COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Bilancio della strategia Europa 2020_x000b_ per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva /* COM/2014/0130 final */
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL
PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
E AL COMITATO DELLE REGIONI Bilancio della strategia Europa 2020
per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva Introduzione[1] La strategia Europa 2020, proposta dalla
Commissione nei primi mesi del 2010 come strategia dell’Unione per una crescita
intelligente, sostenibile e inclusiva[2],
rispondeva all’esigenza di rendere l’Unione più competitiva, seppur mantenendo
il suo modello di economia di mercato sociale, e migliorare notevolmente l’efficienza
delle sue risorse ‘. Al momento del lancio, la strategia Europa 2020 era all’avanguardia
nel promuovere un modello di crescita che non si limitasse semplicemente a far
crescere il PIL. Oggi molti organismi promuovono una crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva quale fattore essenziale dello sviluppo economico. La strategia Europa 2020 è stata lanciata per
far fronte a un rallentamento della crescita e a livelli di produttività inferiori
rispetto ad altri paesi industrializzati e in risposta a un rapido
deterioramento del contesto economico e sociale a seguito di una delle più
gravi crisi finanziarie mondiali mai conosciuta prima dall’Unione. La strategia
ricalcava le orme dal suo predecessore, la strategia di Lisbona per la crescita
e l’occupazione, lanciata nel 2000, rinnovata nel 2005 e attuata fino al 2010.
Nel documento di base si legge a chiare lettere che «la [...] priorità a breve
termine è superare con successo la crisi», ma che «per conseguire un futuro
sostenibile» l’Europa deve «sin d’ora guardare oltre il breve termine» e «ovviare
alle proprie carenze strutturali». L’ambizione è «uscire più forti dalla crisi
e [...] trasformare l’UE in un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva
caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale.»[3]. Concepita sotto forma di partenariato tra l’Unione
e gli Stati membri, la strategia stabilisce una serie di obiettivi, incentrati
sulle priorità della crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, e prevede
un sistema specifico per la sua realizzazione. Europa 2020 individua
cinque obiettivi principali, tra essi collegati, in materia di occupazione,
ricerca e sviluppo (R&S), cambiamenti climatici e energia, istruzione e
lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, che l’UE si propone di
realizzare entro il 2020. Lungi dall’essere limitativi questi obiettivi
sono un esempio del tipo di cambiamento dinamico che la strategia propugna. Per dinamizzare i progressi a livello dell’Unione,
la Commissione ha definito sette iniziative faro[4],
con programmi di lavoro specifici in settori individuati quali importanti leve
della crescita. La strategia è inoltre servita come quadro di riferimento per
le iniziative dell’UE sul mercato unico, per il bilancio 2014–2020 e per
delineare il programma di politica esterna. Rivedere la strategia Europa 2020 vuol dire
tener presente la crisi finanziaria e economica di questi anni e la reazione
dell’Unione (vedi riquadro 1). Man mano che la crisi si è allargata e ha
assunto nuove forme, l’Unione si è trovata alle prese con la sfida di rompere
il circolo vizioso determinato da crescenti livelli del debito sovrano,
contagiosa instabilità finanziaria e crescita bassa o addirittura negativa.
Questa situazione ha reso necessari interventi sistemici e nel breve termine,
soprattutto nella zona euro, mirati ad esempio a ripristinare la capacità di
prestito per i paesi in difficoltà finanziaria, a rafforzare le norme di
governance economica e a garantire una vigilanza e una regolamentazione
finanziarie maggiori. Riquadro 1: Azione dell’UE volta a superare la crisi economica e finanziaria 2008‑2013 A novembre 2008 la Commissione varava un piano europeo di ripresa economica, inteso a aumentare gli investimenti nelle infrastrutture e in altri settori chiave, e proponeva di coordinare i pacchetti nazionali di incentivi finanziari tra gli Stati membri. Nell’insieme il pacchetto ammontava a circa 200 miliardi di EUR, ovvero l’1,5% del PIL dell’UE. Per facilitare la mobilitazione di fondi pubblici venivano inoltre adeguate la normativa sugli aiuti di Stato e le norme per l’utilizzo dei fondi dell’UE. A fronte di una ripresa passeggera, del rischio di incorrere in un debito sovrano vero e proprio e dell’ampliarsi della crisi economica e finanziaria sono intervenute una serie di decisioni: - per ridurre il rischio di contagio e la fragilità finanziaria negli Stati membri è stato creato un meccanismo di risoluzione delle crisi. A maggio 2010 sono stati introdotti due meccanismi temporanei di risoluzione delle crisi: il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF). Nel 2012 gli Stati membri della zona euro hanno deciso di creare un meccanismo permanente di risoluzione delle crisi, con un firewall finanziario di 500 miliardi di EUR: il meccanismo europeo di stabilità (MES) è stato istituito a ottobre 2013 e prestiti sono stati erogati ai paesi in difficoltà finanziaria; - l’UE ha intrapreso una profonda e ambiziosa riforma del sistema finanziario. La vigilanza dei mercati finanziari è diventata più rigorosa grazie al sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF), composto da tre autorità europee di vigilanza (AEV) specifiche e da un organo di controllo macroprudenziale, il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS). Sono inoltre stati compiuti importanti passi verso l’«unione bancaria» con la creazione di un meccanismo di vigilanza unico delle banche a livello centrale, che diventerà operativo a novembre 2014, e con l’accordo su come procedere al risanamento e alla risoluzione delle crisi delle banche in dissesto; - la governance economica dell’Unione è stata notevolmente rafforzata, garantendo la piena integrazione delle varie componenti della sorveglianza economica e di bilancio nel quadro del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche. Nel 2011 il pacchetto legislativo[5] ha introdotto una nuova procedura per gli squilibri macroeconomici che permette di individuare e correggere questo tipo di squilibri. È stato inoltre rafforzato il patto di stabilità e crescita (PSC). A maggio 2013 sono entrate in vigore una serie di misure complementari[6], tra cui la verifica da parte della Commissione dei documenti programmatici di bilancio degli Stati membri della zona euro. Con il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (UEM), gli Stati membri firmatari della zona euro (e alcuni Stati membri esterni alla zona euro) si sono impegnati a integrare i principi fondamentali del patto di stabilità e crescita nei rispettivi ordinamenti giuridici. A dicembre 2013 il Consiglio ha approvato un nuovo quadro di valutazione dei principali indicatori occupazionali e sociali che è stato inglobato nella relazione comune sull’occupazione. Una crisi di grande portata come quella degli
ultimi anni ha reso necessaria una risposta politica forte e immediata per
sostenere gli obiettivi a lungo termine della strategia Europa 2020. Dall’analisi
annuale della crescita, che definisce le priorità dell’UE per l’anno
successivo, alla presentazione di proposte legislative mirate, passando per gli
orientamenti specifici per paese, la Commissione fa appello a un mix di azioni
che diano stabilità al settore finanziario insieme a strategie di ripresa,
sforzi per risanare i bilanci e riforme strutturali adeguate alle specificità
di ciascuno Stato e che tengano presente l’interdipendenza delle economie dell’Unione. Per monitorare e portare avanti l’attuazione
nazionale della strategia Europa 2020, gli Stati membri sono stati invitati a
stabilire obiettivi nazionali e a individuare interventi dettagliati nel quadro
dei rispettivi programmi nazionali di riforma. Questi programmi sono
riesaminati ogni anno a livello dell’UE nel quadro del semestre europeo per il
coordinamento delle politiche economiche. Il primo semestre europeo, nato per
rafforzare la governance economica dell’Unione e avviato nei primi mesi del
2011, si è rapidamente imposto come il nuovo ciclo programmatico annuale di orientamento
e monitoraggio economico a livello dell’UE (si veda oltre e l’allegato I). All’insegna
dell’approccio di partenariato, questo meccanismo implica un dialogo regolare
con il Parlamento europeo e le diverse formazioni del Consiglio. Quattro anni dopo l’avvio della strategia
Europa 2020, la presente comunicazione si propone di tracciare un bilancio[7]. In occasione del
vertice di marzo 2014 si prevede che il Consiglio europeo intavoli una prima
discussione, dopo la quale la Commissione avvierà una consultazione pubblica
per raccogliere il parere di tutte le parti in causa, di cui terrà conto per definire
la strategia per il prossimo periodo 2015‑2020. 1. L’Europa quattro anni dopo
Nel 2009 l’economia europea segnava una battuta d’arresto
senza precedenti registrando una riduzione del PIL del 4,5%. Dopo la breve
tregua del 2010 la tendenza negativa è ripresa lungo tutto il 2011 e il 2012.
