20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale»

[COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

e alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni»

[COM(2015) 635 final — 2015/0288 (COD)]

(2016/C 264/07)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2016, e il Parlamento europeo, in data 21 gennaio 2016, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale»

[COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

e alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni»

[COM(2015) 635 final – 2015/0288 (COD)].

La sezione specializzata «Mercato unico, produzione e consumo», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 61 voti contrari e 44 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE sostiene la necessità e l’opportunità di disciplinare alcune delle materie trattate nella comunicazione della Commissione [COM(2015) 633 final], in particolare quelle oggetto della proposta di direttiva concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale.

1.2

Tuttavia, il CESE è dell’avviso che altri fattori da esso individuati non solo siano molto più importanti per quel che riguarda la regolamentazione dei diritti contrattuali nei contratti di vendita online riguardanti beni mobili materiali, oltre che più decisivi e prioritari per gli obiettivi che si pone la Commissione — ossia la creazione di un mercato unico digitale — ma costituiscano anche i principali ostacoli allo sviluppo del commercio transfrontaliero.

1.3

In ogni caso, relativamente alle questioni contemplate, il CESE non concorda con la base giuridica invocata dalla Commissione e propone invece di utilizzare l’articolo 169 del TFUE.

1.4

Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo.

1.5

Il CESE ritiene che la regolamentazione di queste questioni attraverso due direttive e non mediante un unico strumento sia accettabile soltanto per ragioni di urgenza e di opportunità nella regolamentazione del commercio online di contenuti digitali.

1.6

È altresì dell’avviso che non sia sufficientemente giustificata la scelta attuata di un’armonizzazione totale mirata rispetto ad altre, ad esempio i contratti-modello certificati da un marchio di UE oppure un’armonizzazione minima conformemente all’articolo 169 del TFUE.

1.7

Per quanto riguarda gli aspetti attualmente disciplinati soltanto nella proposta relativa ai contratti di vendita online riguardanti beni mobili materiali, ritiene migliore una loro regolamentazione complessiva, da effettuare al momento della revisione della direttiva 1999/44/CE, della quale rappresentano uno dei capitoli, nel quadro dell’esercizio REFIT relativo al diritto dei consumatori.

1.8

Inoltre, con la proposta sulla vendita online di beni materiali, la Commissione ha creato due sistemi, istituendo un trattamento differente per la vendita di beni online e offline, il che è inaccettabile.

1.9

Se l’intenzione della Commissione venisse confermata nella sua forma attuale, il CESE raccomanda tutta una serie di miglioramenti da apportare al testo delle proposte, allo scopo di non limitare i diritti dei consumatori, assicurando effettivamente un livello di protezione elevato, come previsto dal TFUE;

1.10

insiste in particolare sulla regolamentazione della vendita di contenuti digitali, che considera prioritaria, e relativamente a essa, per motivi pratici, accetta la formula proposta dalla Commissione di armonizzazione massima mirata;

1.11

è in quest’ambito che si riscontrano tuttavia carenze nelle previsioni e difetti nelle disposizioni, che risultano incompatibili con un’armonizzazione massima e creano difficoltà insormontabili per il recepimento e l’applicazione negli Stati membri, a cui il Comitato cerca di ovviare con una serie di proposte specifiche.

2.   Introduzione: una comunicazione, due proposte di direttiva

2.1

Con la già citata comunicazione, la Commissione compie il primo passo nell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale per l’Europa (1) e realizza una delle misure più importanti del suo programma di lavoro per il 2015 (2). La proposta è intesa a «migliorare l’accesso online ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e le imprese», e consiste di due strumenti giuridici:

a)

una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale;

b)

una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni.

2.2

Consapevole del fatto che, da un punto di vista sistematico, i principali aspetti delle due proposte sono strettamente correlati alla direttiva su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (3), la Commissione ha sottolineato che esse sono «il più possibile coerenti». Ha poi precisato che «ha tuttavia deciso di adottare due strumenti legislativi dato che la specificità dei contenuti digitali richiede che varie disposizioni siano regolamentate diversamente da quelle relative ai beni» e che «il rapido sviluppo tecnologico e commerciale dei contenuti digitali richiederà un riesame dell’applicazione» della direttiva, anche al fine di giustificare l’incorporazione di dette disposizioni «in un unico strumento giuridico, ossia la direttiva relativa alla fornitura di contenuto digitale».

2.3

Con queste due proposte, la Commissione intende conseguire cinque obiettivi:

a)

riduzione dei costi derivanti dalle differenze tra le norme di diritto contrattuale;

b)

certezza del diritto per le imprese;

c)

incentivazione degli acquisti transfrontalieri online nell’UE;

d)

limitazione del danno subito in caso di contenuti digitali difettosi;

e)

equilibrio generale tra gli interessi dei consumatori e quelli delle imprese, e miglioramenti nella vita quotidiana.

2.4

La Commissione ritiene che in entrambi i casi l’armonizzazione «mirata» costituisca il metodo più appropriato. Saranno armonizzate completamente le norme applicabili ai contratti di fornitura di contenuto digitale e di vendita online di beni, nonché i diritti e gli obblighi imperativi delle parti in relazione ai suddetti contratti. Tale armonizzazione riguarda quasi tutte le disposizioni della direttiva, eccetto le norme relative alla formazione, alla validità e all’efficacia dei contratti, comprese le conseguenze della risoluzione del contratto (articolo 1, paragrafo 4, della proposta di direttiva sulla vendita a distanza), nonché taluni aspetti della loro esecuzione.

2.5

La Commissione limita espressamente il campo di applicazione alle disposizioni del diritto contrattuale applicabili alle relazioni tra imprese e consumatori, come indicato nella valutazione d’impatto (pag. 23), non essendovi indizi atti a far ritenere che le differenze in materia di diritto contrattuale impediscano alle imprese dell’UE di acquistare online in altri Stati membri. Riconosce che le PMI, in quanto parti più deboli con minore potere negoziale, incontrano anche difficoltà connesse con il diritto contrattuale, in particolare nell’utilizzo di contenuti digitali. Tuttavia alla luce, in particolare, delle posizioni espresse dalle parti interessate e dagli Stati membri, la Commissione ha deciso di analizzare la questione attraverso altre iniziative annunciate nel quadro della strategia per il mercato unico digitale.

