RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO Relazione sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) /* COM/2013/0861 final */
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO
E AL PARLAMENTO EUROPEO Relazione sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante
l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento
fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) 1. Introduzione Il 5 luglio 2005 il Parlamento europeo e il
Consiglio hanno adottato la direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del
principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e
donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (in appresso “la
direttiva”)[1].
La direttiva, che consolida e aggiorna l’acquis dell’UE in questo settore fondendo
direttive precedenti[2]
e introducendo elementi nuovi, si basa sull’articolo 157, paragrafo 3, del
trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in appresso “TFUE”). La presente relazione valuta il recepimento da
parte degli Stati membri degli elementi innovativi della direttiva e l’efficacia
della sua applicazione e esecuzione[3],
lasciando impregiudicate eventuali procedure di infrazione. Il Parlamento europeo ha fatto ripetutamente
appello a nuove azioni mirate a migliorare l’applicazione delle disposizioni in
materia di parità retributiva a livello europeo e a tal fine ha adottato due
risoluzioni, nel 2008[4]
e nel 2012[5].
La
strategia della Commissione per la parità tra donne e uomini 2010-2015[6] individua una serie di modalità
per applicare nella pratica il principio della pari retribuzione in modo più
efficace e azioni volte a ridurre il persistente divario retributivo di genere.
La Commissione ha avviato uno studio per valutare come rafforzare l’applicazione
di questo principio, per esempio migliorando l’attuazione e il rispetto degli
obblighi e delle misure esistenti finalizzate a promuovere la trasparenza salariale.
La presente relazione prevede una sezione su come
vengono applicate nella pratica le disposizioni in materia di parità
retributiva. Nell’intento di promuovere e facilitare l’applicazione pratica di
queste norme, la presente relazione è accompagnata da un documento di lavoro
dei servizi della Commissione, suddiviso in quattro allegati: 1) una sezione
sui sistemi di valutazione e classificazione professionali neutri sotto il
profilo del genere; 2) una sintesi della giurisprudenza in materia di parità
retributiva della Corte di giustizia dell’Unione europea (in appresso “CGUE”); 3)
esempi tratti dalla giurisprudenza nazionale in materia di parità retributiva; 4)
una descrizione dei fattori che causano il divario retributivo di genere, le
azioni della Commissione per sopprimerlo e esempi di migliori prassi nazionali. 2. Stato di recepimento e
procedure d’infrazione In esito ai controlli di conformità, la
Commissione ha significato a 26 Stati membri dubbi in merito alla conformità
della loro normativa nazionale con le novità introdotte dalla direttiva[7]. In due Stati membri il
recepimento è sufficientemente chiaro e conforme e non richiede ulteriori
informazioni[8].
Alcuni degli elementi della direttiva provengono
da precedenti direttive, abrogate in esito alla rifusione. Il recepimento di
questi elementi preesistenti era già monitorato nell’ambito dei controlli di
conformità sulle direttive anteriori, più recentemente la direttiva 2002/73/CE[9]. Nel 2006 la
Commissione ha avviato procedimenti d’infrazione nei confronti di 23 Stati
membri per non conformità con la direttiva 2002/73/CE. A eccezione di uno[10], tutti questi
procedimenti sono stati chiusi, perché gli Stati membri hanno uniformato le norme
nazionali al diritto dell’UE. Il caso ancora aperto riguarda l’obbligo di
tutelare adeguatamente i diritti dei lavoratori in congedo parentale, per maternità
o adozione, quando tornano a lavorare. Il caso è stato rinviato alla CGUE il 24
gennaio 2013[11]. 3. Impatto della direttiva Poiché la direttiva essenzialmente consolida
il diritto dell’UE sulla parità di trattamento, riunendo, aggiornando e
semplificando le disposizioni di cui alle direttive precedenti e incorporando
la giurisprudenza della CGUE, l’obbligo di recepimento si limita alle
disposizioni che introducono un cambiamento sostanziale[12]. Queste riguardano: (1)
la definizione di retribuzione[13]; (2)
l’esplicita estensione dell’applicazione della
parità di trattamento, nel quadro dei regimi professionali di sicurezza sociale,
ai regimi pensionistici di una categoria particolare di lavoratori come quella
dei dipendenti pubblici[14]; (3)
l’esplicita estensione delle disposizioni
orizzontali (tutela dei diritti, risarcimento o riparazione e onere della
prova) ai regimi professionali di sicurezza sociale[15]; (4)
il riferimento esplicito alle discriminazioni
derivanti da un cambiamento di sesso[16]. In linea generale gli Stati membri non si sono
concentrati limitatamente a recepire queste novità. Alcuni Stati membri hanno
esplicitamente recepito la direttiva sia con nuove leggi o con modifiche
sostanziali alla legislazione esistente[17].
