RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO Eventuali vantaggi e svantaggi del ridurre a due le categorie di classificazione delle armi da fuoco (armi proibite/armi autorizzate) per migliorare, se possibile semplificandolo, il funzionamento del mercato interno di tali prodotti /* COM/2012/0415 final */
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO
EUROPEO E AL CONSIGLIO Eventuali vantaggi e svantaggi del ridurre a
due le categorie di classificazione delle armi da fuoco (armi proibite/armi
autorizzate) per migliorare, se possibile semplificandolo, il funzionamento del
mercato interno di tali prodotti La presente relazione è imposta dalla
direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1991, relativa al controllo
dell’acquisizione e della detenzione di armi, modificata dalla direttiva
2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008. 1. la direttiva 91/477/CEE e la
questione della classificazione delle armi da fuoco 1.1. La direttiva 91/477/CEE era, in origine,
una misura di accompagnamento nell’ambito della realizzazione del mercato interno.
Come contropartita per talune facilitazioni nella circolazione delle armi da
fuoco da uno Stato membro all’altro, venivano inserite nel diritto europeo una
serie di garanzie a tutela della sicurezza pubblica, adeguate a tale tipo di
prodotti. 1.2. La direttiva comprende 2 allegati, il
primo dei quali (allegato I) introduce una classificazione delle armi da fuoco,
tuttora vigente, basata soprattutto sul loro grado di pericolosità. Venivano
così istituite 4 categorie: categoria A - armi proibite (armi da guerra);
categoria B - armi soggette ad autorizzazione (per lo più, armi sportive e da
caccia); categoria C - armi soggette a dichiarazione (soprattutto, armi da
caccia); e infine, categoria D - altre armi da fuoco, applicata essenzialmente
a un solo tipo di arma[1]. 1.3. Tale classificazione si fonda su norme
minime, com’è del resto il caso per l’intero campo normativo della direttiva.
Ai sensi infatti dell’articolo 3 della direttiva 91/477/CEE[2], gli Stati membri possono
rendere tali distinzioni più rigorose - eliminando ad esempio le categorie C o
D - oppure inserendo puntualmente questo o quel tipo di arma in una categoria
superiore a seconda delle politiche di sicurezza perseguite in quel momento o
delle loro tradizioni venatorie. 1.4. Questa discrezionalità lasciata agli
Stati membri è dovuta al carattere della direttiva che, pur non mirando a una
completa armonizzazione, pone tuttavia una soglia minima di sicurezza senza
impedire agli Stati membri di prendere iniziative contro il traffico illegale
di armi[3]. 1.5. Si noti che la direttiva non si applica
all’acquisizione o alla detenzione di armi da parte delle forze armate, della
polizia, dei servizi pubblici o dei collezionisti e degli organismi a carattere
culturale e storico nel campo delle armi, e come tali riconosciuti dallo Stato
membro sul cui territorio essi hanno sede. Questa distinzione è fondamentale
perché introduce un divario tra armi cosiddette “civili” e altri tipi di armi
usate dalle forze armate o anche, talora, dalla grande criminalità. 1.6. In data 15 dicembre 2000, la direttiva è
stata oggetto di una relazione della Commissione al Parlamento europeo e al
Consiglio, relativa alla sua attuazione[4],
le cui conclusioni, in generale positive e tali da non rimettere in questione
la classificazione delle armi da fuoco (cfr. allegato I), non sono state -
finora - contraddette. 2. la classificazione delle
armi da fuoco nel contesto dell’adozione della direttiva 2008/51/CE, del 21
maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE; metodologia scelta per la
presente relazione 2.1. Nell’ambito dei lavori del colegislatore,
è emerso un primo approccio su due questioni principali: una riduzione a due
delle categorie di classificazione delle armi da fuoco (armi vietate/armi
autorizzate) sarebbe più sicura per i cittadini europei e nel contempo più
semplice per gli operatori economici. 2.2. Questo punto di vista non era tuttavia
condiviso da chi riteneva che gli Stati membri dovessero mantenere un certo
margine di discrezionalità nella classificazione interna delle armi da fuoco
pur rispettando, naturalmente, i livelli minimi stabiliti nell’allegato I.
