunità europee, 2000 — ISBN 92-828-9050-3.

(3)  Una raccolta dei casi aventi maggiore attinenza con l’articolo 6 è disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/caselaw/index_en.htm

(4)  Note della Commissione relative alla designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC), alla definizione degli obiettivi di conservazione per i siti Natura 2000 e alla definizione delle misure di conservazione per i siti Natura 2000. Documenti di orientamento della Commissione sull’applicazione dell’articolo 6 in diversi settori, disponibili al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/guidance_en.htm

(5)  Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7).

(6)  Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 27 del 26.1.2010, pag. 7), direttiva che abroga la direttiva 79/409/CE.

(7)  Articolo 2, paragrafo 1.

(8)  Articolo 2, paragrafo 2. Il termine «stato di conservazione soddisfacente» è definito nell’articolo 1, lettere e) ed i) e si riferisce allo stato di conservazione delle specie o dei tipi di habitat di interesse comunitario in tutta la loro area di ripartizione nel territorio dell’UE.

(9)  Articolo 2, paragrafo 3.

(10)  L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva Habitat prevede che «la rete Natura 2000 comprende anche le zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della direttiva 79/409/CEE».

(11)  Articolo 7 della direttiva Habitat.

(12)  Comunicazione della Commissione «La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020» [COM(2011) 244].

(13)  http://ec.europa.eu/environment/nature/knowledge/ecosystem_assessment/index_en.htm

(14)  Decisione 82/72/CEE del Consiglio, del 3 dicembre 1981, concernente la conclusione della convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa (GU L 38 del 10.2.1982, pag. 1).

(15)  Decisione 93/626/CEE del Consiglio, del 25 ottobre 1993, concernente la conclusione della convenzione sulla diversità biologica (GU L 309 del 13.12.1993, pag. 1).

(16)  Per maggiori dettagli sul rapporto tra le disposizioni sulla protezione delle specie e sulla protezione dei siti della direttiva Habitat, consultare la guida della Commissione sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario. http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/species/guidance/index_en.htm

(17)  Le disposizioni sulla tutela delle specie della direttiva Habitat si applicano a talune specie di interesse comunitario, ma non a tipi di habitat di interesse comunitario. Questi ultimi beneficiano esclusivamente delle disposizioni di cui al capo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie» (articoli da 3 a 11), per cui quando sono presenti al di fuori della rete Natura 2000 non godono della tutela prevista dalla direttiva Habitat.

(18)  https://curia.europa.eu/jcms/jcms/Jo2_7045/it/

(19)  GU L 26 del 28.1.2011, pag. 1, modificata dalla direttiva 2014/52/UE (GU L 124 del 25.4.2014, pag. 1).

(20)  Un requisito analogo si applica ai siti che, in base a prove scientifiche secondo i criteri dell’allegato III della direttiva Habitat, dovrebbero figurare nell’elenco nazionale di SIC proposti.

(21)  Decisione 2011/484/UE della Commissione concernente un formulario informativo sui siti da inserire nella rete Natura 2000 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:198:0039:0070:IT:PDF

(22)  Per maggiori dettagli, consultare la nota della Commissione sulla definizione degli obiettivi di conservazione (2013) http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/docs/commission_note/commission_note2_IT.pdf

(23)  Ossia tutte le specie la cui dimensione e densità della popolazione sono considerate non significative rispetto alle popolazioni presenti sul territorio nazionale (popolazione di categoria D) e tutti i tipi di habitat la cui rappresentatività è considerata non significativa (categoria D).

(24)  Cfr. la nota della Commissione sulla definizione delle misure di conservazione (2013) http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/docs/commission_note/comNote%20conservation%20measures_IT.pdf.

(25)  Conformemente alle norme della politica comune della pesca, ivi comprese misure adottate ai sensi dell’articolo 11 del regolamento (UE) n. 1380/2013.

(26)  Estratto dalla nota della Commissione sulla definizione delle misure di conservazione per i siti Natura 2000, disponibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/docs/commission_note/comNote%20conservation%20measures_IT.pdf.

