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COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI L’accordo internazionale del 2015 sui cambiamenti climatici: definizione della politica internazionale in materia di clima dopo il 2020 /* COM/2013/0167 final */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

L’accordo internazionale del 2015 sui cambiamenti climatici: definizione della politica internazionale in materia di clima dopo il 2020

Comunicazione consultiva

Con la presente comunicazione consultiva si intende dare il via ad un dibattito con gli Stati membri e le istituzioni dell'UE e le parti interessate sul modo migliore per definire il regime climatico internazionale tra il 2020 e il 2030. Essa definisce il contesto e pone una serie di quesiti per inquadrare il dibattito. Maggiori informazioni sono contenute in un documento di lavoro dei servizi della Commissione separato.

1. È assolutamente necessario rafforzare la nostra ambizione

Il primo decennio del ventunesimo secolo è stato il più caldo mai registrato e nell’estate del 2012 abbiamo assistito ad uno scioglimento senza precedenti della banchisa polare artica. Eventi meteorologici estremi registrati nel corso del 2012, come la forte siccità e gli incendi nel Sud Europa e negli Stati Uniti, seguiti da tempeste e inondazioni senza precedenti in alcune zone dell'Asia, dei Caraibi e dell’America settentrionale, non sono individualmente imputabili ai cambiamenti climatici, ma coincidono con le previsioni degli scienziati che prevedono che i fenomeni di questo tipo saranno sempre più frequenti via via che il nostro clima cambierà. Anche se la crescita economica mondiale ha subito un rallentamento, le emissioni antropiche di gas a effetto serra (GES) all’origine del riscaldamento globale continuano ad aumentare considerevolmente.

Sebbene la scienza dei cambiamenti climatici sia chiara e l'impatto dei cambiamenti climatici sia sempre più visibile, le azioni per affrontare i cambiamenti climatici sono ben lungi dal conseguire i risultati sperati. Il più recente rapporto dell'UNEP sul cosiddetto “divario” dimostra che gli impegni incondizionati dei paesi per ridurre le emissioni di gas serra, anche se rispettati, consentiranno di conseguire, entro il 2020, solo un terzo delle riduzioni necessarie per evitare il pericoloso aumento della temperatura media mondiale di 2 °C al di sopra dei livelli preindustriali. Secondo una recente relazione della Banca mondiale anche se questi impegni saranno rispettati, la probabilità che il mondo si diriga verso un aumento del 4 °C entro il 2100 è del 2%. Si tratterebbe di aumento di temperatura oltre 5 volte superiore a quello che registriamo attualmente, con rischi estremamente gravi rischi per i sistemi di supporto fondamentali per gli esseri umani.

Solo agendo collettivamente, e con più impeto e maggiore ambizione, possiamo evitare le conseguenze peggiori del rapido riscaldamento del pianeta. Ricerche e analisi recenti indicano che è ancora possibile e che in questo percorso potremmo ottenere numerosi altri benefici. I paesi che hanno iniziato ad attuare strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio dimostrano che è possibile realizzare forti riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra a costi accessibili e che tali riduzioni possono generare vari benefici, tra cui nuovi posti di lavoro, un rafforzamento della sicurezza energetica nazionale, un miglioramento dei servizi di trasporto urbano, una riduzione delle fatture energetiche (grazie al risparmio energetico e a una maggiore efficienza) e una migliore qualità dell’aria. Pur sapendo che è nell’interesse del loro paese ridurre l'impiego di combustibili fossili, molti Stati continuano a temere conseguenze economiche negative o non dispongono degli strumenti né dei sistemi necessari per fare di più, soprattutto nell’attuale contesto economico. Ne consegue che, a livello mondiale, l’ambizione rimane insufficiente.

Nel 2011 la comunità internazionale ha avviato dei negoziati per un nuovo accordo mondiale al fine di agire collettivamente per proteggere il sistema climatico del pianeta. Questo accordo, che deve essere concluso entro la fine del 2015 e applicato a partire dal 2020, è attualmente in fase di negoziazione nell’ambito di un processo denominato “Piattaforma di Durban per un’azione rafforzata”.

I negoziati nel quadro di questa piattaforma si svolgono lungo due assi: il primo mira ad adottare un nuovo accordo internazionale entro il 2015, mentre il secondo mira a fissare obiettivi più ambiziosi in vista del 2020, quando l’accordo del 2015 entrerà in vigore. La presente comunicazione consultiva si concentra sul primo asse di intervento, ossia l’elaborazione dell’accordo 2015, ma le azioni realizzate tra oggi e il 2020 saranno fondamentali per avviare le politiche sulla strada giusta.