In due Stati membri la direttiva è stata recepita congiuntamente a altre
direttive sulla non discriminazione[18].
In altri due Stati membri il recepimento è stato ritenuto necessario solo in
relazione ai regimi professionali di sicurezza sociale[19] e al ritorno dal
congedo di maternità[20].
Il recepimento non è stato ritenuto necessario
in alcuni Stati membri, giacché il recepimento delle direttive precedenti era sufficiente
per soddisfare i requisiti della presente direttiva[21]. 3.1. Definizione di retribuzione L’articolo 2, paragrafo 1, lettera e), della
direttiva definisce la retribuzione negli stessi termini dell’articolo 157,
paragrafo 2, del TFUE: “salario o stipendio normale di base o minimo e tutti
gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in
natura, dal datore di lavoro al lavoratore a motivo dell’impiego di quest’ultimo”.
Nella maggior parte degli Stati membri la nozione di retribuzione, definita dalla
legislazione nazionale, corrisponde a quella della direttiva[22]. In altri, la
definizione giuridica di retribuzione non è identica a quella della direttiva,
ma l’effetto complessivo sembra essere lo stesso[23] o i tribunali
nazionali interpretano il termine “retribuzione” conformemente alla
giurisprudenza della CGUE[24]. In altri Stati membri il concetto di
retribuzione non è espressamente definito nella legislazione nazionale[25]. Per esempio la
legislazione di uno Stato membro garantisce alle donne la parità di trattamento
in termini contrattuali (che comprendono ma non si limitano alla retribuzione) rispetto
a opportuni parametri maschili di riferimento[26].
3.2. Regimi pensionistici per particolari
categorie di lavoratori, come i dipendenti pubblici L’articolo 7, paragrafo 2, incorpora alcuni
elementi consolidati della giurisprudenza della CGUE chiarendo che i regimi
pensionistici per particolari categorie di lavoratori, come quella dei
dipendenti pubblici, devono essere considerati alla stregua dei regimi
pensionistici professionali e la retribuzione ai fini dell’articolo 157,
paragrafo 2, del TFUE, anche se fanno parte di un regime giuridico generale[27]. Nella maggioranza
degli Stati membri questa disposizione è stata attuata con una disposizione
esplicita oppure implicitamente nei casi in cui la normativa nazionale non
opera una distinzione tra categorie di lavoratori[28]. In numerosi Stati
membri il recepimento è carente o poco chiaro[29]:
in due Stati membri l’età pensionabile per uomini e donne differisce dal settore
pubblico a quello privato[30];
in quattro Stati membri la normativa sui regimi professionali di sicurezza
sociale non contiene disposizioni sulla parità di trattamento[31]; in uno Stato membro le
disposizioni sulla parità di trattamento nei regimi professionali di sicurezza
sociale non sono applicabili ai dipendenti pubblici[32]. 3.3. Estensione delle disposizioni
orizzontali ai regimi professionali di sicurezza sociale Una delle grandi novità introdotte dalla
direttiva è l’estensione delle disposizioni orizzontali di cui al titolo III ai
regimi professionali di sicurezza sociale[33].
La precedente direttiva sui regimi professionali di sicurezza sociale[34] non prevedeva
espressamente la tutela dei diritti[35],
il risarcimento o riparazione[36],
l’onere della prova[37],
gli organismi per la parità[38],
il dialogo sociale[39]
e il dialogo con le organizzazioni non governative[40]. La direttiva,
consolidando la legislazione dell’UE sulla parità di trattamento, estende
esplicitamente l’applicazione di queste disposizioni orizzontali ai regimi
professionali di sicurezza sociale. Nella maggior parte degli Stati membri le
disposizioni orizzontali sono state recepite nella legislazione nazionale e si
applicano ai regimi professionali di sicurezza sociale[41]. Non è però così per
tutte le disposizioni orizzontali della direttiva in quattro Stati membri[42]. In uno Stato membro non
è chiaro se l’organismo per la parità può intervenire sui regimi professionali
di sicurezza sociale[43].
