11.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 218/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il rincaro del petrolio: come affrontare la sfida

COM(2008) 384 def.

2009/C 218/20

La Commissione europea, in data 13 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Il rincaro del petrolio: come affrontare la sfida»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CEDRONE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio, nel corso della 451a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 6 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide la preoccupazione della Commissione per quanto attiene agli effetti inflazionistici immediati e preoccupanti delle quotazioni del petrolio, su alcuni settori e sulle fasce più deboli della popolazione. I rincari petroliferi, infatti, incidono direttamente sul costo del riscaldamento, sul costo dei trasporti e indirettamente anche sul costo dell'alimentazione: voci queste che costituiscono il grosso della spesa delle famiglie più povere.

1.2

Il problema richiede interventi robusti e urgenti, ma pone anche un quesito delicato, di carattere generale. Il sostegno delle famiglie povere deve necessariamente essere realizzato con interventi di sussidio diretto al reddito, e non con misure, ad esempio, di carattere fiscale (ad es. con una riduzione dell'imposta sui prodotti petroliferi), che incidano sui prezzi di mercato, nel senso di attenuare gli effetti dei rincari petroliferi.

1.3

Il CESE ritiene di grande importanza che il mercato sia posto in condizioni di svolgere la sua funzione, che è quella di registrare il rincaro petrolifero e di determinare le opportune reazioni a tale situazione.

1.4

Gli aumenti di prezzo debbono indurre tutti gli operatori a realizzare le opportune economie di ciò che è diventato più caro, sostituendo i beni aumentati con beni meno costosi e realizzando combinazioni di produzione e di consumo che permettano di risparmiare, ovunque ciò sia tecnicamente possibile. Come detto occorre difendere le famiglie più povere, ma solo con azioni di sussidio diretto, senza distorcere i segnali di mercato che debbono essere lasciati liberi di svolgere la loro fisiologica funzione riequilibratrice.

1.5

Strategie analoghe, come sostiene la Commissione, debbono essere poste in atto anche a vantaggio dei settori produttivi particolarmente colpiti dai rincari petroliferi. In primo luogo il settore della pesca, ma più in generale tutti i settori finalizzati al soddisfacimento del fabbisogno alimentare della popolazione, nonché il settore dei trasporti.

1.6

Anche in questi casi le misure che si rendessero necessarie per evitare contraccolpi troppo devastanti per l'economia produttiva vanno attuate in forma di aiuti diretti, e non attraverso misure fiscali (riduzione dell'imposta) che diminuissero artificialmente quotazioni che invece è necessario riflettano l'accresciuta scarsità delle risorse petrolifere.

1.7

Per quanto riguarda invece l'impatto macroeconomico sui paesi in via di sviluppo occorrerebbe pensare a organici piani di sostegno soprattutto delle economie più deboli, specialmente con interventi finanziari volti alla realizzazione di politiche di risparmio energetico. Ancora una volta servono misure di sostegno anche molto rilevanti, che però non operino nel senso di sviare i segnali che i mercati debbono in ogni caso esser lasciati liberi di seguire.

1.8

Il Comitato ritiene che occorrano risposte politiche forti da parte dell'Unione europea.

1.9

In primo luogo, in questo come in altri casi, una presenza unitaria di un organismo come l'Unione europea, che rappresenta un quinto della produzione mondiale, può avere un peso e un ruolo di assoluto rilievo. Proposte precise e formulate unitariamente da un soggetto di così grande peso nel quadro mondiale non potrebbero essere facilmente trascurate. Ben diversa è la situazione quando le iniziative europee sono assunte in ordine sparso, e appaiono magari in contraddizione le une con le altre.

1.10

In una vicenda come quella in atto, di possibile forte rincaro di una fondamentale materia prima, una proposta di consultazione e di dialogo a livello mondiale tra tutti i grandi protagonisti sembra essere una premessa indispensabile di ogni altra iniziativa. Si può pensare ad una Conferenza mondiale tra paesi produttori e paesi consumatori.

