23.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 242/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro»

(parere di iniziativa)

(2015/C 242/02)

Relatrice:

Béatrice OUIN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 dicembre 2014.

Alla sua 504a sessione plenaria, dei giorni 21 e 22 gennaio 2015 (seduta del 21 gennaio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 212 voti favorevoli, 1 voto contrario e 10 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Per attuare la strategia Europa 2020 e l’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, sia per quanto riguarda l’accesso delle donne all’occupazione che l’integrazione degli immigrati, e poiché l’UE ha bisogno dei migranti, malgrado discorsi ostili la cui propagazione è tanto preoccupante quanto contraria all’interesse a lungo termine di quanti vivono in Europa, il CESE chiede alle istituzioni europee di:

utilizzare meglio le possibilità offerte dal semestre europeo e formulare raccomandazioni specifiche per paese relativamente all’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro,

tenere conto delle specificità delle donne migranti nella preparazione della strategia per la parità tra donne e uomini post 2015,

continuare a sorvegliare l’attuazione della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare, per non ritardare l’accesso all’occupazione per le donne che hanno diritto al ricongiungimento e prevedere una revisione di tale direttiva per permettere ai coniugi di accedere immediatamente all’occupazione,

valutare la percentuale di donne tra i beneficiari della carta blu UE (1) e della direttiva sui lavoratori stagionali (2), nonché la natura dei posti di lavoro che occupano, onde assicurare che non subiscano discriminazioni,

vigilare affinché le donne beneficino tanto quanto gli uomini delle future regole relative a ricercatori, studenti, volontariato e collocamento alla pari (3),

assicurarsi che gli strumenti finanziari per l’integrazione degli immigrati siano dedicati almeno per metà alle donne.

1.2.

Oltre alle misure da applicare a tutti gli immigrati, sia uomini che donne, il CESE invita gli Stati membri a:

fissare obiettivi chiari e ambiziosi in materia di integrazione delle donne migranti,

adottare politiche che tengano conto della situazione specifica delle donne, dei loro livelli di qualificazione, della loro conoscenza della lingua del paese ospitante, del fatto che siano immigrate di prima generazione o di generazioni successive,

comunicare alla Commissione europea, nel quadro del semestre europeo, le misure adottate per l’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro,

nel quadro del ricongiungimento familiare, non differire l’accesso all’occupazione del coniuge in modo da promuovere l’integrazione delle famiglie ed evitare la povertà e la perdita di competenze,

garantire che, in ogni fase del processo di migrazione, le donne godano anche di diritti individuali, e non solo di quelli derivanti dall’appartenenza a un nucleo familiare,

garantire che le donne migranti siano meglio informate sui servizi attivati per facilitare loro l’accesso alla formazione linguistica e professionale e a posti di lavoro di qualità,

organizzare formazioni linguistiche che rispondano alle esigenze specifiche delle donne immigrate, siano orientate alla ricerca di lavoro e siano accessibili alle destinatarie,

accelerare il processo di riconoscimento delle qualifiche e delle esperienze acquisite in paesi terzi per permettere alle donne di trovare occupazioni che corrispondano alle loro competenze e aspirazioni,

evitare la dequalificazione, che rappresenta una perdita di capitale umano,

considerare che il lavoro in taluni settori (pulizie, custodia dei bambini, assistenza agli anziani, ristorazione e settore alberghiero, agricoltura ecc.) può offrire opportunità alle donne immigrate meno qualificate, a condizione però di riscattare questi settori dal lavoro nero, professionalizzarli e valorizzarli, formare le donne a questi mestieri e consentire loro di progredire professionalmente,

sostenere le donne imprenditrici e stimolare l’educazione delle donne migranti all’imprenditorialità,

coinvolgere le parti sociali e la società civile nella definizione e nell’attuazione delle politiche,

ratificare la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, del 18 dicembre 1990,

regolarizzare il diritto di soggiorno degli immigrati che risiedono in Europa da più anni, alla luce degli effetti positivi delle regolarizzazioni massicce effettuate in taluni Stati.

1.3.

Infine, il CESE invita le parti sociali a:

integrare meglio le specificità delle donne migranti nel programma di lavoro del dialogo sociale europeo,

facilitare, nei contratti collettivi, il riconoscimento delle qualifiche delle donne migranti.

2.   Introduzione

2.1.