2. Politica internazionale in materia di clima: stato di avanzamento, sfide e opportunità per il periodo 2020-2030

L’accordo del 2015 dovrà riunire, entro il 2020, l’attuale mosaico di accordi vincolanti e non vincolanti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in appresso “la convenzione”) in un unico sistema generale. L'UE, alcuni altri paesi europei e l’Australia hanno accettato di aderire a un secondo periodo di impegni vincolanti nell’ambito del protocollo di Kyoto, come misura transitoria tra il 2012 e il 2020. Durante questo stesso periodo, sessanta altri paesi, compresi gli Stati Uniti d’America, le grandi economie emergenti, dei paesi a basso e medio reddito, nonché paesi meno sviluppati, si sono impegnati ad adottare diverse misure di limitazione e riduzione delle emissioni nell’ambito della convenzione. Questi impegni nascono dalla conferenza sul clima tenutasi a Copenaghen alla fine del 2009 e sono stati formalmente presentati come impegni non ancora giuridicamente vincolanti nell'ambito della convenzione, l’anno successivo nel corso della conferenza di Cancún (per ulteriori informazioni cfr. documento di lavoro dei servizi della Commissione).

Il carattere unilaterale o ascendente (“bottom-up”) del processo di impegno di Copenhagen-Cancun ha reso possibile una strategia internazionale più inclusiva. Per la prima volta gli Stati Uniti, la Cina, l'India, il Brasile, il Sudafrica, l’Unione europea e altri paesi si sono impegnati a livello internazionale ad adottare politiche climatiche nazionali specifiche, nel quadro di un’iniziativa comune. Tuttavia, oltre al loro carattere facoltativo, una serie di impegni assunti dai grandi paesi sono condizionati e dipendono, per esempio, dall’adozione di misure più ambiziose da parte di altri paesi e dalla disponibilità di risorse finanziarie. Ma ciò che conta di più, ricordiamolo, è che gli impegni attuali, se pienamente rispettati, dovrebbero tradursi in meno di un terzo delle riduzioni di emissioni necessarie per mantenersi al di sotto dei 2 °C.

Nell’elaborazione dell’accordo del 2015 si dovranno trarre insegnamenti dai successi e dalle carenze della convenzione, del protocollo di Kyoto e del processo Copenhagen-Cancun. Ci si dovrà allontanare dal paradigma nord-sud che caratterizzava il mondo negli anni '90 per andare verso un paradigma fondato sull’interdipendenza e la condivisione delle responsabilità. L’accordo del 2015 dovrà riuscire a suscitare la partecipazione di tutte le principali economie, tra cui gli Stati Uniti, la Cina, l’India e il Brasile, che finora si sono opposti a impegni giuridicamente vincolanti di riduzione delle emissioni di gas serra. Dovrà basarsi sui sistemi predisposti per sostenere i paesi, soprattutto quelli più vulnerabili, nei loro sforzi di adattamento agli inevitabili cambiamenti climatici. Ma soprattutto dovrà agevolare la transizione dall’attuale approccio frammentato e di tipo “ bottom up”, in gran parte basato su decisioni non vincolanti, verso un accordo giuridicamente vincolante che associ, in modo efficace, un approccio “ascendente” e un approccio “discendente” che consentirà di mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C.

L’accordo dovrà rispecchiare il modo la situazione è cambiata da quando sono iniziati i negoziati in materia di clima nel 1990 e come continuerà a cambiare via via che ci avviciniamo al 2030. Si applicherà in un contesto in cui (cfr. documento di lavoro allegato):

· i progressi scientifici hanno eliminato ogni ragionevole dubbio sul fatto che stiamo contribuendo al riscaldamento del pianeta;

· le economie emergenti sono una fonte di crescita economica e di emissioni di gas serra in costante sviluppo;

· restano da affrontare delle notevoli sfide in materia di sviluppo sostenibile;

· la lotta contro i cambiamenti climatici comporta anche notevoli opportunità;

· l’aumento costante degli scambi commerciali mondiali continuerà a creare problemi legati alle emissioni associate alla produzione e alla prevenzione della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (spostamento delle attività ad elevata intensità di carbonio dai paesi più ambiziosi e quelli meno ambiziosi in materia di riduzione delle emissioni.).

