31.3.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 77/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia UE-Africa

(2009/C 77/32)

Con lettera datata 11 luglio 2007, il commissario europeo allo Sviluppo e agli aiuti umanitari Louis MICHEL ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

La strategia UE-Africa.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, nessun voto contrario e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel contesto globalizzato del nuovo secolo le relazioni tra l'Europa e l'Africa, sulla scorta dell'esperienza passata, devono subire un'evoluzione radicale, soprattutto nel senso di un partenariato che preveda pari diritti e doveri. Dopo decenni di cooperazione e di aiuti allo sviluppo, infatti, l'estrema povertà dell'Africa si accentua e si intensifica: i frutti di una crescita male indirizzata e a scarso contenuto occupazionale sono ripartiti in modo ineguale e ciò approfondisce le disuguaglianze; oltre il 55 % della popolazione dell'Africa subsahariana vive con meno di un dollaro al giorno; circa il 70 % del numero totale di posti di lavoro è costituito da posti di lavoro informali e di sussistenza, per oltre il 57 % nel settore agricolo. Tutto ciò rende l'idea della drammatica carenza di posti di lavoro dignitosi e produttivi.

1.2

La posta in gioco è rilevante per quanto riguarda in primo luogo lo sviluppo e la stabilizzazione del continente africano, ma anche la sicurezza del continente europeo e la sua capacità di mantenere a lungo una crescita sostenuta.

1.3

Le politiche di sviluppo condotte fino a questo momento dall'Unione europea in applicazione dei diversi accordi (Lomé, Yaoundé, Cotonou) e i finanziamenti destinati a tali politiche non hanno ottenuto i risultati auspicati, in particolare per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro dignitosi. Detto questo, poiché la situazione non può restare così com'è e questo stato di cose va cambiato, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra dell'esito positivo del vertice UE/Africa svoltosi a Lisbona l'8 e il 9 novembre 2007.

1.3.1

Il CESE si rallegra in particolare del fatto che la dimensione del lavoro sia stata presa in considerazione in modo trasversale.

1.4

Il CESE è infatti convinto che lo sviluppo del lavoro dignitoso sia cruciale per quella riduzione delle disuguaglianze e della povertà e per quell'integrazione sociale e costruzione di un'esistenza dignitosa che sono necessarie per neutralizzare estremismi e conflitti e, di conseguenza, dare agli Stati la necessaria stabilità.

1.5

Il CESE ritiene che, per sviluppare il lavoro dignitoso, sia necessario condurre un'azione che si ponga quest'ultimo come obiettivo essenziale e incida sui parametri enunciati di seguito. Tali parametri, pur essendo intrinsecamente diversi, sono legati da forti sinergie che conferiscono loro una reattività reciproca e, nel loro insieme, costituiscono una politica.

1.5.1

Una crescita basata essenzialmente sullo sfruttamento delle ricchezze naturali presenta un basso contenuto occupazionale. La crescita va quindi reindirizzata verso prodotti di prima trasformazione o prodotti finiti. Gli investimenti devono perseguire quest'obiettivo puntando su settori ad alto valore aggiunto.

1.5.2

Il settore privato e, al suo interno, le PMI rivestono un'importanza cruciale. L'UE deve fare dello sviluppo delle PMI una delle direttrici della sua politica di cooperazione.

1.5.3

L'aumento in corso dei prezzi delle materie prime è un ulteriore dato che deve indurre a fare del settore agricolo la priorità strategica dello sviluppo. Occupando una porzione significativa del territorio e della popolazione rurale, tale settore deve concorrere al conseguimento dell'autosufficienza alimentare, allo sviluppo di un'industria di trasformazione e, per questa via, al rallentamento dell'esodo rurale.

Occorre programmare una politica agricola a breve, medio e lungo termine prestando un'attenzione prioritaria al reperimento delle risorse di bilancio per la sua attuazione. L'elaborazione di tale politica dovrà svolgersi in collaborazione con le organizzazioni agricole.

1.5.4

Lo sviluppo delle risorse umane è un fattore imprescindibile di ogni strategia di sviluppo. È quindi necessario analizzare il fabbisogno di posti di lavoro e il mercato del lavoro, effettuare previsioni e anticipare le sfide principali riguardanti l'adeguatezza della formazione al lavoro.

1.5.5

Anche se l'integrazione economica regionale e subregionale ha fatto registrare sensibili progressi, il potenziale commerciale non è ancora stato pienamente sfruttato. Occorre in particolare coordinare le misure prese per armonizzare le procedure doganali, sviluppare le infrastrutture e assicurare la libera circolazione dei cittadini. Sotto questo profilo il CESE si rammarica che non si sia ancora conclusa la negoziazione regionale degli Accordi di partenariato economico aventi per oggetto, tra l'altro, l'integrazione regionale.

1.5.6

Il dialogo sociale deve accompagnare e migliorare qualsiasi politica di sviluppo, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva. Bisogna perciò istituire organizzazioni datoriali e sindacali forti e indipendenti o rendere tali quelle che esistono.

1.5.7

La partecipazione degli agenti non statali è imprescindibile dallo sviluppo del lavoro e deve quindi essere al centro della strategia comune UE/Africa. A questo titolo, gli agenti non statali devono essere coinvolti nell'elaborazione e nell'attuazione dei Programmi indicativi nazionali e regionali.

1.5.8

Condizionando la fiducia degli investitori, una buona governance è un presupposto essenziale per il lavoro e deve essere considerata nella sua globalità, con un'attenzione particolare al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (comprese le libertà sindacali), alle norme sul lavoro e alla corruzione. In merito a quest'ultimo punto, l'UE e gli Stati membri devono condizionare la concessione di aiuti finanziari alla possibilità di rintracciarne l'impiego.

2.   Introduzione

2.1

Con lettera datata 11 luglio 2007, il commissario europeo allo Sviluppo e agli aiuti umanitari Louis MICHEL ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sulle varie questioni sollevate dalla comunicazione Dal Cairo a Lisbonail partenariato strategico UE-Africa, in particolare su come ridurre il deficit occupazionale in Africa.

2.2

Il CESE si compiace di questa richiesta che, pur rientrando nel quadro delle politiche di sviluppo che vengono condotte in Africa da decenni, punta a sondare il futuro che si sta delineando, in particolare, attraverso le decisioni del vertice UE-Africa contenute nella dichiarazione Il partenariato strategico, accompagnata da un Primo piano d'azione (2008-2010) destinato ad attuarla.