In un altro Stato membro il quadro normativo anti-discriminazione, che integra
le disposizioni orizzontali, si applicherà una volta che sarà in essere la
normativa sui regimi pensionistici professionali[44]. In due Stati membri
la legislazione sui regimi professionali di sicurezza sociale non sembra
contenere disposizioni in materia di parità di trattamento[45]. In un altro Stato
membro che non dispone attualmente di regimi professionali di sicurezza sociale
non è chiaro se la normativa nazionale sulle rilevanti disposizioni orizzontali
troverebbe applicazione ove questi regimi venissero introdotti[46]. 3.4. Cambiamento di sesso Il terzo considerando
della direttiva fa riferimento alla giurisprudenza della CGUE, secondo la quale
il principio della parità di trattamento tra uomini e donne non può essere
ridotto soltanto al divieto delle discriminazioni dovute all’appartenenza all’uno
o all’altro sesso, ma si applica anche alle discriminazioni che hanno origine
nel mutamento di sesso della persona interessata[47]. Pochissimi Stati
membri hanno esplicitamente recepito questa novità[48]. Due Stati membri rinvengono
tra le cause di discriminazione l’“identificazione sessuale o di genere”[49] e l’“identità di
genere”[50].
In due Stati membri la normativa annoverava già in precedenza l’“identità
sessuale” tra i motivi di discriminazione[51].
Queste formulazioni includerebbero il cambiamento di sesso, anche se non limitatamente.
In uno Stato membro l’autorità per le pari opportunità ha elaborato
orientamenti che includono tra i motivi di discriminazione la transessualità e
non solo il cambiamento di sesso[52].
In quattro Stati membri che non hanno introdotto specifiche misure di
attuazione, l’interpretazione data dai tribunali nazionali della normativa
nazionale sulla parità di trattamento implica il divieto di discriminare in
base al cambiamento di sesso[53].
In altri tre Stati membri, dove parimenti non esistono misure di attuazione
specifiche, si fa affidamento direttamente agli effetti della giurisprudenza
della CGUE sulla legislazione nazionale[54].
In molti altri casi in cui questa novità non è stata specificatamente recepita e
non era precedentemente contemplata dalla normativa per le pari opportunità, i
motivi di discriminazione esistenti potrebbero non essere sufficientemente
esaustivi per coprire la discriminazione in base al cambiamento di sesso. È
presumibilmente il caso di uno Stato membro che vieta la discriminazione basata
su “circostanze personali”[55].
Rimane tuttavia che la maggior parte degli Stati membri non abbia colto l’occasione
offerta dalla direttiva per sancire esplicitamente nel proprio ordinamento il
diritto alla non discriminazione per chi si sottopone o ha subito un
cambiamento di sesso. 3.5. Valutazione globale Gli Stati membri erano tenuti unicamente a
recepire le novità della direttiva e nelle grandi linee non sembrano aver
sfruttato questa opportunità per rivedere in modo più esteso i propri sistemi
nazionali in modo da semplificare e modernizzare la normativa sulla parità di
trattamento. I servizi della Commissione hanno chiesto a 26
Stati membri informazioni più dettagliate sulle rispettive soluzioni di recepimento
e attuazione; gli aspetti più problematici dovranno essere risolti in via
prioritaria. Per tutti gli Stati membri si tratterà in futuro di passare dal corretto
recepimento della direttiva alla piena applicazione e al pieno rispetto nella
pratica dei diritti ivi sanciti. 4. Applicazione pratica delle
disposizioni sulla parità retributiva Se da un lato il principio della parità
retributiva è parte integrante dell’ordinamento dell’Unione sin dal trattato di
Roma e da allora è stato ulteriormente sviluppato nel diritto dell’UE e nelle
legislazioni degli Stati membri, la sua effettiva applicazione pratica è ancora
carente. L’articolo 4 della direttiva stabilisce il
principio della parità retributiva, prevedendo che, per quanto riguarda uno
stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre
eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente
un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni. Qualora si utilizzi un
sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, la
direttiva stabilisce che questo deve basarsi su principi comuni per i
lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile ed essere
elaborato in modo da eliminare le discriminazioni fondate sul sesso. Gli Stati membri attuano il principio della
parità retributiva in gran parte attraverso la legislazione sulle pari
opportunità e i codici del lavoro. In diversi Stati membri il principio ha
rango costituzionale[56].
Alcuni Stati si sono dotati di leggi che attuano nello specifico il principio
della parità retributiva[57],
mentre altri hanno recepito questa disposizione tramite i contratti collettivi
di lavoro[58].
