3.2.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 27/129 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione reale
(2009/C 27/27)
Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 17 gennaio 2008, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:
Le cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione reale.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore DERRUINE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 2 astensioni.
1. Raccomandazioni
1.1 |
Come raccomandato in precedenza dal Comitato, «le statistiche relative ai salari (o ai redditi) dovrebbero essere modulate almeno per quintili, in modo da poter stimare con maggiore precisione l'impatto della politica salariale sulla stabilità dei prezzi» (1). Nel successivo punto 4.3.3 si mostrano le differenze esistenti fra i profili di consumo in funzione del livello di reddito. A ciò si aggiunge il fatto che anche la propensione marginale al consumo varia, sicché è importante poter individuare quale classe di redditi si avvalga di quale aumento salariale (in %), altrimenti la politica monetaria potrebbe reagire in modo inappropriato agli aumenti salariali e dei redditi. |
1.1.1 |
A titolo complementare e alla stregua dell'esercizio effettuato dalla Banca nazionale del Belgio (2), sarebbe opportuno che la Commissione europea e/o la Banca centrale europea, almeno una volta all'anno, pubblicassero dati relativi all'impatto dell'inflazione sul potere d'acquisto delle famiglie in funzione del livello di reddito. |
1.1.2 |
Per quanto riguarda le isole europee, è necessario che tutte dispongano a livello locale di servizi statistici e di indici dei prezzi in modo che si possa misurare in maniera oggettiva il sovraccosto imposto dalla loro insularità. Per far questo i loro servizi statistici dovrebbero mettere a punto una metodologia comune di valutazione. |
1.2 |
Analogamente, gli Stati membri e Eurostat dovrebbero essere invitati a sfruttare meglio le rilevazioni dei prezzi di loro competenza al fine di produrre indici dettagliati che distinguano l'evoluzione dei prezzi per tipo di circuito di distribuzione e per categoria di prodotti differenziata per gamma (bassa, media, alta). Si può infatti temere che i prezzi dei prodotti di «gamma bassa» — specialmente se alimentari — abbiano subito un aumento ancora maggiore. Inoltre, un confronto internazionale dei dati sui prezzi raccolti dalle istituzioni che hanno il compito di calcolare l'inflazione potrebbe contribuire a rispondere alle domande poste nel punto 1.4. Il CESE si chiede anche se non sarebbe pertinente esaminare l'opportunità di un indice dei prezzi per le persone anziane. |
1.3 |
Il Comitato auspica che le riflessioni avviate oggi, sotto l'egida di Eurostat, per proporre metodologie rigorose finalizzate a includere nella misura dell'inflazione l'andamento del costo dell'alloggio giungano rapidamente a conclusione e siano accompagnate da proposte operative da presentare ai partner sociali ed economici interessati. In linea generale, il Comitato chiede di essere coinvolto nelle revisioni metodologiche dell'Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) condotte da Eurostat. |
1.4 |
La Commissione europea dovrebbe studiare l'evoluzione concomitante degli indici dei prezzi al consumo, alla produzione e all'importazione; è sorprendente, infatti, che il prezzo all'importazione di determinati prodotti inclusi nel paniere sia nettamente diminuito, ma che tale evoluzione non abbia avuto ripercussioni a livello dei consumatori finali. Non sarebbe ammissibile che questi ultimi accettassero di pagare in eccesso solo perché ignorano determinate informazioni cruciali. Ciò sarebbe destinato a ripercuotersi sulla moneta unica, che soffrirebbe di un discredito che non avrebbe modo di contrastare. |
1.5 |
Pur consapevole delle difficoltà incontrate da Eurostat nella raccolta di dati, il Comitato si chiede se non sarebbe possibile pubblicare più tempestivamente i dati relativi alla spesa per i consumi delle famiglie. Il ritardo attuale è dell'ordine di tre anni (per esempio, i dati del 2005 sono stati comunicati soltanto nel 2008!). Alcuni dati (soprattutto quelli sulla distribuzione del reddito) non sono più aggiornati dal … 2001. Inoltre, dati i cambiamenti in atto nella società, ci si può chiedere se non sia opportuno intensificare la frequenza delle indagini (attualmente, svolte ogni sei anni). |