Dal 2013 si registra una graduale ripresa destinata a continuare, con una
crescita stimata del PIL reale dell’UE in misura dell’1,5% nel 2014 e del 2%
nel 2015[8].
La media dell’UE ingloba un’ampia gamma di percorsi di crescita e di esperienze
di crisi: se alcuni Stati membri sono stati particolarmente colpiti, in altri
le conseguenze sono state relativamente più lievi. Nel 2010, quando è stata varata la strategia
Europa 2020, la portata e la durata della crisi erano ancora in gran parte
ignote. I diversi scenari per il decennio successivo ipotizzati in quel momento
andavano da un ritorno a una crescita «forte» a una ripresa «fiacca» o al
rischio di un «decennio andato in fumo». Molto sarebbe dipeso dalla capacità
dell’UE di uscire rapidamente e ancora più forte dalla recessione del 2009[9]. Grafico 1. Livello del PIL reale dell’UE e della zona euro nel periodo
2000–2020 (indice 2010 = 100) Quattro anni dopo è oramai chiaro che la
probabile traiettoria di crescita dell’UE nel periodo 2010–2020 è più vicina al
secondo scenario (circa 1,3% su base annua). Come mostra il grafico 1, nel 2014
si prevede che la produzione economica dell’UE raggiunga i livelli del 2008 e
le perdite occasionate dalla crisi siano compensate dalla ripresa in corso. La
crisi ha avuto tuttavia un’incidenza al tempo stesso immediata e più a lungo
termine: l’Europa ha subito perdite in termini di ricchezza e di posti di
lavoro, imprese e «know–how» che ne hanno eroso il potenziale di
crescita futura. Stando alle ultime previsioni[10], nel periodo 2014–2020
il PIL dell’UE dovrebbe crescere annualmente dell’1,6%, contro il 2,3% del
periodo 2001–2007 (precedente alla crisi). Espressa in termini di PIL pro
capite, nel periodo 2014–2020 la crescita media annua dell’UE si attesterebbe
pertanto intorno allo 0,9%, contro l’1,8% del 2001–2007. Un primo passo fondamentale per definire una
strategia di crescita dell’UE all’indomani della crisi consiste nel
comprenderne pienamente le ripercussioni e nell’avere una diagnosi condivisa
delle condizioni dell’Europa. In tal senso è altrettanto importante non perdere
di vista quanto sia illusorio e deleterio voler ritornare al «modello» di
crescita del precedente decennio. Squilibri di bilancio, bolle immobiliari,
crescenti disuguaglianze sociali, scarsa innovazione e imprenditorialità,
sistemi finanziari disfunzionali, crescente dipendenza energetica, sfruttamento
delle risorse e ‘ambiente soggetti a diverse pressioni, forte aumento della
disoccupazione, carenze dei sistemi di istruzione e formazione e inefficienza
della pubblica amministrazione sono tutti elementi presenti e non risolti del
passato che hanno contribuito al collasso di settori dell’economia nel momento
in cui la crisi ha colpito in pieno. Oltre ai dati sul PIL è anche essenziale
esaminare, e talvolta riscoprire, le tendenze e i cambiamenti strutturali che
determinano la capacità di crescita dell’Europa. Ecco perché è fondamentale
capire e stimolare i fattori che guidano il progresso verso la realizzazione
degli obiettivi della strategia Europa 2020. 1.1. Le
ripercussioni della crisi Sostenibilità delle finanze pubbliche e
private Il disavanzo pubblico medio dell’UE, che nel
2010 era del 6,5%, dovrebbe ridursi al 2,7% nel 2015[11]. Questo dato riflette
gli ingenti sforzi messi in atto in diversi Stati membri, soprattutto nel 2011
e 2012, per ripristinare la sostenibilità delle finanze pubbliche nazionali[12]. Dato però l’accumulo
del debito pubblico e il rallentamento della crescita, il rapporto tra debito
sovrano e PIL è aumentato notevolmente, passando da un 60% in media prima della
crisi all’80% del 2010. Il dato previsto per il 2015 è dell’89,5%[13]. Con la ripresa della
crescita e la riduzione del deficit, il debito pubblico dovrebbe cominciare a
diminuire nel 2015. Interventi mirati a migliorare la qualità della spesa
pubblica, l’efficienza della pubblica amministrazione e la convivialità dei
sistemi fiscali, anche spostando ulteriormente l’onere fiscale dal lavoro ai
consumi, alla proprietà e all’inquinamento, saranno sempre più centrali per
tutelare e definire in futuro la crescita e il modello sociale europei. Anche i livelli del debito privato (famiglie e
imprese), particolarmente elevati prima della crisi, sono ulteriormente
aumentati per effetto della stessa. Sebbene per molti attori del settore
privato sia prioritario ridurre l’esposizione finanziaria, questo può avere per
qualche tempo l’effetto contrario di rallentare la crescita, soprattutto in un
contesto di crescita e inflazione basse. Nonostante una certa stabilizzazione del settore finanziario, l’accesso
ai finanziamenti rimane limitato in alcune regioni dell’Unione In generale la situazione dei mercati finanziari è andata evolvendo
positivamente negli ultimi mesi, anche se questo non viene ancora avvertito nell’economia
reale, mentre il settore finanziario continua a mostrare una certa
vulnerabilità. Dopo 24 trimestri di contrazione consecutiva dal 2008, nel
primo trimestre del 2014 i prestiti bancari alle piccole e medie imprese (PMI)
hanno ripreso a crescere[14].
L’accesso al finanziamento continua però a destare preoccupazione in numerose
regioni dell’Unione europea, con variazioni da uno Stato membro all’altro che
mettono in risalto la frammentazione del mercato. Crescenti livelli
di disoccupazione e povertà La crisi ha prodotto in Europa un forte
aumento della disoccupazione, che è passata dal 7,1% del 2008 al picco del
10,9% del 2013. Dato il lasso di tempo che intercorre tra la ripresa e la
creazione netta di posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è destinato a
ridursi solo lentamente nel prossimo futuro (10,4% nel 2015[15]). Nel tempo la situazione si è ancor più
radicata. Tra il 2008 e il 2012 la disoccupazione di lungo termine, cioè la
percentuale di popolazione attiva senza occupazione da oltre un anno, è
aumentata di 2,1 punti percentuali, passando dal 2,6% al 4,7%. Il dato
potrebbe indicare un aumento del livello di disoccupazione strutturale, che ha
conseguenze molto ampie non solo per la forza lavoro e il potenziale di
crescita dell’economia ma anche per il tessuto sociale e politico dell’UE,
segnatamente in termini di livelli crescenti di povertà e esclusione sociale
(vedi oltre). La situazione varia notevolmente in funzione
del paese e della regione; nel 2013 il tasso di disoccupazione andava dal 5%
dell’Austria al 27,6% della Grecia. Sebbene la disoccupazione colpisca tutti i
gruppi di età, la situazione è particolarmente critica per chi ha più di 55 anni
e per i giovani; nel 2013 il tasso di disoccupazione giovanile medio (ovvero la
percentuale di giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni) nell’UE era del 23,3%,
con punte massime del 59,2% in Grecia e del 55,7% in Spagna. Altro dato
preoccupante: la percentuale crescente di giovani che non lavorano, non
studiano né sono in formazione (i NEET), pari al 13,2% nel 2012. Situazioni diverse
nell’Unione L’Unione era caratterizzata da notevoli
differenze già da prima della crisi che, per la sua gravità, ha rivelato una
serie di squilibri accumulatisi negli anni. La crisi ha amplificato le
divergenze crescenti tra ‘gli Stati membri e, in molti casi, al loro interno.
