15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/07)

Relatrice:

Gabriele BISCHOFF

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 6 voti contrari e 10 astensioni.

«L’Unione europea deve essere una comunità di cittadini, non di banche. Il suo sistema di funzionamento è la democrazia, il suo futuro la giustizia sociale (1)».

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Un’autentica stabilizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM) è possibile soltanto a condizione di rimediare alle carenze nell’architettura dell’UE e di intraprendere, a tal fine, profonde riforme; e per far ciò è necessaria una modifica dei Trattati nel quadro di una Convenzione. Dato che ciò sarà poco realistico prima del 2018, fino ad allora dobbiamo adottare altre misure per conferire all’UEM un carattere più democratico e sociale nel quadro dei Trattati esistenti e fare in modo che le regole che essa si è imposta vengano anche rispettate.

1.2.

Più si continua con l’attuale politica di risparmio, che tende innanzitutto a ridurre le spese, senza un efficace piano di investimenti per generare reddito attraverso la crescita e garantire la coesione sociale e la solidarietà, più diventa evidente che l’aumento delle disuguaglianze sociali mette a rischio l’integrazione economica e la prosperità dell’Europa.

1.3.

Mantenere la situazione attuale non può, pertanto, essere un’opzione. Piuttosto, bisogna rafforzare la coesione sociale, politica ed economica ed evitare in tal modo la disgregazione dell’area dell’euro. Il CESE concorda nel ritenere che le divergenze nelle economie dei paesi dell’UEM debbano essere considerate con maggiore attenzione e che in tali paesi debbano essere condotte riforme strutturali equilibrate, basate sui requisiti dell’Unione monetaria e in sintonia con le esigenze nazionali, al fine di garantire la necessaria convergenza. Inoltre, il CESE reputa indispensabile una gestione della domanda a breve termine.

1.4.

Il CESE auspica una maggiore «parlamentarizzazione» della zona euro, con una «grande commissione» del PE che riunisca tutti i deputati dei paesi che fanno parte dell’eurozona o che intendono entrarvi (26 Stati membri), unitamente a un maggiore coordinamento dei parlamentari della zona euro in merito alle questioni dell’UEM (COSAC +). Tutto ciò può essere intrapreso già adesso, in tempi relativamente brevi.

1.5.

Il CESE fa notare che alcuni degli obiettivi di politica economica della governance economica degli ultimi anni devono essere messi meglio in sintonia con gli obiettivi di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che occorre porre rimedio a possibili conflitti tra gli obiettivi sociali e quelli economici. In base alla clausola sociale orizzontale, tutte le misure adottate nel semestre europeo sono soggette a una valutazione d’impatto sociale. E i risultati di detta valutazione dovrebbero essere resi pubblici e discussi a livello nazionale e dell’UE. Nell’ambito delle sue competenze, il CESE può assicurare il suo sostegno a questo esercizio.

1.6.

Superare le differenze nei modi di funzionamento dei mercati del lavoro, nei sistemi con cui vengono fissati i salari e nei regimi di protezione sociale contribuisce in misura rilevante a rendere l’UEM democratica e sociale.

1.7.

Il CESE è dell’avviso che un dialogo macroeconomico in seno alla zona euro (MED-EURO) possa recare un contributo decisivo al consolidamento dell’UEM sul piano democratico e sociale, che i risultati e le conclusioni di tale dialogo vadano presi in considerazione sia al momento di elaborare l’analisi annuale della crescita sia ai fini del quadro di valutazione (scoreboard) e delle raccomandazioni specifiche per paese.

2.   Sfide e criteri per un’UEM democratica e sociale

2.1.