3. Le basi dell’accordo del 2015

Occorrerà affrontare varie sfide nel processo di definizione e attuazione dell’accordo del 2015:

· Definire il livello di ambizione necessaria per la riduzione delle emissioni a livello globale

I negoziati precedenti hanno dato luogo ad impegni e promesse che non sono sufficientemente ambiziosi. Per evitare un’evoluzione pericolosa del clima, sarà necessario che, per l’accordo del 2015, non si riproduca una situazione analoga. Per la prima volta, i negoziati in corso devono basarsi sull’obiettivo di lungo termine che è far sì che il mondo si avvii su una strada che consenta di contenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, è improbabile che i governi concordino a pieno sulle modalità di una condivisione equa necessaria per affrontare collettivamente questa sfida. Oltre ad essere fondato sul concetto di responsabilità condivisa e sul principio dell’equità delle situazioni di partenza individuali, il nuovo accordo deve fornire gli strumenti e i processi che consentano l’ulteriore rafforzamento delle ambizioni individuali e collettive. L’accordo dovrà adeguarsi in modo dinamico, consentendo revisioni periodiche e, inevitabilmente, il rafforzamento del livello di ambizione. Inoltre, dovrà costituire il mezzo per dimostrare che i paesi possono fare di più collettivamente di quanto non siano in grado di realizzare individualmente e per evitare che alcuni paesi aspettino che siano gli altri ad agire per primi. L’accordo deve inoltre offrire incentivi per incoraggiare l’ambizione e disincentivi in caso di assenza di ambizione.

 

Quesito 1: Come si può strutturare l’accordo del 2015 per fare in modo che gli Stati membri possano perseguire uno sviluppo economico sostenibile, incoraggiandoli nel contempo a partecipare in modo equo e leale alla riduzione delle emissioni mondiali di gas serra al fine di rispettare l'obiettivo dei 2 °C? Come evitare il ripetersi dell'attuale situazione in cui vi è un divario tra gli impegni su base volontaria e le riduzioni indispensabili per mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C?

· Garantire la partecipazione di tutte le grandi economie e di tutti i settori allo sforzo di mitigazione a livello mondiale

Occorre, per ragioni di efficacia ambientale, che tutte le grandi economie e tutti i settori partecipino in modo paragonabile, equo, trasparente e verificabile al fine di ridurre al minimo il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. È pertanto essenziale assicurare il contributo di tutte le grandi economie e tutti i settori. Senza un accordo di questo tipo, alcuni Stati o regioni potrebbero continuare a limitare le loro ambizioni in questo settore in funzione di quello che i loro concorrenti sono disposti a fare. Per evitare una situazione simile, l’accordo del 2015 potrebbe incoraggiare e incentivare i paesi ad assumersi impegni ambiziosi il prima possibile, contribuendo a colmare gli scarti tra i leader e i ritardatari.

Quesito 2: Come può l’accordo del 2015 garantire in modo ottimale il contributo di tutte le grandi economie e di tutti i settori e ridurre al minimo il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio tra economie estremamente concorrenziali?

· Integrazione della questione dei cambiamenti climatici e reciproco rafforzamento dei processi e delle iniziative

La politica in materia di cambiamenti climatici non può essere considerata a sé stante, ma, al contrario, deve sostenere la crescita economica e gli aspetti più generali dello sviluppo sostenibile, nonché contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro. Sia in materia di mitigazione che di adattamento, la politica climatica deve essere pienamente integrata o inserita in tutti i settori d’azione e costituire un elemento chiave al momento dell’elaborazione delle politiche e delle strategie in materia di energia, trasporti, industria, agricoltura, silvicoltura e dello sviluppo sostenibile in generale.

L’accordo del 2015 deve pertanto riconoscere e rafforzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile più ampi e sostenere la piena integrazione degli obiettivi in materia di cambiamenti climatici nei settori di intervento pertinenti. Ciò comprende il follow-up della conferenza Rio + 20 e il riesame degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) entro il 2015, nonché l’attuazione di accordi quali la Convenzione sulla diversità biologica. Questo lavoro offre l’opportunità di affrontare le sfide connesse ai cambiamenti climatici e ai loro impatti sull'eradicazione della povertà e sui tre pilastri della sostenibilità (ambientale, economico e sociale), dove può apportare considerevoli vantaggi. A tale riguardo, la Commissione ha proposto un approccio comune a favore di “Una vita dignitosa per tutti entro il 2030 ” che riunisce il follow-up di Rio + 20 e il riesame degli obiettivi di sviluppo del millennio.