In circostanze estremamente sfavorevoli è particolarmente difficile distinguere
tra tendenze cicliche e strutturali, con il rischio che diversi effetti della
crisi diventino duraturi. Tra questi un’Unione più disomogenea in termini di
congiuntura e prestazioni economiche. Queste disparità si evincono anche dall’esame
dei progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Europa 2020. 1.2. Tendenze
di lungo termine che incidono sulla crescita La strategia Europa
2020 è stata varata sullo sfondo delle sfide di lungo termine dell’Unione.
Alcune di queste hanno avuto grande risonanza durante la crisi, mentre altre
sono state talvolta eclissate da tante altre questioni urgenti nell’agenda
politica. Le sfide del 2010 sono in buona parte ancora presenti e in alcuni
casi si sono addirittura accentuate. Cambiamenti
sociali La società europea si trasforma sotto l’influsso
di forze interne e mondiali alle quali tutti vanno adeguandosi: nuovi stili di
vita urbani e rurali, rinnovati schemi di consumo e mobilità, configurazioni
familiari inedite e diversificate, un posto crescente della tecnologia nel
quotidiano ecc. In particolare due tendenze fanno da sfondo alla strategia
Europa 2020. In primo luogo l’invecchiamento della
popolazione europea sta cambiando le carte in tavola, creando opportunità e lanciando
sfide. L’invecchiamento demografico va gradualmente affermandosi e diventa
sempre più tangibile: in Europa l’età mediana (ovvero l’età che divide la
popolazione in due gruppi ugualmente numerosi) è passata da 35,7 anni nel 1992
a 41,5 anni nel 2012 e potrebbe raggiungere i 52,3 anni entro
il 2050. Tra il 1990 e il 2050 si prevede il raddoppiamento della
popolazione ultrasessantacinquenne dell’UE. L’invecchiamento demografico ha conseguenze
molto profonde sulla società e sull’economia europee. A fronte di questi
sviluppi la migrazione netta è e sarà sempre più necessaria. La migrazione
netta, che dal 1992 ha superato la crescita naturale della popolazione (la
differenza tra nascite e morti), costituisce attualmente i due terzi della
crescita demografica europea. Secondo le previsioni, l’indice di dipendenza
economica (ovvero il rapporto tra la popolazione non attiva e la popolazione
attiva) dovrebbe raggiungere nel 2030 quota 1,47, contro l’1,32 del 2010,
e la dipendenza della popolazione anziana lancia sfide inedite ai sistemi di
welfare sotto il profilo dell’adeguatezza sociale e della sostenibilità
finanziaria. La popolazione in età lavorativa è destinata a diminuire e sarà
composta sempre più da lavoratori in età più avanzata. Questa tendenza rischia
di limitare il potenziale di crescita dell’Europa, a meno che l’Unione non
riesca a ampliare il numero di occupati facendo in modo che lavorino in modo
più produttivo e più a lungo, in linea con l’aumento della speranza di vita e
degli anni di vita sani. In secondo luogo la
crisi ha portato alla ribalta l’annosa questione dell’efficacia e dell’equità
della ricchezza prodotta e distribuita grazie alla crescita. Mentre dalla metà
degli anni ‘80 il PIL e la ricchezza sono andati globalmente aumentando, in
Europa, come in altre parti del mondo industrializzato, si sono acuite le
disparità. Attualmente sussistono ampie disparità nella distribuzione del
reddito all’interno dell’Unione: nel 2012 in media il 20% più agiato della
popolazione guadagnava 5,1 volte in più rispetto al 20% meno
avvantaggiato. Questo dato presenta grandi variazioni tra i paesi dell’Unione:
laddove in Slovenia e nella Repubblica ceca si attesta rispettivamente a 3,4
e 3,5 volte in più, supera le 6 volte in più in Grecia, Romania, Lettonia e
Bulgaria, per raggiungere il picco massimo di 7,2 volte in più in Spagna.
Secondo le stime, la crisi ha ulteriormente esacerbato le disuguaglianze,
mettendo ancor più sotto pressione i sistemi di redistribuzione. La questione
dell’equità distributiva rende, a sua volta, ancora più difficile affrontare le
sfide con cui si confrontano le economie europee. Globalizzazione e
scambi L’Unione europea è il più grande esportatore e
operatore commerciale di beni al mondo. L’UE è anche il più grande operatore
commerciale di servizi e vanta ancora grandi potenzialità di crescita. Secondo
le stime nei prossimi 10–15 anni ben il 90% della crescita mondiale sarà
originata al di fuori dell’UE e l’Unione ha ogni interesse a garantire che le
sue imprese rimangano molto competitive, che siano in grado di accedere a nuovi
mercati e che sappiano attingere a queste fonti di crescita. La globalizzazione non significa solo
commercio e scambi agevolati, ma vuol dire anche integrarsi nelle catene di
valore mondiali e fornire prodotti, servizi e tecnologie che nessun singolo
paese sarebbe in grado di produrre da solo. Ma globalizzazione vuol dire anche
creare le condizioni per un partenariato e uno sviluppo bilanciati tra i paesi,
cominciando da quelli del vicinato europeo. La capacità dell’Unione di competere sulla scena internazionale comincia
entro i suoi confini. L’Unione trae notevole beneficio dall’integrazione nell’economia
mondiale, che si basa sul proprio mercato interno: attualmente i due terzi
degli scambi di merci dell’UE avvengono entro i suoi confini. Pertanto il
successo mondiale delle imprese europee negli scambi internazionali rispecchia
non solo i punti di forza nazionali ma anche, tramite le catene di valore
transfrontaliere, il coinvolgimento di fornitori di altri paesi dell’Unione,
che contribuiscono notevolmente in termini di competitività. I dati provano
inoltre che le PMI che operano sui mercati internazionali crescono più
velocemente e sono più innovative di quelle che si limitano a operare sui
mercati locali. Durante la crisi l’Unione ha beneficiato
direttamente degli scambi, che sono un fattore trainante della crescita, ed è
riuscita a mantenere una posizione forte sui mercati mondiali. Nel 2015,
nonostante la sua forte dipendenza dalle importazioni di energia, l’economia
dell’Unione dovrebbe registrare un avanzo delle partite correnti intorno all’1,5%
del PIL (adeguato sul commercio all’interno dell’UE), contro il disavanzo dello
0,5% del PIL del 2010. Questa tendenza riflette inoltre il fatto che molti
Stati membri siano ora riusciti a recuperare competitività e a aumentare le
esportazioni. Sviluppi della
produttività e uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(TIC) Negli ultimi trenta anni la crescita europea ha
accumulato un ritardo rispetto a altre economie avanzate, in gran parte dovuto
allo scarso aumento della produttività. Se nel 1980 la produzione della
zona euro raggiungeva il 90% del PIL pro capite degli Stati Uniti, oggi si
attesta a appena il 70% e scende al di sotto del 60% per diverse economie[16]. Si ritiene spesso che riforme dei mercati
dei prodotti, dei servizi e del lavoro ben calibrate e sequenziate in risposta
alle esigenze dell’economia possano accrescere notevolmente la produttività nel
lungo termine. I vantaggi sarebbero più sostanziosi nei paesi periferici non
solo perché l’ambito di manovra per le riforme è più ampio, ma anche per gli
effetti positivi provenienti dal nucleo centrale della zona euro. Per
migliorare la produttività occorre inoltre qualificare il capitale umano e
rendere più efficaci i sistemi di ricerca, istruzione e formazione, promuovendo
la loro capacità di favorire l’innovazione. Per l’Europa, la cui popolazione in
età lavorativa invecchia e si contrae, è quanto mai urgente guadagnare in
produttività per poter crescere. Le moderne comunicazioni elettroniche e i
servizi online, compreso l’e–government, sono di per sé importanti
settori economici, ma hanno anche la capacità di stimolare la crescita e la
produttività dell’insieme dell’economia. In Europa scarsi investimenti e un uso
ridotto delle TIC rendono conto in buona parte del divario di produttività del
lavoro tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Rispetto ai principali
concorrenti, l’Unione è inoltre in ritardo per quanto riguarda gli investimenti
in infrastrutture di comunicazione avanzate, in particolare le infrastrutture
mobili. Nell’Unione la velocità media di trasmissione mobile dei dati è la metà
rispetto a quella degli Stati Uniti[17]
e gli utenti europei della rete 4G sono appena il 6% di quelli mondiali. I
collegamenti in rete in fibre ottiche interessano ben il 58% delle famiglie
nella Corea del Sud contro appena il 5% in Europa. In Europa il 54% delle
famiglie ha accesso a reti di prossima generazione con una velocità di
connessione di 30 megabit/sec. Nella nuova economia incentrata sui
dati, le imprese europee sono praticamente assenti nella catena di valore. Pressione sulle
risorse e preoccupazioni ambientali Nel XX secolo l’impiego di combustibili
fossili nel mondo è cresciuto di 12 volte e l’estrazione di risorse materiali
di 34 volte. Ogni cittadino dell’UE consuma ogni anno 15 tonnellate di
materiali, delle quali 5 di rifiuti, per metà destinati alle discariche. Mentre
aumentano i costi delle principali materie prime, dell’energia e dei minerali a
carico delle imprese, l’insicurezza dell’approvvigionamento e la volatilità dei
prezzi incidono negativamente sull’economia. Le fonti di minerali, metalli e
energia, gli stock ittici e le riserve di legname, l’acqua, i suoli fertili, l’aria
pulita, la biomassa e la biodiversità subiscono forti pressioni, come anche la
stabilità del sistema climatico. Se entro il 2050 si prevede un aumento della
domanda di alimenti, mangimi e fibre del 70%, il 60% dei principali
ecosistemi del pianeta che contribuiscono a produrre queste risorse risulta già
degradato o sfruttato in modo non sostenibile[18].