2.6

Quanto allo strumento giuridico prescelto, la Commissione giustifica la sua decisione di optare per una direttiva anziché un regolamento nella convinzione che le direttive costituiscano strumenti più appropriati, nella misura in cui concedono agli Stati membri la libertà di scegliere la forma di recepimento nel diritto nazionale. A suo giudizio, questa opzione, associata a una piena armonizzazione mirata dei diritti imperativi dei consumatori, consentirà di stabilire un giusto equilibrio tra un elevato grado di protezione dei consumatori nell’UE e un significativo aumento delle opportunità per le imprese.

2.7

Secondo la Commissione tali direttive trovano giustificazione economica in alcune ipotesi, tra cui le seguenti:

a)

il mercato europeo del commercio elettronico ha ancora un grande potenziale di crescita da realizzare;

b)

la creazione di un mercato unico digitale stimolerà una crescita supplementare in Europa;

c)

le imprese dell’UE potranno rafforzare la loro competitività vendendo più facilmente su un mercato più ampio di quello costituito dai mercati nazionali;

d)

se i diritti dei consumatori saranno omogenei e il livello di protezione elevato, la loro fiducia in caso di acquisti effettuati all’estero è destinata ad aumentare;

e)

se fossero eliminati gli ostacoli connessi al diritto contrattuale, il numero di imprese dedite alle vendite transfrontaliere online aumenterebbe di circa 122 000 unità. Il commercio transfrontaliero dell’UE potrebbe aumentare di quasi 1 miliardo di euro. Grazie alla maggiore concorrenza nel commercio al dettaglio online, i prezzi al dettaglio caleranno in tutti gli Stati membri (in media, -0,25 % a livello europeo), contribuendo a incrementare direttamente il consumo delle famiglie nell’UE di circa 18 miliardi di euro;

f)

una scelta più ampia di prodotti e servizi porterà a un incremento del benessere dei consumatori. Tra 7,8 e 13 milioni di nuovi consumatori inizierebbero ad effettuare acquisti online transfrontalieri. Si prevede che, complessivamente, il PIL reale dell’UE aumenti di circa 4 miliardi di euro l’anno.

2.8

Tuttavia, per conseguire i suddetti risultati non sono sufficienti le due direttive proposte, che infatti fanno parte di un pacchetto di misure più grande tra le quali la Commissione sottolinea, in particolare:

a)

la proposta di regolamento sulla portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online;

b)

lo sviluppo di servizi di consegna transfrontaliera di pacchi di elevata qualità;

c)

l’eliminazione del geoblocco;

d)

l’entrata in funzione della piattaforma di risoluzione delle controversie online (4).

2.9

Infine, la Commissione sottolinea l’importanza di «agire ora», prima che sia troppo tardi, poiché un eventuale ritardo nel settore dei contenuti digitali comporta il rischio di veder adottare disposizioni nazionali che si tradurranno in una frammentazione del mercato unico oppure ostacoleranno la partecipazione dei consumatori e dei fornitori alle operazioni transfrontaliere.

3.   Osservazioni generali

3.1

Presumibilmente, le ragioni economiche e psicologiche che spiegano il rapporto tra, da un lato, le misure legislative proposte e l’aumento del volume del commercio elettronico e, dall’altro, le loro necessarie ripercussioni sulla crescita a livello europeo dovrebbero essere indicate nello studio allegato di valutazione d’impatto. Tuttavia, da un’analisi dettagliata di tale documento non risulta evidente né certo che i dati dai quali parte e ai quali arriva siano assolutamente affidabili, che altri fattori non li influenzino e che altre opzioni non potrebbero produrre risultati migliori.

3.1.1

Anche considerando precisi i dati statistici di partenza, secondo i quali il 62 % dei commercianti europei, pari a oltre 122 000 imprese (pag. 10), e più del 13,5 % dei consumatori (pag. 13), ossia da 8 a 13 milioni di persone (che porterebbero il totale a 70 milioni), inizierebbero a effettuare acquisti transfrontalieri online se fossero eliminati i relativi ostacoli e costi addizionali derivanti direttamente dal sistema giuridico attualmente in vigore, non è possibile determinare con certezza quale aumento del volume di affari così prodotto giustificherebbe la conseguente crescita stimata del PIL europeo dello 0,03 %, pari a circa 4 miliardi di euro; è sicuro, invece, che ciascuna impresa dovrà sostenere in media costi pari a 7 000 EUR per adeguare gli strumenti contrattuali al nuovo regime.

3.1.2

D’altro canto, lo studio non spiega in maniera debitamente quantificata perché altri fattori aggiuntivi — ad esempio la questione linguistica o i sistemi fiscali, la qualità, il costo e la disponibilità dei servizi Internet ad alta velocità, il rischio di frode, i costi della giustizia, la sicurezza dei mezzi di pagamento, la certificazione dell’identità e della correttezza dei venditori, la mancanza di fiducia nelle procedure di risoluzione dei conflitti giudiziali ed extragiudiziali — non continueranno ad incidere in modo decisivo sulla scelta di effettuare acquisti online a livello transfrontaliero, forse più dell’attuale sistema giuridico (descritto alle pagine 7 e seguenti e 18 e seguenti della valutazione d’impatto).

3.1.2.1

Sono particolarmente importanti in questo contesto — e quindi menzionati in tutti gli studi richiesti dalla Commissione — i ritardi nel recepimento e la difficoltà di applicazione, oltre che la mancata operatività di taluni sistemi di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) istituiti dalla direttiva 2013/11/UE (5) per ragioni spesso legate alla mancanza di mezzi finanziari di taluni Stati membri e, ancor più, all’apparente inefficacia del sistema di risoluzione delle controversie online (ODR) attuato dal regolamento (UE) n. 524/2013 (6), entrato in vigore il 15 febbraio 2016 ed essenziale per il funzionamento di un mercato unico digitale.