Da qualche decennio, l’immigrazione femminile è in aumento. Le donne che immigrano in Europa vengono a raggiungere la loro famiglia, oppure vi arrivano come profughe o richiedenti asilo. Numerose sono anche quelle che vengono a guadagnarsi da vivere lasciando la famiglia nel paese d’origine e diventandone il principale sostegno economico.

2.2.

Queste donne possono disporre o meno di un permesso di soggiorno, essere altamente qualificate oppure no, emigrare di loro spontanea volontà o esservi costrette. Alcune sono vittime della tratta di esseri umani. Esse costituiscono una popolazione numericamente significativa e diversificata.

2.3.

L’Europa, colpita dall’invecchiamento demografico e dal calo dei tassi di natalità e bisognosa di manodopera qualificata in numerosi settori, si trova a dover affrontare una grande sfida sul piano del mercato del lavoro.

2.4.

In questo contesto, le donne immigrate rappresentano una fonte di competenze e di creatività ancora sottosfruttata. La loro integrazione nel mercato del lavoro rappresenta una necessità: essa contribuisce a realizzare pienamente il potenziale delle migrazioni, sia dal punto di vista delle donne migranti che da quello dell’Unione europea, rafforza l’integrazione sociale e contribuisce alla crescita economica e alla coesione sociale.

2.5.

Il CESE si è già espresso in più occasioni sulle questioni dell’immigrazione e dell’integrazione e ha formulato numerose raccomandazioni riguardanti entrambi i sessi (4) — raccomandazioni che si eviterà di ripetere nel presente parere.

2.6.

Non aveva invece ancora mai avanzato proposte specifiche per quanto riguarda le donne migranti. Poiché la parità tra uomini e donne non si è ancora realizzata in alcuna parte del mondo, e poiché vi sono questioni che riguardano specificamente le donne che uno sguardo globale non consente di cogliere, il presente parere è dedicato alla questione dell’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro.

3.   Contesto europeo

3.1.

L’aumento del tasso di occupazione delle donne, come di quello dei migranti, è una delle priorità dell’UE — priorità enunciata nella strategia Europa 2020, nell’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi (5) e nei programmi pluriennali del Consiglio europeo (6).

3.2.

La strategia Europa 2020 prevede di portare il tasso di occupazione al 75 % entro il 2020, e una migliore integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro è essenziale per raggiungere questo obiettivo. Il semestre europeo può essere uno strumento prezioso in questo senso. Sarebbe opportuno che gli Stati membri presentassero misure per l’integrazione delle donne migranti e che la Commissione proponesse raccomandazioni specifiche in questo senso.

3.3.

Della specificità delle donne migranti si dovrà inoltre tenere meglio conto nella preparazione della nuova strategia per la parità fra donne e uomini post 2015. Tale strategia dovrebbe contribuire a migliorare la posizione delle donne migranti nel mercato del lavoro, tra l’altro incoraggiando l’imprenditorialità.

3.4.

A livello dell’UE, la situazione delle donne migranti varia molto a seconda della direttiva applicabile al loro caso specifico.

3.5.

Una donna titolare di carta blu (7) ha più facilmente accesso a posti di lavoro altamente qualificati; analogamente, una donna il cui marito sia titolare di carta blu gode automaticamente e immediatamente di un diritto generale di accesso al mercato del lavoro del paese ospitante.

3.6.

Invece, una donna che benefici del diritto al ricongiungimento familiare (8) dovrà aspettare anche un anno prima di avere accesso al lavoro subordinato o a un’attività autonoma — termine, questo, che gli Stati membri possono imporre. Questo tempo di attesa rende la donna dipendente dal marito, la allontana dal mercato del lavoro e le fa perdere parte delle sue competenze. Per rimediare a questa situazione, la Commissione europea non dovrebbe limitarsi a controllare l’attuazione della direttiva sul ricongiungimento familiare negli Stati membri, bensì considerarne la revisione.

3.7.

Quanto ai richiedenti asilo, vietare loro di lavorare significa incitarli a ricorrere al lavoro non dichiarato. Bisognerebbe dunque eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono loro di accedere al mercato del lavoro. Inoltre, il possesso di un posto di lavoro dovrebbe consentire la regolarizzazione del soggiorno — una soluzione che ha avuto effetti positivi negli Stati membri che hanno proceduto a regolarizzazioni massicce.

3.8.