1.6 |
Infine, il CESE raccomanda di sostenere le istituzioni pubbliche e le organizzazioni non governative che concorrono a informare i consumatori e ad assisterli in scelte che, per effetto della maggiore sofisticazione delle tecniche di marketing e dei pacchetti di servizi, diventano sempre più difficili da decodificare. |
2. Introduzione
2.1 |
La moneta unica, fin dalla sua introduzione (nel 1999 fissazione delle parità e nel 2002 circolazione di monete e banconote nei primi paesi aderenti all'unione economica e monetaria — UEM), è stata oggetto di ogni possibile critica: se all'inizio il deprezzamento dell'euro rispetto alle grandi valute internazionali ha suscitato qualche commento ironico, l'impennata che ha fatto registrare negli ultimi tre anni ha destato timori per la competitività esterna delle imprese europee. Taluni governi hanno d'altronde alimentato questo sentimento allo scopo di nascondere i loro errori di politica economica. Una frangia di critici — certo assai minoritaria — ha perfino accusato la moneta unica di essere uno dei fattori alla base della mancata convergenza reale tra i paesi dell'area dell'euro, un giudizio che li ha indotti a prendere in considerazione il ritiro del proprio paese dall'area dell'euro. |
2.2 |
Le statistiche relative all'IPCA indicano che nella terza fase preparatoria dell'UEM l'inflazione è nettamente diminuita e che da allora si è mantenuta a un livello storicamente basso, probabilmente perché la possibilità di confrontare più facilmente i prezzi ha stimolato la concorrenza e limitato gli aumenti dei prezzi. Eppure un'ampia maggioranza di europei considera l'euro responsabile delle difficoltà che attraversano le rispettive economie nazionali e ritiene che il passaggio alla moneta unica abbia generato pressioni inflazionistiche che hanno eroso il loro potere d'acquisto. Alcuni, d'altronde, vedrebbero con favore il ritorno alla doppia indicazione dei prezzi, cosa che farebbe segnare un rovinoso passo indietro per i fautori dell'integrazione europea. Ne risulta un clima di diffidenza nei confronti dell'euro e, più in generale, dell'unione economica e monetaria. Così, nel settembre 2002 il 59 % degli europei riteneva «complessivamente vantaggiosa» la moneta unica contro un 29 % di scettici (sondaggio Eurobarometro — 2006), mentre quattro anni dopo l'entusiasmo suscitato da uno dei principali progetti politici europei dell'ultimo ventennio si era più che dissolto, infatti l'81,4 % dei cittadini riteneva che l'euro avesse determinato un aumento dei prezzi. |
2.3 |
Fino all'introduzione dell'euro, l'andamento complessivo dell'inflazione percepita dai consumatori corrispondeva a quello dell'IPCA. Dal 2002 non è più così, e nel 2003 il divario ha raggiunto la massima ampiezza prima di essere parzialmente riassorbito. Dal 2006, però, lo scarto si è nuovamente approfondito. Dalla fine del 2004, l'inflazione percepita si è attestata stabilmente a un livello superiore a quello registrato nel 2001.
|
2.4 |
Nella maggior parte dei paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, l'inflazione effettiva è cresciuta al momento dell'adesione — o addirittura dal 2003 — per effetto dell'incremento delle imposte indirette e dei prezzi controllati, soprattutto dei prodotti agricoli. In un certo numero di paesi, il tasso d'inflazione è poi nuovamente sceso. L'inflazione percepita, invece, ha subito un aumento più rapido. La Repubblica ceca è l'unico paese in cui l'inflazione percepita sia inferiore a quella reale in base ai dati dell'inizio del 2008. Figura B — Inflazione, reale, percepita e attesa in Slovenia |
2.5 |
Prendendo in esame il caso della Slovenia, il primo dei nuovi paesi ad aver adottato la moneta unica, si constaterà inoltre che l'inflazione percepita ha fatto segnare un forte rialzo nel 2007, in occasione del passaggio all'euro fiduciario, e che questo forte rialzo è stata «preparato» dalle previsioni di aumento dei prezzi emesse nei due anni precedenti all'evento.