Nemmeno gli operatori economici, al pari degli utenti abituali di armi da fuoco
civili, sembravano del resto convinti dei vantaggi indotti da una semplificazione
di questo tipo. 2.3. La sintesi di tali punti di vista è stata
riassunta nel considerando (18) della direttiva 2008/51/CE che così recita: “Numerosi
Stati membri hanno semplificato la classificazione delle armi da fuoco,
passando da quattro categorie a due categorie: armi da fuoco proibite e armi da
fuoco soggette ad autorizzazione. Gli Stati membri dovrebbero uniformarsi a
tale classificazione semplificata, sebbene gli Stati membri che applicano
un’ulteriore suddivisione in più categorie possano, in forza del principio di
sussidiarietà, mantenere i sistemi di classificazione in vigore.” 2.4. Obiettivo della presente relazione è
quello di riesaminare la questione della classificazione delle armi da fuoco
sotto il profilo del migliore funzionamento del mercato interno e nella
prospettiva della “Relazione sulla situazione risultante dall’applicazione
della presente direttiva, corredata di eventuali proposte” che, entro il
28 luglio 2015, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al
Consiglio, come prescritto anche dalla direttiva. 2.5. A tal fine, i servizi della Commissione
hanno scelto un approccio che ha coinvolto i servizi degli Stati membri
competenti per le armi da fuoco (principalmente, ministeri degli Affari interni
e della Giustizia, a seconda degli Stati membri) ai quali nel novembre 2011 è
stato inviato un questionario, nonché le principali categorie di utenti di armi
da fuoco civili (fabbricanti, commercianti, cacciatori, tiratori sportivi,
collezionisti privati), a più riprese invitate a esprimere i loro punti di
vista. 2.6. Il campo delle domande rivolte alle
amministrazioni degli Stati membri, pur essendo assai ampio, si è incentrato
sui seguenti aspetti: (1)
importanza economica del settore dei fabbricanti e
dei commercianti di armi da fuoco (2)
numero di cacciatori e di tiratori sportivi
registrati (3)
numero dei detentori della Carta europea d’arma da
fuoco (4)
indicazioni sull’andamento di reati e delitti negli
ultimi anni (5)
eventuali problemi di tracciabilità delle armi da
fuoco (6)
acquisto di armi da fuoco subordinato
sistematicamente a un’autorizzazione (7)
se un’autorizzazione debba essere valida per uno o
per più armi (8)
autorizzazione implicita se si è già in possesso di
un’altra autorizzazione o licenza (9)
possibilità che un regime si fondi sulla semplice
dichiarazione (10)
interesse per la riduzione obbligatoria delle
categorie nella legislazione europea (11)
possibili conseguenze di tale riduzione sui settori
economici interessati (12)
proposte di possibili miglioramenti È stato inoltre specificato esattamente che le
armi oggetto del questionario si limitavano a quelle contemplate dalla
direttiva: armi da caccia o da tiro sportivo, escluse quelle da guerra. 3. valutazione del peso
economico del settore e dei principali utenti delle armi da fuoco quale emerso
dal questionario; dati generali 3.1. Un primo gruppo di Stati membri si
staglia come privo, o quasi, di industrie che producano armi da fuoco civili. È
un gruppo relativamente ampio, comprendente più di una dozzina di Stati membri.
