15.2.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 48/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete» (parere d'iniziativa)

2011/C 48/11

Relatore: Lars NYBERG

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 marzo 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Ripresa economica: punto della situazione e iniziative concrete (parere d'iniziativa).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 luglio 2010.

Alla sua 465a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 settembre 2010 (seduta del 16 settembre 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 45 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La crisi finanziaria del 2008 e la crisi economica che ne è derivata sono state le più gravi mai registrate dalla Seconda guerra mondiale. Quando, all'inizio del 2010, sono apparsi i primi segnali di ripresa dalla recessione, improvvisamente ci si è trovati di fronte ad una crisi del mercato delle obbligazioni di Stato, questa volta non più di dimensioni mondiali, ma ristretta ai confini dell'Europa. L'esigenza di alleggerire i bilanci pubblici dai costi derivanti dal sostegno fornito alle banche e da altre misure discrezionali, l'aumento della disoccupazione e le ulteriori misure di austerità adottate in molti paesi sono fattori che, considerati nel loro insieme, minacciano la crescita economica. In un simile contesto, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) reputa necessario mettere in campo misure politiche destinate non soltanto a conseguire la ripresa economica, ma anche a impedire che l'Europa entri in una nuova fase di recessione.

1.2   Nel 2009 l'UE ha registrato una crescita negativa (-4,1 %). Prima della crisi del mercato delle obbligazioni di Stato, scoppiata nella primavera di quest'anno, la crescita prevista per il 2010 era dello 0,7 %. Nel 2010 il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi sul 10 %, accompagnato da una riduzione del tasso di attività del 2 % nello stesso periodo. Il disavanzo di bilancio medio, pari al 2,3 % del PIL nel 2008, è salito al 6,8 % nel 2009 e dovrebbe arrivare al 7,5 % nel 2010. Durante la crisi la liquidità del mercato finanziario è stata garantita da ingenti finanziamenti pubblici. L'espansione del credito ai privati precedente alla recessione è venuta meno ed è stata sostituita da un ampio fabbisogno di credito del settore pubblico. Al tempo stesso, il credito continua a essere indispensabile al settore privato per stimolare la domanda. Il quadro della situazione economica degli Stati membri dell'UE è assai variegato: i disavanzi di bilancio di maggiore entità si registrano in Grecia e in altri paesi dell'area mediterranea, oltre che in Irlanda e nel Regno Unito, mentre la Spagna e i paesi baltici hanno i tassi di disoccupazione più elevati. È anche vero, però, che i paesi baltici sono riusciti in un lasso di tempo molto breve a ridurre disavanzi pubblici di vaste proporzioni e a invertire la tendenza alla crescita negativa grazie a misure economiche improntate al massimo rigore.

1.3   Una «strategia di entrata»

I mutamenti economici in profondità intervenuti negli ultimi decenni rendono inadeguata l'idea di una strategia di uscita dalla crisi. Dobbiamo riflettere invece ad una strategia di entrata, ossia a nuove iniziative sul piano economico e politico che servano ad elaborare una tabella di marcia per la società del prossimo futuro.

1.4   I consumi privati sono di primaria importanza per la domanda aggregata

La proposta di ridurre i deficit pubblici più elevati ha un effetto restrittivo sull'economia europea nel suo complesso, rimandando quindi il conseguimento di una crescita in grado di autosostenersi. Il CESE pone l'accento sull'importanza che riveste la domanda aggregata per alimentare il processo di crescita, e attira soprattutto l'attenzione sul ruolo dei consumi privati. Perché possa incidere in misura sostanziale sulla crescita, il sostegno economico deve essere destinato principalmente alle fasce di popolazione a più basso reddito: poiché queste ultime consumano una quota più elevata dei loro redditi, minore sarà la percentuale di tale sostegno che verrà assorbita dall'aumento del risparmio. È la premessa di una fonte di crescita in futuro, a condizione che si riesca ad invertire la tendenza - in atto ormai da parecchi decenni - allo spostamento della composizione del PIL dal lavoro al capitale. Naturalmente gli investimenti e le esportazioni hanno pur sempre un notevole peso, ma l'andamento dei consumi privati - che rappresentano circa il 60 % del PIL - è essenziale per la crescita, e ancora di più nel periodo di recessione che stiamo attraversando.

1.4.1   Valutare l'impatto dei programmi di austerità

Un livello di disoccupazione elevato e la riduzione del tasso di attività, insieme con aumenti salariali contenuti, tagli alla spesa pubblica, un incremento dell'imposizione fiscale e i nuovi programmi di austerità avranno l'effetto di ridurre il potenziale di crescita. In un simile quadro economico, la Commissione dovrebbe provvedere quanto prima a valutare l'effetto di contrazione dovuto a tutti questi fattori e proporre contromisure idonee a preservare la crescita. La crescita è una condizione imprescindibile per il conseguimento di tutti gli altri obiettivi di politica economica. Quello che certamente non possiamo permetterci di fare è attendere passivamente che i programmi di austerità producano i loro effetti restrittivi.

1.5   Misurare l'andamento della competitività

Tra gli obiettivi di politica economica, la bilancia delle partite correnti sinora non è mai stata considerata con l'attenzione che merita. I disavanzi di bilancio e le eccedenze delle partite correnti consolidatisi in alcuni paesi nel corso degli anni rendevano inevitabile, prima o poi, l'insorgere di una crisi economica nell'UE come quella della primavera 2010. Il CESE intende porre l'accento sull'esigenza di ridurre le notevoli differenze tra le bilance delle partite correnti degli Stati membri. Questo rende determinante l'obiettivo della competitività, misurata dal costo unitario del lavoro in termini reali, un indicatore che riunisce l'andamento dei salari e quello della produttività. Nell'ultimo decennio la competitività di Irlanda, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo è diminuita, in media, del 10 %: un calo di questa entità non poteva non comportare dei problemi di bilancio.