2.3

Consultando il CESE sul tema del lavoro, la Commissione esprime la scelta di fare di quest'ultimo l'obiettivo essenziale della sua politica di sviluppo e, al tempo stesso, indica che gli agenti economici e sociali hanno un ruolo da svolgere nell'eliminazione della povertà mediante la creazione di posti di lavoro dignitosi. Il CESE se ne compiace.

Nel presente parere il CESE, dopo aver rapidamente passato in rassegna le politiche trascorse e i loro risultati a fronte della situazione attuale dell'Africa nonché le politiche future, tenterà di evidenziare gli interventi essenziali che, a suo giudizio, dovranno essere realizzati per contribuire alla creazione di posti di lavoro dignitosi. Questo tentativo sarà effettuato alla luce degli orientamenti e del piano d'azione che sono stati deliberati al vertice UE-Africa svoltosi a Lisbona l'8 e 9 dicembre 2007. Per far ciò il CESE si baserà soprattutto sui suoi lavori precedenti sullo sviluppo dell'Africa (1).

3.   Considerazioni generali

3.1

Il continente africano è composito, essendo costituito da Stati spesso diversi in termini di storia, cultura, etnie, ricchezze proprie (minerali metalliferi, petrolio, diamanti ecc.), clima o ancora di democrazia, buona governance, rispetto dei diritti dell'uomo ecc. Tutto ciò determina una variabilità di livelli economici e sociali che fa sì che sia rischioso considerarlo e osservarlo come un insieme unico e monolitico. Ciò non toglie che un certo numero di caratteristiche siano comuni, prime tra tutte le relazioni con l'Europa: quelle passate, quelle future o ancora quelle di una storia condivisa che darà vita a un futuro comune, partecipe di una dinamica di cambiamento anch'essa condivisa.

3.2

Nel contesto globalizzato del nuovo secolo, infatti, le relazioni tra l'Europa e l'Africa, sulla scorta dell'esperienza passata, devono subire un'evoluzione radicale: a rischio di mettere alcuni partner, su ciascuno dei due continenti, di fronte alle loro contraddizioni, vanno fondate sulla consapevolezza che è necessario costruire un futuro comune, che dovrà poggiare, più che su una storia temporaneamente condivisa, sulla compassione o sulla fedeltà, su sfide e rischi comuni e su una logica di interessi reciproci.

3.3

La posta in gioco è rilevante. A quindici chilometri di distanza dall'Europa, il continente africano concentra sul proprio territorio tutti i «gravi rischi» del mondo contemporaneo: migrazione incontrollata, epidemie emergenti, catastrofi climatiche e ambientali, minaccia terroristica e così via. Allo stesso tempo è anche il continente dotato del maggiore potenziale, sotto il profilo sia delle risorse naturali che della domanda prevedibile di consumo e di investimenti.

3.4

È vero che l'Unione europea rimane tuttora il primo partner economico del continente africano e il suo principale donatore. Questo monopolio storico, però, è ormai intaccato dall'offensiva dei «finanziatori emergenti», soprattutto la Cina ma anche l'India, i grandi paesi dell'America latina, le monarchie del Golfo e perfino l'Iran, come pure dal ritorno degli Stati Uniti, interessati allo stesso tempo a mantenere la sicurezza del loro approvvigionamento energetico, a contrastare la minaccia del terrorismo, a estendere il terreno della lotta per i valori cristiani e democratici e a contrastare la tendenza alla «infiltrazione» cinese, che ritengono preoccupante (2).

3.5

È però chiaro che, d'ora in poi, sia la sicurezza del continente europeo che la sua capacità di mantenere a lungo una crescita sostenuta dipenderanno in modo diretto e immediato dallo sviluppo e dalla stabilizzazione del continente africano. Sul medio e lungo periodo, l'Europa non potrà essere un'isola di prosperità a quindici chilometri da un continente contraddistinto dalla miseria. Ne va dello sviluppo sostenibile dell'Unione europea, che deve rendersi conto del fatto che d'ora in poi l'Africa sarà «la sua frontiera».

3.6

«La strategia dell'Europa nei confronti dell'Africa è stata a lungo caratterizzata da un rapporto asimmetrico donatore-beneficiario, accompagnato da una falsa buona coscienza ideologica e da una visione unilaterale dei nostri interessi. Questa visione antiquata, non realistica, si è dimostrata terribilmente nociva. Si deve voltar pagina per passare a un partenariato di nuova concezione, tra partner uguali nei diritti e nei doveri che praticano una logica di interessi condivisi fondata su parametri come lo sviluppo sostenibile, una buona governance economica, fiscale e sociale, il trasferimento di tecnologia e così via (3)».

3.6.1

La strategia basata quindi sul rapporto asimmetrico donatore-beneficiario, o finanziatore-beneficiario, e concretizzatasi soprattutto nel contenuto dei vari accordi che hanno disciplinato o disciplinano le relazioni tra i due blocchi, risulta «fallimentare» se si guarda a quella che è l'attuale situazione economica e sociale dell'Africa (4). Bisogna quindi cambiare questo stato di cose.

Questa strategia ha fatto entrare i paesi africani in uno stato di dipendenza, soprattutto finanziaria, rendendo più difficile lo sviluppo del dinamismo necessario per fare ingresso positivamente nell'economia mondiale.

3.6.1.1

Infatti, dopo decenni di aiuti allo sviluppo erogati dall'Unione europea, da molti Stati membri (spesso paesi ex colonizzatori) e da organismi internazionali come la Banca mondiale, l'estrema povertà dell'Africa si accentua e si intensifica.

3.6.1.2

Mentre paesi o regioni emergenti come la Cina, l'India, il Sudest asiatico, il Brasile diventano potenze economiche e si inseriscono nel commercio internazionale, l'Africa, salvo rare eccezioni, non decolla.

3.6.1.3

Come mai un paese come la Corea del Sud, che fino a pochi anni fa viveva «per il riso e con il riso», è diventato uno dei leader mondiali della costruzione elettronica e navale, dei servizi informatici, della costruzione di automobili ecc. e non l'Africa?

3.6.1.4

L'Europa è tuttora il maggior importatore di prodotti africani. Malgrado ciò, benché per quasi 25 anni siano stati applicati dazi doganali asimmetrici, le esportazioni dei paesi africani verso l'UE sono diminuite di oltre la metà, passando dall'8 % del volume del commercio mondiale nel 1975 al 2,8 % nel 2000. Questo trattamento preferenziale sui dazi doganali, quindi, si è rivelato insufficiente, in quanto la scarsa competitività dei prodotti dei paesi africani ha condizionato le capacità di esportazione di questi ultimi verso l'Europa.