Tuttavia, anche se la produzione è marginale o trascurabile, il commercio al
dettaglio può essere rilevante: si osservi, ad esempio, che la Finlandia conta
non meno di 600 commercianti attivi essenzialmente nella vendita al dettaglio o
nella riparazione e che l’Ungheria ne conta circa 500. 3.2. Un altro gruppo di paesi ha un’industria
manifatturiera relativamente solida, spesso tradizionale, ma senza livelli di
produzione molto elevati. È il caso di paesi come la Slovacchia, la Repubblica
ceca, l’Austria e la Polonia, che possono anche avere un numero rilevante di
commercianti, riparatori o rivenditori; e si vedano anche i 500 agenti circa
esistenti nel territorio della Polonia o i 700 dell’Austria[5]. 3.3. Agli Stati membri più popolosi
corrispondono le zone di produzione principali, anche se in modo sempre meno
sistematico, a causa di una tendenza al declino delle industrie produttrici. Se
Germania e Italia mantengono ancora una produzione manifatturiera
significativa, spesso votata all’esportazione[6],
Francia e Regno Unito hanno registrato un notevole declino della produzione di
armi civili anche se meno accentuato di quello registrato dalla Spagna. Ciò non
impedisce il mantenimento di una rete di agenti commerciali a volte molto
vasta, come accade ad esempio in Francia[7].
3.4. Resta il fatto che agli Stati membri più
popolosi corrispondono le popolazioni più numerose di cacciatori e tiratori
sportivi: oltre 1 400 000 cacciatori in Francia, 850 000 circa
in Italia, più di 1 500 000 in Spagna, Il numero dei tiratori
sportivi è tradizionalmente molto inferiore a quello dei cacciatori, ma resta
comunque significativo: 300 000 circa in Italia, 213 000 in Francia
ma appena 14 600 in Polonia. 3.5. È interessante notare che alcuni Stati
membri dal peso demografico relativamente modesto (rispetto alla media UE)
abbia un numero di cacciatori e tiratori sportivi molto elevato. La Svezia
conta almeno 490 000 cacciatori e 96 000 tiratori sportivi; la
Finlandia, oltre 300 000 cacciatori e 35 000 tiratori sportivi; la
Danimarca, da parte sua, conta 169 000 cacciatori circa e 120 000
tiratori sportivi. 3.6. Andrebbe anche menzionato il numero di
titolari della Carta europea d’arma da fuoco[8]
che costituisce ovviamente un buon indice (ma certo non l’unico) della mobilità
dei cacciatori/tiratori sportivi nella UE. Alcuni Stati membri, come l’Austria,
hanno un numero relativamente elevato di titolari di tale documento
(38 000) mentre è meno diffuso in altri paesi (20 000 titolari circa
in Italia, 39 378 in Francia). 4. Indicazioni sull’andamento
di reati e delitti connessi all’uso di armi da fuoco e tracciabilità delle armi
da fuoco civili 4.1. Alla domanda se in questi ultimi anni sia
stato rilevato un aumento significativo della criminalità legata alle armi da
fuoco (da caccia o sportive), nella maggior parte dei casi la risposta è
negativa. Alcuni Stati membri come Grecia, Polonia, Svezia o Portogallo
indicano un aumento leggero o poco significativo. 4.2. La maggior parte degli Stati membri, come
Austria, Ungheria, Bulgaria, Regno Unito, Finlandia, Spagna, ritiene che questo
tipo di criminalità mostri una certa stabilità. Altri Stati membri (tra cui,
Belgio e Irlanda) rilevano addirittura una lieve flessione. 4.3. Si tratta di aspetti che accompagnano
taluni mutamenti della criminalità legata alle armi da fuoco come, ad esempio,
il traffico di armi - soprattutto da guerra - in seguito a conflitti armati.