3.1.3

Non è chiaro, peraltro, quale sia il peso relativo dell’elasticità dell’offerta e della domanda nel calcolo della saturazione del mercato in termini di concorrenza perfetta, il che, a ogni modo, essendo un’ipotesi puramente teorica, è essenziale per la credibilità del modello; non vanno poi dimenticati i fattori esterni della politica macroeconomica che incidono in modo decisivo sulle decisioni d’acquisto dei consumatori, come le conseguenze delle politiche di austerità rispetto a quelle di crescita di tipo keynesiano, basate sul consumo e sugli investimenti.

3.1.4

Infine, la valutazione effettuata dalla Commissione fa riferimento al modello proposto e non tiene sufficientemente conto delle conseguenze economiche degli altri quattro possibili modelli (valutazione d’impatto, pag. 23 e seguenti), che contribuirebbero anch’essi all’eliminazione dei medesimi ostacoli, in modo da fornire un’analisi comparativa, in particolare l’opzione 5 — un contratto modello europeo facoltativo in combinazione con un marchio di fiducia UE (pag. 25) — pur essendo quella che avrebbe comportato costi limitati e sarebbe semplice e poco onerosa a livello burocratico (pag. 38 e seguenti), ossia quella che meglio corrisponderebbe ai principi del pacchetto «Legiferare meglio» (7) e del programma REFIT (8) e che ha raccolto un sostegno nel quadro delle consultazioni preparatorie.

3.2

La scelta delle direttive di armonizzazione massima, inoltre, non è debitamente giustificata. Il CESE ha affermato, in termini generali, di essere più favorevole all’adozione di regolamenti (da redigere in maniera dettagliata in funzione delle necessità), quando si tratti di armonizzare materie che rientrano nell’ambito del funzionamento del mercato interno; per quanto riguarda le materie che incidono in modo particolare sui diritti dei consumatori, il Comitato ha infatti dichiarato di preferire le direttive di armonizzazione minima, come risulta peraltro da esplicita disposizione del TFUE (articolo 169, paragrafo 4).

3.2.1

Il CESE si è invece dichiarato più volte contrario alla tendenza della Commissione, fattasi prevalente negli ultimi anni, ad adottare direttive di armonizzazione massima, che hanno garantito un livello di protezione ridotto e risposto in modo inadeguato agli interessi degli operatori (9).

3.2.2

Nel caso in esame c’è tutta una serie di questioni che le direttive non trattano e che è essenziale armonizzare, ad esempio: la capacità dei minori di concludere contratti in ambito digitale (tra i 13 e i 16 anni, nell’ultima versione della direttiva sulla protezione dei dati), la definizione di categorie di clausole abusive specifiche per i contratti online (non previste dalla direttiva 93/13/CEE (10)), la recente prassi del pulsante «paga ora» (pay now) nelle pagine di alcune reti sociali senza alcun rinvio al sito di una piattaforma responsabile e l’inserimento auspicabile di una clausola-tipo sulla coregolamentazione.

3.3

Il CESE non considera giustificata neanche la scelta di due direttive invece di una sola, in quanto tale opzione duplica inutilmente le disposizioni giuridiche, comporta maggiori difficoltà di recepimento per rispettare la coerenza con le norme interne di ciascuno Stato membro e obbliga a un maggiore sforzo interpretativo, che sarebbe totalmente superfluo se la lettera della direttiva sulla vendita online di beni materiali fosse presa come base e le specificità della vendita di beni non materiali fossero incluse tra le deroghe al regime di base, in quanto la distinzione tra beni materiali e contenuti digitali, in particolare quando sono collegati tra loro, non è affatto evidente.

3.4

Secondo la Commissione, la scelta dello strumento è avvenuta sulla base di 189 risposte raccolte nell’ambito di: una consultazione di tutte le categorie di portatori di interesse dell’intera l’UE, la consultazione di un gruppo di 22 organizzazioni rappresentative di una vasta gamma di interessi che si è riunito sette volte, seminari con gli Stati membri e riunioni sia con le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa (in seno al comitato di cooperazione per la tutela dei consumatori) che con le autorità nazionali responsabili della politica dei consumatori, nell’ambito della rete sulla politica dei consumatori (maggio 2015), che ha successivamente contestato la validità di tale campione vista la sua scala ridotta (11).

3.4.1

Tuttavia, esaminando i risultati noti e pubblicati (12), non si rileva una maggioranza chiara a favore dell’opzione selezionata: le organizzazioni dei consumatori si oppongono nettamente a qualsiasi forma di applicazione della legge del venditore, mentre la maggior parte delle organizzazioni professionali e degli esponenti del mondo accademico è favorevole a tale opzione. Dal canto suo la maggioranza degli Stati membri ha contestato la necessità di adottare nuovi atti legislativi in materia di acquisti a distanza (che già includono le vendite online) e, in particolare l’adeguatezza delle due direttive, tenendo conto della difficoltà di trarne orientamenti precisi e chiaramente definiti. A prima vista, un’analisi obiettiva delle risposte alle consultazioni farebbe pensare che l’opzione 5 riscuota un consenso generale tra gli operatori e i consumatori — in funzione, ovviamente, del contenuto delle norme contrattuali-tipo che il settore dovrà concordare e del grado di utilizzo e di accettazione del marchio di fiducia da parte delle imprese dell’UE — in particolare perché è quella che comporta meno costi a carico degli operatori.