3.6.1.5

I frutti della crescita, sostanzialmente derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali, sono ripartiti in modo ineguale, cosa che approfondisce le disuguaglianze in quanto lascia i poveri altrettanto poveri, se non di più, e rende i ricchi ancora più ricchi. Tutto ciò è ben lontano da un buon governo dell'economia ispirato a preoccupazioni di tipo etico. Numerosi africani denunciano questa situazione:

«(Bisogna) rimpatriare i fondi acquisiti illegalmente nei paesi d'origine e depositati nelle banche straniere.» (5)

«Siamo malati di malgoverno: certi paesi oggi sono più poveri rispetto a prima che iniziasse lo sfruttamento del petrolio o dei diamanti, altri sono governati da leader la cui ricchezza personale supera il valore del debito nazionale! Il male non viene dall'esterno, ma da noi stessi.» (6)

4.   Dal Cairo a Lisbona: una nuova strategia Africa-UE

4.1

Le politiche condotte finora e i fondi loro destinati non sempre hanno conseguito i risultati auspicati, soprattutto per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro dignitosi. Detto questo, poiché la situazione non può restare così com'è, il CESE si compiace per l'esito positivo del vertice di Lisbona dell'8 e 9 dicembre 2007. Si compiace in particolare della volontà politica che ha permesso di completare o addirittura ridisegnare sia le attività di cooperazione, dando loro un nuovo orientamento, sia, per questa via, i rapporti commerciali e politici tra i due continenti.

4.2

Sette anni dopo il vertice del Cairo, infatti, il vertice di Lisbona ha gettato le basi di un nuovo partenariato strategico, inter pares, tra l'Africa e l'Unione europea, fondato su valori, principi e interessi comuni che consentano di affrontare insieme alcune sfide globali sulla scena internazionale: pace e sicurezza, governance e diritti umani, migrazioni, energia e cambiamento climatico, commercio, infrastruttura e sviluppo.

4.3

Il carattere originale e innovativo di tale strategia, al di là del suo contenuto, sta nell'aver affiancato alla dichiarazione una fase operativa consistente in otto piani d'azione prioritari (cfr. Allegato I del presente parere), cioè una sorta di tabelle di marcia o programmi di lavoro destinati a tradurre in mosse concrete le scelte e le priorità strategiche identificate dai due blocchi continentali. I progressi conseguiti nell'attuazione degli otto piani d'azione, che, sul modello dell'Accordo di Cotonou, sono estremamente ambiziosi, saranno misurati in occasione del prossimo vertice nel 2012.

4.4

Il CESE giudica positivamente il fatto che, al di là delle dichiarazioni di principio, pure importanti, sia stata disposta la creazione di una struttura di lavoro che ne permetterà la concreta traduzione operativa, cosa che permetterà anche di valutarne l'attuazione a partire dal 2010.

4.5

Il CESE sottolinea che ognuno degli otto partenariati tradotti in piani d'azione sarà in grado di contribuire allo sviluppo del lavoro dignitoso nel momento in cui sarà fatta una scelta politica in tal senso e nella misura in cui sarà accompagnato da apposite politiche del lavoro (cfr. capitolo 7).

4.6

Al di là dei documenti, tuttavia, i problemi e gli ostacoli denunciati da certi responsabili africani non possono essere dissimulati dalla buona volontà manifestata da entrambe le parti in occasione del vertice. Essi lasciano intravedere che una nuova strategia, per quanto innovativa nel creare un partenariato equilibrato, non può cancellare in poco tempo il rapporto esistente, qualificato ancora oggi come rapporto da dominante a dominato:

si critica aspramente la burocrazia dell'UE, mentre «con la Cina è talmente facile ottenere subito i trattori di cui abbiamo bisogno …»,

si chiede all'UE di risarcire l'Africa per la colonizzazione e per il saccheggio dei suoi beni oppure di accettare i suoi immigrati …,

si esprimono dubbi sulla possibilità che gli Accordi di partenariato economico (APE) siano conclusi in un vero spirito di partenariato …,

si denunciano divergenze molto marcate in merito alla crisi dello Zimbabwe …

Sembra che la strada sarà ancora lunga e piena di insidie prima che entrambe le parti vincano la scommessa in un contesto di fiducia ritrovata.

4.6.1

Da questo punto di vista il CESE ritiene che, nel contesto di un partenariato equilibrato tra Unione europea e Africa, spetti anzitutto agli stessi governi africani assumersi la responsabilità della buona governance , della lotta alla corruzione e della destinazione degli investimenti diretti o esteri alla riduzione della povertà nel proprio paese. Quest'assunzione di responsabilità, che ne rafforza la sovranità, è il passaggio ineludibile per rinnovare il partenariato. Ciò rende essenziale il principio di un'adesione effettiva a tale partenariato equilibrato, che trova il suo pieno significato nel perseguimento dello sviluppo del lavoro dignitoso.

4.7

Il CESE nota con soddisfazione che è stato dato ampio spazio alla società civile, sia in termini istituzionali (relazioni tra il CESE dell'UE e l'Ecosoc dell'UA) (7), sia per quanto riguarda il complesso degli agenti non statali (ANS) che costituiscono la società civile organizzata (8). Da questo punto di vista, perché la volontà manifestata prenda forma e si traduca nei fatti sarà necessario, pena il fallimento, tener conto delle difficoltà incontrate sotto questo aspetto nell'attuazione dell'Accordo di Cotonou.

Tutto sommato, il CESE approva l'indirizzo progressista impresso alla strategia UE-Africa per tutto il continente.

5.   Il lavoro dignitoso, obiettivo irrinunciabile per un'efficiente strategia UE-Africa

5.1

Secondo l'articolo 55 della Strategia UE-Africa, le questioni legate al lavoro, e in particolare la sicurezza sociale, la scarsità di opportunità lavorative e la promozione in Africa del lavoro dignitoso, saranno affrontate congiuntamente, dovendo dare la priorità alla creazione di posti di lavoro utili nell'economia formale, al miglioramento delle attuali condizioni di vita e di lavoro in linea con il programma dell'ONU Per un lavoro dignitoso e all'integrazione dell'economia informale in quella formale.