Questo tipo di armi è comunque escluso dal campo di applicazione della
direttiva, che già le vieta (categoria A dell’allegato 1) al contrario di
quelle che possono essere acquisite per esercitare attività sportive o del
tempo libero. 4.4. Le armi autorizzate dalla direttiva sono
di fatto molte meglio “tracciabili”: lo dimostrano le risposte fornite al
questionario, sostanzialmente rassicuranti, almeno per quanto riguarda la
circolazione legale nella UE. La maggior parte degli Stati membri ritiene
infatti che, almeno sul piano nazionale, non esistano molti problemi di
principio nella “tracciabilità” delle armi da fuoco civili. 4.5. Qualche difficoltà può emergere tuttavia
nella raccolta e nel trattamento di informazioni atte a risalire alla fonte di
un’arma che abbia avuto numerosi proprietari. Restano comunque esigenze
imprescindibili il corretto aggiornamento dei registri, da parte sia degli
Stati membri che degli armaioli, nonché la loro accessibilità alle forze
dell’ordine. 5. Il regime dell’acquisto e
del possesso di armi da fuoco civili 5.1. Il principio generale che emerge dalle
risposte al questionario è che acquisto e possesso di armi da fuoco civili sono
vincolati al regime di autorizzazione e, in casi più rari, al regime di
dichiarazione o di registrazione amministrativa, simile di fatto a
un’autorizzazione indiretta. Questo principio generale non impedisce che alcuni
tipi di armi, o armi con caratteristiche determinate (armi storiche,
disattivate), possano, in uno Stato membro, beneficiare di un regime di
acquisto più flessibile. 5.2. Nel regime di autorizzazione non è
necessario chiedere sistematicamente un’autorizzazione prima dell’acquisto di
ciascuna arma. In Austria, Polonia, Lussemburgo si può rilasciare una
autorizzazione per un determinato e numero di armi ben precise, le cui
caratteristiche sono indicate nell’autorizzazione stessa. 5.3. L’autorizzazione stessa all’acquisto può
sovrapporsi o essere subordinata a un altro titolo (di cacciatore o tiratore
sportivo) o, talora, al riconoscimento con decisione amministrativa di fondati
motivi per acquisire un’arma da difesa personale (Finlandia, Polonia). 5.4. Il regime della dichiarazione - categoria
C; direttiva 91/477/CEE, allegato I - si applica anche a numerose armi da
caccia, soprattutto in Francia. In questo regime, l’acquirente presenta
all’armaiolo una copia della sua carta d’identità e del titolo che giustifica
l’acquisto (licenza di caccia valida); egli compila poi con l’armaiolo[9] una dichiarazione, che
quest’ultimo registrerà e invierà all’autorità competente. Se essa si oppone
alla transazione, imporrà all’acquirente di restituire l’arma o lo obbligherà a
farlo usando la forza pubblica. 5.5. In Francia, alcune di armi da caccia sono
poi raggruppate in una nuova categoria intermedia, a metà tra le categorie C e
D della direttiva: si tratta di armi da caccia lunghe, a un colpo solo e a
canna liscia soggette al nuovo regime della “registrazione”, assai simile a
quello della “dichiarazione” (copia della carta d’identità, della licenza di
caccia/di tiro, compilazione di un modulo, verifiche dell’autorità di polizia).
5.6. Dalle risposte fornite al questionario
emerge quindi che non esistono armi da fuoco che rientrino nell’accezione più
favorevole della categoria D della direttiva, che possano cioè essere
acquistate senza particolari formalità come la direttiva ammetteva per le armi
lunghe a un colpo solo e a canna liscia. Gli Stati membri che hanno conservato
questa possibilità hanno innalzato la soglia dei requisiti da soddisfare (v.