La qualità delle acque e i livelli di inquinamento atmosferico sono tuttora
critici in molte parti d’Europa. Lo sfruttamento non sostenibile dei suoli
porta alla riduzione dei terreni fertili, mentre continua il degrado delle
terre e l’impiego di infrastrutture verdi rimane subottimale. Analogamente lo
sfruttamento non sostenibile dei mari minaccia il fragile equilibrio degli
ecosistemi marini e incide su attività economiche come la pesca e il turismo. Il nostro sistema economico incoraggia tuttora
uno sfruttamento inefficiente delle risorse, che in alcuni casi sono
accessibili a prezzi inferiori al loro costo effettivo. Secondo il World
Business Council for Sustainable Development, entro il 2050 occorrerà
garantire un’efficienza delle risorse dalle 4 alle 10 volte superiore, con
miglioramenti importanti già entro il 2020. Promuovere uno sfruttamento più
efficiente delle risorse è fondamentale dal punto di vista commerciale. Oltre a
favorire la competitività e la redditività, può anche stimolare l’occupazione e
la crescita economica: durante la crisi le iniziative volte a migliorare l’efficienza
energetica nel settore residenziale si sono rivelate particolarmente utili per
stimolare la domanda di lavoro in ambito locale e favorire risparmi finanziari
nel tempo. 1.3. Progressi
verso gli obiettivi della strategia Europa 2020 Su questo sfondo i progressi verso la
realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 sono inevitabilmente disomogenei
(si veda l’allegato II). La crisi ha avuto chiare conseguenze, soprattutto in
termini di disoccupazione e povertà, e ha ostacolato i progressi verso la
realizzazione di altri obiettivi, ma è riuscita anche a ridurre le emissioni di
gas a effetto serra. La crisi ha inoltre allargato il fossato tra gli Stati
membri per quanto riguarda le prestazioni in una serie di ambiti, quali l’occupazione
e le attività di R&S. I progressi sono stati inoltre condizionati dalla
diversa risposta strategica nell’UE. Nonostante la crisi, si denotano tendenze
strutturali più positive, per esempio nei livelli di istruzione, nella
costruzione di un mix energetico più sostenibile e nella riduzione dell’intensità
di carbonio dell’economia. La relativa tenuta del tasso occupazionale durante
la crisi in una serie di paesi, insieme ai progressi realizzati nel periodo
precedente, può essere interpretata come un migliore andamento del mercato del
lavoro rispetto al passato. La sezione che segue illustra i principali
sviluppi per ciascuno dei cinque obiettivi. Aumento di almeno
il 75% del tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni Nel 2012 il tasso di occupazione dell’UE era
del 68,4%, contro il 68,5% del 2010 e il picco del 70,3% del 2008. Le recenti
tendenze fanno ipotizzare un aumento del 72% nel 2020. Il conseguimento degli
obiettivi nazionali potrebbe far salire la percentuale al 74%, ovvero appena al
di sotto dell’obiettivo fissato per il 2020. Le prestazioni nazionali sono molto
eterogenee: laddove Svezia e Germania registrano elevati tassi occupazionali e
stanno per raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali, Spagna, Grecia,
Bulgaria e Ungheria sono le ultime della lista. La maggior parte dei primi
della classe sul versante dell’occupazione va registrando grandi progressi dal
2000, ma il forte calo dell’occupazione verificatosi tra il 2000 e il 2012 ha
colpito buona parte degli Stati membri che attualmente hanno i tassi più bassi.
La situazione occupazionale, peraltro, varia notevolmente da una regione all’altra,
il che evidenzia squilibri e una limitata mobilità geografica nell’UE. Durante
la crisi molti Stati membri hanno comunque cominciato a attuare riforme
destinate a rendere più resilienti in futuro i mercati del lavoro, anche se ci
vorrà tempo prima che se ne vedano i risultati. Per raggiungere l’obiettivo del 75% occorrerà
inserire nella vita attiva altri 16 milioni di donne e uomini. Non
basterà quindi occupare l’ampia percentuale di giovani qualificati, ma
occorrerà anche sfruttare la forza lavoro potenziale costituita in larga parte
da donne, persone più anziane o adulti rimasti finora inattivi, compresi gli
immigrati. Questi ultimi due gruppi sono tendenzialmente meno istruiti rispetto
alla media della forza lavoro e il loro inserimento nella vita attiva può
rivelarsi pertanto più difficile. Queste persone andrebbero inoltre
verosimilmente a nutrire la manodopera meno qualificata, mentre a quanto pare
la futura domanda sarà piuttosto trainata da impieghi altamente qualificati. Le
politiche attive del mercato del lavoro, insieme a strategie di apprendimento
permanente e politiche di integrazione più ampie, continueranno a svolgere un
ruolo essenziale per il raggiungimento degli obiettivi occupazionali. Portare gli investimenti combinati pubblici e privati in R&S al 3%
del PIL Con un livello del 2,06% nel 2012 e scarsi
progressi registrati nel tempo, è improbabile che l’obiettivo del 3% venga
raggiunto nel 2020. Secondo le previsioni gli investimenti in R&S
dovrebbero salire al 2,2% entro il 2020, percentuale che potrebbe salire al
2,6% nell’ipotesi in cui gli Stati membri realizzino i rispettivi obiettivi nazionali. Dal 2000 il livello degli investimenti
pubblici e privati in R&S è andato aumentando nella maggior parte degli
Stati membri (tranne per Croazia, Lussemburgo, Regno Unito e Svezia). L’Estonia
ha registrato la più forte crescita tra il 2000 e il 2012 e attualmente si
attesta al di sopra della media dell’Unione in questo ambito. Ridurre le
emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990,
portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabile nel consumo finale
di energia e migliorare del 20% l’efficienza energetica Si tratta di obiettivi di agevole
realizzazione entro il 2020 e i progressi sono già evidenti: §
l’Unione è riuscita a ridurre del 18% le emissioni
di gas a effetto serra entro il 2012. I progressi sono in parte
ascrivibili alle politiche in vigore in materia di clima e energia e in parte
al rallentamento dell’attività economica, che ha notevolmente ridotto le
emissioni. Grazie ai miglioramenti strutturali, la ripresa in corso non
dovrebbe ostacolare ulteriori progressi entro il 2020, che permetterebbero di
abbassare le emissioni di gas serra del 24% rispetto ai livelli del 1990,
superando così di gran lunga l’obiettivo[19].