Le legislazioni di buona parte degli Stati membri vietano esplicitamente la
discriminazione retributiva[59].
Tuttavia, sebbene i quadri giuridici nazionali vietino la discriminazione
retributiva, l’applicazione del principio della parità retributiva resta, nella
pratica, carente, come dimostra il persistente divario retributivo di genere e il
numero ridotto di cause per discriminazione retributiva dinanzi ai tribunali
nazionali nella maggior parte degli Stati membri. Il divario retributivo di genere negli Stati
membri dell’UE si attesta attualmente su una media del 16,2%[60]. L’incidenza della discriminazione
retributiva, vietata dall’articolo 157 del TFUE e dall’articolo 4 della
direttiva, su questa disparità reale varia secondo le stime, anche se pare
esservi ampio consenso sul fatto che un’alta percentuale di casi sia
attribuibile a pratiche discriminatorie[61].
Per quanto la discriminazione diretta riguardante uno stesso lavoro si sia
ridotta, notevoli problemi sussistono tuttora per quanto riguarda la valutazione
di mansioni svolte prevalentemente da donne o da uomini, soprattutto quando questa
valutazione rientra nei contratti collettivi. A parte poche eccezioni[62], nella maggior parte
degli Stati membri il numero di cause per discriminazione retributiva davanti ai
tribunali nazionali è basso o molto basso e quelle esistenti sono in genere
troppo lunghe[63].
In molti Stati membri l’assenza di dati e di un monitoraggio efficace fa sì che
non ci siano informazioni complete sulle decisioni dei tribunali nei casi di
discriminazione retributiva, ed è quindi difficile valutare e quantificare appieno
la portata della discriminazione retributiva tra uomini e donne[64]. Il
fatto che la giurisprudenza nazionale sulla parità retributiva sia molto
limitata può significare che le parti offese non godano di un reale accesso
alla giustizia. L’effettiva applicazione delle disposizioni sulla parità
retributiva può essere, nella pratica, ostacolata da tre fattori: i) la
mancanza di chiarezza e di certezza del diritto sul concetto di lavoro di pari
valore; ii) la mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi; iii) ostacoli
procedurali. Questi tre fattori sono analizzati di seguito. 4.1. Definizione e applicazione
del concetto di “lavoro di pari valore” e sistemi di valutazione del lavoro
utilizzati per determinare la retribuzione A livello dell’UE non esiste né una definizione
di lavoro di pari valore, né eventuali criteri di valutazione chiari che
permettano di paragonare diverse mansioni. La CGUE ha tuttavia chiarito a più
riprese il concetto di parità retributiva[65].
Una panoramica completa della giurisprudenza della CGUE è fornita all’allegato 2
del documento di lavoro dei servizi della Commissione. Il nono considerando
della direttiva stabilisce che, a norma della giurisprudenza consolidata della
Corte di giustizia, per valutare se i lavoratori stanno svolgendo lo stesso
lavoro o un lavoro di pari valore, si dovrebbe stabilire se la situazione di
detti lavoratori, tenuto conto di una serie di fattori quali la natura del
lavoro e le condizioni di formazione e di lavoro, possa essere considerata
comparabile. In buona parte degli Stati membri le norme
nazionali non chiariscono cosa si intenda per lavoro di pari valore, lasciando
la questione all’interpretazione del giudice. In dodici Stati membri[66] la legislazione
nazionale definisce il concetto e prevede un quadro analitico o indica i principali
criteri per confrontare il valore di diversi lavori. Nella maggior parte di
questi casi la normativa enumera le competenze, l’impegno, le responsabilità e
le condizioni di lavoro tra i fattori che permettono di stabilire il valore di un
dato lavoro. Garantire che questo concetto sia giuridicamente definito è uno
strumento importante per chi subisce una discriminazione retributiva, che può così
rivolgersi più facilmente al giudice. In molti degli Stati membri in cui gli
ordinamenti nazionali non prevedono disposizioni specifiche di questo tipo, le
autorità hanno spiegato che il concetto è sviluppato dal giudice nazionale[67] oppure è estrapolabile
dal commento[68]
o dai lavori preparatori della normativa sulla parità retributiva[69]. Un modo per stabilire se un lavoro è di pari
valore consiste nell’introdurre sistemi di valutazione e classificazione
neutri sotto il profilo del genere. La direttiva non obbliga però gli Stati
membri a avvalersene e la loro diffusione a livello nazionale varia notevolmente.