|
2.6 |
Questi interrogativi sulla salute dell'euro contrastano con l'apprezzamento che gli viene tributato dai paesi terzi anche extraeuropei: secondo l'FMI la quota dell'euro sulle riserve internazionali è passata dal 18 % circa nel 1999 al 25 % circa nel 2004, un successo che nei paesi emergenti assume dimensioni ancora più rilevanti. È indice di successo anche il fatto che siano espressi in euro il 37 % del totale delle operazioni di cambio mondiali e tra il 41 % e il 63 % delle importazioni/esportazioni. |
2.7 |
Il presente parere d'iniziativa si propone di spiegare più efficacemente lo sviluppo dell'inflazione e le cause della differenza che persiste tra l'inflazione percepita dalla popolazione e l'inflazione reale, nonché, se necessario, di formulare raccomandazioni. |
3. Evoluzione dei prezzi nell'area dell'euro e nei tre che non ne fanno parte
3.1 |
Secondo molti europei, l'euro ha provocato un aumento dei prezzi. Se però così fosse, l'inflazione presenterebbe un profilo diverso a seconda dei paesi oggetto dell'osservazione (paesi dell'area dell'euro o gli altri). Di fatto, l'evoluzione dei prezzi rilevata nell'area dell'euro è simile a quella rilevata nello stesso periodo nei tre paesi (Danimarca, Regno Unito, Svezia) che non hanno adottato la moneta unica. |
3.1.1 |
La matrice delle correlazioni che segue indica il grado di analogia delle variazioni dei prezzi sia tra l'area dell'euro e gli altri tre paesi, sia tra ognuno di essi. In ogni casella i valori indicati variano da 0 (correlazione assente) a 1 (correlazione perfetta).
|
3.1.2 |
In seguito all'introduzione dell'euro, la correlazione tra i tassi di inflazione dell'area dell'euro e del Regno Unito e della Svezia si è consolidata, mentre nel caso della Danimarca si osserva il contrario. Si osserva tuttavia che la correlazione tra prezzi danesi e prezzi inglesi si sta attenuando, mentre la correlazione dei prezzi danesi con i prezzi svedesi rimane stabile ma a un livello più basso. |
3.1.3 |
È inoltre sorprendente constatare che, eccettuata la coppia Danimarca-Regno Unito, la correlazione è più marcata tra i tre paesi senza euro e l'area dell'euro che tra i tre paesi tra di loro. |
3.2 |
Ciò dimostra che le variazioni dei prezzi all'interno dell'area dell'euro, avendo fatto segnare un'evoluzione analoga a quella dei paesi che non hanno adottato la moneta unica, non possono essere attribuite all'euro. |
3.3 |
La tabella che segue elenca le dodici principali categorie di beni e servizi (in funzione del consumo individuale delle famiglie) prese in considerazione nel calcolare l'IPCA e ne indica la ponderazione e il tasso d'accelerazione dei prezzi nel biennio precedente/successivo all'introduzione dell'euro. Non si può non constatare che, a questo livello, solo in tre categorie i prezzi presentano una netta accelerazione (bevande alcoliche e tabacco — dove l'aumento può essere spiegato dalla maggiorazione delle accise — sanità/salute e trasporti). Ciò non toglie che a livello più disaggregato si sia registrata un'accelerazione (cfr. i canoni di affitto, che hanno fatto segnare aumenti pari all'1,5 % tra il 2000 e il 2002 e al 2 % tra il 2002 e il 2004).