Stando però alle proiezioni nazionali, in 13 Stati membri le politiche in atto
non sarebbero sufficienti a conseguire gli obiettivi nazionali entro il 2020. §
Dal 7,5% del 2000[20],
la quota di energie rinnovabili aveva già raggiunto il 14,4% nel 2012[21]. Si ritiene pertanto
che l’obiettivo del 20% possa essere realizzato e addirittura superato entro il
2020 (intorno al 21%). Questo progresso fa dell’UE il leader mondiale degli
investimenti in energie rinnovabili. Alla fine del 2012 nell’Unione era stato
installato per esempio circa il 44% degli impianti mondiali per la produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili (escluse le centrali idroelettriche). § Tra il
2006, anno del picco, e il 2012 il consumo di energia primaria è diminuito di circa
l’8%. Per raggiungere l’obiettivo entro il 2020 occorre quindi un’ulteriore
riduzione del 6,3%. Dato che la riduzione del consumo è stata in buona parte
indotta dal rallentamento dell’economia, è probabile che la ripresa ostacoli
ulteriori progressi. La situazione va comunque ridefinendosi sul piano strutturale:
tra il 1995 e il 2011 l’intensità energetica dell’economia dell’Unione è calata
del 24%, con un miglioramento nel comparto industriale intorno al 30%. Nell’insieme, al di là dell’impatto a breve termine della crisi, l’UE
va sempre più scindendo la crescita dell’attività economica dalle emissioni di
gas a effetto serra (tra il 1990 e il 2012 il PIL dell’UE è cresciuto del 45%
mentre le emissioni diminuivano del 18%). Ridurre l’abbandono scolastico al di sotto del 10% e aumentare a almeno
il 40% la quota della popolazione di età compresa tra 30 e 34 anni che ha
completato gli studi superiori Si tratta di obiettivi di agevole
realizzazione entro il 2020: §
il tasso di abbandono scolastico è calato dal 15,7%
del 2005 al 12,7% del 2012 e la metà degli Stati membri ha già raggiunto o sta
per raggiungere i propri obiettivi nazionali. Questa riduzione è in parte
attribuibile alle difficoltà sul mercato del lavoro, ma si notano miglioramenti
strutturali e si prevede che la tendenza continui in futuro, anche se a un
ritmo ridotto; §
la quota di giovani che hanno completato il ciclo
di istruzione terziaria è passata dal 27,9% del 2005 al 35,7% del 2012. Pur
variando da paese a paese, questa tendenza è ritenuta strutturale e l’obiettivo
dovrebbe essere raggiunto nel 2020. Ridurre il rischio di povertà e esclusione sociale per almeno 20
milioni di persone Il numero di quanti nell’Unione sono esposti
al rischio di povertà e di esclusione sociale (comprese le persone a rischio di
povertà da reddito, che soffrono privazioni materiali o che vivono in famiglie
senza lavoro) è aumentato dai 114 milioni del 2009[22] ai 124 milioni del
2012. L’Unione si allontana ulteriormente quindi
dall’obiettivo (pari a 96,4 milioni di persone entro il 2020) e non si rinvengono
segni di rapidi progressi che pongano rimedio a questa situazione (entro il
2020 il numero di persone a rischio di povertà potrebbe rimanere vicino ai 100
milioni). La situazione si è particolarmente aggravata in alcuni Stati membri e
aumentano le privazioni materiali gravi e le famiglie senza lavoro. La crisi ha
puntato i riflettori sulla necessità di sistemi di protezione sociale efficaci. 2. La strategia Europa 2020 ha
funzionato? Se, e in che misura,
la strategia Europa 2020 abbia inciso sulle tendenze qui descritte è un tema aperto
alla discussione. La consultazione pubblica prevista nei mesi a venire sarà
importante per raccogliere testimonianze e alimentare il processo di revisione.
È comunque possibile trarre una serie di insegnamenti preliminari sui
principali aspetti della strategia. 2.1. Il ruolo degli obiettivi I cinque obiettivi
principali fissati nel 2010 sono stati adottati come traguardi politici
ambiziosi ma realizzabili per l’Unione. Gli indicatori servono a misurare le
tendenze tra gli Stati membri: oltre a quantificare, essi contribuiscono a
modificare la qualità e la natura del modello di crescita europeo. Come abbiamo
visto, i risultati fin qui conseguiti sono disomogenei. Il ricorso a obiettivi e indicatori, regolare
oggetto di discussione a livello dell’UE, ha ricevuto di recente particolare
attenzione nell’ambito dei lavori sul rafforzamento della governance economica
dell’UE e l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria (UEM). La
Commissione ha reso conto dell’ampiezza degli indicatori in uso e disponibili a
livello dell’UE. Gli obiettivi principali della strategia
Europa 2020 presentano una serie di limitazioni intrinseche:
non sono esaurienti. A livello dell’UE
esistono molti obiettivi e indicatori quantificati che servono a
monitorare le prestazioni nel tempo, tra i paesi e nei settori d’intervento.
Alcuni degli indicatori chiave più discussi servono a valutare le finanze
pubbliche nell’ambito del patto di stabilità e crescita. Sono stati
inoltre messi a punto un nuovo quadro di controllo che contribuisce a
prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici nell’ambito della
nuova procedura per gli squilibri macroeconomici e un nuovo quadro di
valutazione sui principali indicatori occupazionali e sociali. Altri
obiettivi sono poi presenti in diversi ambiti d’intervento, convenuti
spesso dalle formazioni del Consiglio nel corso degli anni, ad esempio per
la copertura internet a banda larga nel quadro dell’iniziativa faro «Un’agenda
europea del digitale». La tendenza consiste quindi nel proporre di
aggiungere o sostituire gli indicatori nel tempo, ma la sfida – come è
avvenuto per la strategia di Lisbona – è evitare che le priorità siano
edulcorate e attirare l’attenzione sugli elementi fondamentali;
sono vincolanti politicamente. A differenza
del patto di stabilità e crescita, o ancora della nuova procedura per gli
squilibri macroeconomici, i cui valori o parametri di riferimento
rientrano in un quadro giuridicamente vincolante, con possibili sanzioni,
gli obiettivi della strategia Europa 2020 rimangono essenzialmente
strategici, tranne due eccezioni importanti: gli obiettivi sulla riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra e sull’uso delle fonti di energia
rinnovabili, che rientrano in un quadro giuridicamente vincolante in
ambito UE e per i quali sono stabiliti i valori da raggiungere entro il
2020 a livello nazionale. La natura politica di questi obiettivi riflette
il ruolo centrale che i governi nazionali sono chiamati a assumere nel
quadro della strategia, secondo il principio di sussidiarietà. Per dare un
esempio, è risultato difficile a livello dell’UE definire gli obiettivi in
materia di istruzione e per il rischio di povertà gli Stati membri non
sono riusciti a concordare un indicatore unico che esprimesse l’obiettivo
di ridurre il numero di persone esposte; di conseguenza l’indicatore utilizzato
è composto da tre elementi;
rimane necessaria una valutazione
qualitativa. Ogni obiettivo ha i propri limiti. L’obiettivo R&S è
essenzialmente un obiettivo di input che rende conto della quota di spesa
pubblica e privata. Per questo motivo il Consiglio europeo ha chiesto di
affiancargli un indicatore che tenesse presente il fattore innovazione,
che la Commissione europea sta mettendo a punto[23].