Il CESE ha già adottato diversi pareri contenenti proposte specifiche sui modi di migliorare la configurazione dell’UEM. Tuttavia, mentre in alcuni di essi si delineano scenari futuri, nel presente parere vengono formulate proposte sui modi di sviluppare ulteriormente, il più rapidamente possibile e nel quadro del metodo comunitario, la configurazione democratica e sociale dell’UEM, così da migliorarne la resilienza democratica e metterla in grado di adempiere gli obblighi sociali imposti dai Trattati. Prima del 2018, infatti, è poco probabile che si proceda effettivamente a modifiche generali dei Trattati. Nel contempo, però, vi è ancora la preoccupazione che gli strumenti intergovernativi, e in particolare il Patto di bilancio, compromettano il metodo comunitario e favoriscano una divisione dell’Europa (2). Inoltre, più si continua con la politica di risparmio, che tende innanzitutto a ridurre le spese, senza che essa sia quantomeno integrata da un piano di investimenti e da altre misure che generino crescita e garantiscano coesione sociale e solidarietà, più diventa evidente che l’aumento delle disuguaglianze sociali mette a rischio l’integrazione economica e la prosperità dell’Europa.

2.2.

La crisi nella zona euro ha messo a nudo i vizi strutturali dell’Unione monetaria. Poiché fin dall’inizio si è trascurato di coordinare le diverse politiche economiche nazionali, su molti aspetti i percorsi dei singoli membri di tale Unione hanno finito per allontanarsi tra loro (3).

2.3.

Durante la crisi, il metodo intergovernativo è apparso l’unica possibilità di giungere rapidamente alla realizzazione di strumenti cruciali dell’UEM, come ad esempio il Patto di bilancio, in quanto alcuni Stati membri non sarebbero stati d’accordo con una modifica del trattato. È vero che, durante la crisi, alcuni strumenti sono stati migliorati; ma, d’altro canto, vi è ampio consenso sul fatto che fino ad ora sia mancato un contributo parlamentare adeguato alla configurazione dell’UEM e al controllo della sua attuazione. È giunto il momento di cambiare rotta, muovendosi in direzione di una politica d’integrazione coerente. Il gruppo dei ministri degli Esteri (4) ha pertanto raccomandato, già nel 2012, di assicurare, in tutte le misure adottate, la piena legittimità e responsabilità democratiche, e di rafforzare pertanto la cooperazione tra il PE e i parlamenti nazionali (5). La Commissione europea, nel suo documento di riflessione, propone un approfondimento dell’UEM basato sul quadro istituzionale e giuridico stabilito dai Trattati. Così facendo, infatti, l’Eurogruppo potrebbe intraprendere misure specifiche, purché aperte a tutti gli Stati membri.

2.4.

Nella prassi politica europea vengono adottate sempre più soluzioni intergovernative — quali ad esempio il Patto di bilancio — e ciò fa crescere il rischio di creare un «regime internazionale accessorio». La relazione dell’allora presidente del Consiglio Van Rompuy, presentata nel dicembre 2012, ha posto l’accento sull’importanza di una lettura comune per l’attuazione di riforme più profonde, nonché sulla necessità di un alto grado di coesione sociale, di una forte partecipazione del PE e dei parlamenti nazionali e di un dialogo rinnovato con le parti sociali. Ed anche l’appropriazione (ownership) del progetto europeo da parte degli Stati membri dovrebbe essere migliorata. L’allora presidente del Consiglio europeo (6) ha così introdotto la dimensione sociale e il ruolo specifico delle parti sociali in un dibattito che, fino a quel momento, era orientato soprattutto verso questioni di politica economica e di bilancio nonché sulla mancanza di legittimità democratica.

2.5.

Dopo le elezioni europee del 2014, con una presidenza della Commissione uscita rafforzata dal voto democratico, sono state avanzate nuove proposte di discussione:

a)

la nota analitica «Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi», presentata il 12 febbraio 2015 dai quattro Presidenti (7);

b)

la relazione «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa», presentata il 22 giugno 2015 dai cinque Presidenti (8).

2.6.

Il CESE prende atto di tali proposte, che valuterà in funzione della misura in cui la loro concezione contribuisca all’ulteriore progresso della governance economica verso un’Unione sociale, democratica, solidale e politica che garantisca un’adeguata partecipazione dei cittadini dell’UE e delle parti sociali.

2.7.