5.2

Il CESE si compiace del fatto che la strategia UE-Africa abbia ufficialmente preso in considerazione la problematica del lavoro dignitoso, in quanto ritiene che lo sviluppo di quest'ultimo, in termini quantitativi ma anche qualitativi, sia cruciale per quella riduzione delle disuguaglianze e della povertà e per quell'integrazione sociale che sono necessarie per neutralizzare estremismi e conflitti e, di conseguenza, dare agli Stati la necessaria stabilità.

6.   Il lavoro in Africa

Il tasso di attività della popolazione africana è elevato (68,6 %). Pur essendo elevato anche il tasso di disoccupazione (10,3 %), il problema più grave è dato dalla mancanza di posti di lavoro dignitosi e produttivi: il 46,2 % della popolazione, di cui il 55,4 % vive nell'Africa subsahariana, vive con meno di un dollaro al giorno. In altre parole, una quota consistente della popolazione attiva è dedita a occupazioni informali, generalmente di sussistenza, che equivalgono al 68 % del numero totale di posti di lavoro, il 57,2 % dei quali sono compresi nel settore agricolo primario e occupati in gran parte da giovani e donne. Queste ultime, allo stesso tempo, svolgono il ruolo determinante di fulcro della famiglia e della comunità economica, rappresentando così la trama organizzativa del tessuto socioeconomico africano (cfr. Allegato II del presente parere).

7.   Creare posti di lavoro dignitosi e produttivi

Considerando ciò che precede, la priorità per l'Africa è creare posti di lavoro dignitosi, produttivi e liberamente scelti, gli unici capaci di contribuire efficacemente all'eliminazione della povertà, alla costruzione di una vita degna e all'introduzione di una protezione sociale efficiente e aperta a tutti, tutto ciò integrando a tutti i livelli non solo la dimensione di genere, ma anche quella giovanile, in quanto i giovani portano in sé il futuro dell'Africa e, in parte, la solidarietà tra le generazioni.

Di fatto, senza posti di lavoro produttivi sarebbe illusorio pretendere di conseguire un tenore di vita dignitoso, lo sviluppo economico e sociale e la realizzazione individuale, obiettivi che presuppongono anzitutto lo sviluppo delle risorse umane e delle imprese private. Per funzionare a pieno regime, questa dinamica deve essere inserita in un contesto propizio al suo svolgimento, in cui siano presenti democrazia, Stato di diritto, buona governance, rispetto dei diritti umani e sociali e così via.

Nella strategia UE-Africa adottata al vertice di Lisbona la dimensione lavorativa è presente in modo trasversale. Scopo di questo capitolo è approfondire questa tematica cruciale per mezzo di analisi e proposte di indirizzo. Ciò presuppone una riflessione sui principali dispositivi in grado di agevolare il raggiungimento dell'obiettivo, secondo un'ottica prettamente macroeconomica. Tuttavia, per approssimare la diversità degli interventi, in un secondo tempo sarebbe utile compilare un inventario delle varie attività svolte dalle ONG europee attive in Africa nel settore negli aiuti allo sviluppo, mettendo così in luce l'eterogeneità dei programmi che esse realizzano, specialmente insieme a enti e/o raggruppamenti locali (cooperative, associazioni di orticoltori, istituti scolastici o sanitari, ecc.), e che concorrono allo sviluppo del lavoro.

Oltre a quanto precede, il CESE tiene però a sottolineare con forza anche un altro punto, e cioè che lo sviluppo dell'Africa e la conseguente creazione di posti di lavoro dignitosi e produttivi possono avvenire solo in un contesto di maggiore stabilità degli Stati che compongono il continente. Ebbene, un gran numero di paesi è tuttora prigioniero di conflitti interminabili. I combattimenti degli ultimi dieci anni in Guinea, Liberia e Sierra Leone, paesi provvisti di risorse naturali e soprattutto di diamanti e legname, hanno precipitato la loro regione in una grave crisi che ha dato origine a un consistente flusso di rifugiati. Senza parlare del conflitto del Darfur che imperversa in Sudan, della «guerra dimenticata» dell'Uganda settentrionale, delle condizioni di scarsa sicurezza che perdurano nelle zone orientali e settentrionali della Repubblica Centrafrica, dell'instabilità del Congo e così via. Considerato il contesto, l'Unione europea e, più in generale, la comunità internazionale hanno un importante ruolo da svolgere in questa problematica decisiva per il futuro del continente. Al di là delle atrocità commesse, che nessuno può ignorare o accettare, è infatti chiaro che, se da una parte il lavoro può contribuire alla stabilità degli Stati, dall'altra la loro instabilità impedisce il loro sviluppo economico e quindi la creazione di posti di lavoro.

7.1   Per una crescita a forte contenuto occupazionale

7.1.1

Pur con forti oscillazioni tra un paese e l'altro, in termini di crescita economica il 2006 è stato un anno fausto per l'Africa, con un tasso pari al 6,3 % nell'Africa settentrionale e al 4,8 % in quella subsahariana.

7.1.2

Sono cifre ragguardevoli, soprattutto se confrontate ai risultati dell'Unione europea. Tuttavia, a causa di una produttività che ristagna o addirittura regredisce, di una destinazione sbagliata degli investimenti, del basso valore aggiunto che caratterizza gran parte delle produzioni industriali o agricole, dell'esplosione demografica e dell'enorme carenza di posti di lavoro dignitosi, solo una crescita a due cifre sarebbe in grado di garantire un miglioramento allo stesso tempo quantitativo e qualitativo dei posti di lavoro. Secondo le stime effettuate, occorrerebbe un tasso di crescita pari almeno al 9 % per iniziare a concretizzare positivamente gli Obiettivi del Millennio, che in ogni caso, purtroppo, non comprendono obiettivi in materia di lavoro.

7.1.3

La crescita attuale non crea molta occupazione perché poggia su basi inadeguate. Generalmente, infatti, ha origine da un maggiore sfruttamento, a condizioni di lavoro spesso ai limiti dell'accettabile, di ricchezze naturali la cui redditività recentemente è esplosa, soprattutto nei paesi produttori di petrolio, con l'aumento del prezzo del barile di greggio. Oltre ad essere aleatoria in quanto soggetta alla variazione dei prezzi, questa situazione non crea neanche un posto di lavoro in più. Lo stesso dicasi per le altre risorse naturali nella misura in cui sono generalmente esportate allo stato grezzo. Per giunta le classi medie che incamerano gli utili del risveglio d'attività economica in genere consumano prodotti importati. Neanche questo tipo di consumo, quindi, ha effetti sull'occupazione locale.