In conclusione, occorre armonizzare gli strumenti europei per consentire a chiunque risieda legalmente sul territorio europeo di accedere immediatamente all’occupazione e di acquisire diritti personali di soggiorno, a prescindere dal suo stato civile.

4.

Misure specifiche per l’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro degli Stati membri

4.1.   Si impone una constatazione preoccupante: la condizione della donna immigrata è doppiamente difficile.

4.1.1.

Le donne sono svantaggiate sul mercato del lavoro, siano esse europee o immigrate. A dispetto del quadro legislativo UE, le donne continuano ad avere più difficoltà degli uomini a trovare un equilibrio tra vita privata e vita professionale, accedere ai diritti sociali e ai posti di responsabilità e partecipare alla vita pubblica.

4.1.2.

Le donne sono concentrate in alcuni settori (9) (sanità, istruzione, pubblica amministrazione, settore alberghiero e ristorazione, servizi alle famiglie, lavoro domestico ecc.), lavorano molto spesso a tempo parziale e sono inoltre maggioritarie nei contratti a breve termine di tipo precario. Nel 2014, lo scarto tra la retribuzione media maschile e quella femminile nell’UE è ancora pari al 16,4 % (10), e quello tra le pensioni dei due sessi è persino maggiore.

4.1.3.

La situazione è ancora più preoccupante per le donne migranti: il loro tasso di attività professionale è infatti più basso di quello delle donne autoctone. Per la maggior parte, esse sono concentrate in alcuni settori e sono più spesso interessate da precarietà, lavoro a tempo parziale, basse retribuzioni e cattive condizioni di lavoro. Il loro accesso al lavoro può inoltre essere ostacolato da barriere culturali all’interno della famiglia o della comunità di appartenenza. Infine, queste donne possono essere oggetto di discriminazioni nell’accesso al mercato del lavoro.

4.2.   Sono necessarie misure specifiche

4.2.1.

Alla luce di questa constatazione, si rende necessaria un’azione positiva, che tenga innanzitutto conto della situazione specifica delle donne, del loro livello di qualificazione, della loro conoscenza della lingua del paese ospitante, del fatto che si tratti di immigrate di prima generazione o di generazioni successive.

4.2.2.

Talune misure di conciliazione tra vita professionale e vita familiare sono le stesse che per le donne autoctone. Per le donne immigrate, che generalmente non hanno familiari sul posto su cui contare, avere accesso a servizi di custodia dei bambini di qualità, economicamente e geograficamente accessibili è assolutamente indispensabile.

4.2.3.

Altre azioni sono invece più specificamente indicate per le donne migranti: lottare contro il razzismo, migliorare l’accesso all’alloggio, alle cure sanitarie e ai servizi sociali, combattere i matrimoni forzati, la poligamia ecc. La possibilità di godere, in Europa, del rispetto dei diritti dell’uomo e della parità tra i sessi e di sottrarsi alla violenza sulle donne e alle situazioni di disuguaglianza è uno dei motivi che spingono le donne a lasciare il loro paese. Esse non dovrebbero trovare gli stessi problemi qui in Europa. Eppure esistono anche difficoltà di questo tipo, e interessano persino le immigrate di seconda generazione, ostacolandone l’accesso al lavoro.

4.2.4.

Nell’UE, numerose iniziative costruttive per l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro vengono adottate a livello locale, dalla società civile, dalle associazioni delle donne immigrate o dalle università. Bisognerebbe sostenerle e incoraggiare la diffusione di queste buone pratiche a livello nazionale e tra Stati membri.

4.3.   Raccogliere i dati necessari per formulare politiche informate

4.3.1.

Per avere una conoscenza più approfondita dei bisogni delle donne immigrate ed elaborare politiche adeguate, è indispensabile disporre di migliori statistiche, suddivise in base al sesso e alla nazionalità o paese d’origine, a livello sia nazionale che europeo.

4.4.   Informare meglio le donne migranti

4.4.1.

Per migliorare la conoscenza, da parte delle donne migranti, della società di accoglienza e del suo mercato del lavoro bisogna dare loro accesso a informazioni in più lingue sui loro diritti e i servizi esistenti, agendo a questo fine in cooperazione con la società civile e le reti dei migranti, la cui cooperazione è riconosciuta e sostenuta.

4.5.   Facilitare l’apprendimento delle lingue dei paesi ospitanti

4.5.1.