Occorre inoltre incoraggiare le iniziative bilaterali, plurilaterali e regionali che completano e incentivano le attività intraprese nell'ambito della convenzione. Tali iniziative potrebbero incoraggiare i paesi, in collaborazione con il settore privato e la società civile, a ridurre ulteriormente le emissioni mediante un'azione collettiva più mirata. Tra queste iniziative si annoverano quella del G20 che mira ad eliminare progressivamente le sovvenzioni ai combustibili fossili, le iniziative avviate nel contesto del processo Rio + 20 e le misure di riduzione delle emissioni di forzanti climatiche a breve tempo di vita, tra cui gli idrofluorocarburi (HFC).

Quesito 3: Come può l’accordo del 2015 incoraggiare nel modo più efficace l’integrazione della questione dei cambiamenti climatici in tutti gli ambiti politici pertinenti? Come può promuovere processi e iniziative complementari, compresi quelli realizzati da operatori privati?

4. architettura dell’accordo del 2015

I negoziati avviati a Durban nel 2011 riflettono un consenso internazionale fragile ma fondamentale sulla natura dell’accordo del 2015. Per conseguire risultati migliori di Kyoto, Copenaghen e Cancun, l’accordo del 2015 deve essere inclusivo e prevedere impegni che siano “applicabili a tutti” i paesi, sia sviluppati che in via di sviluppo. Questo accordo deve essere ambizioso, prevedendo impegni che siano compatibili con la limitazione dell’aumento della temperatura media globale a 2 °C. Deve essere efficace e prevedere incentivi destinati a favorirne l’attuazione e il rispetto. L’accordo deve essere percepito in generale come uno strumento giusto ed equo nel modo in cui ripartisce gli sforzi di riduzione delle emissioni di gas serra e i costi dell’adeguamento agli inevitabili cambiamenti climatici. Inoltre, l’accordo del 2015 deve essere giuridicamente vincolante. Solo una forma giuridica che comporti un trattato giuridicamente vincolante rispecchierà il massimo grado di volontà politica necessaria per suscitare il livello di ambizione previsto e agevolare la transizione del mondo verso un'economia a basse emissioni di carbonio; solo tale forma garantirà che gli impegni vengano ratificati e recepiti nel diritto nazionale; beneficerà dell’attenzione a lungo termine dei governi, della società civile, delle imprese e dei media; e garantirà l'adeguato livello di trasparenza e di obbligo di rendicontazione rispetto agli impegni assunti.

L’accordo del 2015 deve mirare soprattutto ad incentivare e consentire ai vari paesi di assumersi nuovi e ambiziosi impegni in materia di mitigazione. Allo stesso tempo deve trarre insegnamenti dall’attuale regime climatico internazionale e rafforzarlo. Molte delle istituzioni, degli strumenti e dei processi di tale regime, compreso il Fondo verde per il clima, il Comitato per l’adattamento, la valutazione internazionale, il riesame, le consultazioni e le analisi internazionali, il comitato direttivo sulle tecnologie, le strategie di sviluppo a basse emissioni e i piani nazionali di adattamento, hanno appena avviato le loro attività, ma potrebbero contribuire in modo significativo alla definizione dell’accordo del 2015.

L’accordo del 2015 deve tenere conto dei progressi scientifici, e quindi anche della quinta relazione di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), la cui sintesi dovrebbe essere completata nell'ottobre 2014, un anno prima dell'adozione dell’accordo del 2015. Dovrà inoltre essere sufficientemente dinamico e flessibile per adeguarsi all’evoluzione delle conoscenze scientifiche, ma anche dei costi unitari delle tecnologie, nonché dell’evoluzione delle situazioni socioeconomiche nazionali o regionali. Il secondo periodo di impegni del protocollo di Kyoto, concordato recentemente, stabilisce un precedente interessante per la progettazione di un regime dinamico in quanto definisce un processo di riesame che incoraggia il rafforzamento dell’ambizione o la correzione dei divari nel corso del periodo di impegno. D’altro canto, questo dinamismo dovrà soddisfare le esigenze, in particolare delle imprese, in termini di prevedibilità e sicurezza.

· Mitigazione

La scienza ci dice che, per avere la minima possibilità di rimanere al di sotto dei 2 °C, occorre invertire l’aumento delle emissioni mondiali di gas serra prima del 2020 e successivamente ridurre le emissioni mondiali ogni anno. Di conseguenza, l’accordo del 2015 deve consentirci di ridurre, entro il 2030, le emissioni a livello mondiale al di sotto dei livelli del 1990: ciò equivale ad una riduzione globale di circa il 25% rispetto alle emissioni del 2010 e costituisce una vera sfida.