In alcuni Stati membri la normativa nazionale garantisce espressamente che i
sistemi di valutazione e classificazione del lavoro utilizzati per determinare
le retribuzioni devono essere neutri sotto il profilo del genere[70], mentre in altri il principio
non è esplicitamente sancito dalla legge[71].
In qualche caso sono i contratti collettivi di lavoro a tutelare una valutazione
del lavoro che non operi discriminazioni di genere[72]. Anche gli strumenti
pratici per contribuire a sistemi di valutazione e retribuzione del lavoro
neutri sotto il profilo del genere variano tra Stati membri. Alcuni hanno introdotto
guide e liste di controllo che permettono di valutare e classificare i lavori
in modo più oggettivo evitando pregiudizi di genere. Questi strumenti specifici
sono messi a punto principalmente dalle autorità per le pari opportunità[73] o dalle autorità
nazionali[74].
In diversi Stati membri esistono programmi di formazione per aiutare i datori
di lavoro a applicare sistemi di classificazione non discriminatori[75]. L’allegato 1 del documento di lavoro dei
servizi della Commissione che accompagna la presente relazione tratta i sistemi
di valutazione e classificazione del lavoro neutri sotto il profilo del genere
nell’intento di contribuire a una migliore applicazione pratica del principio
della parità retributiva. 4.2. Trasparenza della
retribuzione Una maggiore trasparenza delle retribuzioni può
rivelare un pregiudizio di genere e discriminazioni delle strutture retributive
di un’impresa o di un settore e consentire a lavoratori, datori di lavoro o
parti sociali di adottare le misure appropriate per garantire l’attuazione del
principio della parità retributiva. In linea con le disposizioni dell’articolo 21,
paragrafi 3) e 4), della direttiva, diversi Stati membri hanno messo in atto
misure specifiche di trasparenza salariale che possono essere suddivise essenzialmente
in due categorie: 1) misure che divulgano informazioni sulla retribuzione
dei singoli lavoratori e 2) misure che rendono noti i dati salariali collettivi
per categoria. Se da un lato le misure che divulgano le retribuzioni individuali
possono favorire i ricorsi per mancato rispetto del principio della parità
retributiva e avere quindi un effetto deterrente, quelle che divulgano le
retribuzioni collettive possono aprire la strada a misure di più ampia portata in
grado di ridurre il divario retributivo di genere. In casi di presunta discriminazione
retributiva, in alcuni Stati membri il datore di lavoro è tenuto a fornire al
lavoratore informazioni sulle retribuzioni, il che contribuisce a stabilire se
vi sia stata discriminazione[76].
In alcuni casi queste informazioni possono essere richiedeste dal rappresentante
del lavoratore, con il consenso di quest’ultimo[77]. In alcuni Stati se il
datore di lavoro si rifiuta di divulgare i dati richiesti, il lavoratore può
rivolgersi al giudice[78].
Le normative di alcuni Stati membri prevedono l’obbligo di indicare il salario
minimo legale negli annunci di lavoro[79]
o proibiscono al datore di lavoro di impedire ai lavoratori di divulgare la propria
retribuzione, se l’intento è determinare eventuali disparità di retribuzione e se
le informazioni sono rivelate a categorie tutelate, come il sesso[80]. In molti Stati membri
le autorità per le pari opportunità hanno il diritto di chiedere informazioni
sulla retribuzione[81],
per esempio richiedere all’ente previdenziale i dati sul reddito per categorie
di lavoratori comparabili[82].
Tuttavia le informazioni sulle retribuzioni sono spesso considerate riservate in
forza delle norme nazionali sulla tutela dei dati e della vita privata e quindi
in molti Stati membri non possono essere divulgate dai datori di lavoro. In
alcuni casi i lavoratori sono tenuti per contratto a non divulgare a altri
lavoratori informazioni sulla propria retribuzione. La divulgazione di
informazioni salariali è di solito più problematica nel settore privato che in
quello pubblico. Per quanto riguarda le misure collettive,
numerosi Stati membri incoraggiano una pianificazione mirata all’uguaglianza
obbligando i datori di lavoro a valutare regolarmente le prassi e le differenze
di retribuzione e a elaborare piani d’azione per la parità retributiva[83]. Tale obbligo incombe di
solito ai datori di lavoro di grandi dimensioni e le violazioni sono in alcuni
casi soggette a sanzioni pecuniarie[84].