(27)  Il lavoro di mappatura e valutazione degli ecosistemi e dei relativi servizi (MAES) può servire a individuare le esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali dell’allegato I — cfr. in particolare la Quinta relazione tecnica (http://ec.europa.eu/environment/nature/knowledge/ecosystem_assessment/index_en.htm).

(28)  Regolamento (UE) n. 1293/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, sull’istituzione di un programma per l’ambiente e l’azione per il clima (LIFE) e che abroga il regolamento (CE) n. 614/2007 (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 185).

(29)  Financing Natura 2000 http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/financing/index_en.htm

(30)  Cfr. anche la sezione 4.4.1 del presente documento circa il termine «progetto».

(31)  Causa C-127/02, punto 37. Cfr. anche la sezione 4.3 del presente documento circa la relazione tra i paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6.

(32)  Cfr. anche C-75/01, C-418/04, C-508/04, C-301/12.

(33)  In particolare, le proiezioni climatiche indicano l’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi di cui si deve tenere conto.

(34)  Cfr. Guidelines on Climate change and Natura 2000 all’indirizzo http://ec.europa.eu/environment/nature/climatechange/pdf/Guidance%20document.pdf.

(35)  Cfr. anche cause C-491/08, C-90/10.

(36)  Il lavoro di mappatura e valutazione degli ecosistemi e dei relativi servizi fornisce indicatori relativi alle pressioni sugli ecosistemi che possono essere utilizzati anche per valutare il degrado e la perturbazione — cfr. in particolare la Quinta relazione tecnica http://ec.europa.eu/environment/nature/knowledge/ecosystem_assessment/index_en.htm

(37)  Decisione di esecuzione della Commissione, dell’11 luglio 2011, concernente un formulario informativo sui siti da inserire nella rete Natura 2000 [notificata con il numero C(2011) 4892] (2011/484/UE) (GU L 198 del 30.7.2011, pag. 39).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:198:0039:0070:IT:PDF

(38)  http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/habitatsdirective/docs/Int_Manual_EU28.pdf

(39)  Uno schema semplificato di questa procedura figura nell’allegato II, alla fine del presente documento.

(40)  GU L 26 del 28.1.2012, pag. 1, modificata dalla direttiva 2014/52/UE.

(41)  La rilevanza di questa definizione per la direttiva Habitat è confermata anche dalla Corte (causa C-127/02, punto 26).

(42)  Per rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva VIA, tali interventi/attività devono comportare alterazioni della realtà fisica di un dato sito (C-121/11 Pro-Braine, punto 31, C-275/09 Aeroporto di Bruxelles, punto 30).

(43)  GU L 197 del 21.7.2001, pag. 30.

(44)  Ferma restando l’applicazione della direttiva VAS (2001/42/CE).

(45)  Per maggiori dettagli sull’integrazione di diverse fasi di valutazione, cfr. anche il documento di orientamento sulla razionalizzazione delle procedure di valutazione ambientale per progetti di interesse comune, punto 3.2 http://ec.europa.eu/environment/eia/pdf/PCI_guidance.pdf.

(46)  articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2011/92/UE, modificata dalla direttiva 2014/52/UE.

(47)  Cfr. allegato III della direttiva 2011/92/UE, modificata dalla direttiva 2014/52/UE.

(48)  D’altro canto, una opportuna valutazione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, può essere richiesta per progetti non rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva VIA.

(49)  Tuttavia, a norma della direttiva VIA è possibile tenere conto delle caratteristiche del progetto e/o delle misure previste per evitare o prevenire effetti negativi significativi nel decidere in merito alla necessità di effettuare una VIA completa [articolo 4, paragrafo 5, lettera b), della direttiva VIA modificata].

(50)  http://www.unece.org/env/eia/welcome.html

(51)  articolo 7 della direttiva 2011/92/UE (modificata dalla direttiva 2014/52/UE) e articolo 7 della direttiva 2001/42/CE.

(52)  I piani e progetti già completati possono anche sollevare questioni ai sensi dell’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva Habitat, se i loro effetti continuati rendono necessarie misure di conservazione correttive o compensative da parte degli Stati membri, oppure misure per evitare il degrado degli habitat o la perturbazione delle specie.