Stesso vale per gli obiettivi in materia di occupazione e istruzione, che
non dicono gran che sulla qualità dei posti occupati o sui livelli o sull’adeguatezza
delle competenze acquisite. Peraltro le medie nazionali o a livello dell’UE
celano spesso variazioni di età, genere o regionali molto significative.
Per poter interpretare gli obiettivi e la reale situazione negli Stati
membri sono quindi necessari indicatori complementari, analisi più
specifiche e informazioni qualitative. Non si deve poi perdere di vista
che alcuni obiettivi – come quelli in materia di istruzione – sono più
prettamente di pertinenza dei pubblici poteri, mentre altri – come l’occupazione
o la spesa R&S – riflettono tendenze economiche più ampie.
Gli obiettivi
principali presentano, tuttavia, una serie di chiari vantaggi:
illustrano i cambiamenti dinamici promossi
dalla strategia Europa 2020. Sebbene l’UE non manchi di indicatori, questi
obiettivi specifici hanno messo a fuoco le tre dimensioni della crescita
intelligente, sostenibile e inclusiva proprie del modello auspicato dalla
strategia. In tal senso gli obiettivi tracciano la direzione di lungo
termine lungo la quale sostenere il futuro dell’Europa e fungono da
parametri di riferimento per orientare l’azione politica. Si tratta
inoltre di obiettivi strettamente interdipendenti e complementari, per cui
i progressi in un senso alimentano quelli nell’altro;
fungono da ancoraggio strategico. Come si
può vedere dai documenti allegati, gli Stati membri hanno tradotto gli
obiettivi dell’Unione in obiettivi nazionali. La loro esistenza permette
di mettere a confronto e incrociare temi e paesi, anche se la loro
pubblicizzazione e il livello di ambizione variano da un paese all’altro.
Alcuni Stati membri (Belgio, Repubblica ceca, Germania, Spagna, Francia e
Lituania), per esempio, in aggiunta all’obiettivo occupazionale generale,
hanno deciso di fissare obiettivi nazionali per genere, ponendosi così
traguardi in termini di occupazione femminile. Gli obiettivi nazionali
però non sono sufficientemente ambiziosi per raggiungere cumulativamente l’ambizione
a livello dell’UE. Gli obiettivi contribuiscono peraltro a monitorare e
discutere i progressi a livello dell’UE; sono per esempio già stati
utilissimi per analizzare le raccomandazioni specifiche per paese e
discutere le priorità di programmazione dei fondi strutturali e di
investimento europei per il periodo 2014–2020 (si veda oltre);
sono facili da monitorare. I fatti e i dati connessi
agli obiettivi (come anche i numerosi indicatori collegati) sono messi a
disposizione da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea. L’esperienza
di altre istituzioni internazionali, come l’OCSE per i lavori sulla «qualità
di vita» o l’indagine PISA sull’alfabetizzazione, o ancora i lavori della
Banca mondiale sulla “facilità di fare impresa”, è anch’essa una riprova
di come un’analisi puntuale sia un’efficace strumento di comunicazione.
Gli obiettivi non
sono fini a sé stessi. Sebbene abbiano dei limiti, i principali obiettivi della
strategia Europa 2020 sono utili per misurare e guidarne i diversi aspetti e
quindi per orientare la consapevolezza e l’attenzione politica a livello
nazionale e dell’Unione. 2.2. Il
ruolo delle iniziative faro e delle relative leve a livello dell’UE Le
iniziative faro presentate nel 2010 sono miniprogrammi di lavoro nei principali
ambiti di intervento della strategia e definiscono una serie di azioni
specifiche a livello nazionale e dell’UE, in ambiti tematici (si veda l’allegato
III). La maggior parte delle iniziative previste in origine sono state
presentate dalla Commissione e in molti casi adottate, ma è troppo presto per
poterne valutare il seguito ricevuto e l’impatto avuto. Le
principali azioni strategiche e legislative a livello dell’UE, presentate dalla
Commissione nel quadro del programma di lavoro annuale, sono state discusse con
le altre istituzioni, il che ha richiesto inevitabilmente un certo periodo di
tempo prima che fossero adottate e attuate. Altre iniziative non vincolanti (soft
law), che si sono avvalse in alcuni casi di finanziamenti dell’UE, sono
state spesso elaborate in stretta collaborazione con i ministeri settoriali e i
portatori di interesse dei rispettivi ambiti d’azione e possono avere avuto un
impatto più immediato sul campo. La Commissione si ripropone di raccogliere
elementi di prova sul loro effetto nel corso della consultazione. Le iniziative faro, che
hanno avuto la funzione di catalizzare l’azione a livello dell’UE, lasciano dietro
di sé una certa eredità:
a livello dell’Unione hanno contribuito a un
apprendimento reciproco e a conoscenze tematiche, anche grazie al lavoro
di rete e alla raccolta di elementi concreti. Un esempio è dato dal
meccanismo di monitoraggio sviluppato appositamente per valutare i
progressi degli Stati membri nella realizzazione dello Spazio europeo
della ricerca. Altri esempi sono l’assemblea sul digitale, che riunisce i
portatori di interesse del settore digitale, il quadro di valutazione dell’agenda
annuale sul digitale e la crescente attenzione per le questioni di
competitività industriale in diverse aree di intervento;
sono servite in alcuni casi come guida per l’utilizzo
dei fondi dell’UE nel periodo 2007–2013 e come quadro per progettare i
fondi dell’UE per il 2014–2020. Un esempio: a gennaio 2012 la
Commissione ha lanciato i gruppi di azione per i giovani per aiutare gli
Stati membri più colpiti dai crescenti livelli di disoccupazione giovanile
a riprogrammare i fondi dell’UE verso questa priorità. Altri esempi si
rinvengono nel nuovo approccio integrato del programma Erasmus+ e nel
nuovo programma Orizzonte 2020 – lo strumento dell’UE per finanziare la
ricerca e l’innovazione –– che, mettendo l’accento sull’eccellenza
scientifica, la leadership industriale e l’importanza di tener testa a
sfide sociali, integra gli obiettivi dei partenariati per l’innovazione
previsti dalle iniziative faro. Sono state inoltre accantonate risorse
specifiche nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo regionale per gli
investimenti in un’economia a basse emissioni di carbonio;
in diversi casi hanno fatto scattare o hanno
ispirato interventi strategici negli Stati membri, anche a livello
regionale e nazionale, a integrazione delle iniziative dell’UE, per
esempio in ambiti quali l’economia digitale o la ricerca e l’innovazione.
Lo sviluppo di strategie di specializzazione intelligente a livello
nazionale e regionale contribuisce per esempio a stimolare la crescita sul
posto. Programmi per l’agenda digitale sono stati inoltre lanciati da
oltre 20 Stati membri e diverse regioni.
Oltre alle
iniziative faro, gli obiettivi e i mezzi della strategia Europa 2020 sono stati
promossi nel quadro di tre grandi linee di intervento a livello dell’UE:
con più di 500 milioni di consumatori, il
mercato unico europeo rimane la più potente leva di crescita a livello
dell’UE e sono state adottate nuove misure per sfruttarne maggiormente le
potenzialità. ‘Gli Atti per il mercato unico I e II individuano 24 azioni
principali, per esempio in materia di economia digitale, energia,
trasporti, appalti pubblici e tutela dei consumatori, che il legislatore
ha adottato o sta per adottare. Ogni anno una relazione sul livello di
integrazione permette di monitorare i progressi e individuare gli ambiti
di intervento. Anche la politica di concorrenza ha sostenuto la
realizzazione degli obiettivi del mercato unico. Riflessioni e consultazioni
strategiche sono state infine avviate su temi quali il finanziamento dell’economia
nel lungo termine;
‘pur rappresentando appena l’1% circa del
PIL dell’Unione, il bilancio dell’UE può agire come un importante volano
della crescita. Il nuovo quadro finanziario dell’Unione per il periodo
2014–2020 è perfettamente allineato con le priorità della strategia Europa
2020: i programmi dell’UE sono stati ridefiniti, le priorità sono state
riviste in modo da investire i fondi dell’Unione negli Stati membri e
nuove condizioni sono state individuate per gli aiuti dell’UE;
l’agenda estera dell’Unione europea è un’importante fonte di
crescita e occupazione potenziali. C’è ancora margine per migliorare i
nessi tra le priorità dell’agenda interna e estera dell’UE e garantire che
l’Europa parli con una sola voce. Gli scambi sono oramai un fattore
essenziale per la crescita e l’occupazione, data l’importanza della
domanda estera e l’ampia portata degli obiettivi dell’Unione. I negoziati
con gli Stati Uniti e il Giappone permetteranno di stringere accordi
ambiziosi e generare grandi vantaggi economici. In ambiti quali la
politica di sviluppo, le norme globali, la riduzione del rischio di
catastrofi e la lotta contro i cambiamenti climatici, l’Unione è e
continuerà ad essere un partner molto attivo sulla scena mondiale,
promuovendo i propri obiettivi, valori e interessi.