Gli impegni di Copenhagen-Cancun, associati al secondo periodo degli impegni di Kyoto, hanno portato ad un notevole “divario di ambizione”, ma hanno generato anche un’enorme varietà di politiche e misure nazionali, compresi i mercati del carbonio, destinate a ridurre le emissioni in settori specifici.

Parallelamente ai negoziati per l’accordo 2015, la convenzione e il protocollo di Kyoto continueranno a migliorare la trasparenza e l’obbligo di rendicontazione, definendo gli elementi comuni per l’elaborazione delle relazioni, migliorando i meccanismi di mercato esistenti e sviluppandone dei nuovi, incoraggiando nuovi partenariati internazionali in vari settori, gas o politiche, ad esempio l'agricoltura e la silvicoltura, il trasporto marittimo e aereo e i gas ad effetto serra diversi dal CO2.

Quesito 4: Su quali criteri e principi dovrebbe basarsi una ripartizione equa degli impegni in materia di mitigazione tra le parti all’accordo del 2015, parallelamente all’assunzione di una serie di impegni che tengano conto delle circostanze nazionali, siano considerati equi e giusti e, assunti collettivamente, siano sufficienti rispetto alle ambizioni dichiarate? Come può l’accordo del 2015 offrire prospettive particolari per alcuni settori?

· Adattamento

Gli effetti negativi dei cambiamenti climatici si avvertiranno sempre di più e i problemi legati all’adattamento si moltiplicheranno. L’impatto dei cambiamenti climatici varierà da paese a paese in funzione della loro situazione geografica, culturale, sociale ed economica e della loro resilienza e capacità di adattamento. Occorreranno diverse misure, concepite a livello locale per far fronte a situazioni locali ma integrate nel processo normale di pianificazione dello sviluppo. Le attività nazionali e regionali antecedenti in materia di adattamento, anche in seno all’UE e ai suoi Stati membri, hanno evidenziato la necessità di una piena integrazione dei problemi relativi all'adattamento in un’ampia gamma di settori di intervento, quali ad esempio la pianificazione territoriale e regionale, le aree costiere e la gestione delle risorse idriche, l’agricoltura e la sanità. Hanno inoltre messo in evidenza la necessità di uno stretto coordinamento con le politiche di gestione dei rischi di catastrofi e dimostrato i vantaggi di un adattamento basato sugli ecosistemi.

Fino ad oggi, il quadro di azione in materia di adattamento istituito nell'ambito della convenzione mirava a rafforzare la resilienza delle società colmando le lacune della conoscenza (programma di lavoro di Nairobi), il miglioramento della pianificazione (piani nazionali di adattamento) e il miglioramento dell'accesso ai finanziamenti (Fondo di adattamento, Fondo verde per il clima). Inoltre, la conferenza sui cambiamenti climatici tenutasi a Doha nel 2012 ha ulteriormente rafforzato la cooperazione internazionale sulla questione delle perdite e dei danni connessi agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, compresi gli impatti relativi ai fenomeni meteorologici estremi e gli eventi a insorgenza lenta. Un lavoro complementare importante è realizzato anche al di fuori della convenzione, ad esempio nel contesto del quadro d'azione di Hyogo per la riduzione del rischio dei disastri naturali.

Quesito 5: Quale dovrebbe essere il ruolo dell’accordo 2015 nell'affrontare la sfida dell’adattamento e in che modo si dovrebbe basare sul lavoro in corso nell’ambito della convenzione? Come può l’accordo 2015 incentivare ulteriormente l'integrazione dell'adattamento in tutti gli ambiti d’azione pertinenti?

· Modalità di attuazione

L'Unione europea dovrebbe promuovere un approccio globale e integrato in materia di mezzi di attuazione, comprese le questioni dei finanziamenti a livello mondiale. Attualmente, le questioni di finanziamento legate al clima, alla biodiversità, allo sviluppo e allo sviluppo sostenibile sono oggetto di dibattito in diversi sedi, anche se le potenziali fonti di finanziamento sono le stesse. Occorre assolutamente garantire la coerenza ed evitare la duplicazione degli sforzi per quanto riguarda il finanziamento del processo di sviluppo delle Nazioni Unite. La Commissione intende presentare una proposta di approccio integrato dell'UE al finanziamento e agli altri mezzi di attuazione legati ai vari processi internazionali.

Le discussioni sui mezzi di attuazione devono riguardare anche le possibilità di mobilitazione dei fondi necessari, nazionali ed internazionali, sia da fonti pubbliche che private, nonché lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie e il ricorso ai meccanismi basati sul mercato.