L’integrazione e l’accesso all’occupazione presuppongono innanzitutto la conoscenza della lingua del paese ospitante. Un’insufficiente padronanza della lingua perpetua l’isolamento delle donne, impedendo loro di prendere conoscenza dei loro diritti e di avere accesso ai servizi pubblici, e influisce negativamente sull’integrazione dei loro figli. In effetti, i risultati scolastici della maggior parte dei giovani provenienti da un contesto migratorio sono inferiori a quelli dei giovani autoctoni.

4.5.2.

I poteri pubblici devono quindi mettere a disposizione delle donne migranti dei corsi di lingua accessibili in termini di costo, ubicazione e orari (che devono essere compatibili con la presenza di bambini piccoli nel nucleo familiare). Dal punto di vista del contenuto, i corsi dovrebbero essere utili nella ricerca di un’occupazione e nei contatti con i servizi pubblici.

4.6.   Riconoscere le qualifiche e prevenire la dequalificazione

4.6.1.

Le donne immigrate presentano profili diversi e le politiche devono adattarsi a queste differenze. Alcune di loro hanno un basso grado di istruzione e poca esperienza, mentre altre sono in possesso di qualifiche universitarie o professionali elevate.

4.6.2.

Per molte, la difficoltà maggiore consiste nel farsi riconoscere le qualifiche e le esperienze acquisite al di fuori dell’Unione, il che è paradossale, visto che l’Europa ha bisogno di personale qualificato in vari settori. Il periodo di attesa, talvolta lungo, necessario per il riconoscimento dei diplomi può comportare scoraggiamento e perdita delle conoscenze acquisite, e indurre queste donne ad accettare impieghi sottoqualificati. Le donne migranti disoccupate o che occupano posti di lavoro di livello inferiore alle loro qualifiche rappresentano delle risorse sottosfruttate e una perdita di capitale umano.

4.6.3.

Bisognerebbe creare dei servizi appositi allo scopo di consentire il riconoscimento delle qualifiche acquisite nel paese di origine. Anche le parti sociali hanno un ruolo importante da svolgere per facilitare, nei contratti collettivi, il riconoscimento di tali qualifiche.

4.6.4.

Taluni settori, come quelli delle pulizie, della custodia dei bambini, dell’assistenza agli anziani, del settore alberghiero e della ristorazione, dell’agricoltura e dell’economia sociale possono offrire opportunità alle donne immigrate meno qualificate, in quanto lavoratrici subordinate o autoimprenditrici. Bisogna però professionalizzare e valorizzare questi settori, formare a questi mestieri e riconoscere l’importante contributo delle lavoratrici che li praticano, affinché il loro lavoro apporti benefici sia agli autoctoni che alle immigrate stesse.

4.6.5.

Questo tipo di lavoro può anche essere svolto a titolo transitorio: di qui l’importanza di offrire formazioni durante il periodo in cui le donne lo svolgono, affinché possano progredire professionalmente oppure orientarsi verso altri mestieri.

4.6.6.   Il caso specifico del lavoro a domicilio

4.6.6.1.

Se non tutte le donne immigrate lavorano in questo settore, è tuttavia verso di esso che spesso si orientano in un primo tempo, da un lato perché la domanda è forte, dall’altro in quanto possono lavorare anche se sprovviste di documenti.

4.6.6.2.

Queste lavoratrici si trovano intrappolate: possono soltanto svolgere lavoro non dichiarato, senza alcuna protezione, e non possono accedere né alla regolarizzazione né al permesso di soggiorno perché non sono in grado di dimostrare che lavorano. Sono perciò in una posizione di grande vulnerabilità, sole di fronte a numerosi datori di lavoro o residenti presso un datore di lavoro unico.

4.6.6.3.

Alcuni Stati membri hanno adottato misure che consentono di «riciclare» questo lavoro nero — agevolazioni fiscali in Svezia, titre services e chèque emploi service (buoni-lavoro) rispettivamente in Belgio e Francia ecc. — facilitando le pratiche di registrazione per i datori di lavoro e permettendo ai lavoratori di accedere ai diritti sociali e di dimostrare la loro attività professionale, aprendo così la strada alla regolarizzazione della loro posizione.

4.6.6.4.

Gli Stati membri dovrebbero ratificare la convenzione n. 189 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) (11), che consente di accordare ai lavoratori domestici diritti equivalenti a quelli degli altri lavoratori e di strutturare questo settore, come raccomandato dal CESE nel suo parere Lo sviluppo dei servizi alla famiglia come mezzo per aumentare i tassi di occupazione e promuovere la parità di genere sul luogo di lavoro  (12).

4.7.   Sostenere il lavoro autonomo e l’imprenditorialità

4.7.1.

Le ricerche indicano che gli immigrati hanno una mentalità più innovativa e imprenditoriale delle popolazioni autoctone. In numerosi paesi, essi optano per lo status di autoimprenditore o creano nuove imprese, in cui spesso assumono altri immigrati. Il Comitato ha dedicato un parere (13) al contributo degli imprenditori migranti all’economia dell’UE.

4.7.2.

Per ottenere risultati migliori, questi imprenditori hanno bisogno di essere sostenuti per accedere al finanziamento, imparare a elaborare dei business plan e conoscere l’ambiente economico del paese di accoglienza. Occorre sviluppare iniziative specifiche per aiutare le donne imprenditrici e dedicare un’attenzione particolare all’imprenditoria sociale.

4.7.3.

Occorre fare in modo che anche le donne immigrate possano beneficiare del tutoraggio di altri imprenditori con più esperienza, e aiutare le reti di donne immigrate che svolgono attività imprenditoriale. Bisogna offrire un’educazione imprenditoriale anche alle donne immigrate, organizzandola in stretta collaborazione con le parti sociali e la società civile organizzata.

4.8.   Migliorare l’immagine delle donne immigrate

4.8.1.

Se da un lato l’immigrazione femminile autonoma, spesso composta da donne qualificate, è in aumento, la rappresentazione sociale della donna immigrata come vittima di una cultura che lascia poco spazio ai diritti della donna si evolve con estrema lentezza. Occorre trasmettere un’immagine più positiva delle donne migranti, che possa servire da modello nelle comunità immigrate. Dovrebbero essere organizzate delle campagne di informazione a questo fine.

4.9.   Migliorare la cooperazione multilivello

4.9.1.

Per una reale integrazione è necessaria una collaborazione tra tutte le parti interessate, tra cui le istituzioni europee, gli Stati membri e gli attori nazionali, regionali e locali.

4.9.2.

Il coinvolgimento della società civile organizzata — e in particolare delle associazioni delle donne migranti — è necessario in tutte le fasi delle politiche finalizzate all’integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro. Grazie alla loro conoscenza delle realtà vissute dalle donne immigrate, infatti, le parti interessate possono apportare un autentico valore aggiunto. Il loro coinvolgimento potrà altresì facilitare l’emergere di un senso di co-titolarità, che favorisca l’accettazione e l’attuazione delle politiche.

5.   Conclusione

5.1.

La partecipazione al mercato del lavoro è uno dei più efficaci e più concreti mezzi di integrazione sociale. Le donne immigrate hanno bisogno di essere sostenute e accompagnate nel loro percorso integrativo. Devono essere informate dei loro diritti e doveri nella società di accoglienza, beneficiare di diritti propri, avere accesso alla formazione, valorizzare le loro competenze e veder riconosciuto il loro contributo all’economia e alla società europea.

Bruxelles, 21 gennaio 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Direttiva 2009/50/CE del Consiglio del 25 maggio 2009.

(2)  Direttiva 2014/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014.

(3)  Proposta di direttiva COM(2013) 151 final.

(4)  I più recenti pareri adottati dal Comitato sono i seguenti: GU C 451 del 16.12.2014, pag. 96GU C 67 del 6.3.2014, pag. 16- GU C 351 del 15.11.2012, pag. 16GU C 181 del 21.6.2012, pag. 131GU C 48 del 15.2.2011, pag. 6GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16GU C 347 del 18.12.2010, pag. 19GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29GU C 27 del 3.2.2009, pag. 95 e la relazione informativa sul tema Le nuove sfide dell’integrazione, SOC/376.

(5)  COM(2011) 455 definitivo.

(6)  Consigli europei di Tampere (1999), dell’Aia (2004) e di Stoccolma (2009).

(7)  Direttiva 2009/50/CE (GU L 155 del 18.6.2009, pag. 17).

(8)  Direttiva 2003/86/CE (GU L 251 del 3.10.2003, pag. 12).

(9)  Gender Equality Index — Report (Relazione sull’indice dell’uguaglianza di genere), Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), 2013, pag. 21.

(10)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/Gender_pay_gap_statistics

(11)  Convenzione n. 189 dell’OIL, entrata in vigore il 5 settembre 2013.

(12)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 16.

(13)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 16.