|
4. Cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione osservata
4.1 Spiegazioni socioeconomiche
4.1.1 |
L'introduzione dell'euro ha coinciso con i mesi successivi all'11 settembre 2001, pervasi da un clima d'insicurezza globale anche sul piano economico. Questo clima è stato esacerbato da una fase di peggioramento della congiuntura in forte contrasto rispetto al 1999 e al 2000, anni di crescita eccezionale. |
4.1.2 |
Uno dei principali fattori all'origine del persistente divario tra inflazione percepita e inflazione osservata è dato dalla combinazione di diversi elementi: la frequenza di acquisto dei beni e servizi considerati nel calcolo dell'IPCA; l'evoluzione dei rispettivi prezzi; l'importanza che attribuiscono loro i consumatori. |
4.1.2.1 |
La tabella che segue tenta di oggettivare questi elementi dividendo la totalità dei prodotti considerati nel calcolo dell'IPCA in cinque «famiglie»: i beni e servizi oggetto di acquisti regolari (almeno una volta al mese), quelli oggetto di acquisti meno frequenti e quelli per cui la frequenza d'acquisto può variare a seconda degli individui e delle circostanze. Nelle prime due categorie è operata un'ulteriore distinzione a seconda dell'intensità della concorrenza cui è soggetto il bene o servizio interessato sul piano (inter)nazionale. |
4.1.2.2 |
Nel complesso risulta chiaramente che nel periodo 2000-2007 i prezzi dei prodotti inclusi nel paniere e soggetti a scarsa concorrenza sono aumentati molto più rapidamente dell'inflazione media (+ 2,12 %). La tabella conferma inoltre che i prezzi dei beni acquistati meno spesso e soggetti a concorrenza intensa (variazione + 0,37 %), hanno decisamente contribuito a moderare l'inflazione, tanto più che essi spiegano buona parte dell'inflazione, pesando quasi per il 27 %, al secondo posto immediatamente dopo il 34 % circa della categoria «acquisti regolari/scarsa concorrenza».
|
4.1.2.3 |
Questo ruolo degli acquisti non regolari e soggetti a concorrenza intensa riflette le tendenze del commercio internazionale e dei suoi cambiamenti strutturali. Nel 1995, infatti, due terzi delle importazioni manifatturiere da paesi esterni all'area dell'euro provenivano da paesi con costi elevati, mentre nel 2005 la percentuale era scesa al 50 %. L'arretramento riguarda il Regno Unito, il Giappone e gli Stati Uniti, mentre è cresciuta la percentuale relativa ai paesi emergenti e, in misura inferiore, ai nuovi Stati membri. È possibile che anche l'andamento dei tassi di cambio abbia stimolato o rallentato i rapporti commerciali con i partner dell'area dell'euro. Importazioni di manufatti dell'area dell'euro: quote per paese
|
4.1.3 |
Dal 2002 si registra una volatilità dei prezzi molto più marcata rispetto agli anni precedenti all'introduzione dell'euro fiduciario.
|
4.1.4 |
Il livello di reddito delle famiglie spiega anche il modo in cui percepiscono l'evoluzione dei prezzi. In via complementare, la diversità di percezione tra gruppi della popolazione può essere accentuata dall'aumento del numero di persone che vivono sole e devono coprire la totalità delle spese attingendo a un'unica retribuzione/un unico reddito. La situazione è particolarmente difficile per i nuclei familiari con figli, per i redditi bassi, per le persone poco qualificate, per le donne, ancora vittime di discriminazione sul piano della retribuzione e dell'impiego, e per i lavoratori a contratto flessibile.
|
4.1.5 |
È da notare che le caratteristiche dei beni e dei servizi che compongono l'IPCA possono cambiare da un anno all'altro e riflettere miglioramenti qualitativi non accompagnati da cambiamenti di prezzo. Dato però che l'indice non tiene conto di questo tipo di modifiche, le registrerà come una diminuzione di prezzo nell'indice (anche se non è escluso che la versione precedente del bene/servizio non sia più disponibile sul mercato per i consumatori; sarebbe così registrata una semplice diminuzione «sulla carta» che non corrisponde a nulla nella realtà). Secondo la BCE, «il peso sulla spesa di voci che in genere migliorano significativamente e frequentemente in termini di qualità è stimato attorno all'8-9 % dell'IPCA complessivo» (automobili, computer, telefoni cellulari, ecc.). |
4.1.6 |
Va altresì ricordato che certi dettaglianti e imprenditori, in occasione del passaggio all'euro fiduciario, hanno praticato arrotondamenti abusivi dei prezzi verso l'alto (per es. dei canoni di affitto), anche se un certo incremento dei costi poteva essere giustificato dalle operazioni legate alla nuova etichettatura ecc. o dal fatto che determinati aumenti non erano stati traslati immediatamente sui prezzi perché si era preferito «prendere due piccioni con una fava» e rinviarli al momento del passaggio all'euro. Secondo stime di Eurostat, nel 2002 il passaggio all'euro fiduciario ha contribuito per una percentuale compresa tra lo 0,12 % e lo 0,29 % allo IPCA complessivo dell'area dell'euro. |