Finanziamento

Le discussioni sul livello di finanziamento necessario per aiutare i paesi poveri ad attuare i loro impegni in materia di mitigazione e per affrontare le sfide dell’adattamento rimane un elemento centrale dell’elaborazione dell’accordo 2015. Nei prossimi decenni, le questioni climatiche legate alla mitigazione e all’adattamento dovranno essere pienamente integrate in tutti gli investimenti pubblici e privati.

Il Fondo verde per il clima sta per diventare pienamente operativo. A Copenaghen, i paesi sviluppati si erano impegnati a mobilitare, entro il 2020, 100 miliardi di dollari l’anno per i finanziamenti in materia di clima provenienti da un’ampia varietà di fonti nel contesto di azioni significative di mitigazione e garantendo la trasparenza in materia di attuazione. All'orizzonte 2030, tenendo conto della continua crescita economica, tutte le principali economie emergenti dovrebbero rafforzare ulteriormente la loro capacità di agire contro i cambiamenti climatici, in particolare mettendo in comune i propri mezzi. Già ora, nel quadro della convenzione, 32 paesi considerati “paesi in via di sviluppo” vantano un PIL pro capite superiore a quello dello Stato membro dell’UE con il PIL pro capite più basso. Entro il 2020 e dopo, il numero di questi paesi potrà aumentare. Nell’ambito dell’esame dei mezzi di attuazione dell’accordo 2015 si dovrà tener conto di questa nuova realtà, e superare la dicotomia che oppone paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo a vantaggio di un sistema in cui una gamma più ampia di paesi dovrebbe assumersi una parte di responsabilità per mettere a disposizione i mezzi necessari.

L’accordo del 2015 dovrà inoltre basarsi sugli esiti delle discussioni in corso sulla mobilitazione di capitali privati e di fonti di finanziamento innovative. Oltre a conseguire il suo obiettivo primario di riduzione delle emissioni, la fissazione di un prezzo internazionale sulle emissioni di CO2 provenienti dai trasporti aerei e marittimi internazionali, potrebbe contribuire a fornire le risorse necessarie per le misure a favore della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici.

Tecnologia

D’altro canto, entro il 2020 le politiche climatiche avranno già consentito di raccogliere i frutti di molte delle soluzioni meno onerose di riduzione delle emissioni, in particolare i miglioramenti dell'efficienza energetica, ma anche i frutti delle soluzioni più competitive in materia di energie rinnovabili. Di conseguenza, l'attenzione si incentrerà sempre di più sulle tecniche nuove e più avanzate. Sarà indispensabile ridurre i costi di tali tecnologie e creare un quadro politico adeguato per la loro diffusione. La creazione di un quadro internazionale che possa incentivare una maggiore diffusione di queste tecnologie a livello internazionale è un compito fondamentale della convenzione, ed è per questo che è stato creato il “centro e la rete di tecnologie per il clima”. Nei prossimi anni questa nuova istituzione dovrà dimostrare il suo valore aggiunto.

Meccanismi fondati sul mercato

La lotta contro i cambiamenti climatici sarà un successo solo se l’accordo del 2015 potrà essere attuato in maniera economicamente efficace negli anni dopo il 2020. Occorrerà pertanto porre l’accento sull’uso degli strumenti basati sul mercato.

Nell'Unione europea si continuerà a privilegiare gli incentivi economici per ridurre le emissioni, anche attraverso lo scambio di quote di emissioni. Il protocollo di Kyoto ha dato risalto a questo nuovo strumento flessibile che contribuisce a soddisfare gli impegni di riduzione delle emissioni. Da allora, l’UE ha messo a punto un sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) operativo in 30 paesi che costituisce l'incentivo principale per il rapido sviluppo del meccanismo di sviluppo pulito (CDM) del protocollo di Kyoto. Inoltre, la tariffazione del carbonio e l’uso, a livello nazionale, di meccanismi basati sul mercato suscitano un forte interesse e sostegno in un numero sempre maggiore di paesi. Ad esempio in Australia, dove sono stati introdotti meccanismi di tariffazione del carbonio e dove entro il 2015 sarà instaurato un vero e proprio sistema di scambio di quote di emissioni, ma anche in Corea e Cina, nonché in un certo numero di paesi degli Stati Uniti, in cui sono state avviate delle iniziative. Inoltre, alcuni paesi stanno iniziando a esplorare le possibilità di collegare i loro sistemi di scambio di emissioni a livello bilaterale, in particolare l’UE e l’Australia.