paragrafo precedente). 5.7. Si noti inoltre che predomina la
classificazione dell’arma vigente nello Stato membro in cui viene introdotta
(divieto, autorizzazione, registrazione e comunicazione): essa prevale sulla
classificazione dell’arma vigente nel paese di acquisto. In altre parole, se
un’arma è stata acquisita in uno Stato membro in regime di autorizzazione, ma
il proprietario (pur titolare della Carta europea d’arma da fuoco) intende
portarla con sé in un altro Stato membro in cui è sottoposta al regime del
divieto, sarà naturalmente questo regime a prevalere e l’arma non potrà dunque
lasciare il paese di origine. 6. Gli stati membri
percepiscono in modi assai diversi la possibilità di ridurre le categorie
permesse dalla direttiva 6.1. Alcuni Stati membri (Polonia, Regno
Unito, Irlanda, Danimarca, Lettonia) si interessano alla riduzione a due
categorie in seno alla UE, poiché ne deriverebbe una certa semplificazione. 6.2. Altri Stati membri ritengono invece di
dover mantenere la libertà lasciata dalla direttiva. Svezia, Italia, Ungheria,
Belgio non vedono reali vantaggi nella modifica della nomenclatura attuale e
ritengono il suo rifacimento oltremodo inutilmente oneroso e costoso. 6.3. Alcuni Stati membri (Slovacchia, Paesi
Bassi, Romania), pur adottando a livello nazionale un sistema fondato su due o
tre categorie, preferiscono ugualmente che gli Stati membri possano introdurre
le classificazioni a loro più consone, all’interno della nomenclatura attuale. 6.4. Alla domanda se la riduzione delle
categorie possa avere un impatto sostanziale sui settori economici interessati,
la maggior parte degli Stati membri risponde che tale effetto o sarà difficile
da valutare o mancherà del tutto, essendo la suddivisione in due categorie
ormai molto diffusa presso gli Stati membri. Si osservi tuttavia che sono
soprattutto gli Stati membri non produttori di armi da fuoco a ritenere in
linea di principio poco nocive per il loro territorio le conseguenze economiche
di una riduzione delle categorie. 6.5. Alcuni Stati membri (Italia e Belgio),
dotati di un’industria delle armi da fuoco, ritengono invece che tale settore
economico subirebbe ripercussioni sfavorevoli. Altri (Polonia), ammettono di
poter subire conseguenze economiche ma ritengono che ciò non sia una buona
ragione per opporsi alla riduzione delle categorie. 6.6. La maggior parte degli Stati membri non
sembra tuttavia persuasa che, riducendo a due le categorie delle armi da fuoco
dell’allegato I della direttiva, porti a benefici evidenti e tali da favorire
un miglior funzionamento del mercato interno. Esiste anche il timore di un
dirottamento delle correnti commerciali dal traffico legale a quello illegale
in caso di inasprimento delle restrizioni. 7. Altri suggerimenti - diversi
dalla diminuzione delle categorie - atti a semplificare la circolazione delle
armi da fuoco e a rafforzare l’aspetto della sicurezza 7.1. Alcuni Stati membri (Germania, Estonia e
Polonia), vedono chiari vantaggi nel definire norme comuni nel campo della
disattivazione delle armi da fuoco con le tecniche proposte nei gruppi di
lavoro ad hoc della Commissione internazionale permanente per le armi da
fuoco portatili (CIP[10]);
ne risulterebbe infatti sia un aumento della sicurezza sia un’agevolazione
degli scambi a livello dell’UE. 7.2. Altri Stati membri (Svezia, Paesi Bassi,
Francia, Lussemburgo, Portogallo) ritengono invece che si potrebbe potenziare
l’elaborazione delle informazioni in seno agli Stati membri per correlare i
movimenti delle armi da fuoco ai rispettivi proprietari. Occorre poi fare uno
sforzo per rendere accessibili a tutti gli Stati membri le informazioni
registrate: ciò favorirebbe un eventuale scambio di informazioni all’interno
della UE. 7.3. Altri suggerimenti sono più specifici e
vanno dalla dotazione dei vettori commerciali di armi da fuoco di dispositivi
GPS di geolocalizzazione (Repubblica ceca) a un irrigidimento del quadro in cui
inserire le attività delle imprese di sicurezza private (Bulgaria); esistono
anche proposte più ambiziose, come un ravvicinamento delle definizioni nel
campo delle armi da fuoco per favorire un approccio comune a livello dell’UE
(Paesi Bassi). 7.4. Secondo alcuni Stati membri (Romania) si
potrebbe introdurre un modulo di trasferimento standard per gli scambi
commerciali di armi da fuoco che riportasse tutte le informazioni raccolte
nelle richieste di autorizzazione o nelle notifiche sulle transazioni
commerciali da uno Stato membro all’altro. 7.5. Ma molti Stati membri ritengono l’attuale
situazione generalmente soddisfacente e/o non propongono misure particolari.