1.11

In secondo luogo, occorre puntare decisamente alla realizzazione di un mercato unico europeo dell'energia. L'Europa è stata costruita sulla base di grandi progetti di mercato unico: del carbone e dell'acciaio, dell'energia atomica, dell'agricoltura; in seguito, a partire dal gennaio 1993, dei beni, dei servizi e dei capitali; e infine, a partire dal '99, è stata introdotta l'unione monetaria. È il momento di aggiungere una specifica azione riguardante il mercato energetico.

1.12

Ciò servirebbe anche a sottrarre questo fondamentale settore alle spinte distruttive di una speculazione, che, come è noto, entro limiti fisiologici svolge una funzione essenziale di regolazione dei mercati, ma oltre tali limiti introduce elementi di completa disorganizzazione e di assoluta insicurezza.

1.13

Il mercato europeo dell'energia deve essere reso trasparente e controllabile dalle autorità responsabili; si deve ridurre considerevolmente la volatilità delle quotazioni. Ciò si può ottenere anche con un'adeguata opera di informazione e regolazione delle scorte strategiche. Una regolazione adeguata di un mercato importante come quello europeo non mancherebbe di avere effetti di grandissima rilevanza su tutto il quadro mondiale.

2.   Proposte

2.1

L'UE, perciò, deve tornare al suo spirito originario (Trattati CECA ed Euratom) e deve realizzare finalmente un mercato interno dell'energia, una necessità oggi divenuta più che mai urgente per evitare rischi e conseguenze sul piano economico e sociale, e non solo.

2.2

L'UE deve dotarsi degli opportuni strumenti decisionali (rendere «istituzionale» la procedura introdotta di recente dalla presidenza francese in occasione della crisi finanziaria) al fine di poter guidare la politica energetica all'interno e di intervenire con voce unica nei consessi internazionali dove vengono decise tali politiche, comprese quelle legate al petrolio, a partire dal prezzo di approvvigionamento, sottraendolo dalle mani della speculazione.

2.3

L'Unione deve rendere comune e trasparente la politica delle scorte di petrolio oggi esistenti a livello di singolo paese, rendendo più sicura anche la politica di approvvigionamento.

2.4

Deve applicare misure comuni, come provvedimenti fiscali armonizzati sui prodotti petroliferi, per limitare i danni ai settori economici più colpiti e concordare aiuti diretti al reddito per i cittadini consumatori, in particolare per le fasce più deboli, a favore delle quali può essere devoluta anche una parte degli utili delle compagnie.

2.5

Deve intervenire in maniera più decisa per regolare la concorrenza nel settore (oggi praticamente inesistente, dato che il mercato dell'offerta opera in regime di oligopolio) e valutare la possibilità di ricorrere alla politica dei prezzi amministrati, almeno nei periodi di maggior crisi, o di ricorrere comunque a misure per ridurre la forbice, spesso ingiustificata, tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo. Una situazione rispetto alla quale il consumatore è impotente e indifeso.

2.6

Deve favorire e finanziare con un fondo comune la ricerca e lo sviluppo delle fonti alternative di energia, per ridurre la dipendenza dal petrolio, in particolare nel settore dei trasporti, a partire da quello automobilistico, attraverso un forte aumento degli investimenti in tale ambito, ad esempio detassandoli, oppure obbligando le imprese petrolifere a devolvere una parte degli utili a questo fine.

2.7

Deve evitare che la deflazione dovuta al brusco calo del prezzo del greggio ed alla recessione provochi danni economici peggiori dell'inflazione. Una inflazione di base che per effetto di inerzia (o per una imperfezione del mercato?) continua ad operare anche dopo il calo del greggio, nascondendo quindi l'arrivo di una eventuale deflazione.

3.   Introduzione

3.1

La Commissione ha deciso, finalmente, di affrontare la questione del rincaro del petrolio, o meglio dell'oscillazione dei prezzi petroliferi, alla luce degli avvenimenti degli ultimi mesi legati alla speculazione finanziaria ed al crollo delle borse. Un rincaro alla base della ripresa delle tensioni inflazionistiche nell'UE, contro le quali sono prontamente intervenute la BCE e la Federal Reserve; contromisure che hanno attenuato le tensioni inflazionistiche, ma hanno frenato la crescita economica.