1.5.1   Il patto di stabilità e di crescita dovrebbe prevedere una verifica delle bilance delle partite correnti

Se un'area monetaria presenta andamenti salariali e di produttività diversi da uno Stato all'altro, vi sono soltanto due alternative: variare i salari relativi tra i paesi o aumentare la produttività dei paesi che registrano risultati meno positivi su questo fronte. Il CESE propone quindi che la Commissione svolga una verifica delle bilance delle partite correnti degli Stati membri, analogamente a quanto già avviene con il monitoraggio del disavanzo e del debito pubblici. La proposta potrebbe essere formalmente adottata con una modifica dei regolamenti che disciplinano il patto di stabilità e di crescita. Il controllo delle bilance delle partite correnti e la valutazione degli indicatori sottostanti, ossia gli andamenti dei salari e della produttività, dovrebbero essere realizzati in tutti i 27 Stati membri, prevedendo tuttavia un margine di azione maggiore per la Commissione nei paesi della zona euro. Con queste nuove disposizioni, l'economia reale troverebbe spazio nel patto di stabilità e di crescita.

1.5.2   Statistiche sul credito ai privati e sulla quota del debito pubblico detenuta da soggetti esteri

Il dibattito sul patto di stabilità e di crescita dovrebbe affrontare anche il tema della pubblicazione di dati statistici supplementari relativi al credito ai privati e alla quota del debito pubblico degli Stati membri detenuta da soggetti esteri.

1.6   Una regolamentazione e pratiche di vigilanza più efficaci del settore finanziario

Un fattore di efficienza nel settore finanziario potrebbe consistere nel mantenere parzialmente pubblico il capitale bancario, affinché le autorità pubbliche possano mantenere un certo controllo degli sviluppi nel settore degli istituti di credito. Le turbolenze registrate nel mercato finanziario nel 2010 dimostrano che le proposte di vigilanza e di regolamentazione del settore finanziario che sono state avanzate non sono sufficienti. Soprattutto dopo l'atteggiamento dimostrato dal settore finanziario durante la crisi greca, si rendono necessarie una regolamentazione e pratiche di vigilanza più efficaci per modificare tali comportamenti e individuare nuove modalità di finanziamento del debito pubblico.

1.7   Investimenti pubblici nelle infrastrutture e nel settore dell'energia

Occorre concentrare gli investimenti nei settori della tutela dell'ambiente e delle misure di lotta al cambiamento climatico. Il CESE ritiene che la fiscalità possa essere la leva su cui agire per fare in modo che il mercato riduca le emissioni nocive. In un periodo in cui le imprese realizzano ben pochi investimenti, è necessario che il settore pubblico supplisca con investimenti nelle infrastrutture e nel settore dell'energia. In base al patto di stabilità e di crescita riveduto, gli investimenti non vanno inclusi nel calcolo del disavanzo eccessivo.

1.8   Politiche attive del mercato del lavoro

In aggiunta alla ricerca di nuove competenze per nuovi posti di lavoro, su cui dovrebbero essere incentrate le politiche occupazionali, occorre anche incrementare il livello generale di istruzione. La strategia Europa 2020 è di fondamentale importanza per conseguire questi obiettivi. Misure di politica che servirebbero con tutta evidenza a incrementare il tasso di occupazione consistono nell'offerta di servizi di assistenza all'infanzia di qualità elevata e nella possibilità di usufruire di congedi parentali di durata sufficiente e adeguatamente retribuiti.

1.9   Una strategia di entrata che promuova una politica a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze

Quando sarà possibile ridurre la spesa destinata alle indennità di disoccupazione, le stesse risorse pubbliche dovrebbero essere riorientate verso politiche a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze. Una strategia concepita per uscire dalla crisi si trasforma in una strategia di entrata. L'organizzazione dei sistemi sociali deve offrire maggiore protezione sociale e posti di lavoro, pur nel rispetto dei limiti consentiti dalle risorse finanziarie.

1.10   Una nuova fonte di entrate: l'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di CO2

Una nuova fonte di entrate per i bilanci pubblici potrebbe venire da un'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio: oltre a incrementare entrambe il gettito fiscale, queste due nuove tasse consentirebbero, la prima, di contrastare la logica del breve termine prevalente sul mercato finanziario e, la seconda, di migliorare l'ambiente.

1.11   Consentire alla BEI l'emissione di eurobbligazioni

L'emissione da parte della BEI di eurobbligazioni (Eurobonds) - o, meglio, di obbligazioni dell'UE - che comprenderebbero tutti i 27 Stati membri, consentirebbe di reperire capitale fresco per il settore pubblico senza dover dipendere interamente dal settore finanziario privato. Le risorse finanziarie dovrebbero essere trovate a monte, ad esempio negli enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP), in modo che la BEI diventi un'interfaccia tra queste risorse di capitale e i suoi investimenti. Le eurobbligazioni sono anche possibili strumenti a lungo termine per il risparmio privato.

2.   Quadro della situazione attuale  (1)

2.1   La crisi finanziaria del 2008 e la crisi economica che ne è derivata sono state le più gravi mai registrate dalla Seconda guerra mondiale. Quando, all'inizio del 2010, sono apparsi i primi segnali di ripresa dalla recessione, improvvisamente ci si è trovati di fronte ad una crisi del debito pubblico, questa volta non più di dimensioni mondiali, ma ristretta ai confini dell'Europa. L'esigenza di alleggerire i bilanci pubblici del peso del sostegno fornito alle banche e ad altri settori dell'economia, come pure dei costi di altre misure discrezionali, l'aumento della disoccupazione e le ulteriori misure di austerità adottate in molti paesi sono fattori che, considerati nel loro insieme, minacciano la crescita economica. In un simile contesto, il Comitato economico e sociale europeo reputa necessario mettere in campo misure politiche destinate non soltanto a conseguire la ripresa economica, ma anche ad impedire che l'Europa entri in una nuova fase di recessione.

2.2   Crescita negativa

2.2.1   Nel dicembre del 2008, al momento dell'adozione del piano europeo di ripresa economica, la crescita economica prevista per il 2009 era intorno allo 0 %. Si è registrata invece una crescita negativa pari al -4,1 %. Se è vero che il piano era basato su previsioni eccessivamente ottimistiche, senza incentivi di bilancio il quadro sarebbe stato persino più negativo.

2.2.2   Gli Stati membri hanno fornito sostegno economico in misura superiore a quanto previsto dal piano - ossia l'1,2 % del PIL - al punto che, per il biennio 2009-2010, l'aiuto all'economia potrebbe ammontare al 2,7 % del PIL. Benché le esigenze di sostegno negli Stati membri fossero superiori al sostegno programmato, le misure sono state in realtà persino troppo contenute se confrontate all'andamento negativo della crescita.