7.1.4

È necessario che gli utili ricavati dall'estrazione del greggio, di cui non sempre si sa dove e come sono impiegati, siano investiti nella lavorazione di prodotti ad alto valore aggiunto, che darebbero origine a una crescita a forte contenuto occupazionale. Lo stesso dicasi per le altre risorse naturali o per quelle agricole che, nel quadro di una politica agricola strutturata, finanziata e prioritaria, a loro volta possono favorire lo sviluppo di un'industria agroalimentare (cfr. punto 7.4 e Allegato IV del presente parere).

7.1.5

Una crescita creatrice di un numero ottimale di posti di lavoro non potrà risultare dal semplice sfruttamento delle materie prime o dalle produzioni agricole tradizionali e di massa (canna da zucchero, cotone, banane, arachidi, cacao ecc.). Avrà invece bisogno che sia sviluppata anche un'industria di trasformazione che produca beni lavorati a forte valore aggiunto, cosa che, a lungo termine, sarà il miglior modo per evitare il deterioramento dei termini di scambio e per consentire ai paesi interessati di entrare a far parte dell'economia subregionale, regionale e poi mondiale e approfittarne così per passare a una nuova fase di sviluppo.

7.2   Per investimenti più diversificati

Se non vi è, o quasi, creazione di posti di lavoro senza crescita, non vi è crescita senza investimenti di qualità.

È generalmente assodato che, per ottenere un tasso di crescita annuo elevato per diversi esercizi (cfr. punto 7.1.2), servirebbe un tasso d'investimento compreso tra il 22 e il 25 % del PIL, mentre negli ultimi anni esso ha raggiunto appena il 15 %. Per avvicinarsi a un tale ritmo di accumulo vanno effettuati due tipi di investimenti, di seguito trattati distintamente.

7.2.1   Gli investimenti endogeni

7.2.1.1

In primo luogo si deve investire in settori ad alto valore aggiunto e/o a forte capacità produttiva, che presentano un grosso potenziale per la creazione di posti di lavoro: infrastrutture, agricoltura e sviluppo sostenibile, conservazione dell'ambiente, industria culturale, trasporti, pesca, sfruttamento forestale, TIC, industria (prima trasformazione e prodotti finiti) ecc. In secondo luogo si deve investire in segmenti di mercato che concorrano a creare un contesto idoneo ad attrarre investimenti diretti esteri (IDE). Si deve inoltre progressivamente formare un circolo virtuoso che colleghi investimenti endogeni, produzione, commercio, utili, nuovi investimenti endogeni ecc.

7.2.1.2

Al contrario degli IDE gli investimenti endogeni, ossia la mobilizzazione delle risorse finanziarie interne, permetteranno all'Africa di determinare da sola le sue priorità di sviluppo.

7.2.1.3

Dove trovare i fondi per questi investimenti endogeni?

Vanno mobilizzati gli enormi utili, visibili o nascosti, generati dallo sfruttamento delle risorse naturali (petrolio, gas, carbone, diamanti, legname, minerali: cromo, platino, cobalto, oro, manganese, rame, ferro, uranio, ecc.) (9). (Come vengono impiegati oggi? E come vengono impiegati, per esempio, gli utili ricavati dalla vendita dello zucchero a tre volte il suo prezzo sul mercato mondiale?)

L'introduzione di imposte sul valore aggiunto (IVA) ha permesso di aumentare le entrate pubbliche solo in misura limitata e incompleta. Si può fare meglio.

In alcuni paesi migliorare la riscossione delle imposte permetterebbe di raddoppiare il gettito fiscale.

La notevole variabilità del rapporto gettito fiscale/PIL (dal 38 % in Algeria e in Angola a meno del 10 % in Niger, Sudan e Ciad) indica che i paesi in cui tale rapporto è molto basso hanno un notevole potenziale di accrescimento del proprio gettito.

Optare per l'emersione del lavoro informale consentirebbe di ampliare la base imponibile e di allargare così la base di risorse.

Nel complesso questi miglioramenti dovrebbero permettere di contribuire all'espansione, quantitativa e qualitativa, delle politiche pubbliche.

In un certo numero di paesi i fondi inviati dai lavoratori emigrati, che nel 2004 hanno raggiunto la cifra di circa 16 miliardi di USD, sono un'importante fonte di sviluppo (10). Il totale dei fondi contabilizzati o meno offrirebbe risorse finanziarie superiori agli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) e agli investimenti diretti esteri (IDE). Non essendo una fonte d'indebitamento tali fondi, se passassero per i sistemi bancari ufficiali dei paesi africani, nel momento in cui questi fossero sicuri, credibili ed efficienti, potrebbero avere un'incidenza considerevole sulle capacità d'investimento. Anche solo da questo punto di vista risulta chiaro quanto sia importante per i paesi africani l'immigrazione, al punto da giustificare che qualsiasi modifica alla regolazione dei flussi migratori sia oggetto di discussioni approfondite tra l'UE, i singoli Stati membri e i paesi africani interessati (11).

La fuga di capitali continua a privare i paesi africani di una notevole quantità di risorse per l'investimento. I flussi di capitale in uscita equivalgono a due volte il debito totale del continente africano  (12), cosa che induce alcuni esperti ad affermare che l'Africa è «creditrice netta» rispetto al resto del mondo. Queste risorse, se destinate a investimenti produttivi, permetterebbero di creare posti di lavoro e di procurare un reddito ad ampi segmenti della popolazione. Oltre a fermare l'emorragia, i governi potrebbero esaminare la possibilità di concedere temporaneamente una sanatoria per il rientro di questi capitali, come è stato fatto in certi paesi europei.

Con queste prospettive e a patto di intraprendere le riforme necessarie, soprattutto in materia di finanze e di bilancio, l'Africa potrebbe riuscire a mobilitare una quantità ben maggiore di risorse interne per finanziare gli investimenti produttivi di sua scelta.

7.2.2   Gli investimenti diretti esteri (IDE)

L'apporto di investimenti diretti esteri (IDE) è cruciale per lo sviluppo economico del continente. Essi infatti, se destinati a scopi adeguati, contribuiscono sensibilmente al processo di sviluppo dei paesi che li ricevono, specialmente mettendo a loro disposizione capitali e tecnologie e poi apportando competenze, know-how e accesso al mercato, cosa che contribuisce ad accrescere l'efficacia nell'utilizzo delle risorse e la produttività di questi paesi.