3.2

Solo di recente, per far fronte alla crisi finanziaria mondiale, le strategie di freno monetario sono state riviste: ciononostante la crisi finanziaria ha determinato un pesante clima recessivo che con il petrolio non ha nulla a che fare, per cui le stesse tensioni inflazionistiche introdotte dal petrolio si sono molto ridimensionate; lo stesso prezzo di quest'ultimo perderà, di conseguenza, la spinta all'aumento.

3.3

L'altra conseguenza di maggior rilievo è lo spostamento del potere d'acquisto dai paesi consumatori a vantaggio di quelli produttori, che può essere riequilibrato da un aumento delle importazioni di questi dai paesi consumatori (tra il 2002 e il 2007 tali importazioni sono aumentate in media del 26 % all'anno, ad un ritmo molto maggiore dei quello generale delle importazioni mondiali).

3.4

Come vedremo meglio nella sintesi, la questione viene affrontata dalla Commissione sotto diversi aspetti, mentre altri vengono praticamente ignorati o tralasciati (ad es. gli effetti della speculazione, la presenza di forme di oligopolio nel settore che facilmente si traducono in «cartelli» con le relative conseguenze, ecc.).

3.5

Il CESE perciò ha bisogno di effettuare una valutazione franca ed oggettiva della comunicazione, mettendone in risalto luci ed ombre, per formulare raccomandazioni e proposte intese a ridurre gli effetti inflazionistici sui prezzi e sui costi di produzione.

3.6

Inoltre dovrà rilevare anche le deficienze politiche dell'UE, la sua debolezza internazionale, la sua divisione tra le cause non secondarie del mancato controllo del «mercato» del petrolio e delle speculazioni a cui viene sottoposto.

3.7

Resta da fare un'altra osservazione: alla luce dell'andamento del prezzo del petrolio, in forte calo rispetto al mese di luglio 2008, occorrerebbe aggiornare il titolo della comunicazione della Commissione europea. Il contenuto del presente parere comunque tiene conto delle oscillazioni a cui il prezzo del petrolio ci ha abituati e non solo dei picchi.

4.   Sintesi della comunicazione

4.1   Le cause del rincaro

4.1.1

La Commissione ritiene che l'impennata dei prezzi petroliferi degli ultimi mesi sia paragonabile solo a quella avuta negli anni '70; che i prezzi al consumo siano in linea con quelli del greggio e che i livelli attuali superino la punta raggiunta agli inizi degli anni '80.

4.1.2

La Commissione ritiene inoltre che il rincaro attuale sia da attribuire principalmente al forte cambiamento strutturale della domanda e dell'offerta dovuto all'aumento dei consumi (in particolare in Cina ed India), alla riduzione dei giacimenti, alla poca reattività delle imprese di Stato dei paesi OPEC, alla scarsa capacità di raffinazione in alcuni paesi, al deprezzamento del dollaro, all'aumento dell'inflazione, ecc.

4.2   Le ripercussioni sull'economia dell'UE

4.2.1

Tra le ripercussioni più gravi bisogna annoverare l'aumento dell'inflazione, l'incidenza sui prezzi energetici per l'effetto trascinamento; molto spesso anche quando i prezzi delle materie prime diminuiscono, non avviene la stessa cosa per i prezzi al consumo.

4.2.2

Le ripercussioni più gravi si hanno sulle famiglie, in particolare su quelle a basso reddito, anche se in misura diversa nei paesi europei, con un conseguente aumento del disequilibrio economico e del potere d'acquisto dei salari e, quindi, delle fasce di povertà.

4.2.3

Le conseguenze sono pesanti anche per le imprese e per la crescita. In particolare la Commissione ritiene che i settori più colpiti siano quelli dell'agricoltura, dei trasporti e della pesca. Si spera che ciò provochi un maggiore interesse per la ricerca e per l'aumento delle energie rinnovabili.

4.3   L'impatto macroeconomico nei paesi in via di sviluppo

4.3.1

Anche nei paesi in via di sviluppo, importatori di petrolio, le conseguenze saranno sempre più gravi a causa dell'aumento dell'inflazione sia per i cittadini che per le imprese.