2.2.3   Gli incentivi economici non sono venuti unicamente dai bilanci pubblici, poiché la Banca centrale europea (BCE) ed altre banche centrali dell'UE hanno ridotto i tassi d'interesse fin quasi allo zero, e iniettato liquidità nel sistema economico a livelli sinora mai raggiunti. Non solo, ma alcuni Stati membri hanno fatto ricorso a ingenti quantitativi di denaro pubblico per procedere al salvataggio di alcune banche. Eppure, a ulteriore dimostrazione della gravità dell'attuale crisi economica e finanziaria, tutte queste misure non sono state in grado di impedire la crescita negativa registrata nel 2009.

2.2.4   Prima della crisi della primavera di quest'anno, la crescita prevista per il 2010 era pari allo 0,7 %, inferiore cioè a quella dei principali concorrenti dell'UE a livello mondiale. Tra gli elementi positivi vanno segnalati l'aumento degli indicatori della fiducia, una crescita sostenuta in altre regioni del mondo e il ritorno del commercio mondiale a un livello più o meno comparabile al periodo precedente la crisi. Fattori negativi sono invece l'ulteriore riduzione degli investimenti realizzati dalle imprese anche nell'ultimo trimestre del 2009, l'assenza di un sostanziale miglioramento della produzione industriale - i recenti incrementi della domanda si devono probabilmente soltanto alla formazione delle scorte -, il tasso di utilizzo degli impianti estremamente basso, che non offre incentivi al rilancio degli investimenti, la situazione del settore bancario che, anch'essa, non lascia alcun margine per incrementare gli investimenti e, soprattutto, la turbolenza sul mercato delle obbligazioni di Stato.

2.3   Commercio

Il commercio mondiale ha subito un tracollo nell'ultimo trimestre del 2008, con un calo del 12 %, quando invece nel 2007 aveva registrato un incremento di circa il 20 %. La tendenza è proseguita nei trimestri successivi, e il dato trimestrale peggiore ha fatto registrare una contrazione - del 30 % circa - rispetto al valore dello stesso trimestre dell'anno precedente. Nell'ultimo trimestre del 2009 si è tuttavia constatata un'inversione di tendenza, con un incremento del 4 %. I dati relativi all'UE sono pressoché identici, con un calo lievemente più pronunciato per gli scambi intra-UE rispetto al commercio con i paesi terzi.

2.4   Il mercato del lavoro

2.4.1   L'aumento del numero di disoccupati in conseguenza della crisi dovrebbe continuare ancora, dato che di regola le ripercussioni sul mercato del lavoro si avvertono con un certo ritardo rispetto all'andamento dell'economia reale. Nel 2010 il tasso di disoccupazione medio nell'UE - con percentuali molto diverse da uno Stato membro all'altro - si attesterà sul 10 %, il che equivale ad un incremento del 3 % su base annua.

2.4.2   Se la crisi incide da un lato sul livello di disoccupazione, dall'altro comporta anche una diminuzione del tasso di attività, con un calo pari a circa il 2 % della forza lavoro. Per di più, molti hanno scelto di ridurre le ore lavorative prestate per mantenere il posto di lavoro, il che corrisponde a un'ulteriore riduzione dell'1 % della forza lavoro. In un contesto di ripresa economica, quest'ultimo indicatore è probabilmente il primo a tornare a livelli di normalità. Il tasso di crescita deve essere sufficientemente elevato: in caso contrario, infatti, la crescita non è accompagnata dalla creazione di nuovi posti di lavoro (la cosiddetta «crescita senza occupazione»).

2.5   Disavanzi pubblici

Secondo le stime il disavanzo di bilancio medio, pari al 2,3 % del PIL nel 2008, è salito al 6,8 % nel 2009 e dovrebbe toccare il 7,5 % nel 2010. Il deterioramento dei conti pubblici non dipende soltanto dall'introduzione di misure attive di sostegno, ma anche dall'aumento della spesa e dal minor gettito fiscale dovuti al meccanismo degli stabilizzatori automatici. Secondo l'analisi dell'OCSE queste misure di protezione sociale hanno permesso di preservare un maggior numero di posti di lavoro in Europa rispetto ad altre economie.

2.6   Il mercato finanziario

2.6.1   Anche nel 2010 la situazione del mercato finanziario continua a rimanere piuttosto confusa. Non disponiamo di elementi che consentano di stabilire se la costante scarsità di investimenti sia dovuta a una persistente mancanza di liquidità, alla politica di prevenzione del rischio adottata dagli istituti di credito o a una domanda insufficiente del settore industriale.

2.6.2   Per una ripresa economica sostenibile è indispensabile che il mercato del credito torni a concentrare la sua attività sul lungo termine invece che su operazioni a brevissimo termine. Questo aspetto è oggetto di un'elaborazione più approfondita in un parere del CESE in merito alla proposta di una tassa sulle operazioni finanziarie (2).

2.6.3   A partire dal 2006 e fino all'insorgere della crisi finanziaria il settore del credito ai privati ha registrato una crescita eccezionale nell'arco di pochi anni (3). Il debito privato è raddoppiato sia nella zona euro che negli Stati Uniti, la spesa privata era elevata e ha determinato un forte disavanzo delle partite correnti in alcuni paesi. Nel 2009 questa forte espansione del credito è venuta meno ed è stata in parte sostituita dal debito pubblico. Nei prossimi anni continueranno a registrarsi deficit pubblici elevati, mentre sarà nel contempo necessario stimolare la domanda del settore privato per dare slancio alla ripresa: sia in un caso che nell'altro il credito è indispensabile.

2.6.4   I fondi pensione hanno sofferto per il drastico ridimensionamento del valore dei loro investimenti azionari, stimato al 24 % in termini reali nel 2009 (4). Il livello di reddito dei pensionati è a rischio, il che avrà delle conseguenze sulla possibilità di incrementare la domanda privata. I diritti per chi sottoscrive un fondo pensione maturano a lunghissimo termine, mentre questi fondi investono in portafogli di titoli molto più a breve termine. Pertanto, nel mercato finanziario si constata la necessità di aumentare la quota di strumenti finanziari a lungo termine, sia per i fondi pensione sia per gli altri enti che operano in campo pensionistico, come le compagnie di assicurazione.