Il CESE è dell’avviso che l’UEM abbia bisogno di un effettivo rafforzamento della cooperazione intraunionale, come descritto per sommi capi anche nel Piano (blueprint) presentato dalla Commissione. Ampliando la domanda anziché strangolarla, tale cooperazione rafforzata consentirebbe di ravvicinare le prestazioni economiche dei diversi paesi nel quadro di un economia di crescita e prosperità. E ciò significa anche armonizzare verso l’alto gli standard di protezione sociale e i diritti dei lavoratori.

2.8.

La coesistenza del metodo comunitario, di iniziative intergovernative (quali, ad esempio, il «Patto di bilancio») e di nuove «forme intermedie» in virtù delle quali la Commissione o la Corte di giustizia europea svolgono funzioni di vigilanza riguardo all’applicazione degli accordi fra Stati, ha nuovamente ingenerato confusione per quanto concerne i soggetti implicati, la loro legittimità e le loro responsabilità. In una situazione di questo tipo, la trasparenza e il pieno controllo democratico non possono essere garantiti, e ciò ha dato adito a numerose critiche. La crisi ha infatti reso prioritaria la ricerca di soluzioni rapide, pur se con l’obiettivo dichiarato di ricondurre poi i singoli accordi internazionali nell’alveo del metodo comunitario. Questa situazione perdurerà almeno fino al 2018, stando a quanto affermato dai cinque Presidenti, secondo il cui calendario la questione della piena democratizzazione dell’UEM viene dunque rinviata, mentre l’Unione politica non riceve sufficiente attenzione nella loro relazione. Nel frattempo, il dialogo avviato tra il Parlamento europeo, il Consiglio e l’Eurogruppo nell’ambito del semestre europeo e la cooperazione tra i parlamenti nazionali e la Commissione e tra parlamentari nazionali ed eurodeputati (COSAC) dovrebbero rafforzare la fiducia e favorire un’azione comune. A tale proposito, il CESE fa osservare che un dialogo rafforzato non può sostituire la politica d’integrazione. Il metodo comunitario deve ora essere ulteriormente potenziato e costituire la base di un’UEM che funzioni davvero anziché far coesistere più regimi internazionali diversi.

3.   Una migliore governance dell’UEM grazie a una maggiore partecipazione, trasparenza e responsabilità

3.1.

Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali può contribuire a una migliore governance dell’UEM, mentre il dialogo strutturato con la società civile aiuta a migliorare la resilienza democratica. Il CESE è pronto a svolgere un ruolo specifico in tal senso, mettendo a disposizione la sua esperienza e le sue risorse, come fa già, per esempio, con riguardo alla strategia Europa 2020 (9).

3.2.

La questione dell’«implicazione», in particolare delle parti sociali, sollevata dal presidente Van Rompuy, rischia di rivelarsi molto più difficile, tanto più che le parti sociali — a differenza dei governi — sono finora state implicate solo in misura del tutto insufficiente nella definizione degli obiettivi e/o degli strumenti della governance economica. E come si può indurle a collaborare ad una politica sui dettagli della quale esse hanno ben poca voce in capitolo? In quanto parti sociali e attori economici, esse esercitano peraltro un’influenza decisiva sul livello e sulla stabilità dei prezzi, e al riguardo l’UEM rappresenta il quadro globale di riferimento per i diversi sistemi da esse adottati per determinare i salari e definire la politica occupazionale e sociale.

3.3.

Nel 2013 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla dimensione sociale dell’UEM (10) e ha cercato di affrontare le preoccupazioni degli attori della società civile. Sviluppi economici «problematici» dovrebbero essere individuati e contrastati fin dai loro inizi, dato che il persistere delle diseguaglianze sociali può compromettere la stabilità finanziaria ed economica dell’UEM. Nei dibattiti seguiti alla pubblicazione del documento, sono emerse essenzialmente due scuole di pensiero. Una parte dal presupposto che la dimensione sociale dell’UEM potrebbe essere un «pilastro» aggiuntivo applicato su base volontaria — diversamente delle procedure vincolanti di politica economica e di bilancio. L’altra, cui appartiene anche il CESE, osserva invece che alcuni degli obiettivi di politica economica sono in contrasto con quelli di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che tali conflitti di obiettivi devono essere denunciati pubblicamente ed eliminati.