4.1.7 |
Infine, determinati eventi puntuali non legati alla moneta unica hanno coinciso con il passaggio all'euro fiduciario e contribuito così a un aumento dell'inflazione percepita. Il discorso vale per sia per il forte rincaro del petrolio (+ 35 % tra dicembre 2001 e aprile 2002) che per i cattivi raccolti seguiti all'ondata di gelo che ha colpito l'Europa quell'inverno, che hanno anche condizionato le economie esterne all'area dell'euro. |
4.2 Spiegazioni d'ordine psicologico
4.2.1 |
È possibile che i consumatori, a prescindere dal prodotto interessato, siano più sensibili agli aumenti che alle diminuzioni di prezzo, una sensibilità che è stata acuita dal salto nel buio rappresentato dalla nuova moneta unica, dalla diffidenza indotta dal fatto che il passaggio all'euro ha aumentato il numero di prezzi esposti per lo stesso prodotto e dalla quota della spesa legata ai beni e ai servizi che hanno subito rincari (canoni di affitto, alimentari, carburanti). |
4.2.2 |
Poiché la spesa per abitativa dei proprietari occupanti è attualmente esclusa dal paniere di prodotti dell'IPCA, in alcuni paesi la differenza tra inflazione percepita e inflazione reale si può spiegare con il forte aumento dei prezzi nel settore immobiliare. |
4.2.3 |
Inoltre, i consumatori che convertono nella ex valuta nazionale il prezzo in euro di un prodotto che pensano di acquistare prendono a riferimento il prezzo corrente prima dell'entrata in vigore dell'euro. Ciò dà luogo a una distorsione in quanto, se si considera l'inflazione, neanche il vecchio prezzo è più attuale (3). |
4.2.4 |
Va anche fatto notare che spesso molti consumatori, e perfino osservatori, confondono l'evoluzione del potere d'acquisto e le aspettative di miglioramento del tenore di vita. Numerosi indici, però, tendono a evidenziare che tali aspettative dei consumatori sono oggi più che mai stimolate dai frequenti mutamenti tecnologici, dalla comparsa di nuovi prodotti o servizi (che tendono ad «aggiungersi» ai consumi abituali), da un marketing sempre più sofisticato e da una diffusione molto rapida degli standard di consumo dettati dalla pressione sociale. Per esempio, l'acquisto di un GPS che si aggiunge agli altri consumi o la sostituzione della verdura sfusa con verdura prelavata e preparata danno l'impressione di pesare sul potere d'acquisto ma dipendono in realtà dalla pressione esercitata sul bilancio delle famiglie da un aumento delle aspettative più rapido dell'incremento dei redditi. |
4.3 Spiegazioni metodologiche
4.3.1 |
Non è ipotizzabile rimettere in questione la validità dell'IPCA, basato su osservazioni e rilevazioni condotte ogni mese dagli istituti nazionali di statistica su oltre 700 beni e servizi rappresentativi, il che equivale a quasi 1,7 milioni di osservazioni ogni mese presso 180 000 punti vendita. |
4.3.2 |
Va però ricordato che l'indice armonizzato dei prezzi al consumo è frutto di determinate convenzioni, soprattutto per quanto riguarda (1) la scelta dei beni e dei servizi la cui funzione rappresentativa giustifica l'inclusione nel paniere e (2) la ponderazione di ciascuno di loro. |
4.3.3 |
Come indica la tabella, tuttavia, la struttura della spesa delle famiglie oscilla in funzione del reddito. Le variazioni più marcate si osservano nel caso della spesa per i canoni reali di affitto, che pesa da cinque a sei volte di più sul 20 % di famiglie meno abbienti rispetto al 20 % di famiglie più ricche. La differenza si spiega con il fatto che gli appartenenti alla seconda fascia sono allo stesso tempo proprietari e inquilini e, di conseguenza, risentono in modo diverso dell'evoluzione dei prezzi immobiliari. Le famiglie più povere, inoltre, destinano all'acquisto di generi alimentari e bevande analcoliche una quota di reddito superiore dell'81 % rispetto a quelle più ricche, cosa che le rende più sensibili alle impennate dei prezzi delle materie alimentari sui mercati mondiali. Le famiglie più ricche spendono per autoveicoli nuovi più del 67 % di ciò che spendono per questa voce le famiglie comprese nel primo quintile. Poiché i prezzi degli autoveicoli nuovi hanno avuto un'evoluzione molto più lenta rispetto all'IPCA nel periodo 2000-2008, esse si avvantaggiano fortemente di quest'evoluzione positiva.