7.2.2.1

Negli anni '80 il flusso medio annuo di IDE destinati all'Africa era raddoppiato rispetto al decennio precedente, raggiungendo 2,2 miliardi di USD. Successivamente esso è aumentato in misura spettacolare, fino a raggiungere 6,2 miliardi di USD negli anni '90 e 13,8 miliardi di USD negli anni 2000-2003. Oggi, invece, i flussi diretti verso il continente equivalgono ad appena il 2-3 % del totale mondiale, dopo aver raggiunto un massimo del 6 % a metà degli anni '70, e a meno del 9 % dei flussi destinati ai paesi in via di sviluppo, contro un massimo del 28 % raggiunto nel 1976.

7.2.2.2

Una delle caratteristiche proprie dei flussi di IDE destinati all'Africa è l'attrazione esercitata su di loro dalle risorse naturali, che ne spiega la ripartizione disuguale attraverso il continente. Ventiquattro paesi africani, la cui economia è considerata dipendente dal petrolio e dai minerali metalliferi, hanno ricevuto in media tre quarti dei flussi di IDE degli ultimi due decenni.

7.2.2.3

È dunque necessario modificare la destinazione degli IDE, soprattutto a vantaggio di settori manifatturieri che, grazie ai trasferimenti di tecnologia, garantiscano un'ampia diversificazione di produzioni competitive. Perché gli IDE siano diversificati ed efficaci, l'Africa dovrà proseguire i suoi sforzi per creare un contesto generale propizio e attraente. Gli IDE, infatti, possono arrivare e contribuire allo sviluppo solo se sono soddisfatte certe condizioni preliminari: qualità del tessuto economico e delle infrastrutture, dimensioni del mercato interessato (è quindi importante l'integrazione regionale), formazione della manodopera (cfr. il capitolo sulle risorse umane), rafforzamento e stabilità dei pubblici poteri e buona governance. Inoltre, per essere efficienti gli IDE devono rientrare in una visione precisa dell'economia nazionale e della sua possibile partecipazione alla partita subregionale, regionale e mondiale. A questo scopo va concepita una vera e propria strategia nazionale di sviluppo, come è avvenuto nel Sudest asiatico negli anni '70 e '80.

7.2.2.4

Gli IDE, tuttavia, non possono risolvere tutti i problemi, tanto meno nel campo della buona governance, della democrazia, dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti dell'uomo, della corruzione, della fuga di capitali ecc. A proposito di questa constatazione, è opportuno sottolineare che negli ultimi anni gli IDE provenienti dalla Cina sono nettamente cresciuti, soprattutto per effetto dei notevoli sforzi diplomatici culminati nel vertice Cina-Africa. La Cina concentra i propri IDE quasi esclusivamente sulle industrie estrattive in modo da garantirsi le materie prime necessarie all'espansione della sua economia.

7.2.2.5

In dieci anni il volume degli scambi sino-africani è aumentato di venti volte, passando da 3 miliardi di USD nel 1998 a 55 miliardi di USD nel 2006. Dal punto di vista degli interessi africani, però, il metodo cinese solleva diverse perplessità. Spesso, infatti, rafforza governi i cui indirizzi politici non vanno nel senso della democrazia, dello Stato di diritto e della riduzione della povertà (13). Particolarmente significativo, da questo punto di vista, è l'atteggiamento cinese nei confronti dei conflitti del Darfur o dello Zimbabwe. Anche sul piano dello sviluppo, inoltre, il metodo della Cina è preoccupante (cfr. Allegato III del presente parere).

7.2.2.6

Sul versante degli investimenti in Africa, gli Stati membri dell'UE sono molto presenti. Per far sì che lo siano ancora di più si può prevedere:

di offrire incentivi tangibili alle imprese dell'UE, sotto forma, ad esempio, di crediti di imposta,

di utilizzare gli strumenti di sviluppo esistenti dopo averli rivisti e potenziati: rafforzare, ad esempio, il Fondo investimenti della BEI e migliorarne l'efficacia, in modo da farne una risorsa utile per il settore privato,

di istituire uno strumento/organo di garanzia degli investimenti adeguatamente finanziato, sul modello di quanto precisato dall'articolo 77, paragrafo 4, dell'Accordo di Cotonou.

7.3   Fare delle PMI lo strumento dello sviluppo economico

Il settore privato, il suo rafforzamento e la sua diversificazione rivestono un'importanza cruciale per lo sviluppo sostenibile, la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, la riduzione della povertà.

Ebbene, nella maggior parte dei paesi africani manca in qualche modo un legame tra, da un lato, il settore informale e le imprese molto piccole (IMP), che attengono più all'ambito della sopravvivenza sociale che a quello dell'impulso all'economia propriamente detta, e, dall'altro, le filiali di grandi imprese straniere, che funzionano in modo quasi autarchico e, di conseguenza, contribuiscono poco all'economia locale.

Si pone quindi il problema di favorire l'emersione di quelle piccole e medie imprese (PMI) in grado di dar vita a un tessuto economico omogeneo che contribuirebbe allo sviluppo del settore privato indispensabile allo sviluppo del continente.

Per favorire lo sviluppo delle PMI bisognerebbe in particolare:

approfondire l'integrazione regionale (cfr. punto 7.8) per superare la ristrettezza dei mercati locali,

ridurre i gravami amministrativi, accrescere la credibilità degli apparati giudiziari e adattare ai bisogni delle PMI le infrastrutture, anche immateriali (per es. di comunicazione),

estendere le possibilità esistenti per finanziare la creazione e il funzionamento di PMI (cfr. punto 7.2.1 «Gli investimenti endogeni»). A questo fine si dovrebbe in particolare migliorare il contesto produttivo introducendo, per esempio, aiuti al mercato e alla commercializzazione, aiutare le PMI a soddisfare i requisiti finanziari formali ed estendere l'offerta di finanziamenti ricorrendo maggiormente al settore privato non finanziario.