3.5

Infine, occorre sottolineare che il CESE ha avuto modo di esprimersi in modo approfondito sul tema dei diritti dei consumatori nell’ambiente digitale in diversi pareri, nei quali ha definito un orientamento fondamentale: i diritti riconosciuti nel mondo «fisico» offline (nei contratti faccia a faccia) devono essere consoni all’universo online, fatte salve le caratteristiche specifiche o le forme adeguate alle transazioni di contenuti digitali (immateriali), ma sempre nel senso di un rafforzamento e non di una riduzione o indebolimento dei suddetti diritti. Con la proposta sulla vendita online di beni materiali, la Commissione ha creato due sistemi, istituendo un trattamento differente per la vendita di beni online e offline, il che è inaccettabile.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Le osservazioni generali suesposte non pregiudicano il pieno appoggio del CESE in rapporto alla necessità e opportunità di disciplinare alcune materie trattate nelle proposte di direttiva in esame, in particolare per quanto concerne la vendita online di contenuti digitali. In rapporto alla vendita online di beni materiali, il CESE raccomanda che le opportune misure siano adottate nel quadro del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT). Nelle osservazioni particolari che saranno ora formulate per ciascuna delle proposte, per evidenti limiti di spazio si farà rifermento soltanto ai punti di disaccordo rispetto al testo legislativo proposto.

4.2

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni [COM(2015) 635 final — 2015/0288 (COD)]

4.2.1

Per quanto concerne la base giuridica e in linea con i pareri precedenti del CESE, i rappresentanti dei consumatori, nonché la maggior parte dei membri del Comitato, ritengono che questa debba essere invece l’articolo 169, paragrafo 2, del TFUE, dato che ad essere in causa è sostanzialmente la definizione dei diritti dei consumatori, oltre che la loro tutela e difesa, e non soltanto il completamento del mercato unico; alcuni membri del CESE, segnatamente i rappresentanti delle libere professioni, sono tuttavia d’accordo con la Commissione, in quanto mettono l’accento sulla realizzazione del mercato unico.

4.2.2

Poiché è stata scelta una direttiva, il CESE ritiene che questa debba puntare all’armonizzazione minima, sulla falsariga dell’attuale direttiva sulle vendite e garanzie (direttiva 1999/44/CE), in quanto la scelta compiuta conduce a una maggiore «frammentazione», a una minore certezza giuridica e a due classi di protezione, dato che i «miglioramenti» ora introdotti andrebbero applicati anche alle vendite nel «mondo fisico».

4.2.3

Vista la complessità della legislazione in materia di tutela dei consumatori, la proposta interagisce con una serie di altre norme integrandole (13), ma richiede uno sforzo d’interpretazione — inutile e difficile — che è contrario alle giudiziose regole del pacchetto Legiferare meglio, oltre a creare maggiori difficoltà di recepimento per l’allineamento con le norme nazionali già esistenti, attraverso le quali erano state recepite e integrate quelle norme comunitarie e che sono differenti da uno Stato membro all’altro.

4.2.4

Pertanto, il CESE preferirebbe che le norme stabilite in questa proposta di direttiva accompagnassero la revisione della direttiva 1999/44/CE nel quadro del programma REFIT.

4.2.5

Sono qui proposte modifiche specifiche per alcune disposizioni della proposta:

4.2.5.1    Articolo 1 — Oggetto

La stipula di contratti online o a distanza per la prestazione di certi servizi non dovrebbe essere esclusa dall’oggetto della direttiva, ad esempio per la locazione di beni (leasing).

4.2.5.2    Articolo 2 — Definizioni

1.

Il concetto di garanzia commerciale dovrebbe coprire anche altre forme di rimedio, altrimenti queste non saranno considerate soggette alle norme di cui all’articolo 15.

2.

Il concetto di articolo mobile materiale non è definito in modo positivo, il che dà adito a interpretazioni differenti da parte degli Stati membri.

3.

Non sono poi esclusi altri tipi di prodotti disciplinati da un’apposita normativa, come i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici, che sono esclusi dal campo di applicazione di altre norme in materia di tutela dei consumatori.

4.

Non è indicato se le piattaforme online potranno essere considerate dei «venditori».

5.

Manca inoltre la definizione del concetto di produttore, ai fini della sua responsabilità diretta nei confronti del consumatore a norma dell’articolo 16.

4.2.5.3    Articolo 3 — Livello di armonizzazione

Il livello di armonizzazione dovrebbe essere minimo, con tutto quel che ne consegue necessariamente nel regime.

4.2.5.4    Articoli 4 e 5 — Conformità al contratto

1.

Il criterio di «durabilità» dovrebbe essere integrato (14), con l’effetto di condizionare il periodo di validità della garanzia.

2.

La definizione dei requisiti di conformità deve essere formulata in modo negativo, per esimere espressamente il consumatore dall’obbligo di provare che il bene non è conforme, facendo ricadere l’onere della prova sul venditore.

3.

La formulazione delle eccezioni configura una situazione di esclusione generale della responsabilità del venditore che non può essere invocata nei confronti del consumatore senza pregiudicare il diritto di recesso (applicabile nel caso VW).

4.2.5.5    Articolo 7 — Diritti dei terzi

Aggiungere alla fine «a meno che non sia esplicitamente concordato tra le parti e stabilito chiaramente nelle clausole del contratto».

4.2.5.6    Articolo 8 — Momento rilevante per la determinazione della conformità al contratto e inversione dell’onere della prova

1.

Aggiungere alla fine del paragrafo 2 «… ad eccezione delle situazioni in cui la particolare complessità dell’installazione richieda un periodo più lungo concordato con il venditore».

2.

I diritti che la proposta in esame attribuisce nel rapporto con il venditore dovrebbero essere trasmessi a qualsiasi possessore in buona-fede.

4.2.5.7    Articolo 9 — Rimedi del consumatore per difetto di conformità al contratto

1.

La disposizione esclude, come prima opzione, la possibilità di restituzione immeditata del bene e di rimborso dell’importo pagato, il che sarebbe in contrasto con i diritti dei consumatori riconosciuti, con varianti significative, in più Stati membri (Grecia, Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Danimarca, Lituania).