Tuttavia, negli ultimi anni i meccanismi di flessibilità sono stati oggetto di aspre critiche, e ogni ulteriore sviluppo o miglioramento (compreso un accordo sui meccanismi di mercato settoriali avanzati) si è scontrato con delle difficoltà. Negli ultimi cinque anni i principali sviluppi in materia di strumenti basati sul mercato si sono registrati nel mercato interno e al di fuori della convenzione, il che sembra indicare una preferenza per le soluzioni bilaterali e plurilaterali.

Quesito 6: Quale dovrebbe essere il ruolo futuro della convenzione e specificamente dell’accordo 2015 nel decennio da qui al 2030 per quanto riguarda i finanziamenti, i meccanismi basati sul mercato e la tecnologia? Come avvalersi dell’esperienza già acquisita e migliorare ulteriormente i quadri esistenti?

· Trasparenza e obbligo di rendicontazione

La precedente tornata di negoziati si è incentrata soprattutto sul miglioramento della trasparenza attraverso una revisione completa del sistema di misurazione, rendicontazione e verifica. Nel 2015 questo sistema dovrebbe avere completato il primo ciclo integrale di attuazione. Allo stesso tempo, nell'ambito del protocollo di Kyoto, abbiamo maturato una considerevole esperienza in materia di contabilizzazione. Tuttavia, l’attuale mosaico di norme non offre un quadro di contabilizzazione affidabile per tutti. La prossima serie di negoziati costituisce un’opportunità unica di creare un quadro di questo tipo, tenuto conto degli insegnamenti tratti dal sistema di Kyoto. È auspicabile migliorare la contabilizzazione dati i continui dibattiti nazionali sulla comparabilità degli impegni nazionali e degli impegni di altri paesi e sulle decisioni in materia di ambizione che ne risultano. Le incertezze e i dubbi sui livelli di ambizione degli altri paesi continuano a minare la fiducia.

Un accordo internazionale a valenza giuridica presuppone un valido sistema di controllo della conformità e dell’applicazione, in grado di determinare se una parte ha adempiuto ai propri impegni, di fornire i mezzi per indurre una parte a rispettare le regole e di richiamare alle proprie responsabilità le parti che non rispettano le disposizioni. Il protocollo di Kyoto può, per esempio, sospendere dal sistema internazionale di scambio delle emissioni una parte che non abbia adempiuto ai propri obblighi di comunicazione delle informazioni. Malgrado i suoi risultati limitati, il sistema di messa in conformità di Kyoto è stato coronato da successo quando è riuscito a personalizzare le procedure di conformità e le conseguenze alle specificità degli impegni assunti dalle parti.

Quesito 7: Come può l’accordo del 2015 migliorare ulteriormente la trasparenza e la responsabilità dei paesi a livello internazionale? In che misura occorre standardizzare a livello internazionale un sistema di contabilizzazione? In che misura sono ritenuti responsabili i paesi che non rispettano i loro impegni?

5. Preparare la strada per l’accordo del 2015

Nel corso degli ultimi vent'anni il processo negoziale delle Nazioni Unite è diventato più complesso, con ordini del giorno delle riunioni sempre più lunghi e conferenze delle parti (CoP) notevolmente politicizzate. Le Conferenze delle parti, da un lato, non riescono a soddisfare le aspettative del pubblico spesso irrealistiche, e dall'altro, ignorando le prove scientifiche, minano la credibilità delle istituzioni internazionali e indeboliscono il sostegno interno a favore dell’azione per il clima. La loro partecipazione a tempo indeterminato e il processo decisionale per consenso, spesso inducono a trovare accordi de minimis. Inoltre, i costi di questo processo negoziale sono considerevoli.

È necessario rafforzare l’efficacia e l’efficienza dei processi di negoziati delle Nazioni Unite, anche

· elaborando regole procedurali che facilitino il raggiungimento di un consenso senza ricorrere alla regola del consenso applicata nell’ambito della convenzione;

· riesaminando la frequenza delle conferenze delle parti, laddove la convenzione è una delle poche che prevede una conferenza annuale. A tal fine è importante trovare un equilibrio tra la costante necessità di mantenere l'attenzione politica sui cambiamenti climatici e l’esigenza di scoraggiare aspettative di progressi eccezionali ad ogni riunione;

· sostituendo la presidenza annuale a turno della conferenza delle parti con presidenze congiunte di più paesi il cui mandato durerebbe più di un anno o con presidenze di due anni;

· mantenendo l'attuale frequenza delle riunioni formali per il lavoro tecnico, la cui frequenza aumenterà probabilmente nei prossimi anni;

· semplificando e consolidando il gran numero di punti specifici all’ordine del giorno, moltiplicando gli scambi informali prima delle riunioni tecniche ufficiali, nonché definendo chiaramente le priorità al fine di contenere i costi complessivi delle riunioni;

· valutando la possibilità di rafforzare ulteriormente i contributi delle parti interessate, compresi i pareri specialistici di associazioni di imprese e organizzazioni non governative;

· rafforzando il ruolo del segretariato della convenzione.