Alcuni Stati membri richiedono inoltre ai datori di lavoro di condurre sondaggi
sulle retribuzioni[85],
mentre in altri i datori di lavoro sono tenuti a raccogliere dati statistici occupazionali
in funzione del sesso[86].
In alcuni Stati membri i datori di lavoro devono fornire periodicamente ai
rappresentanti dei lavoratori una relazione scritta sull’uguaglianza di genere
nell’impresa, con dettagli sulle retribuzioni[87].
4.3. Ostacoli procedurali Le vittime di discriminazioni retributivi incontrano
alcuni ostacoli d’accesso alla giustizia –procedimenti giudiziari lunghi e
costosi, tempi di decorrenza, assenza di sanzioni efficaci e di risarcimenti
sufficienti – è non sono sufficientemente informate su come presentare un ricorso.
I singoli lavoratori non dispongono di solito di
tutte le informazioni necessarie per intentare una causa che abbia buone
possibilità di riuscita, per esempio informazioni su quanto guadagnano le persone
che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Questa situazione ostacola
l’effettiva applicazione della norma sull’inversione dell’onere della prova
di cui all’articolo 19 della direttiva, in forza del quale chi si ritiene leso
deve produrre in prima battuta gli elementi di fatto dai quali è presumibile
che vi sia stata una discriminazione, dopo di che spetta al datore di lavoro
dimostrare che non c’è stata alcuna discriminazione. L’applicazione della norma
sull’inversione dell’onere della prova continua a porre problemi in alcuni
Stati membri dove le soglie per far scattare l’inversione sono più elevate di
quelle stabilite dalla direttiva[88].
Le spese procedurali e di assistenza legale, solitamente
elevate, disincentivano in genere le persone lese. Inoltre spesso il
risarcimento e la riparazione ottenibili sono esigui[89]. Il ruolo attivo delle
autorità per le pari opportunità e dei sindacati nel fornire un’assistenza
indipendente alle vittime di discriminazioni potrebbe agevolarne l’accesso alla
giustizia, garantendo al contempo l’efficacia del quadro giuridico sulla parità
retributiva, riducendo il rischio di perdere la causa per i singoli lavoratori
e eventualmente aumentando il numero di cause per disparità retributiva. Il
coinvolgimento delle autorità per le pari opportunità è quindi fondamentale per
un’effettiva applicazione del principio della parità retributiva. Queste
autorità hanno comunque compiti e competenze molto diversi a seconda degli Stati
membri e solo in alcuni casi possono rappresentare i singoli lavoratori[90]. In alcuni Stati
membri sono i sindacati[91]
e le ONG a assistere legalmente i lavoratori. La direttiva impone agli Stati membri di
adottare misure preventive per tutelare il principio della parità
retributiva[92],
lasciando ancora una volta a loro la scelta delle misure. Tra le misure
preventive rientrano indagini finalizzate a prevenire disparità retributive,
corsi di formazione rivolti ai portatori di interessi e campagne di
sensibilizzazione. 5. Conclusioni e prospettive La direttiva ha introdotto una serie di importanti
novità che mirano a rendere più coerente la legislazione dell’UE in materia, a
allinearla alla giurisprudenza della CGUE e, in ultima istanza, a renderla più
efficace e accessibile agli operatori e al grande pubblico. Quanto al corretto recepimento di queste novità negli
ordinamenti nazionali, i servizi della Commissione hanno significato obiezioni a
gran parte degli Stati membri e i problemi in sospeso saranno chiariti in via
prioritaria, se necessario attraverso procedure d’infrazione. Per il futuro, la
sfida principale per tutti gli Stati membri sarà la corretta applicazione e
attuazione nella pratica dei diritti sanciti dalla direttiva. L’applicazione pratica delle disposizioni sulla
parità retributiva negli Stati membri è a quanto pare uno dei punti più
problematici della direttiva, come dimostra il persistere del divario
retributivo di genere, divario causato presumibilmente in buona parte da
pratiche retributive discriminatorie e dal fatto che i singoli lavoratori siano
poco incentivati a ricorrere al giudice. È opportuno che gli Stati membri si avvalgano
degli strumenti indicati nel documento di lavoro allegato per garantire un’applicazione
più efficace del principio della parità retributiva e risolvere il persistente
divario retributivo di genere. La Commissione continuerà a monitorare attentamente l’applicazione
del principio della parità retributiva. In linea con la strategia Europa 2020,
oltre alle attività di sensibilizzazione e alla diffusione delle migliori
pratiche, nel quadro del semestre europeo la Commissione continuerà a proporre
raccomandazioni specifiche per paese miranti a risolvere le cause a monte del
divario retributivo di genere. La Commissione prevede inoltre di lanciare nel 2014 un
iniziativa non legislativa per promuovere e facilitare l’effettiva applicazione
nella pratica del principio della parità retributiva e assistere gli Stati
membri a individuare l’approccio giusto per ridurre il persistente divario
retributivo di genere[93]. L’iniziativa si concentrerà probabilmente sulla trasparenza
salariale. [1] GU L 204 del 26.7.2006, pagg. 23-26. [2] Direttiva 75/117/CEE del Consiglio, GU L 45 del 19.2.1975,
pag. 19; direttiva 76/207/CEE del Consiglio, GU L 39 del 14.2.1976,
pag. 40; direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L
269 del 5.10.2001, pag. 15; direttiva 86/378/CEE del Consiglio, GU L 225
del 12.8.1986, pag. 40; direttiva 96/97/CE del Consiglio, GU L 46 del 17.2.1997,
pag. 20; direttiva 97/80/CE del Consiglio, GU L14 del 20.1.1998,
pag. 6; direttiva 98/52/CE del Consiglio, GU L 205 del 22.7.1998,
pag. 66. [3] Conformemente all’articolo 31 della direttiva. [4] P6_TA(2008)0544. [5] P7_TA-PROV(2012)0225. [6] COM(2010) 491. [7] Questi dubbi sono sorti nel quadro del sistema EU Pilot
della Commissione, che permette lo scambio di lettere amministrative prima dell’avvio
di qualsiasi procedura d’infrazione ai sensi dell’articolo 258 del TFUE. [8] NL, FR. [9] GU L 269 del 5.10.2002, pag. 15. [10] NL. [11] Il caso riguarda la mancata conformità dei Paesi Bassi all’articolo
2, paragrafo 7 della direttiva 76/207/CEE modificata dalla direttiva 2002/73/CE,
che specifica che alla fine del periodo di congedo per maternità, paternità e/o
adozione i lavoratori hanno diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto
equivalente e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di
lavoro che sarebbero loro spettati durante la loro assenza. L’assenza nella legislazione
dei Paesi Bassi di disposizioni esplicite in materia getta dubbi sul grado di
protezione garantito e pone i cittadini nella difficoltà di conoscere e far
valere i propri diritti. [12] Articolo 33, paragrafo 3. [13] Articolo 2, paragrafo 1, lettera e). [14] Articolo 7, paragrafo 2). [15] Articoli 17-19. [16] Considerando 3. [17] CZ, DK, EE, EL, HR, IT, CY, LT, PT, SI, SK, SE, UK. [18] FR, PL. [19] RO dove si attende la legislazione su questi regimi. [20] BG. [21] BE, DE, IE, ES, LV, LU, HU, MT, NL, AT, FI. [22] BE, BG, CZ, DK, IE, EL, ES, FR, HR, CY, LT, LU, HU, MT,
PT, RO, SI, SK. [23] EE, PL. In EE le attività di un datore di lavoro sono
considerate discriminatorie se le condizioni relative a remunerazione o
benefici sono meno vantaggiose per un lavoratore di un sesso rispetto a un
altro di sesso opposto che svolga un lavoro identico o di pari valore. [24] NL. Cfr. cause 80/70, 43/75, 12/81, C-262/88, C-360/90, C-200/91,
C-400/93, C-281/97, C-366/99, consultabili al seguente indirizzo: http://curia.europa.eu/. [25] DE, IT, LV, AT, FI, SE, UK. [26] UK. [27] Cause C-7/93 e C-351/00. [28] BE, BG, CZ, DE, EE, IE, EL, FR, CY, LT, LU, NL, AT, FI,
UK. In HU la legislazione non opera una distinzione tra
categorie di lavoratori, ma non esistono regimi pensionistici specifici per i