2.

Il concetto di «termine ragionevole» è soggettivo e offre il destro a recepimenti differenti su un punto fondamentale, il che è incompatibile con l’essenza della massima armonizzazione. A titolo di esempio, in paesi come la Bulgaria, la Francia, il Portogallo e il Lussemburgo il termine è di 30 giorni, mentre in Ungheria, Romania, Grecia ed Estonia il termine è di 15 giorni. La disposizione deve stabilire un termine corrispondente a quello massimo praticato in alcuni Stati membri dell’UE, ossia 15 giorni.

3.

Il termine «impossibile» al paragrafo 3, lettera a) deve essere sostituito con «tecnologicamente impossibile».

4.

Analogamente, anche il concetto di «notevoli inconvenienti» è soggettivo e dovrebbe essere soppresso o sostituito con la formula impiegata nella normativa austriaca «il minor inconveniente possibile», e dovrebbe essere accompagnato dalla possibilità di mettere immediatamente a disposizione del consumatore un bene simile, per una sostituzione temporanea, finché non sarà conclusa la riparazione.

5.

La proposta della Commissione non ha tenuto conto del requisito, già previsto in varie legislazioni nazionali (Francia, Malta, Grecia, Romania, Portogallo e Slovenia), che impone ai produttori di mantenere, o di fornire in tempo debito ai venditori, uno stock adeguato di pezzi di ricambio per la durata di vita prevedibile del bene, una questione connessa all’obsolescenza programmata e al periodo di garanzia del pezzo sostituito.

6.

La Commissione dovrebbe stabilire l’obbligo di sostituzione temporanea per il venditore.

4.2.5.8    Articolo 10 — Sostituzione del bene

1.

La Commissione non ha previsto la sospensione della garanzia legale per la durata della riparazione o sostituzione, diversamente da quanto avviene nella maggior parte delle legislazioni nazionali. Lo stesso vale per la durata di eventuali mediazioni, arbitrati o ricorsi per vie legali.

2.

In caso di sostituzione, il bene dovrà beneficiare di un nuovo termine di garanzia, di identico tenore, a partire dalla data della consegna.

4.2.5.9    Articolo 11 — Scelta del consumatore tra riparazione e sostituzione

1.

Il termine «notevoli» deve essere eliminato per i motivi suesposti.

2.

In caso di difetti «ricorrenti», il consumatore deve avere automaticamente la possibilità di rescindere il contratto.

4.2.5.10    Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle) (15).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

4.2.5.11    Articolo 14 — Termini

Il periodo dovrebbe tenere conto dei termini di garanzia esistenti in alcuni Stati-membri (Finlandia, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), che prendono in considerazione la durabilità e l’obsolescenza programmata dei prodotti.

4.2.5.12    Articolo 15 — Garanzie commerciali

1.

Aggiungere al paragrafo 1 una nuova lettera, ossia la lettera d), del seguente tenore: «in altre garanzie offerte dal venditore a nome di terzi che riguardino la concessione di una garanzia (assicurazione di attrezzature, garanzie del marchio ecc.)».

2.

Devono inoltre essere riportate le informazioni sulla possibilità di trasferire la garanzia commerciale a terzi.

4.2.5.13    Articolo 16 — Diritto di regresso

1.

La mancata armonizzazione di questo aspetto spalanca la porta a discrepanze nell’applicazione della direttiva, con conseguenze pregiudizievoli per il commercio.

2.

La norma dovrebbe prevedere la responsabilità diretta e solidale del fabbricante nei confronti del consumatore, nel caso quest’ultimo opti per la riparazione o la sostituzione del bene.

3.

Dovrebbe inoltre prevedere che, in caso di regresso del venditore nei confronti del produttore, il primo ha diritto al rimborso integrale delle spese sostenute.

4.

Come nei punti precedenti, bisognerebbe prevedere la responsabilità solidale delle piattaforme online attraverso cui il consumatore ha acquistato il bene.

4.2.5.14    Articolo 17 — Controllo dell’osservanza

La mancata armonizzazione degli aspetti relativi alla vigilanza nell’applicazione della direttiva costituisce uno dei principali ostacoli all’effettiva tutela dei consumatori e a una concorrenza leale.

4.3

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale [COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

4.3.1

Come affermato dalla stessa Commissione europea, le sezioni riguardanti la motivazione, la consultazione di esperti e le valutazioni di impatto valgono per entrambe le proposte, visto che sono concepite come un pacchetto con obiettivi comuni. Il CESE si asterrà quindi dal ricordare questioni di carattere generale che sono comuni alle due proposte, e si limiterà a formulare osservazioni riguardanti aspetti specifici. È tuttavia importante indicare sin d’ora che, a livello generale, il CESE è d’accordo in linea di massima, segnatamente per quel che riguarda:

a)

una tutela speciale dei consumatori nell’acquisto online di beni immateriali, tenuto conto della crescente complessità dei prodotti, della mancanza di trasparenza nella contrattazione, dei maggiori pericoli per la sicurezza, la riservatezza e la protezione dei dati, delle forme particolari di pratiche sleali e clausole abusive, dei costi occulti, nonché dei prezzi variabili a seconda dell’ubicazione e della minore materialità dei mezzi utilizzati (Internet, cellulari, reti sociali ecc.);

b)

l’impellente necessità di stabilire una chiara regolamentazione in un settore in cui sembra che soltanto uno Stato membro (il Regno Unito) disponga di una normativa specifica per questo tipo di contratti;

c)

l’opportunità di portare avanti un’armonizzazione massima, con un livello elevato di protezione dei consumatori, limitatamente ai contratti tra impresa e consumatore (B2C), un obiettivo che peraltro sarebbe sempre perseguito più efficacemente con un regolamento;

d)

la necessità di definire in modo uniforme la natura giuridica di questo tipo di contratti;

e)