L'Unione europea deve fare dello sviluppo delle PMI una delle direttrici della sua politica di cooperazione in Africa. Attraverso gli Stati membri e le loro imprese, deve favorire e promuovere la creazione di PMI, soprattutto incoraggiando gli investimenti per mezzo di incentivi fiscali (crediti d'imposta, prestiti agevolati, ruolo della BEI ecc.) e mediante:

trasferimenti di tecnologia sistematici («saper fare e far sapere») eventualmente in grado di dare il via, successivamente, a programmi di ricerca e sviluppo. Qualsiasi impresa europea che concluda un contratto per la fornitura di attrezzature, prodotti industriali ecc. dovrebbe impegnarsi a trasferire la propria tecnologia (con la Cina già accade — settore nucleare, aeronautico ecc. — quindi perché non con l'Africa, rispetto a prodotti meno elaborati? Certo, finanziariamente la posta in gioco è minore),

spin-off e creazione di incubatori d'impresa, cosa che si può favorire includendo tra gli obiettivi dei corsi di formazione l'impulso allo spirito imprenditoriale,

sviluppo di «co-imprese», o imprese comuni, in cui siano presenti componenti africane ed europee (capitali, manodopera, dirigenza ecc.).

7.4   Costruire un'agricoltura moderna e competitiva

L'agricoltura, la pesca e la silvicoltura, componenti essenziali dello sviluppo rurale, devono essere le prime priorità strategiche dello sviluppo dell'Africa. Sono i settori all'origine dello sviluppo primario e, disponendo di solide basi su gran parte del territorio, sono fattori strutturanti della vita economica e sociale. Lo sviluppo primario è a sua volta indispensabile per perseguire l'autosufficienza alimentare perché, contribuendo a stabilizzare le popolazioni, ha un rilievo essenziale per l'economia dei paesi africani, tanto più che offre grandi potenzialità per la creazione di posti di lavoro. Considerata l'importanza in Africa del settore agricolo, che impiega il 57,2 % della popolazione attiva totale contro il 5 % nei paesi industrializzati, non può che sorprendere constatare che solo l'1 % delle risorse del nono Fondo europeo di sviluppo è stato destinato a questo settore; una constatazione che rafforza l'idea che è necessario coinvolgere la società civile — e in particolare gli agricoltori — nell'elaborazione dei Piani indicativi nazionali. Per un confronto, la Banca mondiale ha destinato al settore agricolo l'8 % delle sue risorse, una percentuale per sua stessa ammissione insufficiente.

In questa fase di aumento dei prezzi delle materie prime agricole, e quindi dei prodotti alimentari, sui mercati internazionali, è più che mai chiaro che si potrà avere uno sviluppo progressivo dell'agricoltura solo predisponendo una politica agricola seria, strutturata e pianificata sul breve, medio e lungo termine. Tale politica dovrà godere della priorità sotto il profilo del bilancio e finanziario in senso lato, essere adeguata alle limitazioni proprie ai diversi paesi e al continente e, allo stesso tempo, inglobare l'approccio regionale.

Una politica del genere, per essere introdotta con il miglior esito possibile, dovrà essere elaborata e messa in atto esclusivamente con il concorso delle organizzazioni agricole africane e, soprattutto, includere meccanismi di salvaguardia: per es. è normale che il Senegal importi riso dall'Asia mentre possiede zone fluviali irrigabili il cui potenziale non è sfruttato?

Una politica razionale di promozione del lavoro nel settore agricolo potrebbe poggiare, in particolare, sugli aspetti evidenziati nell'Allegato IV del presente parere.

7.5   Le risorse umane al centro della politica del lavoro

Lo sviluppo delle risorse umane è un fattore imprescindibile di ogni strategia di sviluppo. L'istruzione e la formazione svolgono un ruolo di primo piano in questo processo fornendo manodopera flessibile, di qualità e diversificata sul piano dell'occupabilità. È quindi necessario che gli addetti alla programmazione delle risorse umane, in rapporto con gli agenti socioeconomici, analizzino il fabbisogno di posti di lavoro e il mercato del lavoro, effettuino previsioni a medio e lungo termine e anticipino i problemi e le sfide principali riguardanti l'adeguatezza della formazione al lavoro. Da questo punto di vista l'esempio dei paesi emergenti o di recente sviluppo come la Corea è generalmente edificante.

L'UE e i suoi Stati membri, data la loro esperienza in materia di formazione e di finanziamenti mirati e selettivi a rintracciabilità garantita, dovranno svolgere un ruolo essenziale. In questo contesto l'UE offre agli studenti africani la possibilità di partecipare a numerosi programmi di istruzione. Si tratta di un punto importante, in quanto solo una popolazione istruita può garantire lo sviluppo del continente africano.

I vari interventi che si potrebbero attuare per mettere le risorse umane al centro della promozione del lavoro sono presentati nell'Allegato V del presente parere.

7.6   L'integrazione regionale

È cosa ampiamente nota che esistono enormi potenzialità per sviluppare il commercio intra-africano e creare spazi economici più vasti.

Anche se l'integrazione economica regionale e subregionale ha fatto registrare sensibili progressi, soprattutto con la creazione dell'Unione africana, il potenziale commerciale non è ancora stato pienamente sfruttato. Occorre coordinare meglio le misure prese per armonizzare le procedure doganali, ridurre gli ostacoli tariffari e non tariffari, migliorare i trasporti e le comunicazioni investendo maggiormente nello sviluppo delle infrastrutture regionali e assicurare la libera circolazione dei cittadini, in particolare abrogando gli obblighi di visto, tutte cose da far rientrare in una politica di pianificazione territoriale che permetta di garantire una coerenza complessiva.

Lo sviluppo economico dell'Africa dipende anzitutto e in primo luogo dall'approfondimento del suo mercato interno, che è in grado di sviluppare una crescita endogena che consentirebbe al continente di stabilizzarsi e consolidarsi nell'ambito dell'economia mondiale. L'integrazione regionale e lo sviluppo del mercato interno sono i punti di partenza, le molle che permetteranno all'Africa di aprirsi al commercio mondiale con esito positivo.

Sotto questo profilo il CESE si rammarica che non si sia ancora conclusa la negoziazione regionale degli Accordi di partenariato economico, che per l'appunto hanno per oggetto, tra l'altro, l'integrazione economica.