2.3. Il
ruolo del semestre europeo Dall’adozione
della strategia Europa 2020, la governance economica dell’Unione è stata
notevolmente rafforzata (si veda il riquadro 1). Il semestre europeo di
coordinamento delle politiche economiche è ormai un indispensabile strumento
per la realizzazione delle riforme tanto in ambito nazionale che a livello dell’UE,
in quanto assicura che l’Unione e gli Stati membri coordinino le rispettive
politiche economiche e gli sforzi per promuovere la crescita e l’occupazione. L’allegato I descrive le fasi principali del
semestre europeo: il ciclo prende avvio ogni anno con l’analisi annuale della
crescita con la quale la Commissione individua le priorità dell’Unione; questa
alimenta le discussioni con gli Stati membri in vista del Consiglio europeo di
primavera e in preparazione dei rispettivi programmi nazionali di riforma e dei
programmi di stabilità e convergenza, che vengono presentati a aprile. La
valutazione dei programmi da parte della Commissione si traduce in
raccomandazioni specifiche per paese che vengono approvate dal Consiglio e dal
Consiglio europeo. Questo processo vede sempre più coinvolto anche il
Parlamento europeo, per esempio nel quadro della «settimana parlamentare» agli
inizi di gennaio, dove vengono discusse le maggiori priorità, o nel quadro dei «dialoghi
economici» periodici che il Parlamento intrattiene con i principali
interlocutori a livello nazionale e dell’Unione. È stato inoltre potenziato il
coinvolgimento delle parti sociali nel semestre europeo[24]. Gli obiettivi della strategia Europa 2020 sono
discussi nel quadro del semestre europeo e ne informano le diverse fasi:
indirizzano la scelta delle priorità dell’analisi annuale della crescita, sono
parte integrante dell’analisi su cui si basano ogni anno le raccomandazioni
specifiche per paese e gli Stati membri sono invitati a rendere conto dei
progressi realizzati verso il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dai rispettivi
programmi nazionali. Questo processo comincia a dare i primi frutti:
il semestre europeo delinea un quadro
credibile per l’attuazione delle linee d’azione e le raccomandazioni
specifiche per paese cominciano a dare i primi risultati in termini di
riforme politiche, come indica l’analisi annuale della crescita 2014[25].
‘Conciliare le priorità dell’UE con le raccomandazioni specifiche per
paese è fondamentale per tener conto delle circostanze specifiche di
ciascuno Stato membro. Gli obiettivi comuni indicano la direzione e
contribuiscono a facilitare i progressi verso un programma di riforme e
ammodernamenti comune, ma l’approccio dell’Unione, lungi dall’essere
uguale per tutti, modula gli orientamenti in funzione del singolo Stato
membro e dell’evoluzione della situazione;
il semestre europeo provvede a una
sorveglianza integrata e aiuta a conciliare le priorità economiche e di
bilancio. In altri termini, mette l’accento sull’importanza di raggiungere
e preservare la salute dei conti pubblici e di liberare il potenziale di
crescita delle economie, alla luce di considerazioni valide per l’UE e per
i singoli paesi;
il semestre contribuisce a rafforzare i
contatti tra l’Unione e il livello nazionale e consente una maggiore
interazione tra gli Stati membri, contribuendo così ‘alla coesione dell’UE.
Il calendario e le procedure del semestre europeo sono stati perfezionati
e vanno acquisendo una forma stabile. Il semestre stimola discussioni
proattive a livello dell’UE che aiutano a prevenire i problemi o a evitare
che si ingigantiscano (prima che vengano prese decisioni nazionali) e
permette di verificare periodicamente i progressi (con orientamenti o eventuali
sanzioni laddove occorra un’azione correttiva);
si è rafforzata la capacità di controllo e
di analisi a livello dell’UE. Secondo la nuova governance economica dell’UE,
l’attuazione si fonda su elementi più solidi e integrati, sfruttando
meglio i quadri analitici, gli indicatori e le valutazioni politiche
comuni. L’esperienza dei paesi soggetti a programmi di aggiustamento
macroeconomico, quindi al di fuori delle procedure formali del semestre
europeo, offre un esempio molto calzante, per quanto estremo: la
Commissione e molti Stati membri hanno dovuto mobilitare ingenti risorse,
anche sul posto, per fornire un sostegno diretto e concreto a questi Stati
assicurando consulenza politica e assistenza tecnica a livello
amministrativo. Questa situazione dà un’idea della portata dell’esperienza
comune che l’Unione può mobilitare al proprio interno;
sono ancora in fase di discussione una serie
di proposte intese a completare l’architettura dell’UEM, come per esempio
un meccanismo che faciliti il coordinamento ex–ante dei principali piani
di riordino economico atti a produrre importanti effetti a cascata in
altri Stati membri, oppure le proposte di accordi contrattuali
reciprocamente concordati e di correlati meccanismi di solidarietà
(incentivi finanziari).
Si evidenziano al tempo stesso una serie di
sfide e limitazioni:
in alcuni casi la necessità di affrontare la
contingenza della crisi ha reso difficile conciliare le emergenze del
breve termine con i bisogni del lungo termine. Le raccomandazioni
specifiche per paese si concentrano per loro natura su determinati ambiti
selezionati e suggeriscono misure concrete da adottare nell’anno
successivo, dando chiaramente per scontato che non è possibile risolvere
tutto allo stesso tempo. Le misure proposte devono però necessariamente
rientrare in una visione chiara di dove porteranno nel lungo termine. In
un numero di casi, le raccomandazioni specifiche per paese del 2013
hanno sottolineato la necessità di preservare parte della spesa atta a
promuovere la crescita, pur nel rispetto degli obiettivi di bilancio. Man
mano che l’Europa emerge dalla crisi, le priorità dovrebbero poter essere
individuate sempre meno in funzione dell’emergenza;
l’efficacia del semestre dipende non solo
dall’impegno dei singoli Stati membri, in particolare per realizzare le
raccomandazioni, ma anche dalla capacità collettiva degli attori dell’UE
di trattare questi temi come questioni di interesse comune e garantire una
forte sorveglianza multilaterale. In tal senso il ruolo dei diversi attori
potrebbe essere ulteriormente chiarito e rafforzato, come è successo per
esempio alle diverse formazioni del Consiglio che hanno rafforzato le revisioni
paritetiche e la sorveglianza multilaterale;
consapevolezza e titolarità da parte di
tutti gli attori coinvolti – governi, parlamenti, autonomie regionali,
enti locali, parti sociali e tutti i portatori di interesse – sono fondamentali
ingredienti per assicurarsi il successo. In molti Stati membri c’è ancora
margine per coinvolgere ulteriormente le diverse parti interessate nell’attuazione
della strategia e il ruolo dei programmi nazionali di riforma andrebbe
riesaminato in tal senso. A livello europeo il Comitato economico e
sociale europeo e il Comitato delle regioni hanno avuto un ruolo
particolarmente attivo, monitorando attentamente l’attuazione della
strategia Europa 2020 e stimolando l’azione negli Stati membri, anche a
livello regionale e locale, in linea con la struttura di governance
multilivello dell’Unione. La Commissione, dal canto suo, ha rafforzato le
proprie rappresentanze negli Stati membri per garantire un dialogo maggiore
con le autorità e le parti interessate in ambito nazionale;
il
moltiplicarsi di procedure, documenti e procedimenti giuridici a livello
dell’Unione rischia di appesantire il processo a discapito della sua
chiarezza. Modificare i tempi apporterebbe anche pregiudizio alla
titolarità di alcuni attori. La sfida nei prossimi anni consiste quindi
nel rafforzare l’infrastruttura istituzionale e amministrativa si cui si
basa il semestre europeo, assicurando che rimanga un processo mirato e di
natura politica (e non burocratica).