4.3.2

In questi paesi le conseguenze sono ancora peggiori a causa degli effetti provocati sui generi alimentari, sulle finanze pubbliche, ecc., mentre nei paesi sottosviluppati, ma esportatori di petrolio, si ha un accumulo di capitali che pongono sfide particolari per le politiche macroeconomiche, vista la gestione molto spesso carente che viene fatta degli introiti petroliferi.

4.4   Le risposte politiche dell'UE

4.4.1

Le risposte dell'UE partono dal presupposto che questi prezzi rimarranno elevati nel medio e lungo periodo, quindi occorrono risposte adeguate come quelle indicate nel pacchetto «cambiamenti climatici ed energie rinnovabili» e come quelle auspicate per la realizzazione di un vero e proprio mercato unico dell'energia.

4.4.2

Nell'immediato occorre adoperarsi per ridurre gli effetti sui consumatori, in particolare per le famiglie più povere; i suggerimenti vanno dal sistema di tassazione dei prodotti petroliferi, alla proposta di un vertice fra paesi produttori e consumatori, alla fornitura di risorse supplementari ai paesi importatori di petrolio.

4.4.3

Come risposte strutturali a medio periodo viene suggerito di intensificare il dialogo con i principali paesi produttori, di monitorare la «concorrenza» vigente nel settore, di valutare la trasparenza sulle scorte, di rivedere la legislazione comunitaria vigente in tale ambito (le scorte), di esaminare le misure fiscali a favore delle fonti con basse emissioni di carbonio, di utilizzare per gli investimenti gli utili delle industrie estrattrici, di tassare eventualmente questi utili, di favorire il dialogo tra UE e paesi in via di sviluppo.

4.4.4

Come risposte strutturali a lungo termine, invece, viene suggerito di concludere l'accordo tra i paesi UE sui cambiamenti climatici ed energie rinnovabili; di migliorare l'efficienza energetica; di introdurre cambiamenti strutturali per rendere più efficiente il settore dei trasporti e quello della pesca; di dare incentivi fiscali diretti o sovvenzioni per incentivare il risparmio energetico delle famiglie; di diversificare molto di più l'approvvigionamento energetico dell'UE.

5.   Considerazioni ed osservazioni

5.1

La comunicazione della Commissione è stata redatta sull'onda del «picco» preoccupante raggiunto dal prezzo del petrolio all'inizio dell'estate scorsa. Bisogna ricordarsi però che l'economia contemporanea ci ha abituati ad improvvisi e rilevanti mutamenti di prospettiva, anche a brevissimi intervalli di tempo.

5.2

L'economia mondiale infatti, a differenza di quanto avveniva alcuni mesi fa, è caratterizzata da una preoccupante prospettiva di recessione, che nelle stime previsionali del Fondo monetario internazionale (FMI) sembra dover coinvolgere anche l'insieme dei paesi emergenti, i quali invece negli ultimi tempi (più o meno negli ultimi trent'anni, dopo la fine di quella che è stata chiamata la golden age del capitalismo contemporaneo) hanno preso a crescere in modo decisamente e stabilmente più rapido dei paesi avanzati.

5.3

In tale quadro la diminuzione del prezzo del petrolio, a partire dalle punte toccate nel luglio scorso (che rappresentavano, sia in valori nominali sia in termini reali dei primati assoluti) fino ai più bassi valori del novembre 2008, che al netto dell'inflazione sono tornati ai livelli di venticinque anni fa, potrebbe non essere solo episodica. Il timore oggi prevalente nell'opinione degli economisti è quello che si scateni una deflazione, che ovviamente non risparmierebbe il mercato petrolifero.

5.4

È bene, inoltre, evitare previsioni a lungo termine circa il possibile esaurimento delle riserve disponibili nel sottosuolo. È questo un timore ricorrente, ormai da decenni; potrebbe però essere un timore infondato. In un recente numero della nota rivista The Economist (il 21 giugno 2008) si osservava che le riserve conosciute di petrolio dovrebbero durare, ai ritmi attuali di produzione, 42 anni (che non sono pochi: che cosa potrebbe accadere, specie sul piano delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, nei prossimi 42 anni?); ma si osservava altresì che le riserve attribuite ai paesi del Medio Oriente sono sempre le stesse da molti anni, onde si può dedurre, sempre a giudizio della rivista, che le nuove scoperte tendono a compensare il petrolio prodotto e bruciato, oppure che le stime sulle riserve non sono molto accurate. Va tuttavia sottolineato che il calcolo si basa sui ritmi di produzione attuali. Il problema, però, non è tanto quello dell'esaurimento delle riserve a lungo termine, quanto quello legato alle prospettive di crisi, che dipendono dagli squilibri che si verificano tra la domanda e l'offerta nel breve periodo; in particolare a seguito di eventuali interruzioni della produzione nelle zone strategiche.