dipendenti pubblici. [29] DK, EL, ES, HR, IT, LV, MT, PL, PT, RO, SI, SK, SE. [30] IT, SK. [31] LV, PL, PT, SE. [32] RO. [33] Sebbene questi regimi non siano espressamente menzionati
nelle disposizioni orizzontali, il chiarimento della CGUE secondo cui una
pensione professionale è una retribuzione (differita) fa sì che le norme
orizzontali pre-esistenti sulla parità retributiva e sulle condizioni di lavoro
(compresa la retribuzione) si applichino anche a questi regimi. [34] Direttiva 86/378/CEE del Consiglio. [35] Articolo 17. [36] Articolo 18. [37] Articolo 19. [38] Articolo 20. [39] Articolo 21. [40] Articolo 22. [41] BE, BG, CZ, EE, IE, EL, ES, FR, IT, CY, LV, LT, LU, HU,
MT, NL, AT, SE, UK (permangono dubbi per l’Irlanda del Nord). [42] DE, SI, SK, FI. [43] DK [44] RO [45] PL, PT. [46] HR. [47] Cause C-13/94, C-117/01 e C-423/04. [48] BE (a quanto pare a eccezione della regione “Bruxelles
capitale”), CZ, EL, UK. [49] SK. [50] MT. [51] DE, HU. [52] FI. [53] DK, IE, ES, FR. [54] CY, AT. In HR la legge sulla parità di genere stabilisce
che le sue disposizioni non possono essere interpretate o attuate in
contraddizione con il diritto dell’UE. [55] SI. [56] EL, ES, IT, HU, PL, PT, RO, SI, SK, FI. [57] DK, EL, CY. [58] BE, DK. [59] La normativa di diversi Stati membri
(ad es. BE, DE, PL, SE) non contempla un divieto esplicito. In questi paesi a
quanto pare il divieto di discriminazione basata sul sesso copre anche la
discriminazione retributiva. [60] Banca dati online Eurostat 2011, disponibile al seguente
indirizzo:
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&init=1&plugin=1&language=en&pcode=tsdsc340. [61] Si veda per esempio la relazione della presidenza belga del
Consiglio del 2010: The gender pay gap in the Member States of the European
Union: quantitative and qualitative indicators [Il divario retributivo di
genere negli Stati membri dell’Unione europea: indicatori quantitativi e
qualitativi], disponibile al seguente indirizzo: http://register.consilium.europa.eu/pdf/en/10/st16/st16516-ad02.en10.pdf. [62] Per es. IE, UK. Nel 2011 la valutazione d’impatto del
Regno Unito delle misure legislative volte a promuovere la parità di
retribuzione stima a 28 000 il numero annuale di ricorsi davanti ai tribunali
del lavoro. [63] Anche nel Regno Unito. Secondo le statistiche annuali dei
tribunali per il 2011-2012, le cause per disparità retributiva sono le più lente
rispetto alle altre categorie: http://www.justice.gov.uk/downloads/statistics/tribs-stats/ts-annual-stats-2011-12.pdf. [64] In diversi Stati membri non sono disponibili dati statistici
specifici sul numero e sui tipi di cause per discriminazione retributiva. [65] Cfr. cause 237/85, C-262/88, C-400/93, C-381/99. Cfr. altresì considerando 9 della direttiva. [66] CZ, IE, FR, HR, CY, HU, PL, PT, RO, SK, SE, UK. [67] DK, DE, EL, ES, LV, AT. [68] AT. [69] FI. [70] Per es. EL, FR, IT, CY, LT, AT, SI. [71] Per es. BE, DE, EE, IE, HR, LV, LU, HU, PL, FI. [72] Per es. in BE. [73] Per es. BE, NL, PT, SE, UK. [74] Per es. BE, EE, LU, AT. [75] Per es. BE, EE, CY, SE. [76] Per es. BG, EE, IE, SK, FI. [77] Per es. FI. [78] Per es. CZ, LV. [79] Per es. AT. [80] Per es. UK. [81] Per es. EE, SE. [82] Per es. AT. [83] Per es. BE, ES, FR, FI, SE. [84] È il caso in FR. [85] Per es. FI e SE. [86] Per es. DK ed EE. [87] Per es. BE, DK, FR, IT, LU, AT. [88] Per es. CY, MT, BG. RO ha
recentemente modificato la propria normativa per risolvere il problema. [89] Nella maggior parte dei casi il risarcimento è pari ai
mancati guadagni basati sulla differenza retributiva tra il richiedente e il
comparatore. In alcuni Stati membri sono inclusi anche i danni morali subiti.
Il quadro giuridico nazionale sulle sanzioni differisce significativamente tra
Stati membri. [90] Per es. BE, BG, EE, IE, HU, MT, AT, RO, SK, FI, SE, UK. [91] Per es. in BE, DK, FR, SE, UK. [92] Articolo 26 della direttiva. [93] Programma di lavoro della Commissione 2014,
allegato I, COM(2013) 739 final, http://ec.europa.eu/atwork/pdf/cwp_2014_annex_it.pdf