3.4.

La Commissione intende coinvolgere le parti sociali in maniera più incisiva e condurre uno scambio di vedute sull’evoluzione dei salari e la contrattazione collettiva; e ha già adottato diverse misure in tal senso. Inoltre, essa desidera scambiare opinioni con le parti sociali nel quadro del semestre europeo e invoca un maggiore coinvolgimento delle parti sociali negli Stati membri. Il CESE stesso ha presentato molte proposte concrete per associare meglio le parti sociali alla governance economica (cfr. il parere SOC/507) (11). Quantomeno la nuova ripartizione delle deleghe all’interno della Commissione, e in particolare le ampie competenze attribuite al suo vicepresidente Dombrovskis, può essere considerata come un indizio della volontà di prestare una maggiore attenzione alla partecipazione delle parti sociali.

4.   Proposte e valutazione

4.1.    La relazione dei Presidenti

4.1.1.

Il CESE parte dal presupposto che la relazione presentata il 22 giugno 2015 dai cinque Presidenti (12), intitolata «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa» (13), sarà il filo conduttore per il futuro, ulteriore sviluppo delle strutture per la governance economica dell’Europa. È infatti del parere che, per affrontare i persistenti squilibri nonché instaurare un clima di fiducia, sia necessaria una governance economica più efficace e democratica, in particolare nella zona euro (14). L’analisi contenuta nella relazione, invece, parte da presupposti in parte errati, il che, malgrado alcuni aspetti condivisibili, porta a conclusioni problematiche: senza le necessarie correzioni di rotta, si prosegue con la politica improntata al risparmio e dunque con l’ulteriore riduzione dei salari e della protezione sociale. Certo, vi si riconosce che ad oggi non esistono ancora le condizioni minime per garantire la capacità dell’UEM di sopravvivere a lungo termine; e tuttavia vi si raccomanda di rafforzare, e anzi istituzionalizzare stabilmente, la politica di lotta alla crisi condotta finora — il che, ad avviso del CESE, costituisce una contraddizione.

4.1.2.

L’attuale situazione economica della zona euro, catastrofica anche se paragonata a quella degli Stati Uniti o del Giappone, non viene imputata alla politica che ci si ostina a perseguire per combattere la crisi, bensì alla mancanza di competitività di singoli Stati membri dovuta alla disparità dei livelli salariali e dei deficit nazionali. Il CESE deplora il fatto che le sfide a breve termine di politica macroeconomica, quali l’inflazione e la deflazione ma anche la mancanza di una politica anticiclica a partire dal 2010 e l’eccessiva debolezza della domanda, vengano ignorate, e si prosegua con una politica di aggiustamento ampiamente asimmetrica. Il problema di fondo diventato evidente durante la crisi, vale a dire il fatto che, a differenza degli Stati Uniti, del Giappone e del Regno Unito, all’intera zona euro manchi un «creditore di ultima istanza», viene purtroppo totalmente eluso dai cinque Presidenti.

4.1.3.

Si trascura completamente di considerare i differenti approcci adottati dalle banche centrali, che negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno indotto una ripresa relativamente rapida, mentre nel resto d’Europa hanno anzitutto aggravato la situazione. Invece di una politica di stabilizzazione anticiclica, bisognerebbe potenziare gli strumenti di governance economica esistenti, anche attraverso consigli competitività nazionali che concentrino la loro attenzione sulla riduzione dell’indebitamento (deleveraging) e su un’evoluzione dei salari orientata alla produttività. Il CESE deplora che non sia stata colta l’occasione per valutare i fondamenti dei meccanismi normativi esistenti in termini di sostenibilità a lungo termine, integrandoli in una prospettiva più fortemente paneuropea.

4.1.4.