(53)  Cfr. anche cause C-239/04, C-404/09.

(54)  Tale razionalizzazione può riguardare anche le valutazioni richieste a norma dell’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva quadro sulle acque — cfr. anche http://ec.europa.eu/environment/eia/pdf/PCI_guidance.pdf.

(55)  Direttiva 2011/92/CE modificata dalla direttiva 2014/52/UE.

(56)  Documento di orientamento della Commissione sulla razionalizzazione delle valutazioni ambientali effettuate a norma dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva VIA modificata (comunicazione della Commissione 2016/C 273/01, disponibile all’indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=OJ:C:2016:273:TOC).

(57)  Cfr. anche C-441/17, punti 134-144.

(58)  Il lavoro di mappatura e valutazione degli ecosistemi e dei relativi servizi può servire alla valutazione delle incidenze, ad esempio per individuare le risorse e funzioni ecologiche del sito, definire le minacce per habitat e specie, misurare la struttura ecologica e le funzioni di tipi di habitat generali rilevanti per l’integrità del sito — cfr. in particolare la Quinta relazione tecnica sulle condizioni ecologiche (http://ec.europa.eu/environment/nature/knowledge/ecosystem_assessment/index_en.htm)

(59)  Per chiarimenti su termini particolari, cfr. Interpretation Manual of European Union Habitats — EUR28 all’indirizzo http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/habitatsdirective/index_en.htm#interpretation

(60)  Cfr. anche C-142/16, punto 33: «Come la Corte ha, infatti, già statuito, le autorità nazionali competenti autorizzano un’attività sul sito protetto solo a condizione che abbiano acquisito la certezza che essa è priva di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito protetto. Ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti

(61)  Convenzione sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia di ambiente. Questa Convenzione è stata conclusa ad Århus, Danimarca, nel giugno 1998. L’UE è uno dei paesi firmatari dal 2005 ai sensi della decisione 2005/370/CE http://ec.europa.eu/environment/aarhus/legislation.htm.

(62)  Una disciplina di qualità per i servizi di interesse generale in Europa, COM(2011) 900 definitivo del 20.12.2011.

(63)  Questo non significa che l’approvvigionamento di acqua potabile e i progetti di irrigazione possano sempre essere giustificati per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico.

(64)  https://biodiversity.eionet.europa.eu/activities/Natura_2000/chapter6

(65)  Disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/guidance_en.htm

(66)  Il relativo formulario standard (all’indirizzo: http://ec.europa.eu/environment/nature/natura2000/management/guidance_en.htm) copre anche la richiesta di un parere della Commissione a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, secondo comma.


ALLEGATO I

Confronto tra le procedure previste da opportuna valutazione, VIA e VAS

 

Opportuna valutazione

VIA

VAS

Quali tipi di interventi sono interessati?

Qualsiasi piano o progetto che — da solo o congiuntamente con altri piani o progetti — possa avere un’incidenza significativa su un sito Natura 2000 (esclusi i piani o progetti direttamente connessi alla gestione della conservazione del sito).

Tutti i progetti elencati nell’allegato I.

Per i progetti elencati nell’allegato II, la necessità di una VIA è determinata caso per caso oppure tramite soglie o criteri stabiliti dagli Stati membri (tenendo conto dei criteri di cui all’allegato III).

Tutti i piani o programmi, o relative modifiche, che:

a)

sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale;

b)

sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative;

c)

sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e definiscono il quadro di riferimento per la futura autorizzazione di progetti elencati negli allegati I e II della direttiva VIA; oppure

per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE.

Quali impatti devono essere ritenuti rilevanti per la natura?

La valutazione dev’essere effettuata tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito (che si riferiscono ai tipi di habitat/specie per cui il sito è stato designato).

Gli impatti devono essere valutati per determinare se incideranno negativamente sull’integrità del sito interessato.

Effetti significativi diretti e indiretti, secondari, cumulativi, transfrontalieri, di breve, medio e lungo periodo, permanenti e temporanei, positivi e negativi, sulla popolazione e sulla salute dell’uomo; biodiversità, con particolare attenzione per le specie e gli habitat protetti in virtù della direttiva 92/43/CEE e della direttiva 2009/147/CE; terreno, suolo, acqua, aria e clima e paesaggio; risorse materiali, patrimonio culturale, paesaggio; e l’interazione tra questi fattori.