2.7   Panoramica della situazione negli Stati membri

2.7.1   Il calo più marcato del PIL tra gli Stati membri di maggiori dimensioni si è registrato in Germania e nel Regno Unito, mentre tra gli Stati membri più piccoli la flessione più pronunciata si è avuta - dopo un lungo periodo di forte crescita del PIL - nel 2009 nei tre paesi baltici. In questi anni di boom economico anche la dinamica salariale è stata molto elevata, superiore agli incrementi di produttività, ma i paesi baltici, in particolare la Lituania, hanno reagito prontamente alla crisi riducendo i salari. I maggiori aumenti salariali nel corso del 2009 si sono registrati in Grecia, senza però un corrispondente incremento della produttività. Nello stesso anno l'unica eccezione è rappresentata dalla Polonia, paese il cui tasso di crescita ha segnato +1,7 % grazie, tra l'altro, a maggiori investimenti pubblici e a un incremento dei consumi privati, oltre che a un andamento piuttosto soddisfacente sul fronte dell'occupazione.

2.7.2   Sempre nel 2009 il calo più drastico del tasso di occupazione si è registrato nei tre paesi baltici, seguiti da Bulgaria e Spagna. Va osservato che in nessuno Stato membro tale tasso è rimasto invariato, benché in Germania sia diminuito soltanto dello 0,4 %. Lo Stato membro con il tasso di disoccupazione più alto nel 2009 era la Lettonia (21,7 %), seguita da Lituania, Estonia, Spagna, Slovacchia e Irlanda.

2.7.3   Durante le turbolenze registrate nel 2010 sul mercato delle obbligazioni di Stato è emerso che il disavanzo pubblico della Grecia è pari a circa il 13 % del PIL, una rivelazione che ha innescato attacchi speculativi contro l'euro. Si è appreso inoltre che il deficit del Regno Unito è più o meno delle dimensioni di quello greco. Quanto al deficit pubblico spagnolo, si è scoperto «dall'oggi al domani» che è ormai a livelli insostenibili. Questi tre paesi, imitati da Portogallo, Italia e Irlanda, nonché da altri Stati membri, hanno messo in campo una serie di politiche di austerità per ridurre disavanzi di vaste proporzioni e abbassare livelli elevati di debito pubblico.

3.   Iniziative concrete per il rilancio dell'economia

3.1   Non serve una strategia di uscita (exit strategy), ma una strategia di entrata (entry strategy)

3.1.1   Si è molto discusso di una strategia di uscita dalla crisi, ossia delle modalità con cui riassorbire il sostegno pubblico straordinario all'economia, dato che i vincoli giuridici da rispettare continuano ad essere le due regole secondo cui il disavanzo di bilancio non deve essere superiore al 3 % del PIL e il debito pubblico deve rimanere entro il limite del 60 % del PIL. Nella comunicazione sulla strategia Europa 2020 la Commissione europea ha giustamente fatto osservare che «le misure di sostegno possono essere abbandonate solo quando la ripresa economica avrà una propria autonomia» (5). Tuttavia, considerato il clima di incertezza che grava sulle nostre economie, è assai difficile stabilire quando tale ripresa «avrà una propria autonomia». La proposta di ridurre i deficit pubblici più elevati ha un effetto restrittivo sull'economia europea nel suo complesso, rimandando quindi ulteriormente il conseguimento di una crescita in grado di autosostenersi. Non solo, ma adottare una simile strategia di uscita significa poter tornare, una volta cessate le misure di sostegno, al quadro economico precedente alla crisi, il che non è accettabile.

3.1.2   In primo luogo, sono in fase di attuazione o di preparazione numerose riforme del settore finanziario che, secondo le aspettative, dovrebbero servire a rafforzarne la trasparenza e la resistenza alle crisi. In secondo luogo, è necessario riformare anche altri settori dell'economia, altrimenti corriamo senz'altro il rischio che i problemi affrontati in questi ultimi anni si profilino di nuovo all'orizzonte.

3.1.3   La riflessione sui mutamenti economici intervenuti negli scorsi decenni dovrà esserci d'aiuto per elaborare nuovi provvedimenti in campo economico e politico che contribuiscano a ridurre la vulnerabilità dell'economia. Non si tratta quindi di proporre una strategia di uscita dalla crisi, poiché elaborare una tabella di marcia per una strategia di uscita significa prendere delle decisioni sulla società del prossimo futuro, ossia, in altri termini, definire una strategia di entrata.

3.2   Domanda aggregata

3.2.1   In teoria due sono i metodi per conseguire la crescita economica: aumentare la produzione utilizzando la stessa tecnologia o migliorare la tecnologia per sfruttare maggiormente le risorse produttive disponibili. La preferenza per l'uno o l'altro metodo dipende dal contesto economico. In una fase di espansione economica vengono sfruttate tutte le risorse produttive, e l'unico modo per ottenere un incremento della crescita è investire in metodi di produzione innovativi; al contrario, in una recessione - come quella che ha avuto inizio nel 2008 - vi sono molte risorse inutilizzate che è necessario impiegare. La politica da adottare consiste perciò nello stimolare la domanda. Purtroppo, però, la domanda aggregata non viene più riconosciuta quale autentico motore della crescita economica.

3.2.2   Per riuscire a stimolare la domanda, le misure devono non solo incidere direttamente sui consumi e gli investimenti, ma anche rafforzare la fiducia di consumatori e investitori. Proprio come gli stabilizzatori automatici sono efficaci in situazione di crisi, una maggiore fiducia può funzionare in un contesto di rilancio dell'economia, poiché può moltiplicare l'effetto degli interventi pubblici per far sì che la ripresa si autoalimenti. Perché questo avvenga, è essenziale non solo l'importo del sostegno erogato, ma anche a quali gruppi di popolazione esso viene destinato. Le fasce a più basso reddito consumano una quota più elevata dei loro redditi rispetto ai gruppi a reddito più elevato: appunto per questo, maggiore sarà il sostegno destinato alla prima categoria, minore sarà la percentuale di tale sostegno che verrà assorbita dall'aumento del risparmio.

3.2.3   Gli effetti del piano di ripresa economica nella sua versione iniziale potrebbero essere inferiori alle aspettative, dato che gran parte delle misure introdotte dagli Stati membri erano già in programma e non sono servite di ulteriore stimolo alla crescita. Nella primavera del 2010 la Commissione ha opportunamente posto l'accento sulla necessità che le misure destinate a stimolare la crescita fossero efficaci anche sul piano sociale. La crescita prevista per il 2010 è inferiore all'1,5 %, un tasso che secondo numerosi economisti corrisponde alla crescita potenziale dell'UE. Ma anche con una crescita attestata su questo valore, non si registrerebbe una riduzione del tasso di disoccupazione e dei disavanzi di bilancio sufficientemente rapida.