E si rammarica che i Presidenti imputino l’andamento dell’economia, chiaramente peggiore di quello atteso, unicamente al fatto che i nuovi meccanismi di governance economica, come pure i programmi di aggiustamento dei paesi colpiti dalla crisi, siano stati attuati in misura insufficientemente e configurati in maniera inadeguata. L’eccessiva enfasi sulle riforme strutturali e sulla competitività dei prezzi degli Stati membri per il completamento dell’Unione monetaria (capitolo 1) non tiene conto del fatto che le riforme strutturali e i meccanismi di formazione salariale sono oggetto di negoziati permanenti e di una ricerca di soluzioni a livello locale basati su principi democratici. In tal modo, però, i cinque Presidenti si pongono come soggetti che, dall’esterno, vogliono far aderire più strettamente gli Stati membri a parametri di riferimento definiti in modo arbitrario, senza rafforzare la legittimità democratica e senza ristabilire un senso di «appropriazione» (ownership).

4.1.5.

Il CESE teme pertanto che l’assenza, nella relazione, della prospettiva di un’Unione di bilancio a pieno titolo delegittimi ulteriormente la zona euro negli Stati membri, in particolare perché una «dose maggiore della stessa medicina» non contribuirà a migliorare la prosperità economica di tutti i loro cittadini e perché continua a prevalere un’ottica nazionale. Il CESE giudica le misure proposte per l’integrazione dei mercati del lavoro e dei sistemi di previdenza sociale assolutamente insufficienti, tra l’altro perché — in contrasto con la retorica dei Presidenti, che proclamano di voler conseguire per la zona euro un «rating sociale di tripla A» — ad esse viene di fatto attribuita un’importanza secondaria. Il CESE ritiene che lo sviluppo di un’Unione sociale sia un elemento fondamentale di un’UEM democratica e sociale, e non una sua semplice appendice.

4.2.    L’analisi e le proposte del Centro Bruegel  (15)

4.2.1.

Il Centro di riflessione europeo «Bruegel» constata che l’UEM è stata caratterizzata, fin dal suo inizio, da differenze significative nelle condizioni economiche, sociali e politiche dei suoi Stati membri, alle quali vanno imputati gli insuccessi delle politiche attuate in ciascuno di essi e l’inadeguatezza della governance economica europea. Esso propone una riforma di quest’ultima negli ambiti dell’Unione bancaria e della vigilanza macroprudenziale del settore finanziario, misure atte a evitare forti divergenze nel costo unitario del lavoro e una governance della politica di bilancio che possa garantire bilanci sostenibili nei singoli Stati membri e metta a disposizione risorse in caso di crisi bancaria e del debito sovrano. Nei suoi ultimi pareri in materia (16), il CESE ha presentato delle proposte del tutto simili a queste.

4.2.2.

I flussi di capitali provenienti da paesi con un surplus («paesi eccedentari») hanno contribuito a un surriscaldamento nei paesi con un disavanzo («paesi deficitari»), con conseguenti aumenti dei salari nominali. Gli squilibri finanziari hanno finora ricevuto troppo poca attenzione, e ciò è in contrasto con l’intento di una maggiore integrazione dei mercati finanziari.

4.2.3.

La politica di bilancio prociclica del 2011-2013 e l’assenza di una politica di bilancio anticiclica nel 2014 hanno aggravato ulteriormente, e al tempo stesso inutilmente, le difficoltà sociali (17). La politica dovrebbe pertanto, oltre ad attuare le riforme strutturali necessarie, aprire anche delle prospettive per le persone, ad esempio creando condizioni quadro favorevoli agli investimenti privati al fine di offrire nuovamente opportunità di lavoro a lungo termine. Inoltre, la politica dovrebbe adottare misure per rafforzare la competitività, in modo da generare reddito e benessere e garantire così la stabilità sociale a beneficio di tutti. Il CESE, dunque, è nettamente favorevole alla conclusione secondo cui è necessario e urgente incrementare la domanda aggregata e far risalire l’inflazione. Inoltre, la Banca centrale europea deve essere esonerata dai compiti di politica di bilancio e adeguamento del costo unitario del lavoro, che esulano dal suo mandato ma che essa esercita di fatto per supplire all’inerzia politica delle altre istituzioni.