Oltre a rafforzare il processo di negoziazione delle Nazioni Unite, si potrebbero esaminare le modalità per incoraggiare e collaborare meglio nell’ambito di iniziative specifiche che mirino a promuovere azioni ambiziose a favore del clima. Considerata la crescente urgenza delle questioni climatiche, i processi più ambiziosi ed efficaci hanno maggiori probabilità di ottenere il sostegno dei governi e dell'opinione pubblica in generale.

Quesito 8: Come si può migliorare il processo negoziale in materia di clima delle Nazioni Unite per conseguire più agevolmente un accordo inclusivo, ambizioso, efficace ed equo nel 2015 e garantirne l’attuazione?

Nel 2015 si potrà registrare un successo solo con un ampio sostegno di una massa critica di leader politici, tra cui quelli delle principali economie del mondo. I periodi precedenti le conferenze di Kyoto e di Copenaghen, ma anche di Cancun e Durban , hanno dimostrato che si tratta di un fattore chiave di successo. Alla conferenza sul clima di Doha, annunciando che intendeva organizzare un vertice dei leader mondiali sul clima nel 2014 a sostegno dell’accordo 2015, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha adottato un’iniziativa decisiva per imprimere lo slancio politico necessario. Il G20 o i paesi partecipanti a iniziative multilaterali come il Forum delle principali economie sull’energia e il clima potrebbero svolgere un ruolo attivo nell'ultima fase dei negoziati che precedono l’adozione dell’accordo del 2015, a condizione che tutte le grandi economie li sostengano assumendosi una maggiore responsabilità nel settore dei cambiamenti climatici. Per imprimere questo impulso politico, tuttavia, è indispensabile l’ampio sostegno della società civile, delle imprese e di altri soggetti politici. Ciò richiederà la partecipazione attiva e il sostegno di parlamentari, imprese, società civile, città e regioni e di altri attori non statali, insieme ai loro colleghi di altri paesi.

L’assunzione di un ruolo guida è un altro elemento indispensabile ai fini dell’adozione dell’accordo del 2015. Dimostrare, nella pratica, i molteplici vantaggi, anche sul piano economico, di una modernizzazione dell’economia mediante tecnologie di riduzione delle emissioni di gas serra, nei paesi avanzati, emergenti o in via di sviluppo, provando nel contempo che è possibile dissociare la crescita economica dalle emissioni di gas serra, rimane il modo migliore per convincere tutte le parti interessate che la crescita economica, la riduzione della povertà, lo sviluppo sostenibile e la lotta contro i cambiamenti climatici sono compatibili tra loro e in realtà si rafforzano a vicenda. Questo è stato il modello che l’UE ha seguito negli ultimi due decenni, per assumere la leadership in materia di cambiamenti climatici, anche se la sua percentuale di emissioni mondiali è in calo, e rappresenta adesso meno dell'11%. L' UE è riuscita a dissociare la crescita economica dalle emissioni di gas serra. Le emissioni dell' UE sono diminuite del 18% rispetto al 1990, mentre l'economia globale è cresciuta del 48%, e il valore aggiunto delle sue industrie manifatturiere è aumentato considerevolmente.

Quesito 9: In che modo l’UE può investire in modo ottimale e sostenere iniziative e processi al di fuori della convenzione per preparare l’adozione di un accordo ambizioso ed efficace nel 2015?

6. Consultazioni delle parti interessate

L' obiettivo della presente comunicazione consultiva è avviare un ampio dibattito con gli Stati membri e le istituzioni dell'UE e i soggetti interessati nell'Unione europea e all'esterno, sull’architettura dell’accordo del 2015 sui cambiamenti climatici per il periodo successivo al 2020. Le opinioni delle parti interessate saranno raccolte sia nel quadro di un convegno delle parti interessate nella primavera del 2013 che nell’ambito di una consultazione pubblica online[1].

Inoltre, la Commissione collaborerà con gli Stati membri per organizzare attività di divulgazione e dibattiti pubblici negli Stati membri. Per sollecitare i pareri dei partner extra-UE, la Commissione intende presentare e discutere la comunicazione consultiva in occasione di riunioni internazionali.

[1]               http://ec.europa.eu/clima/consultations/0016/index_en.htm.