3.2.4   Il CESE desidera sottolineare l'importanza che riveste la domanda aggregata per dare impulso al processo di crescita, e attira soprattutto l'attenzione sul ruolo fondamentale dei consumi privati.

3.2.5   Altrettanto importante è incrementare gli investimenti. Il patto di stabilità e di crescita riveduto prevede la possibilità di rimandare l'aggiustamento di un disavanzo di bilancio superiore alla soglia stabilita se la spesa in eccesso è destinata agli investimenti. Non bisogna però credere che gli investimenti costituiscano in assoluto l'unico strumento utile per rafforzare la crescita.

3.2.6   D'altra parte, neppure incrementare le esportazioni è un rimedio sufficiente. Gli scambi commerciali dell'UE si svolgono principalmente tra gli Stati membri. La quota del commercio esterno - ossia le esportazioni verso altre regioni dell'economia mondiale - si è attestata a lungo sul 10 % del PIL dell'Unione europea. Se è vero che gli scambi dell'UE rappresentano un terzo del commercio mondiale, sottraendone gli scambi intra-UE la percentuale si riduce però al 16 %. L'importanza degli scambi risiede anche nel fatto che essi sono un indicatore della competitività globale di un'economia. I segnali di un aumento delle esportazioni dall'UE verso il resto del mondo sono ovviamente un elemento positivo, ma non abbastanza confortante in un contesto di investimenti insufficienti e di deterioramento del mercato del lavoro.

3.2.7   Secondo l'OIL (6), da oltre un decennio nell'economia mondiale è in atto uno spostamento della composizione del PIL dal lavoro al capitale. Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2007 la quota parte dei profitti sul PIL nell'UE a 27 è aumentata dal 37 al 39 %; nel secondo semestre del 2008 ha registrato un netto calo, scendendo al 36 %, ma nel corso del 2009 è risalita al 37 % (7). Si tratta di un segnale di accresciute disuguaglianze nella distribuzione dei redditi.

3.2.8   La maggior parte del PIL è costituita dai consumi privati, la cui quota, tuttavia, può variare sensibilmente a seconda delle azioni dei soggetti pubblici o privati nel quadro del sistema politico proprio a ciascun paese. Ciononostante, una variazione della quota di PIL attribuibile ai consumi privati potrebbe anche indicare una diversa configurazione della distribuzione dei redditi. Nel 2008 la quota del PIL dell'UE rappresentata dai consumi era scesa al 58 % rispetto al 60 % del 2005 e al 61 % del 2000. Per quanto si tratti soltanto di una modesta variazione su un arco di tempo piuttosto lungo, è però indicativa del margine di manovra esistente per incrementare i consumi privati quale strumento per stimolare la domanda aggregata (8), la quale riveste un'importanza particolare nell'attuale contesto economico.

3.2.9   Nel 2010, tuttavia, il tasso di disoccupazione elevato e la riduzione del tasso di attività, accompagnati da aumenti salariali molto contenuti, non sono certo indicatori di un incremento dei consumi ma sembrano, anzi, andare in direzione opposta. In un simile contesto, quindi, ridurre le misure di sostegno pubblico non è la politica più adeguata da applicare. Una volta tratta questa conclusione, tuttavia, va detto che la situazione attuale (nel 2010), caratterizzata da ampi tagli alla spesa pubblica e da un aumento del gettito fiscale, appare estremamente problematica sotto il profilo della politica economica. Queste inevitabili riduzioni della domanda aggregata determinate dai tagli ai bilanci pubblici sono certamente procicliche, in quanto si tradurranno in minori possibilità di crescita. L'effetto più importante di queste misure, cioè la diminuzione del reddito dei dipendenti del settore pubblico, sarà avvertito sotto forma di contrazione della domanda in tutti i settori dell'economia. Non sarà quindi possibile conseguire il tasso di crescita potenziale.

3.2.9.1   È interesse precipuo dell'Unione europea disporre di stime circa i potenziali effetti restrittivi di questi nuovi tagli ai bilanci pubblici. Si tratta di misure ispirate al massimo rigore e adottate d'urgenza. Dovrebbe essere altrettanto urgente per l'UE fare in modo che i paesi che non versano in una situazione economica così grave adottino delle contromisure, vale a dire si adoperino per incrementare il livello di domanda aggregata. Spetta alla Commissione valutare prima possibile l'entità delle ripercussioni delle misure di austerità e formulare proposte adeguate in proposito. La Commissione si propone di illustrare le conclusioni di una valutazione di questo tipo nel documento di previsione economica che pubblicherà nel novembre 2010. Sarebbe invece opportuno non aspettare tanto a lungo: è vero che la crescita del primo trimestre del 2010 si è avvicinata alle previsioni (+0,7 %), ma il dato è precedente all'adozione dei programmi di austerità da parte di alcuni Stati membri. Quello che certamente non possiamo permetterci di fare è attendere passivamente che il probabile impatto restrittivo dei programmi di austerità si traduca in realtà.

3.2.9.2   Il CESE è dell'opinione che la congiuntura economica richieda l'avvio di un dibattito su nuove basi. La soglia del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico va mantenuta, ma occorre associare questo criterio ad una discussione sulle notevoli differenze tra i disavanzi pubblici dei vari Stati membri, poiché è necessario che i paesi che presentano disavanzi di grande entità consolidino definitivamente i loro bilanci pubblici. Gli obblighi imposti agli Stati membri il cui disavanzo rientra nel limite del 3 % (o è di poco superiore a tale soglia) dovrebbero essere meno stringenti. Laddove è ancora possibile finanziare i disavanzi a tassi di interesse relativamente bassi, sembra opportuno non adottare per il momento misure di bilancio eccessivamente restrittive. Se si rilegge il patto di stabilità e di crescita riveduto dal 2005 in poi, ci si rende conto che queste proposte sono assolutamente in linea con le modifiche introdotte all'epoca, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti pubblici e i periodi di pressione recessiva.

3.3   La bilancia delle partite correnti di nuovo al centro dell'agenda politica

3.3.1   Da tempo ormai la politica economica è incentrata su tre obiettivi principali volti a conseguire benessere e prosperità: stabilità dei prezzi, crescita economica e piena occupazione. I criteri intermedi dell'equilibrio di bilancio e del debito pubblico servono a garantire la realizzazione delle vere finalità di tale politica. Tuttavia, due obiettivi non vengono più considerati da molto tempo: l'equa distribuzione dei redditi e la bilancia delle partite correnti. Si è ritenuto - ed è un errore - che quest'ultimo indicatore avesse perduto d'importanza: in realtà in un mercato unico con una moneta unica tale obiettivo è fondamentale.

3.3.2   L'analisi della bilancia delle partite correnti, ossia della bilancia degli scambi commerciali con gli altri paesi, avrebbe permesso di capire esattamente quello che sarebbe accaduto nella zona euro. La Grecia presenta attualmente un forte disavanzo delle partite correnti che si è andato accumulando nel corso degli anni. Germania, Paesi Bassi e Svezia hanno a lungo registrato un'eccedenza delle partite correnti, mentre gran parte dei paesi dell'area mediterranea presenta un disavanzo delle partite correnti, benché il primato del paese con il più ampio disavanzo spetti alla Bulgaria.

3.3.3   Disavanzi o eccedenze delle partite correnti anche di vaste proporzioni non sono preoccupanti, se limitati al breve periodo. Il problema nasce se lo squilibrio persiste per molti anni di seguito o se i capitali importati non vengono investiti in modo adeguato e, di conseguenza, non si realizzano potenziali incrementi di produttività. Tra i paesi della zona euro, Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda registrano forti disavanzi praticamente sin dall'introduzione della moneta unica. Tra gli Stati membri che non appartengono all'area dell'euro, disavanzi molto elevati contraddistinguono la Bulgaria e si sono registrati in passato nei tre paesi baltici. La lotta a disavanzi delle partite correnti di vaste dimensioni può essere condotta soltanto mediante una politica economica estremamente rigorosa, come quella adottata dai governi di Estonia, Lettonia e Lituania nel 2009.

3.3.4   Avendo constatato il quadro assai variegato della situazione economica nei diversi Stati membri, il CESE intende insistere sull'esigenza di ridurre tali disparità. Questo ci induce a ritenere determinante l'obiettivo della competitività, che è misurata dal costo unitario del lavoro in termini reali, un valore che rappresenta gli effetti combinati dell'andamento dei salari e di quello della produttività. Nella zona euro sono soprattutto Germania ed Austria ad aver incrementato la loro competitività grazie ad un costo unitario del lavoro in termini reali più basso. D'altro canto, dal 2008 in avanti il livello salariale in Germania è cresciuto più in fretta della produttività, determinando quindi una perdita di competitività. Nell'ultimo decennio la competitività di Irlanda, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo è diminuita, in media, del 10 % (9). Un prolungato deterioramento della competitività può essere all'origine di problemi di bilancio, un fenomeno che con ogni evidenza si è verificato nel corso del 2010 ma la cui causa principale - vale a dire le variazioni del livello di competitività - non è stata adeguatamente messa in luce.

3.3.5   Dal momento che i paesi della zona euro non hanno più a disposizione lo strumento delle variazioni dei tassi di cambio, la variazione della competitività relativa - con un livello di prezzi più alto rispetto ad altri paesi va cercata nei «tassi di cambio reali». Se un'area monetaria presenta andamenti salariali e di produttività divergenti, vi sono solo due rimedi: modificare i salari relativi tra i paesi o aumentare, grazie agli investimenti, il livello di produttività dei paesi che registrano risultati meno positivi su questo fronte. Sarebbe assurdo, infatti, chiedere ai paesi con un buon indice di produttività di arrestare tale crescita.

3.3.6   Una conclusione che si può trarre dalla crisi della primavera 2010 è che ad Eurostat dovrebbe essere affidato il compito di verificare i dati degli istituti statistici degli Stati membri. Poter disporre di statistiche corrette e accurate avrà un'importanza ancora maggiore se i dati relativi alla bilancia delle partite correnti e all'andamento dei salari e della produttività serviranno da punto di partenza per un nuovo dibattito politico in ambito europeo.

3.3.7   Il CESE propone di integrare gli obiettivi relativi all'equilibrio di bilancio e al debito pubblico con un terzo obiettivo relativo alla bilancia delle partite correnti. Tuttavia, è impossibile ricorrere a un dato unico in questo caso, poiché a una situazione positiva delle partite correnti di alcuni paesi corrisponde sempre una situazione negativa in altri paesi. Le difficoltà sorgono quando il divario è troppo ampio o si verifica in un arco temporale troppo ristretto o, ancora, quando i capitali importati non vengono impiegati per realizzare investimenti produttivi.

3.3.8   Il CESE propone quindi che la Commissione svolga una verifica delle bilance delle partite correnti degli Stati membri, analogamente a quanto già avviene con il monitoraggio del disavanzo e del debito pubblici. Oggi anche la Commissione fa sua questa ipotesi di lavoro negli indirizzi di massima per le politiche economiche e in un documento sul consolidamento della ripresa economica. Inoltre, queste questioni sono attualmente oggetto di discussione in seno alla task force sulla governance economica guidata dal Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy.

3.3.9   Il CESE intende rafforzare ulteriormente il contenuto delle proposte citate. Il nuovo obiettivo relativo alla bilancia delle partite correnti dovrebbe avere lo stesso rilievo assegnato ai due obiettivi già previsti dal patto di stabilità e di crescita. La Commissione dovrebbe quindi svolgere un controllo delle bilance delle partite correnti e una valutazione degli indicatori sottostanti (ossia gli andamenti dei salari e della produttività) in tutti i 27 Stati membri, con maggiori poteri di adottare provvedimenti in caso di mancato rispetto dell'obiettivo - secondo il metodo già in uso per il disavanzo e il debito pubblici - nei confronti dei paesi che appartengono alla zona euro. L'iniziativa a livello delle istituzioni UE dovrebbe limitarsi a stabilire degli orientamenti per la riforma delle politiche e non riguardare la loro attuazione concreta, che, in base al principio di sussidiarietà, rimane di competenza degli Stati membri. Una semplice modifica dei regolamenti che disciplinano il patto di stabilità e di crescita consentirebbe all'economia reale o, per meglio dire, agli aspetti macroeconomici di trovare spazio nel patto stesso.