4.2.4.

A giudizio del CESE, occorre impegnarsi di più per affrontare le questioni fondamentali relative alla legittimità democratica. Il CESE è decisamente a favore di una piena «parlamentarizzazione» dell’area dell’euro («grande commissione» del PE, con tutti i deputati dei paesi che sono membri dell’UEM o intendono aderirvi). E anche l’implicazione dei parlamentari dell’eurozona nelle questioni relative all’UEM in sede COSAC dovrebbe essere migliorata (18).

4.2.5.

La COSAC stessa ha sottolineato, nel 2014, che molti parlamenti non sono ancora sufficientemente coinvolti, ed ha espresso preoccupazione per una tale distorsione del legame tra l’UE ed i suoi cittadini. Essa ha invitato la Commissione e il Consiglio a elaborare, insieme con i parlamentari, proposte concrete per rimediare a questa situazione (19). Le forme di partecipazione previste all’articolo 13 del Patto di bilancio sono senz’altro dei passi nella direzione giusta, ma non ancora sufficienti a garantire un’autentica parlamentarizzazione.

4.3.    Una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori economici

4.3.1.

Superare le differenze nei modi di funzionamento dei mercati del lavoro, nei sistemi con cui vengono fissati i salari e nei regimi di protezione sociale contribuisce in misura rilevante a rendere l’UEM democratica e sociale. Un sistema federale come quello degli Stati Uniti, con un mercato del lavoro unico e istituzioni e sistemi sociali uniformi, in Europa non sembra realizzabile nel breve termine. Occorrerebbe inoltre rafforzare simmetricamente la procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM) ed associarvi le parti sociali.

4.3.2.

Il CESE fa notare che alcuni degli obiettivi di politica economica della governance economica degli ultimi anni devono essere messi meglio in sintonia con gli obiettivi di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che occorre porre rimedio a possibili conflitti tra gli obiettivi sociali e quelli economici. In base alla clausola sociale orizzontale, tutte le misure adottate nel semestre europeo sono soggette a una valutazione d’impatto sociale. I risultati di detta valutazione dovrebbero essere resi pubblici e discussi a livello nazionale e dell’UE. Nell’ambito delle sue competenze, il CESE può assicurare il suo sostegno a questo esercizio.

4.3.3.

Nella relazione dei cinque Presidenti si parla di un’Unione finanziaria, politica e di bilancio, ma non si persegue l’obiettivo di una Unione sociale. Si propone di rafforzare un modello europeo «unico nel suo genere», ma non si fa più riferimento al modello sociale europeo, anch’esso «unico». È vero che si persegue l’obiettivo della «tripla A sociale», ma il modo in cui si dovrebbe raggiungerlo nell’ambito di un’UEM approfondita resta più che mai vago. Le questioni sociali vengono tutt’al più affrontate in maniera marginale oppure nel contesto di una più intensa permeabilità dei mercati del lavoro negli Stati membri. Gli elementi chiave in questo caso sono uno zoccolo minimo di protezione sociale, regimi efficaci di previdenza sociale negli Stati membri nonché nuove iniziative di «flessicurezza» nel diritto del lavoro, senza però che tutto ciò venga ulteriormente precisato.

4.3.4.

Ai governi degli Stati membri incombe una grande responsabilità per l’ulteriore sviluppo di un’UEM democratica e sociale. E lo stesso vale per le parti sociali, sia nazionali che europee, per le quali l’UEM rappresenta il quadro globale cui devono conformarsi i diversi sistemi da loro adottati per fissare i salari e definire la politica occupazionale e sociale. In quanto attori economici e sociali, questi soggetti svolgono un ruolo decisivo ai fini del rispetto dell’obiettivo comune di stabilità dell’UEM.

4.3.5.