5.5

La ricerca di nuove riserve e nuove fonti è, e deve essere, un processo continuo. Particolarmente indicativa è stata la vicenda, tra le più importanti dello scorso secolo, e assai rilevante ai nostri fini, degli shock petroliferi degli anni '70; tali shock erano dovuti a restrizioni dell'offerta imposte dai paesi produttori, piuttosto che essere fenomeni spontanei di mercato, come sembrano invece essere gli squilibri attuali. In ogni caso, il fortissimo aumento delle quotazioni allora registratosi condusse alla ricerca di nuove fonti, utilizzando metodi di produzione altamente innovativi.

5.6

Una più attenta considerazione degli sviluppi che si verificano sui mercati, in conseguenza di qualunque fenomeno di squilibrio tra domanda ed offerta, dovrebbe essere sempre tenuta presente.

5.7

A seguito delle drastiche politiche monetarie adottate a partire dall'inizio degli anni '80, attuate soprattutto dai governi di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Thatcher nel Regno Unito, sulla base delle teorizzazioni della scuola monetarista di Milton Friedman a Chicago, si giunse a forti rialzi dei tassi di interesse, inducendo i detentori di riserve a modificare le proprie priorità ed a considerare altamente penalizzante, a causa del forte lucro cessante, la conservazione nel sottosuolo delle risorse petrolifere disponibili. Il rialzo dei saggi di interesse fu una delle cause non minori della rottura, a metà degli anni '80, del cartello petrolifero.

5.8

Un'analisi compiuta dovrebbe tenere conto non solo di informazioni tratte da conoscenze geologiche o tecnologiche in genere, ma anche di quanto si può dedurre dall'analisi economica; in base ad essa, se la scarsità di risorse e l'eccesso di domanda sull'offerta determina rialzi delle quotazioni, questi ultimi retroagiscono sulla disponibilità delle risorse stesse, contribuendo spesso ad una attenuazione degli squilibri. Occorre considerare in questi casi che la ricerca spinta di nuove riserve petrolifere possa interagire con zone e siti particolarmente sensibili sul piano ambientale (es. Polo Nord). Una situazione da evitare, ricorrendo alla ricerca di fonti alternative.

5.9

Per indagare sulle cause del rincaro recentemente verificatosi si può procedere con un'ulteriore osservazione di carattere metodologico. Premessa essenziale di ogni strategia di intervento è sicuramente la conoscenza più accurata possibile della situazione che si deve affrontare. Un grande economista italiano, Luigi Einaudi, ammoniva che «occorre conoscere per deliberare».

5.10

Il CESE ritiene altamente auspicabile una più accurata conoscenza del funzionamento del mercato petrolifero. I timori che nascono dalle violente oscillazioni dei prezzi petroliferi partono da rilevazioni statistiche fondate essenzialmente sulla ricognizione dei prezzi che si registrano giorno per giorno sui mercati. Ad esempio, una delle più note metodologie è quella adottata dal FMI, quando esso calcola il cosiddetto APSP (average petroleum spot price, che è una media non ponderata delle quotazioni del Brent, del Dubai e del WTI, che è il prezzo americano).

5.11

Potrebbe essere utile rilevare i valori medi di importazione del greggio, desumibili dalle statistiche del commercio con l'estero almeno dei principali paesi importatori. Con ogni probabilità la conoscenza delle condizioni di approvvigionamento del petrolio grezzo sarebbe assai più attendibile di quella basata sull'elaborazione delle quotazioni giornaliere di mercato.