3.3.10   La crisi ha dimostrato che occorre approfondire ulteriormente anche altri aspetti del patto di stabilità e di crescita. Oltre alla pubblicazione delle statistiche normalmente richieste dal patto, dovrebbero essere divulgati i dati statistici sul credito ai privati e sulla quota del debito pubblico degli Stati membri detenuta da soggetti esteri. La pubblicazione di queste nuove statistiche potrebbe servire sia da «sistema di preallarme» che come strumento di pressione nei confronti degli Stati membri che versano in una difficile situazione economica.

3.4   Altri settori chiave per il rilancio dell'economia europea

3.4.1   Sostegno finanziario pubblico e regolamentazione finanziaria

3.4.1.1   Per impedire che la crisi avesse ripercussioni catastrofiche su interi settori dell'economia europea - e in primo luogo sull'industria automobilistica - sono stati accordati ingenti finanziamenti pubblici. Considerato il contesto, le norme dell'UE in materia di aiuti di Stato non sono state applicate, come di regola sarebbe dovuto avvenire, all'erogazione di questo sostegno.

3.4.1.2   Aiuti di consistenza davvero eccezionale sono stati concessi al settore finanziario e in qualche paese dell'UE, così come negli Stati Uniti, alcune banche sono state in parte nazionalizzate. Certamente questa politica registrerà prima o poi un cambio di rotta, che richiederà però qualche anno, dal momento che anche nel lungo periodo un fattore di efficienza delle politiche finanziarie degli Stati membri potrebbe consistere nel mantenere parzialmente pubblico il capitale bancario affinché le autorità pubbliche possano mantenere un qualche controllo sugli sviluppi nel settore degli istituti di credito.

3.4.1.3   Durante la crisi che ha coinvolto la Grecia alcuni operatori del settore finanziario, dopo che quest'ultimo aveva ricevuto un sostegno senza precedenti da parte dei bilanci pubblici, hanno partecipato ad attacchi speculativi mirati al mercato delle obbligazioni di Stato all'interno della zona euro. Si è trattato di un tentativo del mercato finanziario di sottrarre alla sfera politica il potere decisionale, potere che i politici, a conclusione di una gravissima crisi, sono però riusciti a riprendere in mano. La critica che si può muovere al mondo politico è di non aver preso alcun provvedimento fino all'insorgere di una recessione di vaste proporzioni, dando prova di inerzia sia di fronte alla crisi finanziaria sia durante la tempesta che ha agitato il mercato delle obbligazioni di Stato. Questo dimostra che le proposte di regolamentazione e di vigilanza del settore finanziario che sono state avanzate non sono sufficienti. Sono necessarie misure di regolamentazione e di vigilanza più efficaci per modificare il comportamento degli istituti finanziari e trovare nuove modalità di finanziamento del debito pubblico.

3.4.2   Un'economia più rispettosa delle preoccupazioni ambientali

A lungo termine, gli investimenti dovranno concentrarsi sulla tutela dell'ambiente e le misure di lotta al cambiamento climatico. È opportuno avviare fin da ora il processo che porterà a una nuova composizione del portafoglio di investimenti. Secondo la Commissione, diversi segnali portano a credere che i nostri concorrenti internazionali siano già avviati lungo questa strada. Modificare il mix di investimenti è di vitale importanza, non solo per ragioni ambientali, ma anche per la competitività globale dell'Europa. La scomparsa di determinati posti di lavoro sarà compensata dalla creazione di nuova occupazione. In questo modo, alla sostenibilità sul piano economico potrà accompagnarsi la sostenibilità sul piano sociale e ambientale. Sulla scia delle proposte formulate dalla Commissione negli indirizzi di massima per le politiche economiche, anche il CESE ritiene che la fiscalità possa essere la leva su cui agire per fare in modo che il mercato riduca le emissioni nocive.

3.4.3   Infrastrutture ed energia

In un periodo in cui gli investimenti realizzati dalle imprese scarseggiano, è necessario che il settore pubblico supplisca con investimenti propri, necessari sia per stimolare la crescita che per soddisfare il forte fabbisogno di investimenti in infrastrutture ed energia. Il fatto che le banche siano ben poco disposte ad assumersi dei rischi erogando crediti alle imprese costituisce un elemento di novità, che crea difficoltà soprattutto alle PMI. Nella maggior parte dei paesi il tasso di interesse sulle obbligazioni di Stato è ancora vantaggioso, il che - malgrado le turbolenze che attualmente si registrano su questo mercato - favorisce gli investimenti pubblici. In base al patto di stabilità e di crescita riveduto, gli investimenti non vanno inclusi nel calcolo del disavanzo eccessivo.

3.4.4   Politiche attive del mercato del lavoro

Le politiche rivolte al mercato del lavoro devono essere attive e non limitarsi a fornire un sostegno economico ai disoccupati. Numerosi programmi di vario tipo sono stati messi in campo per riqualificare sia questi ultimi sia i lavoratori in attività. L'obiettivo di conseguire una «istruzione per tutti», inserito nel programma di lavoro del trio delle presidenze di turno dell'UE (Spagna, Belgio e Ungheria), appare incoraggiante. Una politica inclusiva non consiste soltanto nell'offrire ai cittadini l'opportunità di un posto di lavoro, ma anche nel promuoverne una più fattiva partecipazione in seno alla società.

3.4.4.1   Prefiggersi l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione, come prevede la strategia Europa 2020, non è sufficiente. Per migliorare il tasso di occupazione occorre infatti mettere in campo alcune politiche fondamentali:

tra queste, politiche di sviluppo delle competenze, di cui l'apprendimento permanente è una componente indispensabile. Un problema di rilievo è decidere chi deve pagare: la società, i datori di lavoro o i lavoratori? Tutti e tre questi soggetti devono, in qualche modo, partecipare al finanziamento delle attività di formazione,

la base di partenza è costituita dal grado di istruzione generale dei cittadini europei: l'UE deve innalzare il livello complessivo delle conoscenze,

misure ovvie volte a incrementare il tasso di occupazione consistono nello sviluppo di servizi di assistenza all'infanzia di qualità elevata e a prezzo ragionevole, unitamente alla possibilità di usufruire di congedi parentali di durata sufficiente e adeguatamente retribuiti per offrire un vero incentivo ad avere figli,

gli ostacoli che possono impedire di candidarsi per un posto di lavoro sono molteplici. Nel tentativo di incrementare il tasso di attività della popolazione, può rivelarsi necessario adottare una politica ad hoc per ciascuno svantaggio specifico.