Il CESE ribadisce che un’Unione monetaria in cui l’andamento dei prezzi e dei salari differisca da uno Stato membro all’altro determina necessariamente degli squilibri tra le regioni della stessa area monetaria — una situazione, questa, in cui degli shock esterni possono provocare una crisi sociale e politica e acuire ulteriormente le divergenze (20). Il CESE reputa quindi ineludibile un dibattito serio su un’architettura dell’UEM basata su fondamenta salde, che implichi un consenso sugli obiettivi economici e sociali e una governance concordata (21); e ne conclude che, all’interno dell’eurozona, sia necessario rafforzare e approfondire il dialogo macroeconomico (MED).

4.3.6.

Nell’UE il dialogo macroeconomico è stato avviato dal Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 al fine di pervenire a un mix sostenibile di politiche macroeconomiche orientate alla crescita e alla stabilità, ossia a un’interazione priva di attriti tra la dinamica salariale e la politica monetaria e di bilancio. I suoi obiettivi sono ancora attuali: promuovere la crescita e l’occupazione mantenendo nel contempo la stabilità dei prezzi, sfruttare appieno il potenziale produttivo e incrementare la crescita potenziale (22). Il CESE deplora che, nel corso degli anni, tale sede di dialogo sia stata via via indebolita e che, dall’inizio della crisi, non venga più utilizzata per democratizzare gli strumenti della governance economica e rafforzare il senso di appropriazione nello spazio monetario comune dell’UEM.

4.3.7.

Il CESE è dell’avviso che un dialogo macroeconomico dell’area dell’euro (MED-EURO) possa recare un contributo decisivo al consolidamento dell’UEM sul piano democratico e sociale, purché però il novero dei partecipanti al dialogo sia adeguato alle esigenze di quest’ultimo. Per mantenere la capacità di dialogo nell’ambito del MED-EURO, è infatti imperativo limitare il numero dei partecipanti: oltre ai rappresentanti delle parti sociali, della Banca centrale europea, dell’Eurogruppo e della Commissione (nel pieno rispetto della loro autonomia e indipendenza), dovrebbe prendervi parte, su un piano di parità, la presidenza della commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo.

4.3.8.

Ad avviso del CESE, il MED-EURO dovrebbe riunirsi almeno due volte all’anno e diventare parte integrante della governance economica dell’UEM. I risultati e le conclusioni di tale dialogo andranno quindi presi in considerazione sia nell’elaborare l’analisi annuale della crescita sia ai fini del quadro di valutazione (scoreboard) e delle raccomandazioni specifiche per paese. Nel contesto generale delle politiche monetarie, di bilancio e salariali, nell’UEM si può instaurare un clima di fiducia e ottenere una maggiore convergenza senza perciò pregiudicare l’autonomia della contrattazione collettiva. E ciò, a sua volta, per analogia con il Patto di stabilità e crescita, potrebbe condurre a un grado più alto di (auto-)implicazione, vincolante e trasparente, di tutti gli operatori economici, ed avere l’effetto di un «Patto di stabilità e occupazione». Al riguardo, il CESE sottolinea l’importanza di un’interazione armoniosa tra la politica monetaria e di bilancio e la dinamica salariale al fine di incrementare la crescita e l’occupazione e rafforzare così la fiducia nell’Unione monetaria.

4.3.9.

In tal modo si privilegia un approccio diverso dalla proposta dei cinque Presidenti — analoga a quella del centro Bruegel — di creare autorità nazionali in materia di concorrenza che prendano parte al processo di formazione dei salari a livello nazionale e che, sempre secondo alla proposta dei cinque Presidenti, siano altresì coordinate a livello europeo. Prima di presentare la relazione sarebbe stato opportuno effettuare una consultazione preventiva delle parti sociali, perché, così come è stata formulata, la proposta dei Presidenti ha ben poche possibilità di successo.

4.3.10.