|
4.3.3.1 |
Il grafico seguente illustra le diverse inflazioni subite per fasce di reddito estreme in funzione del profilo di consumo e ne presentano lo scarto a partire del 1996. Nel corso degli ultimi 12 anni, l'inflazione che colpisce i meno abbienti ha superato quella che colpisce i più ricchi per 6 volte, mentre la situazione opposta è stata osservata 3 volte. Vi sono poi 3 anni in cui non si sono constatate differenze significative.
|
4.3.3.2 |
A parte quest'effetto strutturale, risulta che le fasi in cui i prezzi delle materie prime alimentari si gonfiano colpiscono ancora più duramente le famiglie più povere, che scelgono marche a basso prezzo o si riforniscono presso gli hard discount, in quanto in questi casi la quota del prezzo al consumo degli alimenti attribuibile alle materie prime alimentari è più elevata (perché,viceversa, è inferiore la quota imputabile alle spese d'imballaggio, di marketing, ecc.). |
4.3.3.3 |
Inoltre, le famiglie più povere non possono ammortizzare le ripercussioni dell'innalzamento dei prezzi sul loro bilancio in quanto hanno un tasso di risparmio strutturalmente basso e maggiori difficoltà di accesso al credito e rischiano, peraltro, di cadere nella trappola del sovraindebitamento. |
4.3.3.4 |
Questa constatazione resta valida a livello degli Stati membri, perché come mostra la tabella che segue, le famiglie destinano quote diverse del loro reddito alle differenti categorie di beni e servizi in funzione delle loro caratteristiche geografiche (si ricorda che l'insularità comporta costi di trasporto elevati), del loro livello di sviluppo socioeconomico (la spesa delle famiglie rumene e bulgare per l'alimentazione è tre volte tanto quella destinata a questa voce dalle famiglie degli altri paesi), ecc. Le due ultime colonne indicano in quale misura le spese relative tra ciascun gruppo di paesi o in seno alla zona euro sono omogenee (più basso è il coefficiente di variazione, più alta è l'omogeneità) Se i paesi dell'area dell'euro presentano delle forti analogie, questo è meno vero per gli altri gruppi di paesi. Ciò illustra i limiti dell'IPCA, che, basandosi su ponderazioni medie, non può, per definizione, rispecchiare le situazioni peculiari dei singoli paesi. Questa conclusione non dovrebbe essere sottovalutata dai paesi che entrano nell'area dell'euro, considerate le sue implicazioni in termini di politica monetaria e d'inflazione.
|
4.3.4 |
Allo stesso modo, a volte esiste una differenza notevole tra la struttura media della spesa per i consumi e il modo in cui sono ponderati i prodotti inclusi nel paniere dell'IPCA. Ad esempio, le famiglie dell'area dell'euro hanno speso in media il 27,5 % del loro reddito per l'alloggio, l'acqua e l'energia, eppure questa rubrica incide solo per il 16,3 % sull'IPCA. Si può parlare di «sottoponderazione» anche per i settori della salute e delle assicurazioni. Viceversa, l'IPCA attribuisce un peso eccessivo ai prodotti alimentari, ai trasporti e alla voce «Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi». |
Bruxelles, 9 luglio 2008.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Cfr. il parere del CESE Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari, GU C 10 del 15.1.2008, pag. 96, punto 1.14.
(2) Banca nazionale del Belgio L'évolution de l'inflation en Belgique: une analyse de la Banque Nationale de Belgique réalisée à la demande du Gouvernement fédéral. Revue économique, 2008, pag. 17.
(3) Per esempio: penso di comprare un'automobile alla fine del 2002 e mi ricordo che un anno prima mi sarebbe costata 100. 100 mi serve da prezzo di riferimento oggi, ma da allora il tasso d'inflazione, misurato dallo IPCA, è stato del 2,2 %, sicché il prezzo al quale dovrei fare riferimento non è più 100 bensì 102,2. Se poi programmo questo acquisto nel 2007, il divario sarà ancora più netto poiché il prezzo di riferimento sarà 114!