5.12

Il CESE ritiene corretto sostenere che una attenta analisi delle cause del recente fortissimo rincaro del prezzo del petrolio, e della sua ancor più recente drastica caduta, deve partire da una analisi delle tendenze reali di fondo dell'economia mondiale.

5.13

Rileva però che nella comunicazione manca qualunque riferimento al peso che sicuramente hanno avuto le fortissime spinte speculative sull'aumento incontrollato dei prezzi petroliferi, in assenza delle quali ben difficilmente si potrebbe assistere ad una quotazione di 147 dollari al barile a luglio, e ad una quotazione di circa 60 dollari ad ottobre 2008.

5.14

Prendendo però le mosse dai dati strutturali di fondo, si può partire dalla constatazione che il consumo mondiale di energia ha superato ormai stabilmente i 10 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, e tale crescita viene sospinta da un aumento del PIL mondiale che, per dimensione assoluta, se non anche per intensità relativa, non ha precedenti nella storia.

5.15

Occorre valutare, però, quanto sia importante la prospettiva di recessione, derivante dalle vicende della crisi dei mercati finanziari mondiali; ma in ogni caso non si può sottovalutare la circostanza che per ben quattro anni, dal 2004 al 2007, la produzione mondiale è aumentata del 5 % all'anno, soprattutto per la spinta delle economie emergenti, Cina ed India in primo luogo, ma non solo: anche l'Africa si è risvegliata, e cresce a ritmi del 6-7 % all'anno; la Russia sta tornando il gigante mondiale che era; e tante altre sono le nuove realtà sulla scena internazionale.

5.16

Il PIL mondiale, calcolato in termini reali ai prezzi del 2007, è passato dai 53 trilioni di dollari del 2003 (dollari calcolati, come crediamo sia corretto fare, in termini di parità dei poteri di acquisto, o PPP, Purchasing Power Parities, anziché sulla base dei tassi di cambio di mercato) ai 65 trilioni del 2007, con un aumento di ben 12 trilioni di dollari; è come se all'economia mondiale si fosse aggiunta in quattro anni un'economia delle dimensioni degli Stati Uniti.

5.17

Un aumento del 5 % all'anno significa che, mantenendosi tale ritmo di crescita (cosa non necessariamente impossibile), la produzione mondiale raddoppierebbe in quattordici anni, e si quadruplicherebbe in ventotto anni, lo spazio di una generazione. È una prospettiva che ha dell'incredibile, ma dimostra come stiamo entrando in una fase della storia economica assolutamente nuova.

5.18

La comunicazione giustamente ricorda, come è sempre avvenuto in tutte le epoche storiche, che la crescita economica ha l'energia come ingrediente fondamentale. Quindi l'attuale fortissimo sviluppo economico cui stiamo assistendo determina, tra i suoi principali effetti, una pressione formidabile sulle fonti energetiche.

5.19

Occorre sottolineare, come accennato, gli effetti causati dalla speculazione che opera in grande stile sul mercato del petrolio e amplifica movimenti che indubbiamente, però, hanno cause di fondo di carattere strutturale.

5.20

Bisogna considerare, per capire il fenomeno dell'oscillazione dei prezzi, che attualmente un terzo dell'energia consumata proviene dal petrolio!

5.21

Se si fa un esame più attento dei dati disponibili sui prezzi di mercato del petrolio, si giunge a risultati sorprendenti, che non coincidono con quanto sostenuto nella comunicazione (fonte: inflationdata.com/inflation/inflation_Rate/Historical_Oil_Prices_Table.asp del Financial Trend Forecaster).

5.22

L'analisi dei dati permette di rilevare che, dalla fine degli anni '40 alla metà degli anni '70, il prezzo del petrolio, espresso in termini reali, cioè depurato dall'inflazione generale relativa all'andamento complessivo dei prezzi, è rimasto sostanzialmente invariato, di poco al di sopra, in media, ai 20 dollari al barile! Ciò risulta da tutte le fonti consultabili in materia.

5.23

Per quasi trent'anni (il periodo che ha poi visto quella che è stata chiamata la golden age del capitalismo contemporaneo, a proposito della quale il grande storico Eric Hobsbawn ha parlato della più intensa fase di sviluppo economico sperimentata fino ad oggi dall'umanità su scala tanto vasta) il fortissimo sviluppo dell'economia mondiale non è stato frenato dalla scarsità di risorse energetiche: l'offerta ha evidentemente potuto fronteggiare una domanda in straordinario aumento.