Possibili effetti significativi sull’ambiente, compresi aspetti quali biodiversità, popolazione, salute dell’uomo, flora e fauna, suolo, acqua, aria, fattori climatici, risorse materiali, patrimonio culturale, anche architettonico e archeologico, paesaggio e interrelazione tra i suddetti fattori.

Chi è responsabile della valutazione?

Spetta all’autorità competente garantire che venga effettuata l’opportuna valutazione. In tale contesto, al promotore può essere chiesto di svolgere tutti gli studi necessari e di fornire all’autorità competente tutte le necessarie informazioni per consentirle di adottare una decisione pienamente informata. A tale scopo l’autorità competente può anche raccogliere informazioni pertinenti, secondo i casi, da altre fonti.

Il promotore fornisce le necessarie informazioni che l’autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione deve prendere debitamente in considerazione, unitamente ai risultati di consultazioni.

La direttiva VAS lascia agli Stati membri ampia discrezionalità nella nomina delle autorità competenti per la VAS, che possono comprendere le autorità incaricate di preparare un piano/programma, le autorità ambientali, consultate ex lege sulla portata e sul livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale, nel progetto di piano/programma e nel rapporto ambientale che l’accompagna; o le autorità specificamente incaricate di gestire la procedura VAS.

Vengono consultati il pubblico o altre autorità?

Obbligatorio — consultazione dell’opinione pubblica prima dell’autorizzazione del piano o progetto.

Gli Stati membri sono tenuti a garantire che il pubblico interessato, in particolare le ONG ambientali, abbia l’effettiva e tempestiva opportunità di partecipare, già nella fase di screening, alla procedura di autorizzazione a seguito di un’opportuna valutazione. Questo comporta in particolare la possibilità di presentare osservazioni, informazioni, analisi o pareri ritenuti rilevanti ai fini dell’attività proposta.

Obbligatorio — consultazione prima dell’adozione della proposta di intervento.

Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché le autorità che possono essere interessate dal progetto (tra cui autorità ambientali, locali e regionali) abbiano l’opportunità di esprimere il loro parere sulla domanda di autorizzazione. Gli stessi principi si applicano alla consultazione del pubblico interessato.

In caso di probabili incidenze significative sull’ambiente di un altro Stato membro, è necessario consultare le autorità competenti e l’opinione pubblica di tale Stato.

Obbligatorio — consultazione prima dell’adozione del piano o programma.

Gli Stati membri consultano le autorità che, in virtù delle loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti all’attuazione di un piano/programma. Il pubblico, che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali o che ha un interesse in tali procedure, comprese le ONG, deve essere consultato.

Le autorità e il pubblico devono disporre tempestivamente di un’effettiva opportunità di esprimere entro un termine congruo il proprio parere sulla proposta di piano o di programma e sul rapporto ambientale che la accompagna, prima dell’adozione del piano o del programma o dell’avvio della relativa procedura legislativa.

In caso di probabili incidenze significative sull’ambiente di un altro Stato membro, è necessario consultare le autorità competenti e l’opinione pubblica di tale Stato.

Quanto sono vincolanti gli esiti della valutazione?

Vincolanti.

Le autorità competenti possono approvare il piano o progetto solo dopo aver accertato che esso non inciderà negativamente sull’integrità del sito.

I risultati delle consultazioni e le informazioni raccolte nell’ambito della VIA sono presi in debita considerazione nel quadro della procedura di autorizzazione.

La decisione di concedere l’autorizzazione deve comprendere almeno la conclusione motivata (ossia la decisione VIA) ed eventuali condizioni ambientali accluse alla decisione.

Il rapporto ambientale e i pareri espressi sono presi in considerazione durante la preparazione del piano o programma e prima della sua adozione o dell’avvio della relativa procedura legislativa.


ALLEGATO II

Esame di piani e progetti con un’incidenza sui siti Natura 2000

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ALLEGATO III

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