I tempi sono quindi
maturi procedere quest’anno a un riesame del semestre europeo in concomitanza
con la revisione della strategia Europa 2020. Conclusioni Nel 2014 i motivi di una strategia Europa 2020
sono altrettanto validi di quanto lo fossero nel 2010. Nel corso di diversi decenni, l’Unione è stata
sinonimo di una maggiore integrazione economica, che ha permesso di aumentare i
flussi di beni, servizi, forza lavoro e finanziamenti al suo interno. Questo ha
favorito la convergenza dei redditi e del tenore di vita nei diversi Stati
membri, a tal punto che l’Unione è stata individuata come una «macchina da
convergenza»[26]
unica al mondo. Per effetto della crisi e dell’accumularsi degli squilibri,
questo processo di convergenza si è rallentato o si è addirittura invertito in
alcune regioni europee. L’Unione, reduce dalla più grave crisi
economica e finanziaria vissuta da una generazione, è ora chiamata a rafforzare
la sua strategia di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva per poter rispondere
alle aspettative dei propri cittadini e mantenere il suo ruolo nel mondo. I
tempi sono maturi per una revisione della strategia che definisca le giuste
priorità politiche dell’Unione all’indomani della crisi per i prossimi cinque
anni, fino al 2020. L’analisi esposta in questa sede giudica disomogenea
l’esperienza acquisita con gli obiettivi e le iniziative faro della strategia
Europa 2020. L’UE sta per raggiungere o è vicina al raggiungimento degli
obiettivi in materia di istruzione, clima e energia, mentre è ancora lontana
dagli obiettivi su occupazione, ricerca e sviluppo e riduzione della povertà.
Tuttavia la presenza di questi obiettivi ha focalizzato l’attenzione su
elementi di fondo, in una prospettiva di lungo termine, quali fattori
essenziali per la società e l’economia future dell’Unione. La traduzione di
questi obiettivi a livello nazionale ha inoltre contribuito a portare alla luce
una serie di tendenze scomode: un divario crescente tra gli Stati membri più
meritevoli e meno meritevoli e tra le regioni ‘degli Stati membri e all’interno
degli Stati membri. La crisi ha inoltre portato alla luce le crescenti
disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza e del reddito. L’esperienza
mostra anche che il coinvolgimento e la partecipazione attivi di regioni e
città – responsabili in prima linea per l’attuazione di molte politiche dell’UE
– sono fondamentali per continuare a realizzare gli obiettivi della strategia
Europa 2020. Queste sfide dovranno essere prese in considerazione in sede di
revisione e adeguamento della strategia. La governance economica dell’UE, che trova
attuazione ogni anno nel semestre europeo, è stata di recente notevolmente
rafforzata e potrebbe essere uno strumento molto efficace per perseguire le
nuove priorità all’indomani della crisi, necessarie per conseguire gli
obiettivi della strategia Europa 2020. I principali strumenti d’azione dell’UE,
come il quadro finanziario pluriennale 2014–2020 e i relativi programmi, sono
stati ripensati alla luce degli insegnamenti del semestre europeo, in modo da
supportare la realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 e fornendo
una base su cui poter costruire le strategie future a livello dell’UE e a
livello nazionale. In questa sede la Commissione ha esposto la
propria analisi di quanto finora accaduto nel quadro della strategia Europa
2020. Per molti versi il periodo in esame è stato utilizzato per gettare le
fondamenta e i risultati dovrebbero essere tangibili nei prossimi anni. La
Commissione ha inoltre cercato di dimostrare come la crisi ha inciso sui
risultati attesi. In questa fase la Commissione non ritiene
opportuno trarre conclusioni o formulare raccomandazioni politiche. Alla luce
dei profondi cambiamenti che la crisi ha indotto nell’Unione, negli Stati
membri, nelle città e nelle regioni, la Commissione giudica opportuno
consultare le parti interessate di tutta l’UE sulle lezioni da trarre e sui
principali fattori che dovrebbero definire le prossime fasi della strategia di
crescita dell’UE all’indomani della crisi. La Commissione avvierà una
consultazione pubblica, partendo dall’analisi presentata in questa sede, con la
quale inviterà tutti gli interessati a contribuire con le loro opinioni. In
esito alla consultazione, nei primi mesi del 2015 la Commissione formulerà una
proposta sul seguito della strategia. [1] Salvo indicazione contraria, i dati riportati nella
presente comunicazione provengono da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’UE, e
le medie dell’UE si riferiscono all’UE 28. [2] Comunicazione della Commissione COM(2010) 2020 del 3
marzo 2010. La strategia globale e i relativi obiettivi sono stati discussi dal
Parlamento europeo e approvati dal Consiglio europeo in occasione dei vertici
di marzo e giugno 2010. Ulteriori informazioni sono disponibili all’indirizzo
web: http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm [3] COM(2010) 2020 del 3 marzo 2010. [4] «Un’agenda europea del digitale», «L’Unione
dell’innovazione», «Youth on the Move», «Un’Europa efficiente sotto il
profilo delle risorse», «Politica industriale», «Un’agenda per nuove competenze
e nuovi posti di lavoro», «Piattaforma europea contro la povertà». [5] GU L 306 del 23.11.2011. [6] GU L 140 del 27.5.2013. [7] In allegato sono fornite ulteriori informazioni sugli
obiettivi e sulle iniziative faro della strategia Europa 2020. [8] Per gli ultimi dati aggiornati e dettagliati si vedano
le previsioni d’inverno 2014 della Commissione, Economia europea 2/2014. [9] Si
veda l’intervento di J.M. Barroso al Consiglio europeo informale dell’11
febbraio 2010 al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/commission_2010–2014/president/news/speeches–statements/pdf/20102010_2_it.pdf
[10] Per gli ultimi dati aggiornati e dettagliati si vedano le
previsioni d’inverno 2014 della Commissione, Economia europea 2/2014. [11] Per gli ultimi dati aggiornati e dettagliati si vedano le
previsioni d’inverno 2014 della Commissione, Economia europea 2/2014. [12] COM(2013) 800. [13] Per gli ultimi dati aggiornati e dettagliati si vedano le
previsioni d’inverno 2014 della Commissione, Economia europea 2/2014. [14] Banca centrale europea, indagine sul credito bancario,
gennaio 2014. [15] Per gli ultimi dati aggiornati e dettagliati si vedano le
previsioni d’inverno 2014 della Commissione, Economia europea 2/2014. [16] Jobs and Growth: supporting European Recovery,
FMI, 2014. [17] The state of the Internet, Akamai (Q4 2012),
Cisco VNI Mobile forecast (2013). [18] COM(2011) 571. [19] A gennaio 2014 la Commissione ha definito un quadro per le
politiche dell’energia e del clima fino al 2030, che si propone di ridurre del 40%
le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, di portare le
energie rinnovabili a almeno il 27%, obiettivo vincolante per tutta l’UE, e di
dare nuovo slancio alle politiche di efficienza energetica (COM(2014) 015). [20] Studio commissionato dalla Commissione europea. [21] EurObserv’ER. [22] Dati UE 27. [23] COM(2013) 624. [24] Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e
monetaria, COM(2013) 690 del 2.10.2013. [25] COM(2013) 800. [26] «Golden growth – restoring the lustre of the
European economic model», Banca Mondiale, 2012.