5.24

Come è noto invece, gli shock petroliferi degli anni '70, il primo coincidente con la guerra dello Yom Kippur dell'ottobre 1973, e il secondo con la rivoluzione khomeinista in Iran hanno determinato aumenti di prezzo fortissimi, attribuibili, come sostiene la Commissione, ad una azione di controllo della produzione attuata con successo dal cartello dell'OPEC.

5.25

Ad avviso del CESE, invece, alla base di quella crisi e di quel repentino aumento delle quotazioni vi sono stati anche altri fattori, soprattutto la fase di grande disordine monetario culminata nella dichiarazione di inconvertibilità del dollaro dell'agosto 1971. Quel disordine nasceva dagli eccessivi disavanzi della bilancia dei pagamenti americana, che resero impossibile il mantenimento del regime monetario a cambi stabili di Bretton Woods. La crisi del dollaro si era manifestata con forti tensioni inflazionistiche, che finirono per scaricarsi, in larga misura, sul mercato petrolifero. Infine, bisogna ricordare che all'inizio degli anni '70 la congiuntura economica mondiale era caratterizzata da una formidabile spinta produttiva, che aveva determinato una forte pressione della domanda su tutto il mercato delle materie prime.

5.26

Più che le analogie con la situazione attuale ci appaiono più importanti le differenze. Di comune c'è soltanto la crescita molto forte dell'economia mondiale. Invece, non sembra di poter scorgere importanti manipolazioni del mercato, salvo le manovre speculative, che sono però cosa ben diversa dall'azione del cartello petrolifero dell'OPEC, che trovava la sua sede ufficiale in vere e proprie conferenze internazionali.

5.27

Il CESE ritiene che nemmeno l'attuale accumulazione di riserve in dollari, soprattutto in Cina ed in Giappone, ha molto in comune con la proliferazione di analoghe riserve valutarie tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Cina e Giappone si guardano bene dal gettare le proprie enormi riserve di dollari sul mercato in modo repentino e improvvido.

5.28

La durissima politica monetaria dei grandi paesi occidentali portò, soprattutto a partire dal 1986, al crollo delle quotazioni. È interessante far rilevare che, sempre in termini reali, la media delle quotazioni nel settennio 1993-1999 era pari a 23 dollari al barile, esattamente la stessa media di quaranta anni prima (1953-1959), dopo una formidabile crescita dell'economia mondiale e della domanda di petrolio.

5.29

Il CESE condivide la posizione della Commissione, quando sostiene che l'accelerazione della crescita economica mondiale, anche se non ha più il suo epicentro nelle economie avanzate ma in quelle emergenti, non per questo è meno rilevante. Questo sviluppo sembra aver innescato una tendenza di fondo alla crescita delle quotazioni, nominali e reali da un valore moderato di 30 dollari circa al barile nel 2003 (anno dal quale ha inizio la fase «forte» della congiuntura mondiale) al valore di oggi, oltre 60 dollari, praticamente raddoppiato. È bensì vero che dal 2003 al 2007 il dollaro ha perso un quarto del suo valore rispetto all'euro, per cui le quotazioni del petrolio in euro non sono raddoppiate. Ma sono pur sempre aumentate del 50 %.

5.30

Ciò vale anche se il «picco» del luglio scorso di 147 dollari è probabilmente il frutto di una bolla speculativa; e, se quel picco ha natura speculativa, ci dovremmo attendere in un prossimo futuro, quando gli speculatori iniziassero a riacquistare il petrolio giudicato ormai a buon prezzo, una ripresa delle quotazioni. I protagonisti dell'industria petrolifera mondiale, il cui potere di influenza andrebbe quanto meno ridotto e reso più trasparente, giudicano infatti «fisiologico», oggi, un prezzo intorno agli 80 dollari al barile, cioè ad un livello sensibilmente superiore alle quotazioni registrate all'inizio della fase di ripresa (intorno ai 30 dollari del 2002-2003).

Bruxelles, 25 febbraio 2009

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI