5.6.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 190/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo «Per una direttiva quadro europea in materia di reddito minimo»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 190/01)

Relatore: Georges DASSIS

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.3.2018

Base giuridica

Art. 29, par. 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

18.12.2018

Adozione in sessione plenaria

20.2.2019

Sessione plenaria n.

541

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

158/81/12

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Dal 1952 ad oggi, ossia da quando è stata istituita la prima Comunità europea (la CECA), due generazioni di europei hanno aderito in grandissima maggioranza al progetto di integrazione europea. La coesione economica e sociale è stato un importante catalizzatore dell’adesione dei cittadini a questo progetto.

1.2

Dall’inizio della crisi economica che è seguita alla crisi finanziaria del 2008, e nonostante la ripresa economica osservata negli ultimi anni, il tasso di povertà ha continuato ad aumentare per i disoccupati di lungo periodo e per chi versa in una situazione di povertà lavorativa. Esso rimane a livelli preoccupanti nella maggior parte degli Stati membri.

1.3

Finora, i testi e gli impegni dell’Unione — come la strategia Europa 2020, che puntava a ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio di povertà — non hanno prodotto i risultati attesi. Ne consegue che applicare il principio di sussidiarietà con il solo strumento del metodo aperto di coordinamento (MOC) non è sufficiente per conseguire gli obiettivi fissati.

1.4

Alla luce di tali considerazioni, l’introduzione di un quadro europeo vincolante per un reddito minimo dignitoso in Europa, con l’obiettivo di generalizzare, sostenere e rendere "dignitosi"(ossia adeguati) i sistemi di reddito minimo negli Stati membri, costituirebbe una prima risposta europea, parziale ma importante, al grave e persistente problema della povertà in Europa. Una risposta che si inserirebbe a pieno titolo nella cornice dell’«Europa a tripla A sociale»annunciata dal Presidente Juncker e invierebbe ai cittadini il segnale inequivocabile che l’Unione ha veramente a cuore il loro interesse.

1.5

La suddetta risposta potrebbe assumere la forma di una direttiva che instauri un quadro di riferimento per la definizione di un reddito minimo adeguato. Un reddito adattato al livello e allo stile di vita di ogni paese, che terrebbe conto dei fattori di ridistribuzione sociale, della fiscalità e del tenore di vita in base ad un bilancio di riferimento, la cui metodologia sarebbe definita a livello europeo.

1.6

La scelta di adottare strumenti giuridici che costituiscano questo quadro europeo per l’introduzione di un reddito minimo dignitoso in Europa è giustificata dalla necessità di garantire sia l’accesso a questo sussidio a tutti coloro che ne hanno necessità sia l’adeguamento del sussidio stesso ai loro bisogni reali. Un reddito minimo dignitoso rappresenta anche uno strumento al servizio dell’integrazione o reintegrazione lavorativa delle persone escluse nonché della lotta contro il fenomeno della povertà lavorativa.

1.7

La questione dell’introduzione di un reddito minimo dignitoso garantito dall’UE è una questione eminentemente politica. Se, da un lato, il TUE, il TFUE, la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 e il pilastro europeo dei diritti sociali giustificano un’azione europea in questo campo, dall’altro si discute tuttora se esista una base giuridica per una normativa europea sul reddito minimo. Coloro che difendono il ricorso a un atto legislativo europeo individuano tale base giuridica nell’articolo 153, paragrafo 1, lettere c) (1) e h) (2), del TFUE. Il CESE raccomanda di adottare un approccio pragmatico, che consista in un quadro vincolante dell’UE atto a sostenere e guidare lo sviluppo e il finanziamento di sistemi di reddito minimo dignitoso negli Stati membri.

1.8

Nel suo primo parere su questo tema, il CESE ha invitato la Commissione a esaminare le possibilità di finanziamento di un reddito minimo europeo concentrandosi in particolare sulla prospettiva della creazione di un Fondo europeo appropriato (3). Dato che la Commissione non ha dato seguito a tale invito, il Comitato ritiene opportuno rinnovarlo.

2.   Osservazioni generali

2.1   Introduzione

2.1.1

Il dibattito sull’introduzione di un reddito minimo a livello europeo si iscrive nel quadro di una crisi sociale che, nonostante una certa ripresa economica, persiste e genera un fenomeno massiccio di esclusione. Secondo gli ultimi dati Eurostat, 112,9 milioni di persone, ossia il 22,5 % della popolazione dell’Unione europea (UE), sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Ciò vuol dire che queste persone si trovano in almeno una delle tre condizioni seguenti: sono a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali (povertà monetaria), versano in una situazione di privazione materiale grave o vivono in un nucleo familiare a intensità di lavoro molto bassa. La percentuale di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell’UE, dopo tre anni consecutivi di aumenti tra il 2009 e il 2012 (anno in cui tale percentuale ha raggiunto quasi il 25 %), è da allora continuamente scesa per collocarsi lo scorso anno al 22,5 %, ossia 1,2 punti percentuali al di sotto del livello di riferimento del 2008 e 1 punto percentuale al di sotto del livello del 2016 (4)

2.1.2

Per quanto riguarda il tema del presente parere, ossia l’introduzione di un reddito minimo dignitoso per le persone in condizioni di povertà e di estrema povertà, purtroppo la disoccupazione di lunga durata è passata dal 2,9 % nel 2009 (l’anno di riferimento, quello in cui è stata adottata la strategia Europa 2020) al 3,4 % nel 2017, mentre il numero di lavoratori poveri nella zona euro è passato dal 7,6 % nel 2006 al 9,5 % nel 2016 (dall’8,3 % nel 2010, il primo anno per cui sono disponibili dati, al 9,6 % nell’UE-28).

2.1.3

I giovani sono una categoria particolarmente colpita da questo fenomeno. Nel 2016 nell’UE vi erano oltre 6,3 milioni di giovani (ossia di persone dai 15 ai 24 anni) che non studiavano, non frequentavano corsi di formazione e non lavoravano (i cosiddetti NEET). Il tasso di disoccupazione giovanile, pur essendo diminuito da oltre il 23 % nel 2013 a meno del 19 % nel 2016, rimane molto elevato nell’Unione europea (e in diversi paesi tocca percentuali superiori al 40 %). La disoccupazione di lunga durata registra ancora livelli record tra i giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile è più che doppio rispetto al tasso di disoccupazione complessivo (circa il 19 % contro il 9 % nel 2016) e cela notevoli disparità tra i singoli paesi: più di 30 punti percentuali separano infatti lo Stato membro con il tasso più modesto, ossia la Germania (7 %), dagli Stati membri con i tassi più elevati, vale a dire la Grecia (47 %) e la Spagna (44 %).

2.1.4

Questa situazione di esclusione massiccia e di povertà colpisce anche e soprattutto i minori. Secondo Eurostat, 26 milioni di minori europei vivono in condizioni di povertà e di esclusione. Essi rappresentano il 27 % della popolazione dell’UE con meno di 18 anni (5). Vivono in famiglie povere, talvolta monoparentali, o in famiglie di lavoratori poveri e in situazioni di isolamento e povertà da cui è quasi impossibile uscire. Come sottolineato anche dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 20 dicembre 2010 (6), «le donne costituisc[o]no un gruppo esposto al rischio di povertà a causa della disoccupazione, della mancata suddivisione delle responsabilità familiari, del lavoro precario e poco retribuito, delle discriminazioni retributive e delle pensioni ridotte».

2.1.5

In questo stato di cose, non si può che constatare l’importanza degli ammortizzatori sociali vigenti in diversi paesi dell’UE, grazie ai quali si sono potute evitare situazioni ancora più drammatiche nel quadro della crisi, ma che, tuttavia, presentano dei limiti e non sono in grado di far fronte a una situazione di crisi sociale permanente. È quindi indispensabile una ripresa economica creatrice di occupazione, e il reddito minimo diventa uno strumento al servizio dell’integrazione o reintegrazione lavorativa delle persone escluse. D’altronde, i paesi che hanno sistemi che garantiscono redditi minimi dignitosi adeguati mostrano una migliore capacità di resistere agli effetti negativi della crisi e di ridurre le disuguaglianze che stanno minando la coesione sociale. Vi sono segni incoraggianti di ripresa economica; tuttavia, essa si presenta ancora fragile e si è sviluppata a prezzo di un aumento delle disuguaglianze. In questo periodo storico, dunque, il dibattito sull’introduzione di un reddito minimo dignitoso in Europa risulta quanto mai pertinente.

2.1.6

Per ora, i testi e gli impegni dell’Unione — come la strategia Europa 2020, adottata nel giugno 2010 e intesa a ridurre di 20 milioni (sic) il numero delle persone a rischio di povertà — non hanno prodotto i risultati attesi; e, considerato che l’applicazione del principio di sussidiarietà con il solo strumento del metodo aperto di coordinamento (MOC) non ha dato i risultati attesi, questo metodo deve essere completato da uno strumento comunitario. Sistemi di reddito minimo dignitoso producono benefici non solo per le persone in stato di necessità ma anche per la società nel suo insieme. Mantengono attive nella società le persone che ne hanno bisogno, le aiutano a riallacciare i rapporti con il mondo del lavoro e permettono loro di vivere con dignità. Redditi minimi dignitosi adeguati sono indispensabili per realizzare una società più egualitaria, costituiscono la base effettiva della protezione sociale e assicurano la coesione sociale, vantaggiosa per l’intera società.

2.1.7

I sistemi di reddito minimo non rappresentano che una piccola percentuale delle spese sociali, ma il ritorno su tale investimento è notevole, mentre un mancato investimento in tal senso ha conseguenze estremamente negative per le persone e comporta costi elevati sul lungo periodo. Questi sistemi offrono un insieme di stimoli efficaci, in quanto il denaro speso rientra immediatamente nell’economia, spesso nei settori che subiscono maggiormente la crisi. Grazie all’interazione tra redditi minimi e salari minimi, essi contribuiscono anche a garantire retribuzioni dignitose e a evitare una crescente povertà lavorativa.

2.1.8

È importante non confondere la nozione di reddito minimo dignitoso, trattata nel presente parere, con quella di reddito universale, corrisposto incondizionatamente a tutti i membri di una collettività (comune, regione o Stato) a prescindere dalle loro condizioni economiche o lavorative. Inoltre, anche se nella maggior parte dei paesi vigono sistemi di reddito minimo (7), occorre nondimeno esaminare la loro adeguatezza rispetto ai bisogni, poiché nella maggior parte dei casi questa costituisce ancora un problema. Attualmente sia in Germania che in Francia si sta lavorando su questo tema (8).

2.1.9

La questione del reddito minimo ha già formato oggetto di numerosi lavori e di una serie di prese di posizione. Con il presente parere, il CESE insiste sul concetto di «dignità»(un reddito minimo che consenta di condurre una vita dignitosa, al di sopra della soglia di povertà) prendendo spunto dal concetto di «lavoro dignitoso»dell’OIL (9).

2.1.10

Oltre ai testi già menzionati, è bene tener presente anche il lavoro svolto dalla commissione Occupazione e affari sociali del Parlamento europeo e dai comitati Occupazione e Protezione sociale del Consiglio dell’UE, e il contributo, già considerevole, di reti come la Rete europea per il reddito minimo (EMIN) (10), nonché tutti i lavori della Rete europea anti-povertà (EAPN) (11), ai quali partecipa anche la CES, e quelli pertinenti dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e del Consiglio d’Europa.

2.1.11

La maggior parte degli Stati membri ha introdotto sistemi di reddito minimo. Le definizioni, le condizioni di accesso e i livelli di applicazione variano enormemente da un paese all’altro e dovrebbero essere generalizzati e armonizzati in base a criteri comuni che tengano conto delle specificità di ciascun paese. Fino ad oggi la Commissione ha appoggiato l’idea di introdurre un reddito minimo ritenendo però che spettasse agli Stati membri risolvere la questione. La mancanza di risultati significativi esige politiche nazionali rafforzate e un maggior coordinamento da qui al 2020, ma anche la creazione di strumenti europei più efficaci per conseguire l’obiettivo fissato.

2.1.12

A conclusione di questa introduzione si possono formulare alcune osservazioni generali:

il reddito minimo dignitoso può avere senso solo nel contesto di una strategia globale di integrazione e di inclusione attiva che combini l’accesso a mercati del lavoro inclusivi — con posti di lavoro di qualità e formazione continua — e l’accesso a servizi pubblici di qualità, in particolare nei settori dell’istruzione e della sanità;

il diritto al lavoro deve rimanere un diritto fondamentale, in quanto fattore centrale di emancipazione e d’indipendenza economica;

un reddito minimo dignitoso è, essenzialmente, un aiuto temporaneo ma indispensabile, il cui obiettivo è l’integrazione o la reintegrazione delle persone nel mercato del lavoro tramite misure attive — è un provvedimento cruciale per la credibilità sociale dell’Unione europea;

l’adeguatezza, la copertura e l’accessibilità di un reddito minimo restano sfide di grande rilievo per gli Stati membri impegnati a sviluppare i rispettivi sistemi. Tali sistemi dovrebbero essere sostenuti e, ove necessario, integrati a livello europeo.

3.   Volontà politica e soluzioni tecniche

3.1   La base giuridica esiste e bisogna usarla

3.1.1

Sull’esistenza di basi giuridiche che consentano di legiferare in materia di reddito minimo vi sono punti di vista differenti. In ogni caso, però, è evidente è che il metodo aperto di coordinamento (MOC) non ha prodotto risultati sufficienti per assicurare un reddito minimo adeguato in tutti i paesi dell’Unione, accentuando anzi le disparità tra di essi, e che ciò rappresenta un grave problema per la credibilità dell’Unione europea.

3.1.2

La questione del reddito minimo è, in primo luogo, una questione eminentemente politica. Si tratta di una scelta che spetta all’Unione europea, e la Commissione non può nascondersi dietro il principio di sussidiarietà, utilizzato in modo improprio in questo campo, per decidere di non poter agire. L’assenza d’iniziativa della Commissione su un tema che interessa la dignità e i diritti umani risulterebbe inaccettabile e renderebbe il progetto dell’Unione europea incomprensibile ai cittadini. Il Comitato esorta pertanto la Commissione sia ad attivarsi immediatamente per rafforzare una strategia coordinata degli Stati membri, a livello nazionale ed europeo, volta a sviluppare il reddito minimo sia a elaborare uno strumento vincolante dell’UE basato su una metodologia comune per definire bilanci di riferimento che garantiscano un reddito minimo dignitoso.

3.1.3

Nella Carta sociale europea del Consiglio d’Europa del 1961, nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali del 2000 (articolo 34), il reddito minimo risulta chiaramente una parte integrante degli obiettivi dell’Unione europea e della Commissione, che deve prendere l’iniziativa in materia al fine di completare e armonizzare l’azione degli Stati membri. Tanto più che, al punto 14 della proposta di pilastro sociale, la Commissione enuncia chiaramente «[…] il diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi».

3.1.4

Particolarmente importanti sono i riferimenti giuridici contenuti nei Trattati: come l’articolo 3 del TUE, che tra gli obiettivi dell’UE cita la piena occupazione e il progresso sociale, ma anche la lotta contro l’esclusione sociale e le discriminazioni e la promozione della coesione economica, sociale e territoriale nonché la solidarietà tra gli Stati membri; l’articolo 9 del TFUE, che precisa che, «nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana»; e, più specificamente, l’articolo 151 del TFUE, che apre il titolo X (dedicato alla politica sociale) e fissa quali obiettivi dell’UE e degli Stati membri «la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione», obiettivi che l’Unione può conseguire nella misura in cui essa (ai sensi dell’articolo 153, paragrafo 1, TFUE) «sostiene e completa l’azione degli Stati membri nei seguenti settori: […] c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori; […] h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro; […] j) lotta contro l’esclusione sociale; [e] k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale […]».

3.1.5

Tutto ciò premesso, si rende allora necessaria anche una definizione degli aventi diritto in relazione al concetto di «lavoratore». Una questione che il Comitato dovrebbe approfondire, tanto più che il diritto dell’UE non definisce una nozione comune di «lavoratore»e si tratta pertanto di acclarare quale concetto di «lavoratore»sottenda l’articolo 153, paragrafo 1, lettera c), del TFUE. Già adesso, tuttavia, si può affermare tranquillamente che ciò che è determinante nell’articolo 153 TFUE non è il concetto di «lavoratore»inteso nel senso del diritto alla libera circolazione, quanto piuttosto il concetto di «lavoratore»nel senso del diritto alla sicurezza sociale — che si applica a tutte le persone aventi diritto di accesso ai regimi che coprono i rischi di cui al regolamento (CE) n. 883/2004.

3.1.6

Già in un suo parere precedente, il CESE, «tenuto conto del fatto che, in molti Stati membri, la povertà e l’esclusione sociale stanno alimentando tendenze populistiche, prende atto con soddisfazione delle conclusioni del Consiglio UE del 16 giugno 2016 intitolate “Lotta alla povertà e all’esclusione sociale: un approccio integrato” (12) e si esprime a favore della creazione, nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP), di un fondo europeo integrato per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, sulla base dell’esperienza finora acquisita con l’attuazione del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) e del Fondo sociale europeo (FSE)» (13).

3.1.7

La volontà politica passa per una valutazione obiettiva dell’attuazione della strategia Europa 2020, dei suoi successi e dei suoi fallimenti, e passa anche per la visibilità dell’azione europea volta a sostenere e completare le azioni degli Stati membri. Tale sostegno complementare potrebbe assumere la forma di un Fondo europeo destinato a finanziare il reddito minimo stabilito dal quadro giuridico.

3.1.8

La Commissione non deve nascondersi dietro il principio di sussidiarietà. Di solito, se gli Stati membri formulano un’obiezione a titolo della sussidiarietà, lo fanno per evitare di modificare il proprio diritto nazionale a seguito di un intervento dell’Unione europea. Tuttavia, la Commissione, in quanto custode dell’interesse generale, non può richiamare in maniera astratta il principio di sussidiarietà perché ciò equivarrebbe a un’autocensura, tanto più grave in quanto la questione in esame interessa i diritti fondamentali. In assenza di un progetto di atto legislativo elaborato dalla Commissione, l’articolo 6 del protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità non può produrre tutti i suoi effetti. Infatti, oltre al Consiglio, «ciascuno dei parlamenti nazionali o ciascuna camera di uno di questi parlamenti può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo nelle lingue ufficiali dell’Unione, inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà». Questa espressione democratica, che può differire da quella manifestata dal Consiglio, viene compromessa ogni volta che le discussioni tra la Commissione e il Consiglio impediscono l’adozione di un atto legislativo.

3.1.9

Infine, il riferimento al pilastro europeo dei diritti sociali, i cui principi sono interamente condivisi dal CESE, non può essere addotto come argomento contro l’adozione di un quadro europeo vincolante in materia, tanto più che è assodato che il Trattato contiene la base giuridica necessaria. Il pilastro europeo dei diritti sociali è una dichiarazione proclamata da tutte le istituzioni europee che «mira a fungere da guida per realizzare risultati sociali» (14). D’altro canto, la formulazione del punto 14 del pilastro — «chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi»— non autorizza in alcun modo un’interpretazione restrittiva. Una tale interpretazione, infatti, sarebbe in contrasto con il considerando 6 dello stesso pilastro, che ricorda che il TFUE «contiene disposizioni che stabiliscono le competenze dell’Unione in relazione, tra l’altro, […] alla politica sociale (articoli da 151 a 161)». Inoltre, per quanto attiene ai poteri legislativi dell’UE, il documento di lavoro della Commissione che accompagna la comunicazione relativa al pilastro europeo dei diritti sociali fa riferimento all’articolo del Trattato riguardante l’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro.

3.1.10

Il CESE, che condivide senza riserve i principi enunciati nel pilastro sociale, ritiene che l’adozione di un quadro europeo vincolante per l’introduzione di un reddito minimo dignitoso su scala europea darà concretezza alle dichiarazioni solenni che, a partire dalla Carta dei diritti sociali fondamentali, invocano tutte l’imprescindibile lotta contro l’esclusione sociale, e al tempo stesso veicolerà il messaggio che nel XXI secolo la costruzione europea non può essere realizzata senza preoccuparsi della vita dei cittadini europei.

3.2   Le soluzioni tecniche indispensabili

3.2.1

Dal punto di vista tecnico, sarebbe necessario definire le condizioni per l’accesso al reddito minimo garantito (RMG), che dovrebbe essere fissato tenendo conto in particolare dei seguenti fattori:

il legame tra l’RMG e la condizione di attivazione,

l’impatto della composizione del nucleo familiare, data l’importanza del fattore della presenza di minori nelle situazioni di povertà,

l’eventuale sussistenza di altre risorse, ad esempio eredità,

le componenti dell’RMG sia in denaro che in natura, come ad esempio l’accesso all’assistenza sanitaria, all’alloggio, alla mobilità, al sostegno alle famiglie e ai servizi pubblici.

3.2.2

L’introduzione di un reddito minimo deve aver luogo nel quadro di un approccio globale alle diverse necessità umane, che non si limiti a considerare il livello di mera sussistenza o semplicemente il tasso di povertà calcolato a partire dal reddito mediano, che in realtà in alcuni paesi non corrisponde ai bisogni essenziali. Occorre pertanto integrare tutte le necessità in termini di tenore di vita, alloggio, istruzione, salute e cultura, al fine di offrire alle persone escluse dal mercato del lavoro e intrappolate nella povertà le migliori condizioni di integrazione o reinserimento. Le condizioni di accesso formano attualmente oggetto di dibattito, ma è necessario che vengano chiarite.

3.2.3

L’approccio dianzi indicato si basa sui lavori di economisti come Amartya Sen e su quelle che questo stesso studioso definisce «capabilities», le quali si compongono di tre elementi:

Salute/aspettativa di vita — Recenti studi hanno dimostrato che le persone che vivono in condizioni di povertà risparmiano sulle cure sanitarie, in particolare quelle dentistiche. Hanno uno stile di vita e un’alimentazione meno sani, ragion per cui soffrono maggiormente di problemi legati all’obesità. Tra i ricchi e i poveri esistono inoltre differenze notevoli anche in termini di aspettativa di vita. E un altro elemento di cui occorre tenere conto è costituito dalla gravosità del lavoro.

Conoscenze/livello di istruzione — Le statistiche indicano chiaramente che il livello di disoccupazione varia in base ai livelli di istruzione. Secondo i dati Eurostat del 2015, l’11 % degli europei di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola.

Tenore di vita — Nel potere d’acquisto vanno integrati tutti gli elementi della qualità della vita, non solo quelli relativi alla sopravvivenza alimentare. La mobilità e l’accesso alla cultura sono elementi importanti di integrazione/inclusione nel rapporto con gli altri e nella socialità, vale a dire i mezzi che permettono di non rinchiudere le persone povere in un isolamento che diventa un circolo vizioso di desocializzazione.

3.2.4

Agendo in modo pragmatico e flessibile, si devono creare gli strumenti per calcolare un reddito minimo adeguato. Occorre stabilire una metodologia comune per il calcolo di un bilancio di riferimento e l’adeguamento di tale bilancio alla realtà di ogni paese. In questo campo sono già stati realizzati alcuni lavori importanti, in particolare dal Centre for social policy dell’Università di Anversa, dall’EAPN e dall’EMIN. I bilanci di riferimento devono poter fornire elementi di comparazione tra Stati membri e al contempo assicurare un’applicazione flessibile in funzione delle condizioni di ciascun paese. Essi devono comprendere non solo ciò che viene definito il «paniere alimentare»ma anche le cure sanitarie e le cure personali, l’istruzione, l’alloggio, l’abbigliamento, la mobilità, la sicurezza, il tempo libero, le relazioni sociali, la sicurezza legata all’infanzia e i dieci campi identificati per la metodologia comune nel progetto sui bilanci di riferimento. Uno dei meriti di questi bilanci di riferimento, fortemente promossi dai ricercatori e da ONG come l’EAPN e l’EMIN, consiste nella loro utilità ai fini della verifica della validità degli indicatori di povertà utilizzati finora per fissare le soglie di povertà.

3.2.5

Sarebbe altresì importante valutare in che modo l’introduzione di un reddito minimo potrebbe condurre a una razionalizzazione dei sussidi sociali in taluni paesi. Questo è l’approccio sotteso, per esempio, alla proposta di un «reddito universale d’attività»formulata nel piano di lotta contro la povertà presentato dal Presidente della Repubblica francese, proposta che mira a «garantire una soglia minima di dignità a tutti coloro che possono beneficiarne»grazie alla «fusione della maggior parte delle prestazioni sociali». Analogamente, in Germania, l’introduzione di un reddito minimo di solidarietà — che è oggi al centro di un vivace dibattito — consentirebbe di lottare contro la povertà, in particolare per i disoccupati di lunga durata, semplificando il sistema di sussidi sociali. Il governo tedesco ha già previsto di destinare a questo scopo una dotazione finanziaria di 4 miliardi di EUR fino al 2021.

Bruxelles, 20 febbraio 2019

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://www.bmas.de/SharedDocs/Downloads/DE/PDF-Publikationen/Forschungsberichte/fb491-eu-rechtsrahmen-soziale-grundsicherungssysteme.pdf;jsessionid=99C4D0B602A57E640467F949B3C34894?__blob=publicationFile&v=2.

(2)  https://eminnetwork.files.wordpress.com/2017/11/2017-nov-emin-la-route-de-lue-vers-le-revenu-minimum-fr-pdf-novembre-17.pdf; https://www.eapn.eu/wp-content/uploads/Working-Paper-on-a-Framework-Directive-EN-FINAL.pdf.

(3)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23. Per memoria, il gruppo Datori di lavoro del CESE aveva elaborato una dichiarazione in merito a tale parere e aveva votato contro l'adozione del parere stesso.

(4)  Eurostat.

(5)  Risoluzione del Parlamento europeo del 2015, basata su statistiche pubblicate da Eurostat.

(6)  Proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea, 2010.

(7)  Cfr. la base di dati MISSOC: https://www.missoc.org-database/comparative-tables/results/.

(8)  L'introduzione di un reddito minimo è un elemento del programma della coalizione di governo tedesca e rientra nel piano per la lotta alla povertà presentato nel settembre 2018 dal Presidente della Repubblica francese.

(9)  http://www.ilo.org/global/topics/decent-work/lang–en/index.htm.

(10)  https://eminnetwork.files.wordpress.com/2017/11/2017-nov-emin-la-route-de-lue-vers-le-revenu-minimum-fr-pdf-novembre-17.pdf.

(11)  https://www.eapn.eu/wp-content/uploads/Working-Paper-on-a-Framework-Directive-EN-FINAL.pdf.

(12)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-10434-2016-INIT/it/pdf.

(13)  GU C 173 dell'31.5.2017, pag. 15.

(14)  Considerando 12 del pilastro europeo dei diritti sociali.


ALLEGATO

Il seguente emendamento è stato respinto dall’Assemblea ma ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno):

Sostituire il titolo e l’intero parere con il seguente testo (motivazione alla fine del documento):

Un quadro europeo in materia di reddito minimo

Conclusioni e proposte

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha contribuito attivamente al dibattito che si svolge in Europa sulla riduzione della povertà. In particolare, l’idea di un reddito minimo a livello europeo è stata molto dibattuta in passato dal Comitato in alcuni suoi pareri, oltre che nel parere della sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza sul tema «Per una direttiva quadro europea in materia di reddito minimo». Il CESE ritiene necessario proseguire la lotta contro la povertà, ma le opinioni divergono fortemente quanto alla scelta degli strumenti adeguati per condurre tale lotta. Pur esprimendo sincero apprezzamento per gli sforzi profusi dal relatore del parere citato per raggiungere un compromesso, non è tuttavia possibile condividere la sua visione di uno strumento vincolante per l’introduzione di un reddito minimo a livello europeo.

Il presente controparere intende proporre un approccio costruttivo e globale per la riduzione della povertà negli Stati membri. Il presente testo prende come punto di partenza il fatto che il principio di sussidiarietà e la ripartizione delle competenze, sanciti nei Trattati dell’UE, indicano chiaramente gli Stati membri quali unici soggetti competenti dell’assetto dei sistemi di sicurezza sociale. Pertanto, gli interventi a livello europeo dovrebbe fondarsi sul metodo aperto di coordinamento, in quanto metodo principale atto a fornire sostegno agli Stati membri, e su un apprendimento reciproco degli approcci migliori adottati a livello nazionale. Il presente controparere propone un approccio globale volto a massimizzare la portata delle azioni condotte in ambito UE a tale riguardo.

La lotta alla povertà dovrebbe essere un impegno comune dell’Unione europea e degli Stati membri. Secondo la Relazione comune sull’occupazione del 2019, i redditi delle famiglie continuano ad aumentare in quasi tutti gli Stati membri. Il numero totale di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale — 113 milioni o, in percentuale, il 22,5 % della popolazione totale — benché attualmente inferiore ai livelli precedenti la crisi, è inaccettabile e, a lungo termine, insostenibile. L’attuale ripresa economica offre l’occasione di intensificare il ritmo delle riforme volte a migliorare l’inclusività, la resilienza e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale. Esistono tuttavia rischi di indebolimento della ripresa, che impongono agli Stati membri di cogliere con urgenza questa opportunità.

Se è vero che l’obiettivo della strategia Europa 2020 di ridurre il numero delle persone a rischio di povertà ha dato buoni risultati, in particolare sulla spinta di una robusta ripresa dell’economia e del mercato del lavoro, occorre fare di più per favorire questa tendenza positiva.

Il presente controparere formula raccomandazioni in merito ai seguenti aspetti:

1.

Le politiche dell’UE e degli Stati membri dovrebbero concentrare la loro attenzione sul proseguimento delle loro iniziative di riforma e sulla creazione di condizioni favorevoli all’incremento dell’occupazione: sono questi i fondamenti per tutte le azioni di riduzione della povertà. Nel secondo trimestre del 2018 gli occupati nell’UE erano 239 milioni, il livello più alto dall’inizio del XXI secolo. Al ritmo attuale, l’UE è sulla buona strada per raggiungere il traguardo stabilito dalla strategia Europa 2020 di un tasso di occupazione del 75 % nel 2020. Questo andamento positivo dovrebbe contribuire anche a raggiungere un altro obiettivo di Europa 2020, quello di riduzione della povertà. Politiche economiche sane accompagnate dal proseguimento delle riforme strutturali, in particolare per quanto riguarda i mercati del lavoro e i sistemi di protezione sociale degli Stati membri, costituiscono il necessario presupposto di una crescita economica, di un’occupazione e di un benessere dei cittadini sostenibili.