3.4.5   Politiche sociali

3.4.5.1   In una relazione sulla protezione e l'inclusione sociali (10), la Commissione riconosce il ruolo di primo piano che hanno svolto i sistemi di welfare nell'attenuare gli effetti della crisi sul piano socioeconomico. Secondo le stime, la spesa sociale durante la crisi attuale dovrebbe aver registrato un aumento, passando dal 28 al 31 % del PIL degli Stati membri. Quando sarà possibile ridurre la spesa destinata alle indennità di disoccupazione, le stesse risorse pubbliche dovrebbero essere riorientate verso politiche a favore della famiglia e dello sviluppo di competenze. È questo un valido esempio di come una strategia di uscita possa diventare una strategia di entrata.

3.4.5.2   A giudizio della Commissione, i cittadini europei dovrebbero disporre di un adeguato sostegno al reddito, di accesso al mercato del lavoro e di servizi sociali di qualità. L'azione delle istituzioni UE sulle questioni sociali può soltanto integrare, in modesta misura, le politiche sociali attuate a livello nazionale. L'UE ha messo in campo tutta una serie di strumenti destinati a incoraggiare gli Stati membri all'apprendimento reciproco: analisi comparata (bench-marking), valutazione inter pares (peer review), metodo di coordinamento aperto, ecc. Nessuno di questi metodi ha dato però i risultati auspicati. Se è vero che le istituzioni europee non possono obbligare gli Stati membri a imitare gli esempi di buone pratiche, «segnare a dito» esplicitamente i paesi meno virtuosi potrebbe però rivelarsi utile affinché l'opinione pubblica si renda conto della grande disparità tra le politiche sociali applicate nell'Unione.

3.4.5.3   Le misure di austerità devono essere attentamente calibrate: non possiamo permettere che i sistemi di protezione sociale vengano sacrificati sull'altare dell'equilibrio di bilancio. La crisi ha portato allo scoperto le carenze che ancora ostacolano il buon funzionamento dei sistemi sociali. L'organizzazione di tali sistemi deve offrire maggiore protezione sociale e posti di lavoro; al tempo stesso, occorre delineare per questi sistemi un quadro ben preciso, che tenga conto dei limiti consentiti dalle risorse finanziarie.

3.4.6   Nuove fonti di reddito  (11)

3.4.6.1   In un parere sulla strategia post Lisbona il CESE ha indicato quale nuova fonte di entrate pubbliche l'imposizione fiscale sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio: queste due tasse sarebbero doppiamente vantaggiose (cosiddetto «doppio dividendo»), poiché, oltre a incrementare entrambe il gettito fiscale, consentirebbero, la prima, di contrastare la logica del breve termine prevalente sul mercato finanziario e, la seconda, di migliorare l'ambiente. Nuove fonti di finanziamento sono oggi necessarie per ridurre i disavanzi di bilancio di vaste proporzioni degli Stati membri. È preferibile introdurre nuove tasse sulle operazioni finanziarie e sulle emissioni di biossido di carbonio piuttosto che aumentare altri tipi di imposizione, ad esempio il prelievo fiscale sui redditi da lavoro o l'IVA: simili aumenti avrebbero infatti come conseguenza una diminuzione della domanda globale, il che non è certo auspicabile nell'attuale contesto di recessione.

3.4.6.2   Tra gli altri nuovi metodi di finanziamento pubblico si possono citare le eurobbligazioni (Eurobonds), uno strumento capace di rifornire di nuovo capitale il settore pubblico senza dover dipendere interamente dal settore finanziario privato. Le eurobbligazioni sarebbero un catalizzatore diretto di risorse finanziarie, poiché attirerebbero, ad esempio, i fondi pensione desiderosi di realizzare investimenti finanziari a lungo termine. Si può inoltre valutare la possibilità di offrire ai risparmiatori privati investimenti finanziari a lungo termine presso la Banca europea per gli investimenti (BEI) per trovare nuove fonti di finanziamento per la Banca stessa. La Banca diventerebbe così un'interfaccia tra queste nuove risorse di capitale e i suoi investimenti. Il risparmio a lungo termine servirebbe quindi per realizzare investimenti pubblici di lungo periodo, ad esempio in infrastrutture. Le eurobbligazioni costituiscono un «concetto», ma esso andrebbe esteso a tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Anche in questo caso si avrebbe infatti un doppio vantaggio, poiché, oltretutto, si ridurrebbe il margine per operazioni speculative sul mercato finanziario contro il debito pubblico degli Stati.

Bruxelles, 16 settembre 2010

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Delineato sulla base dei documenti della Commissione Progress report on the implementation of the European Economic Recovery Plan (Relazione sullo stato di avanzamento del piano europeo di ripresa economica) e Interim forecast February 2010 (Previsioni intermedie, febbraio 2010) (NdT: documenti non disponibili in italiano).

(2)  Cfr. Tassa sulle operazioni finanziarie.

(3)  Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), n. 202 del febbraio 2010.

(4)  OCSE: Pensions at a glance, 2009 (trad. italiana dell'OCSE: Uno sguardo sulle pensioni - I sistemi pensionistici nei paesi dell'OCSE, edizione 2009).

(5)  COM(2010) 2020 definitivo, punto 4.1.

(6)  ILO/OIL: Global Wage Report - 2009 Update (Relazione mondiale sui salari - Aggiornamento 2009), novembre 2009.

(7)  Eurostat, Euroindicatori 61/2010, 30 aprile 2010.

(8)  Le percentuali riportate si basano sui dati di Eurostat. Le variazioni da uno Stato membro all'altro sono sorprendentemente pronunciate, ad esempio tra il 46 % della Svezia e il 75 % della Grecia. Se è vero che la maggior parte dei paesi hanno registrato una leggera riduzione della quota del PIL rappresentata dai consumi privati, in alcuni casi il calo è stato nettissimo. È difficile, ad esempio, spiegare la diminuzione dal 72 % al 60 % constatata nel Regno Unito nell'arco di otto anni.

(9)  Crisis in the euro area and how to deal with it. Centre for European Policy Studies (CEPS - Centro europeo di studi politici), febbraio 2010.

(10)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Proposta di relazione congiunta per il 2010 sulla protezione e sull'inclusione sociale, COM(2010) 25 definitivo.

(11)  Cfr. i pareri del CESE sul tema Tassa sulle operazioni finanziarie e sul tema Le implicazioni della crisi del debito pubblico per la governance dell'UE.