7.7   Il dialogo sociale

Il dialogo sociale è necessario e cruciale per sviluppare posti di lavoro dignitosi e produttivi e, di conseguenza, deve essere parte integrante dell'attuazione della Strategia comune. La piena partecipazione delle parti sociali alla vita economica e sociale, infatti, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva, non solo risponde a esigenze di democrazia ma è anche fonte di sviluppo della società, pace sociale e competitività economica. Il dialogo sociale è lo strumento ideale per conseguire quel consenso socioeconomico che è portatore di sviluppo. Lo sviluppo economico, infatti, non può essere ottimale se non è accompagnato in parallelo dallo sviluppo sociale. I due concetti devono procedere di pari passo per creare la dinamica necessaria alla piena efficienza di un progresso economico in grado di produrre un miglioramento dei modi di vita, posti di lavoro dignitosi e il benessere delle popolazioni. Bisogna perciò istituire o ampliare le libertà sindacali e di contrattazione collettiva nonché organizzazioni datoriali e sindacali forti e indipendenti, che dispongano delle capacità e delle competenze tecniche necessarie per svolgere fino in fondo il proprio ruolo.

7.8   La società civile organizzata

La partecipazione degli agenti non statali è imprescindibile dallo sviluppo del lavoro dignitoso e deve quindi essere al centro della Strategia comune. Tale partecipazione, infatti, oltre a rispondere a esigenze di democrazia partecipativa, apporta il know-how e le competenze sul terreno di chi ogni giorno intraprende, produce, coltiva e così via. A questo titolo, gli agenti non statali devono essere coinvolti nell'elaborazione dei Programmi indicativi nazionali e regionali (PIN e PIR), essere considerati agenti di sviluppo a pieno titolo e usufruire di aiuti pubblici allo sviluppo e delle disposizioni dell'Accordo di Cotonou sugli aiuti al potenziamento delle capacità. A questo proposito si rinvia, in particolare, al capitolo 3 del parere del CESE 1497/2005, che sottolinea la necessità di dare alla società civile organizzata un carattere strutturato ovvero istituzionale (piattaforme, reti, Comitato ecc.) che le consenta di acquisire quell'unità temporale e spaziale necessaria ai dibattiti e alla definizione dei propri orientamenti. Da questo punto di vista, un esempio da seguire in Africa è la creazione del Consiglio consultivo della società civile da parte dell'Accordo di partenariato economico (APE) Cariforum-CE, concluso nel dicembre 2007 (cfr. dichiarazione finale della 25a riunione dei gruppi di interesse socioeconomico ACP/UE, svoltasi dal 4 al 6 marzo 2008 a Bruxelles: Un partenariato migliore per uno sviluppo migliore). Eseguendo il mandato conferitogli dall'Accordo di Cotonou il CESE, per mezzo del suo Comitato di monitoraggio ACP-UE, ha svolto un ruolo significativo contribuendo al coordinamento, alla riflessione collettiva e alla messa in rete della società civile.

7.9   Una buona governance

Poiché condiziona la fiducia degli investitori, una buona governance è fondamentale per l'Africa anche solo da questo punto di vista. La promozione di una governance democratica, necessaria a tutti i livelli amministrativi, è quindi un elemento cruciale del dialogo previsto dal partenariato Europa-Africa; tale governance deve essere considerata nella sua globalità e includere il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori (comprese le libertà sindacali), le norme sul lavoro, lo Stato di diritto, il potenziamento delle istituzioni e degli apparati statali (la cui debolezza e incapacità spesso frenano l'attuazione delle iniziative di cooperazione), la partecipazione della società civile a una reale democrazia partecipativa e, infine, la lotta alla corruzione. In merito a quest'ultimo punto, l'Unione europea e gli Stati membri devono imporre condizioni negli accordi di partenariato, condizionando la concessione di aiuti finanziari alla possibilità di rintracciarne l'impiego. In effetti, ogni anno, su cento miliardi di dollari di aiuti, trenta miliardi si volatilizzano (14) (cfr. i punti 3.6.1.5 e 7.2.1.3, ultimo trattino).

Bruxelles, 18 settembre 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  CESE 1205/2004, Il ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou, relatrice: FLORIO, settembre 2004.

CESE 1497/2005, Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico, relatori: PEZZINI e DANTIN, dicembre 2005.

CESE 753/2006, Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea, relatore: BEDOSSA, maggio 2006.

CESE 673/2007, Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: SHARMA, dicembre 2007.

Relazioni del Comitato di monitoraggio ACP-UE del CESE, Les ressources humaines pour le développement (Le risorse umane per lo sviluppo), relatori: KING e AKOUETE, maggio 2007.

(2)  Nathalie Delapalme, Elise Colette, Union Européenne/Afrique: Le partenariat stratégique (Unione europea/Africa: il partenariato strategico), Notes de la Fondation Robert Schuman, dicembre 2007.

(3)  Intervento del commissario europeo Louis MICHEL al convegno UE-Cina-Africa organizzato dalla Commissione europea, Bruxelles, 28 giugno 2007.

(4)  Replica del commissario europeo Louis MICHEL a un intervento di fronte all'Assemblea parlamentare paritetica in sessione a Kigali, 18-22 novembre 2007.

(5)  Vertice straordinario dell'Unione africana sui temi del lavoro e della lotta alla povertà, Ouagadougou, 3-9 settembre 2004, dichiarazione conclusiva (articolo 16).

(6)  Intervento del presidente del Consiglio economico e sociale di un paese francofono dell'Africa occidentale di fronte all'Assemblea generale dell'UCESA (Unione dei Consigli economici e sociali africani), Ouagadougou, 13-14 novembre 2007.

(7)  Cfr. articoli 104 e 105 della dichiarazione.

(8)  Cfr. articoli 106-110 della dichiarazione.

(9)  L'Africa possiede da sola la quasi totalità delle riserve mondiali di cromo (principalmente nello Zimbabwe e in Sudafrica), il 90 % delle riserve di platino (Sudafrica, ecc.) e il 50 % delle riserve di cobalto (RDC, Zambia, ecc.).

(10)  Cfr. CESE 673/2007, Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: SHARMA, dicembre 2007.

(11)  Secondo incontro congiunto CESE-UCESA (Unione dei consigli economici e sociali africani). Dichiarazione dei presidenti.

(12)  Le développement économique en Afrique (Lo sviluppo economico in Africa), relazione dell'Unctad, 26 settembre 2007.

(13)  Assemblea parlamentare paritetica ACP/UE, progetto di relazione Les IDE dans les Etats ACP (Gli IDE nei paesi ACP), relatori: Astrid LULLING e Timothy HARRIS, Kigali, novembre 2007.

(14)  Le développement économique en Afrique (Lo sviluppo economico in Africa), relazione dell'UNCTAD, 26 settembre 2007; intervista al Segretario di Stato per la Francofonia del governo francese, Le Monde, 16 gennaio 2008.