2.

Oltre al ruolo fondamentale che rivestono politiche sane in campo economico e per il mercato del lavoro, nella lotta alla povertà occorre anche un approccio integrato con una combinazione mirata di politiche. Nell’ambito di tale approccio il reddito minimo ha una funzione importante, ma andrebbe inquadrato nel contesto di politiche e servizi integrati in materia di occupazione, con particolare riguardo ai servizi sociali e sanitari e alle politiche abitative. Difatti, in tutti i paesi dell’UE il sostegno al reddito minimo ha subito un’evoluzione, e da mero sostegno economico è diventato una misura attiva destinata ad accompagnare i suoi beneficiari nel processo di transizione dall’esclusione sociale alla vita attiva. In quanto tale, esso dovrebbe essere considerato una soluzione temporanea per fornire un sostegno ai singoli cittadini per un periodo di transizione fintantoché ne abbiano bisogno. Questo tipo di integrazione inclusiva, basata su politiche di attivazione, è un passo nella direzione giusta.

3.

Tenuto conto del principio di sussidiarietà, il livello più idoneo al quale affrontare la questione del reddito minimo e attuare misure di riduzione della povertà è il livello nazionale. Conformemente a tale principio, tutti i paesi dell’UE hanno introdotto sistemi di reddito minimo in linea con le rispettive prassi e con i risultati economici a livello nazionale. Per ovvi motivi, le definizioni, le condizioni e i livelli di applicazione sono diversi da uno Stato membro all’altro.

4.

Vi sono margini per un’azione a livello dell’UE che sostenga gli sforzi degli Stati membri in questo campo. Il CESE raccomanda di adottare un approccio pragmatico che rispetti il principio di sussidiarietà, ottimizzando nel contempo gli effetti delle attività a livello europeo sia a sostegno dello sviluppo di sistemi di reddito minimo negli Stati membri sia di orientamento in materia. L’Unione europea, e in particolare la Commissione europea, dovrebbero svolgere un ruolo più attivo, sostenendo gli sforzi degli Stati membri. È quindi necessario definire, all’interno del processo del semestre europeo, una strategia coordinata a livello nazionale ed europeo che si concentri su azioni di ampio respiro e su misure specifiche, tenendo conto del ruolo dei bilanci di riferimento nazionali.

Il modo in cui gli Stati membri conseguono gli obiettivi di riduzione della povertà dovrebbe essere oggetto di un monitoraggio nell’ambito del semestre europeo, il che presuppone un maggiore coordinamento. I progressi compiuti potrebbero essere sostenuti e monitorati attraverso indicatori/parametri di riferimento stabiliti di comune accordo. Il comitato per l’occupazione (EMCO) e il comitato per la protezione sociale (CPS) sono attualmente al lavoro per rafforzare la funzione di questi parametri di riferimento, e del resto il comitato per la protezione sociale tiene già conto di uno specifico parametro di riferimento sui redditi minimi. È questo il modo adeguato per realizzare progressi.

5.

Alla luce della dichiarazione comune su «Un nuovo inizio per un dialogo sociale più forte», firmata dalle parti sociali europee il 26-27 gennaio 2016, sarebbe opportuno continuare a rafforzare il ruolo e la capacità delle parti sociali — poiché sono loro i principali attori dei mercati del lavoro — a livello sia europeo che nazionale per quanto riguarda i processi di elaborazione delle politiche e delle riforme strutturali. Anche le organizzazioni della società civile hanno un loro ruolo da svolgere per contribuire a questo processo costruendo un’Europa più vicina ai suoi cittadini.

6.

Infine, l’approccio adottato nel presente controparere è conforme al pilastro europeo dei diritti sociali, il quale «dovrebbe essere attuato a livello dell’Unione e degli Stati membri nell’ambito delle rispettive competenze, tenendo conto dei diversi contesti socioeconomici e della diversità dei sistemi nazionali, compreso il ruolo delle parti sociali, e nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità» (1) .

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 92

Voti contrari: 142

Astensioni: 8


(1)  Proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali: Preambolo, considerando (17)