Alcuni (Italia), vogliono che qualunque cambiamento sia valutato alla luce del
principio di proporzionalità o di necessità effettive che giustifichino un
intervento a livello UE. 7.6. Nel complesso, le osservazioni degli
Stati membri si concentrano su questioni di tracciabilità e disattivazione
delle armi da fuoco: due aspetti su cui la Commissione intende intervenire sia
elaborando orientamenti comuni riguardo a norme e tecniche di disattivazione,
sia obbligando gli Stati membri a tenere uno schedario informatico[11], entrambi compiti imposti
dalla direttiva 2008/51/CE. 8. I grandi gruppi di utenti
della direttiva sembrano interessati a semplificazioni che non riducono
necessariamente il numero delle categorie 8.1. I cacciatori (circa 7 milioni, nella UE[12]) sembrano essere soddisfatti
dell’attuale classificazione, modulata in funzione delle tradizioni venatorie e
delle soglie di sicurezza dei rispettivi Stati membri. Essi tengono moltissimo
al riconoscimento e alla promozione della Carta europea d’arma da fuoco che
permette loro di muoversi in modo relativamente agevole da uno Stato membro
all’altro in un quadro di sicurezza assai soddisfacente. 8.2. Anche i tiratori sportivi possono usare
la Carta europea d’arma da fuoco e recarsi da uno Stato membro all’altro per
partecipare, come avviene di solito, a delle competizioni. I loro spostamenti
sono infatti ben definiti e sottoposti a un rigoroso regime di autorizzazioni
controllato, tra l’altro, dalle federazioni di tiro locali o nazionali. Una
riduzione obbligatoria delle categorie a livello europeo non sembra dar luogo a
evidenti semplificazioni. 8.3. I collezionisti di armi da fuoco antiche,
storiche o di riproduzioni di armi storiche, benché la loro attività non
rientri nel campo di applicazione della direttiva, auspicano l’inclusione delle
loro collezioni in una Carta europea d’arma da fuoco, per semplificare la
circolazione da uno Stato membro all’altro di tale tipo di prodotti. Altre
misure che agevolino il riconoscimento delle armi di questo tipo da parte degli
Stati membri (e il loro trasporto da uno Stato membro all’altro), saranno assai
apprezzate da un settore che raggruppa fornitori, enti culturali, case di
vendita, esperti riconosciuti, ecc. 8.4. I produttori di armi da fuoco civili
sarebbero interessati a eventuali misure di semplificazione. In proposito, va
rilevato l’antico desiderio di questa industria di beneficiare di licenze
globali effettive per i trasferimenti delle armi da fuoco all’interno della UE.