la necessità di un approccio globale a tutta una serie di altre misure delineate nella strategia per il mercato unico digitale, tra cui — in particolare — le iniziative connesse alla portabilità transfrontaliera dei contenuti, il ruolo delle piattaforme, la libera circolazione dei dati, l’iniziativa europea per le nuvole informatiche, gli oneri legati all’IVA, nonché altre azioni volte a garantire la portabilità e l’interoperabilità dei contenuti, alla luce dell’entrata in funzione della piattaforma di risoluzione delle controversie online (16) e della revisione del regolamento (CE) n. 2006/2004, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori;

f)

la necessità di badare in particolare alla protezione delle persone in rapporto al trattamento dei dati personali, una materia che è disciplinata dalla direttiva 1995/46/CE del 24 ottobre 1995 (relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati) (17) e dalla direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002 (sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche) (18). Queste norme sono pienamente applicabili alla fornitura di contenuti digitali, nella misura in cui hanno implicazioni per il trattamento di dati personali;

g)

la revisione del pacchetto normativo per i servizi di comunicazione elettronica;

h)

la necessità di accordare un ruolo di primo piano ai contratti di cloud computing.

4.3.2

Sono qui proposte modifiche specifiche per alcune disposizioni della proposta, che si compone di 24 articoli (e non 20, come erroneamente indicato in alcune versioni linguistiche, cfr. punto 5):

4.3.2.1    Articolo 1 — Oggetto

La chiara natura di contratto per la prestazione di servizi, come indicato nell’oggetto e ben evidenziato nelle definizioni di «contenuto digitale» e «fornitura» di cui all’articolo 2, paragrafi 1 e 10 della proposta di direttiva in esame, rafforza la raccomandazione già avanzata per l’articolo 1 della precedente proposta di direttiva.

4.3.2.2    Articolo 2 — Definizioni

Si ripropone la raccomandazione di includere i singoli liberi professionisti nel campo di applicazione soggettivo relativo alla definizione di consumatore.

4.3.2.3    Articolo 3 — Campo di applicazione

1.

Il CESE può accettare che il pagamento sia fatto in natura («una controprestazione non pecuniaria»), purché questo concetto sia definito con precisione riguardo al contenuto, e, in caso di fornitura di dati a carattere personale o di altri dati, sarà necessario specificare quali e in che condizioni e circostanze.

2.

Sarà inoltre necessario chiarire se certi servizi — come la televisione a pagamento («pay TV»), Google e Facebook Messenger — sono compresi, e se certe piattaforme fisiche di accesso oppure l’Internet delle cose rientrano tra i beni materiali o immateriali.

3.

Non è chiaro se l’esclusione di cui al punto 5, lettera a) riguardi le cure sanitarie, i servizi del gioco d’azzardo o i servizi finanziari. Tale questione richiede un ulteriore chiarimento, per evitare l’incertezza giuridica.

4.

Non è chiaro se nel campo di applicazione siano compresi anche i cosiddetti «pagamenti occulti», ossia i servizi che sono forniti a titolo gratuito ma che possono, nel corso della loro esecuzione, inglobare altri servizi che sono in effetti già pagati.

5.

Il campo di applicazione relativo ai dati il cui trattamento è necessario — ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4 — deve comprendere non solo l’esecuzione, ma anche la «stipula del contratto»; il trattamento di tali dati dovrebbe essere autorizzato conformemente alle norme previste nella legislazione in materia di protezione dei dati personali.

6.

È inoltre fondamentale chiarire la differenza tra, da un lato, prodotti e servizi forniti online e, dall’altro, quelli che sono totalmente inglobati in beni materiali, come avviene per i cosiddetti «dispositivi indossabili» (wearables) o per l’Internet delle cose, in cui il processo avviene perlopiù a livello digitale, indipendentemente dall’esistenza — alla base — di un bene materiale.

7.

Bisogna precisare che i servizi di data centre, segnatamente quelli di cloud computing, vanno chiaramente identificati nella proposta in esame, indipendentemente dal fatto che siano gratuiti o soggetti a una controprestazione, dato che spesso sono associati ad altri servizi o prodotti forniti ai consumatori, con il rischio - quindi - di essere esclusi dal campo di applicazione della direttiva.

8.

È inoltre necessario chiarire nell’ambito di questo strumento se è compresa la combinazione tra servizi di contenuto digitale e servizi di comunicazione, come Facebook Messenger o Google Hangout, dato che tali servizi non sono attualmente regolamentati dalla direttiva 2002/21/CE sui servizi di comunicazione elettronica ed è opinione diffusa che alcuni di questi servizi debbano essere considerati servizi di comunicazione elettronica, con una tutela maggiore per il consumatore.

9.

Analogamente, non è chiara la distinzione tra le situazioni in cui i dati personali ottenuti riguardano soltanto l’esecuzione del contratto oppure il soddisfacimento di obblighi di legge. Per questo motivo il CESE propone, come misura precauzionale, l’applicazione della direttiva a tutti i servizi che siano prestati mediante la fornitura di dati personali, escludendo soltanto quelli in cui il fornitore dimostri espressamente che tali dati riguardano unicamente l’esecuzione del contratto o il soddisfacimento di obblighi di legge.

10.

Sempre in riferimento al punto 4, sarà necessario chiarire quando la raccolta di dati personali è rivolta unicamente all’esecuzione del contratto o al soddisfacimento di obblighi di legge, tenuto conto che in altri settori — come quello delle telecomunicazioni o dell’energia — i dati personali, la cui raccolta è autorizzata per l’esecuzione del contratto, sono spesso utilizzati per campagne commerciali delle imprese; in particolare, bisognerà chiarire se è applicabile una controprestazione non pecuniaria.

4.3.2.4    Articolo 4 — Livello di armonizzazione

Il CESE accoglie le ragioni della proposta di un’armonizzazione massima, poiché viene garantito il livello di tutela più alto per i consumatori.