La prospettiva è chiara: in assenza di profonde riforme, sia istituzionali che politiche, l’UEM è destinata a rimanere sempre fragile. Il Comitato è estremamente preoccupato per la stabilità dell’UE, poiché le riforme necessarie — con o senza modifiche dei Trattati — sono adottate sempre e soltanto all’ultimo momento e in presenza di fortissime pressioni. Si tratta di tornare a rafforzare la coesione sociale, politica ed economica nell’UE e di perseguire un’integrazione economica e monetaria coerente, in modo da gettare le basi di un’UEM ben funzionante. Soltanto se i parlamentari, gli altri esponenti politici e le parti sociali daranno prova di coraggio e, a livello sia nazionale che europeo, dialogheranno con la società civile e si sforzeranno di trovare le soluzioni migliori, si riuscirà a far sì che l’UEM funzioni come dovrebbe.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  (Heribert PRANTL, alla presentazione del suo libro Europa — Traum oder Alptraum (L’Europa: sogno o incubo) a Ludwigsburg (Germania) il 14 luglio 2013).

(2)  E. Brok (PPE/DE), R. Gualtieri (S&D/IT) e G. Verhofstadt (ALDE/BE), The EP, the Fiscal compact and the EU institutions: a critical engagement (Il Parlamento europeo, il Patto di bilancio e le istituzioni dell’UE: un impegno cruciale).

(3)  Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe 2014 (Occupazione e sviluppi sociali in Europa), del 15 gennaio 2015, http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=en&pubId=7736

(4)  Relazione finale, del 17 settembre 2012, del gruppo sul futuro dell’Europa, composto dai ministri degli Affari esteri di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Spagna.

(5)  Ibidem, pag. 2 e seguenti.

(6)  In stretta collaborazione con i Presidenti Barroso, Juncker e Draghi.

(7)  «Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi», nota analitica elaborata da Jean-Claude Juncker in stretta cooperazione con Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem e Mario Draghi, riunione informale del Consiglio europeo del 12 febbraio 2015.

(8)  Relazione dei cinque Presidenti, «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa», http://ec.europa.eu/priorities/economic-monetary-union/docs/5-presidents-report_de.pdf

(9)  Parere del CESE sul tema «Bilancio della strategia Europa 2020 (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 105).

(10)  COM(2013) 690 final: «Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria».

(11)  Parere del CESE sul tema «Struttura e organizzazione del dialogo sociale nel quadro di un’autentica unione economica e monetaria (UEM)» (GU C 458 del 19.12.2014, pag. 1).

(12)  Ossia i Presidenti della Commissione europea, del Consiglio europeo, del Parlamento europeo, dell’Eurogruppo e della Banca centrale europea.

(13)  Cfr. la nota 8. In prosieguo si farà riferimento solo ai temi della relazione pertinenti ai fini del presente parere.

(14)  Parere del CESE sul tema «Completare l’UEM: il pilastro politico» (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8).

(15)  A. Sapir e G. Wolff, Euro-area governance: what to reform and how to do it (La governance della zona euro: che cosa riformare e come farlo), del 27 febbraio 2015 (http://www.bruegel.org/publications/publication-detail/publication/870-euro-area-governance-what-to-reform-and-how-to-do-it/).

(16)  Pareri del CESE sul completamento dell’UEM: «Proposte del Comitato economico e sociale europeo per la prossima legislatura europea» (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10) e «Completare l’UEM: il pilastro politico» (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8).

(17)  Z. Darvas e O. Tschekassin, «Poor and under pressure: the social impact of Europe’s fiscal consolidation» (Poveri e sotto pressione: l’impatto sociale del consolidamento di bilancio in Europa), Bruegel Policy Contribution 2015/04, marzo 2015.

(18)  Cfr. la nota 14..

(19)  Contributo della XLIX COSAC, Dublino, giugno 2014.

(20)  Parere del CESE sul tema «Conseguenze sociali della nuova legislazione sulla governance economica» (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23).

(21)  Cfr. la nota 14.

(22)  Risoluzione del Consiglio europeo sul Patto europeo per l’occupazione, Consiglio europeo di Colonia, 3 e 4 giugno 1999.