In tal modo, gli Stati membri non dovrebbero rilasciare autorizzazioni, volta
per volta, a ogni trasferimento; esse resterebbero valide per un certo periodo
e un certo tipo di prodotti[13],
favorendo così gli operatori che dimostrino il possesso di determinate
garanzie. 8.5. I produttori e i dettaglianti auspicano
anche uno sforzo per semplificare la definizione delle componenti essenziali
delle armi da fuoco. Le definizioni delle parti principali delle armi da fuoco
possono infatti non corrispondere perfettamente da una legislazione all’altra e
una maggior precisione potrebbe migliorare sia la fluidità che la sicurezza
delle transazioni commerciali. 8.6. Riassumendo, l’attuale classificazione
delle armi da fuoco nella legislazione UE non solleva critiche specifiche da
parte dei grandi gruppi di utenti della direttiva. Tuttavia, si avverte
l’auspicio di alcune misure semplificatrici atte a far funzionare meglio il
mercato interno. 9. La questione della
classificazione delle armi da fuoco civili a livello dell’unione potrebbe
essere rivista alla luce delle prossime scadenze e degli orientamenti posti
dalla direttiva stessa 9.1. L’obbligo per gli Stati membri di
istituire, entro il 31 dicembre 2014, e di mantenere, una banca-dati risponde
certamente all’intento di migliorare l’accessibilità alle informazioni, emersa
dalle risposte al questionario. Sarà interessante riqualificare in questo
contesto gli eventuali problemi di tracciabilità a livello UE che potrebbero
essere imputati all’attuale classificazione della direttiva. 9.2. Se, inoltre, alcune risposte degli Stati
membri esprimono il desiderio di metodi comuni di disattivazione delle armi da
fuoco, si ricordi che prossimamente tale compito sarà assunto, come vuole la
direttiva, dalla Commissione[14].
La circolazione di tali prodotti avverrà perciò a livelli di sicurezza più
elevati. 9.3. Si osservi poi che per andare incontro a
una più agevole tracciabilità auspicata dagli Stati membri esiste anche un riferimento
espressamente suggerito dalla direttiva 2008/51/CE: si tratta, in concreto,
della menzione nel considerando (7) della Convenzione per il riconoscimento
reciproco dei punzoni di prova delle armi da fuoco portatili,
dell’1 luglio 1969 che “dovrebbe, quanto più possibile, essere usata
come riferimento per il sistema di marcatura in tutta la Comunità”. 9.4. In quest’ottica, potrebbe essere discusso
tra breve un ravvicinamento tra l’Unione europea e le strutture della
Commissione internazionale permanente per la prova delle armi da fuoco
portatili (CIP) allo scopo di fissare nell’Unione norme riconosciute per la
prova delle armi da fuoco. Tutti gli aspetti legati alla sicurezza trarrebbero
infatti vantaggi da un controllo aggiuntivo - e certificato - sulla produzione
e sulla circolazione delle armi da fuoco all’interno della UE. 9.5. In base alle informazioni raccolte, si
può quindi concludere che introdurre obbligatoriamente in tutta la UE solo due
categorie di classificazione delle armi da fuoco non comporta, in sé, alcun
vantaggio; tale prospettiva non va comunque considerata isolatamente, con il
rischio di ridurre semplicemente il dibattito alla sola questione di sapere
quale tipo di documento rappresenti un’autorizzazione e trovarsi,
probabilmente, in una situazione del tutto differente dall’attuale diversità in
seno all’Unione. 9.6. Entro il 28 luglio 2015 quindi, ciò che
la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio sarà il
contesto, della Relazione sulla situazione risultante dall’applicazione
della direttiva, corredata di eventuali proposte, che deve essere
privilegiato ai fini di un’analisi generale dei mutamenti possibili e
auspicabili della direttiva 2008/51/CE e sempre nell’ottica di una
semplificazione che salvaguardi tutti i vincoli specifici di questo tipo di
prodotti. 9.7. Le conclusioni della presente relazione
saranno illustrate nell’ottobre 2012 durante la riunione del gruppo di contatto
istituito dalla direttiva e saranno anche discusse a una conferenza sul
traffico illecito di armi da fuoco che la Commissione intende tenere a fine