4.3.2.5    Articolo 5 — Fornitura del contenuto digitale

Non è chiara la coincidenza tra l’obbligo di cui al punto 2, riguardante la fornitura immediata dei contenuti, e quanto disposto dalla direttiva 2011/83/UE, che per una fornitura immediata richiede il consenso del consumatore, ma prevede anche un diritto di recesso di 14 giorni [articolo 16, lettera m), della direttiva]. È quindi auspicabile un’armonizzazione delle regole in questo settore, allo scopo di eliminare il rischio di una sovrapposizione delle norme a danno di imprese e consumatori.

4.3.2.6    Articolo 6 — Conformità

1.

Al paragrafo 1, sopprimere «se del caso».

2.

Al paragrafo 1, lettera b), al posto di «ad ogni uso particolare voluto dal consumatore» inserire «ad ogni uso particolare a cui è destinato dal consumatore o a cui il consumatore intenda legittimamente destinarlo».

3.

Al paragrafo 2, lettera b), sopprimere «se del caso».

4.3.2.7    Articolo 9 — Onere della prova

Al paragrafo 3, sopprimere le parole «possibile e».

4.3.2.8    Articolo 11 — Rimedio per la mancata fornitura

La formulazione dell’articolo non tiene conto del modo di fornitura dei contenuti attraverso pacchetti temporanei; ad esempio, il mancato accesso a un film è difficile da quantificare in maniera proporzionale nel quadro del prezzo totale del pacchetto. Non viene inoltre considerata la possibilità (preferita dagli utenti) di fornire altri contenuti con lo stesso livello di prezzo.

4.3.2.9    Articolo 12 — Rimedi per difetto di conformità al contratto

Al punto 2, sostituire l’espressione «entro un periodo di tempo ragionevole» con la frase «senza indebito ritardo».

4.3.2.10    Articolo 13 — Risoluzione del contratto

1.

Al paragrafo 2, lettera b), sostituire la frase «il fornitore adotta tutte le misure in suo potere per astenersi» con le parole «il fornitore deve astenersi».

2.

Le lettere c), d) ed e) sono strettamente connesse alla regolamentazione del diritto d’autore (copyright) che non è ancora disponibile.

4.3.2.11    Articolo 16 — Diritto di recedere dai contratti a lungo termine

Il periodo deve essere di soli 6 mesi.

Bisogna indicare espressamente che è senza alcun costo.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(2)  COM(2014) 910 final.

(3)  GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12.

(4)  GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1.

(5)  GU L 165 del 18.6.2013.

(6)  Cfr. nota 5.

(7)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192.

(8)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66.

(9)  Cfr. i pareri del CESE pubblicati sulla GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81, sulla GU C 317 del 23.12.2009, pag. 54, e sulla GU C 181 del 21.6.2012, pag. 75.

(10)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, così come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.10.2011.

(11)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57.

(12)  http://ec.europa.eu/justice/newsroom/contract/opinion/

(13)  Direttiva 2011/83/UE (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64); direttiva 2009/125/CE (GU L 285 del 31.10.2009, pag. 10); direttiva 2010/30/UE del 19.5.2010 (GU L 153 del 18.6.2010, pag. 1).

(14)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23.

(15)  Caso C-404/06 — Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Prima Sezione) del 17 aprile 2008, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1461850459727&uri=CELEX:62006CC0404

(16)  GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1.

(17)  GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.

(18)  GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37.


ALLEGATO

I.

Il punto seguente è stato modificato a seguito di una proposta di emendamento di compresso che l’Assemblea ha approvato; tuttavia, almeno un quarto dei voti espressi era a favore del mantenimento della formulazione originale (articolo, paragrafo 4, del RI):

a)   Punto 3.4.1

Tuttavia, esaminando i risultati noti e pubblicati, non si rileva una maggioranza chiara a favore dell’opzione selezionata: le organizzazioni dei consumatori si oppongono nettamente a qualsiasi forma di applicazione della legge del venditore, mentre alcune le organizzazioni professionali e alcuni esponenti del mondo accademico sono favorevoli a tale opzione. Dal canto suo la maggioranza degli Stati membri ha contestato la necessità di adottare nuovi atti legislativi in materia di acquisti a distanza (che già includono le vendite online) e, in particolare l’adeguatezza delle due direttive, tenendo conto della difficoltà di trarne orientamenti precisi e chiaramente definiti. A prima vista, un’analisi obiettiva delle risposte alle consultazioni farebbe pensare che l’opzione 5 riscuota un consenso generale tra gli operatori e i consumatori — in funzione, ovviamente, del contenuto delle norme contrattuali-tipo che il settore dovrà concordare e del grado di utilizzo e di accettazione del marchio di fiducia da parte delle imprese dell’UE — in particolare perché è quella che comporta meno costi a carico degli operatori.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

115

Voti contrari:

91

Astensioni:

18

II.

Le seguente proposti di emendamento di compromesso, pur essendo state respinte dall’Assemblea, hanno tuttavia raccolto un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 4, del RI):

b)   Punto 4.2.1

Per quanto concerne la base giuridica e in linea con i pareri precedenti del CESE, la maggior parte dei membri del Comitato, compresi i rappresentanti dei consumatori, nonché la maggior parte dei membri del Comitato, ritengono che questa debba essere invece l’articolo 169, paragrafo 2, del TFUE, dato che ad essere in causa è sostanzialmente la definizione dei diritti dei consumatori, oltre che la loro tutela e difesa, e non soltanto il completamento del mercato unico; alcuni membri del CESE, segnatamente i rappresentanti delle libere professioni, sono tuttavia d’accordo con la Commissione, in quanto mettono l’accento sulla realizzazione del mercato unico necessità che gli imprenditori dispongano di una serie di regole chiare da rispettare.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

110

Voti contrari:

110

Astensioni:

10

L’articolo 56, paragrafo 6, del RI in del CESE stabilisce che, se nel corso di una votazione vi è parità tra voti favorevoli e voti contrari, il voto decisivo spetta al presidente di seduta. Sulla base di questa disposizione, il presidente di seduta há deciso di respingere la proposta di emendamento di compromesso.