novembre 2012, cui parteciperanno le forze interessate alla lotta contro questa
forma di criminalità. Si tratterà, soprattutto, di fare il punto sulle
necessità di tale lotta e di individuare orientamenti per future iniziative. [1] Armi da fuoco lunghe, a un solo colpo e a canna liscia. [2] “Gli Stati membri possono adottare nelle rispettive
legislazioni disposizioni più rigorose di quelle previste dalla presente
direttiva, fatti salvi i diritti conferiti ai residenti degli Stati membri
dall’articolo 12, paragrafo 2.” [3] Il considerando 8 della direttiva 91/477/CEE afferma
appunto “(...) che la presente direttiva non pregiudica la facoltà degli
Stati membri di adottare provvedimenti al fine di prevenire il traffico
illecito di armi”. [4] COM(2000) 0837, definitivo. [5] Fonte per l’Austria: Associazione europea per il
commercio delle armi civili. [6] Tra l’85% e il 90% della produzione tedesca di armi da
fuoco civili viene esportata verso paesi terzi o dell’Unione (fonte:
Association of European Manufacturers of Sporting Firearms). [7] Secondo cifre fornite dall’Istituto europeo delle armi
da caccia e da sport, in Francia esistono tra 800 e 1 000 punti di vendita
che vivono principalmente del commercio di armi. [8] La carta europea d’arma da fuoco è stata istituita dalla
direttiva 91/477/CEE. Si tratta di “un documento rilasciato dalle autorità
degli Stati membri alla persona che diviene detentore e utilizzatore legittimo
di un’arma da fuoco, su richiesta della stessa” (articolo 1, paragrafo 4) e
consente al suo titolare di viaggiare con l’arma da uno Stato membro all’altro,
grazie a un sistema di autorizzazione semplificato, per svolgervi in genere
attività di caccia o di tiro sportivo. È particolarmente apprezzata dai
beneficiari e non ha dato luogo ad alcun problema di sicurezza legato al suo
rilascio o al suo uso. [9] L’armaiolo effettua un primo controllo nelle banche-dati
sulle “Persone cui è vietato il possesso di armi da fuoco”. [10] La Commissione internazionale permanente (C.I.P.) per la
prova delle armi da fuoco portatili è nata da un accordo intergovernativo con
il quale i principali paesi produttori europei di armi da fuoco (11 paesi
europei, oltre a Cile, Russia ed Emirati Arabi Uniti) si impegnano a riconoscere
i test/le prove delle armi da fuoco e delle munizioni, prima dell’immissione
sul mercato, effettuati in impianti denominati “banchi di prova” secondo
criteri tecnici stabiliti e aggiornati dalla C.I.P. stessa. Il riconoscimento
si concretizza in un punzone apposto sull’arma da fuoco che permette di
identificare il banco in cui essa è stata provata. Esistono anche banchi di
prova in cui le armi da fuoco sono disattivate con tecniche e in base a vari
requisiti, senza con ciò essere necessariamente riconosciute da uno Stato
membro e l’altro. [11] La direttiva 2008/51/CE stabilisce che lo schedario
elettronico sulle armi da fuoco, per collegare un’arma al suo proprietario,
vada istituito entro il 31 dicembre 2014. [12] Dato fornito dalla Federazione delle associazioni per la
caccia e la conservazione della fauna selvatica nella UE (FACE) che raggruppa
le associazioni venatorie nazionali degli Stati membri della UE e di altri
paesi del Consiglio d’Europa. [13] Teoricamente, tale strumento esiste già nella direttiva
91/477/CEE. L’articolo 11 della medesima prevede infatti che gli armaioli
possano beneficiare di autorizzazioni che li dispensino, in alcuni casi,
dall’obbligo di dover chiedere autorizzazioni specifiche per il movimento
intracomunitario di armi da fuoco. Tale possibilità si applica tuttavia solo
raramente perché implica che essa sia riconosciuta dagli Stati membri di
partenza e di arrivo, nel quadro di una normativa comparabile. [14] L’allegato I della direttiva stabilisce che: “La
Commissione, secondo la procedura di cui all’articolo 13 bis, paragrafo 2,
della direttiva, pubblica orientamenti comuni sulle norme e sulle tecniche di
disattivazione, al fine di garantire che le armi da fuoco disattivate siano
rese irreversibilmente inutilizzabili”.