c)   Punto 4.2.2

Poiché è stata scelta una direttiva, la maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, presso il CESE ritiene ritengono che questa debba puntare all’armonizzazione minima, sulla falsariga dell’attuale direttiva sulle vendite e garanzie (direttiva 1999/44/CE), in quanto la scelta compiuta conduce a una maggiore «frammentazione» e a una minore certezza giuridica. I rappresentanti delle libere professioni al CESE sono tuttavua d’accordo con la proposta di applicare la massima armonizzazione, per ragioni di chiarezza nell’applicazione dei diritti nel mercato unico.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

102

Voti contrari:

115

Astensioni:

14

d)   Punto 4.2.5.3

Articolo 3 — Livello di armonizzazione

La maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, afferma che il livello di armonizzazione dovrebbe essere minimo, con tutto quel che ne consegue necessariamente nel regime. I rappresentanti delle libere professioni sono invece favorevoli a una massima armonizzazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

112

Voti contrari:

114

Astensioni:

12

e)   Punto 4.2.5.4

Articoli 4 e 5 — Conformità al contratto

1.

Il criterio di «durabilità» dovrebbe essere integrato, con l’effetto di condizionare il periodo di validità della garanzia.

2.

La maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, afferma affermano che la definizione dei requisiti di conformità deve essere formulata in modo negativo, per esimere espressamente il consumatore dall’obbligo di provare che il bene non è conforme, facendo ricadere l’onere della prova sul venditore. I rappresentanti delle libere professioni raccomandano che la definizione dei requisiti di conformità sia formulata in modo generale. Il criterio principale per la determinazione della conformità dovrebbe essere quello di stabilire se i beni corrispondono a quanto convenuto (ad esempio per quanto riguarda il tipo, la quantità, la qualità e altre caratteristiche).

3.

La formulazione delle eccezioni configura una situazione di esclusione generale della responsabilità del venditore che non può essere invocata nei confronti del consumatore senza pregiudicare il diritto di recesso (applicabile nel caso VW).

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

99

Voti contrari:

126

Astensioni:

13

f)   Punto 4.2.5.7

Articolo 9 — Rimedi del consumatore per difetto di conformità al contratto

1.

I rappresentanti dei consumatori osservano che la La disposizione esclude, come prima opzione, la possibilità di restituzione immeditata del bene e di rimborso dell’importo pagato, il che sarebbe in contrasto con i diritti dei consumatori riconosciuti, con varianti significative, in più Stati membri (Grecia, Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Danimarca, Lituania). I rappresentanti delle libere professioni concordano — in linea con l’armonizzazione massima — con la scelta di escludere tale opzione.

2.

I rappresentanti dei consumatori ritengono che il Il concetto di «termine ragionevole»è abbia carattere soggettivo e offre offra il destro a recepimenti differenti su un punto fondamentale, il che è incompatibile con l’essenza della massima armonizzazione. A titolo di esempio, in paesi come la Bulgaria, la Francia, il Portogallo e il Lussemburgo il termine è di 30 giorni, mentre in Ungheria, Romania, Grecia ed Estonia il termine è di 15 giorni. La disposizione deve stabilire un termine corrispondente a quello massimo praticato in alcuni Stati membri dell’UE, ossia 15 giorni. I rappresentanti delle libere professioni affermano che il concetto di «termine ragionevole» costituisce una formulazione giuridica oggettiva che, al tempo stesso, lascia un margine per l’applicazione a fattispecie diverse.

3.

Il termine «impossibile» al paragrafo 3, lettera a) deve essere sostituito con «tecnologicamente impossibile».

4.

Analogamente, i rappresentanti dei consumatori ritengono che anche il concetto di «notevoli inconvenienti»è abbia carattere soggettivo e dovrebbe debba essere soppresso o sostituito con la formula impiegata nella normativa austriaca «il minor inconveniente possibile», e dovrebbe nonché essere accompagnato dalla possibilità di mettere immediatamente a disposizione del consumatore un bene simile, per una sostituzione temporanea, finché non sarà conclusa la riparazione. I rappresentanti delle libere professioni osservano che si tratta di una formulazione giuridica nota, che lascia un margine per l’applicazione a fattispecie diverse.

5.

La proposta della Commissione non ha tenuto conto del requisito, già previsto in varie legislazioni nazionali (Francia, Malta, Grecia, Romania, Portogallo e Slovenia), che impone ai produttori di mantenere, o di fornire in tempo debito ai venditori, uno stock adeguato di pezzi di ricambio per la durata di vita prevedibile del bene, una questione connessa all’obsolescenza programmata e al periodo di garanzia del pezzo sostituito.

6.

La Commissione dovrebbe stabilire l’obbligo di sostituzione temporanea per il venditore.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

100

Voti contrari:

135

Astensioni:

2

g)   Punto 4.2.5.10

Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

4.

I rappresentanti delle libere professioni chiedono l’inserimento della disposizione di cui all’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 1999/44/CE, ai sensi della quale un difetto di conformità minore non conferisce al consumatore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

110

Voti contrari:

118

Astensioni:

18

h)   Punto 4.2.5.10

Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

Secondo la maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, è È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto. I rappresentanti delle libere professioni appoggiano tuttavia questa disposizione.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

101

Voti contrari:

132

Astensioni:

10

i)   Punti 1.3 e 1.4

1.3

In ogni caso, relativamente alle questioni contemplate, i rappresentanti dei consumatori il CESE non concordano con la base giuridica invocata dalla Commissione e propone propongono invece di utilizzare l’articolo 169 del TFUE. Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo.

1.4

Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo. Tuttavia, i rappresentanti delle libere professioni concordano con la base giuridica invocata dalla Commissione, poiché sono in gioco questioni relative al mercato interno e le imprese hanno bisogno di una serie di regole chiare da rispettare.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

111

Voti contrari:

123

Astensioni:

12